JOBS ACT: COSA CAMBIA REALMENTE SU LICENZIAMENTI E REINTEGRO
L’ART 18 RESTA PER LICENZIAMENTI DISCIPLINARI E DISCRIMINATORI
Dopo l’intesa raggiunta all’interno del Pd che di fatto ricalca il documento approvato dalla direzione del Partito democratico, la legge delega sulla riforma del lavoro è pronta all’esame delle Commissioni alla Camera per poi approdare in aula la prossima settimana.
Il premier Matteo Renzi ha già una data segnata in rosso per l’approvazione della norma: il 26 novembre. Il testo poi tornerà al Senato dove entro la prima metà di dicembre otterrà l’ok definitivo. Anche su questo il Pd ha già raggiunto un accordo di massima con gli alleati della maggioranza, Ncd in testa.
Dal via libera del Senato l’esecutivo avrà sei mesi di tempi per varare i decreti attuativi: il lavoro però dovrebbe essere piuttosto rapido perchè già da diverse settimane il governo ha avviato lo studio del dossier con uno stretto giro di consultazioni tra esperti ed esponenti politici, allo scopo proprio di non rimanere impantanato a pochi metri dal traguardo finale.
Il tema più spinoso resta quello legato all’articolo 18, o meglio al reintegro dopo licenziamenti per motivi disciplinari.
E’ proprio su questo punto che ha insistito la minoranza del Pd: “E’ stato un percorso virtuoso – dicono fonti vicine a Palazzo Chigi – la norma ha beneficiato della discussione all’interno del partito e del Parlamento. Noi vogliamo fare le riforme e vogliamo farle rapidamente”.
E’ importante chiarire, però, che le nuove norme in materie di lavoro si applicheranno solo ai neoassunti o a chi lascerà il proprio posto di lavoro per un altro: per tutti gli altri non cambierà nulla.
Non ci sarà più, dunque, il reitengro per i licenziamenti economici che l’azienda può usare nei casi di crisi aziendale, mentre resterà per quelli discriminatori ingiustificati (ad esempio per motivi politici, razziali o religiosi) e per quelli disciplinari dovuti al comportamento del lavoratore, che però saranno tipizzati per legge e sanciti dal magistrato.
Di certo l’esecutivo vuole ridurre al minimo i margini di discrezionalità della giurisprudenza e modificare il regime del reintegro così come previsto dall’articolo 18, sostituendolo con un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità con l’obiettivo di estendere le tutele ai tutti i lavoratori, anche a tempo determinato.
La battaglia si sposta ora sui dettagli, ma se sui licenziamenti discriminatori – motivati per esempio dal credo politico, religioso o dall’orientamento sessuale – le norme sono chiare, l’incertezza rimane sul fronte della disciplina e della motivazione economica. Nel caso dei licenziamenti disciplinari andranno definiti, infatti, quali comportamenti del lavoratore potranno essere sanzionati per evitare possibili abusi – sotto forma di minacce o ricatti – dei superiori.
Lo stesso vale per i motivi economici: per il momento si parla di difficoltà del mercato per le quali resterà possibile solo un indennizzo crescente con l’anzianità di servizio.
In questo caso però andrà spiegato se le difficoltà economiche dovranno essere legate all’azienda che licenzia, oppure basterà una contrazione del mercato di riferimento dello stessa.
O, ancora, come si dovrà giustificare la necessità di sopprimere una determinata funzione all’interno dell’impresa.
Sulla stessa lunghezza d’onda, il governo dovrà definire il perimetro del demansionamento del lavoratore.
L’obiettivo dichiarato dal governo resta quindi di agevolare le assunzioni a tempo indeterminato, attraverso agevolazioni fiscali, per arrivare all’estensione delle garanzie economiche a quanti oggi ne sono sprovvisti: un co.co.co. o un dipendente a tempo determinato possono oggi essere lasciati a casa senza alcun indennizzo.
Con la proposta dell’esecutivo i contratti atipici saranno più onerosi per le aziende, ma nonostante tutto i dipendenti così inquadrati avranno diritto al sussidio di disoccupazione cui oggi non possono accedere.
Giuliano Balestreri
(da “La Repubblica“)
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