JUNCKER SCRIVE A CONTE, NESSUN PROGRESSO SUGLI SBARCHI
LA LIBIA SMASCHERA IL BLUFF DI SALVINI: TANTE CHIACCHIERE E IN MANO UN PUGNO DI MOSCHE
“Siamo assolutamente contrari all’idea che l’Europa ci chieda ufficialmente di collocare (in Libia, ndr) immigrati illegali che l’Ue non vuole accogliere”. Il premier libico Fayez al-Sarraj gela l’Ue. Ma soprattutto gela l’Italia e nello specifico Matteo Salvini.
Solo la settimana scorsa, al vertice Ue dei ministri dell’Interno a Innsbruck, il leader leghista immaginava di definire la Libia ‘porto sicuro’, dall’oggi al domani, per rispedire lì i migranti soccorsi nel Mediterraneo.
Le parole pronunciate dal premier libico in un’intervista al quotidiano tedesco Bild gelano Salvini, che infatti le accoglie con un ‘no comment’.
Di fatto, al-Sarraj piazza una pietra tombale sul piano italiano sull’immigrazione presentato da Giuseppe Conte al mini-vertice europeo, prima del Consiglio Ue.
Era una proposta in dieci pagine. Prevedeva la realizzazione di centri controllati per migranti in paesi extra Ue, per smistare in loco chi ha diritto all’asilo e chi invece deve essere rimpatriato.
Un piano fallito qualche giorno dopo, al Consiglio Europeo di fine giugno, sotto le insistenze del francese Emmanuel Macron che è riuscito a imporre la sua visione: centri nei paesi Ue che li vogliano, su base volontaria.
Fallita anche questa opzione, almeno finora.
Ma le parole di al-Sarraj mandano in tilt tutti i progetti di Salvini, certo di poter rispedire i migranti in Libia, convinto degli esiti dei suoi colloqui lì a Tripoli.
Ci è anche stato, il 25 giugno scorso. E’ tornato gonfio di accuse contro la Francia “più interessata agli interessi economici in Libia che ai diritti umani”. Ma non ha portato a casa nulla di ciò che invece racconta.
Chiusa la via libica, resta quella europea, sempre ostica.
A un mese e mezzo dalla nascita del governo Conte, l’Italia resta stretta nella morsa tra nord e sud. Nessuno vuole cooperare sui migranti.
Lo stesso al-Sarraj si lamenta del fatto che “noi libici siamo ancora molto soli quando si tratta di salvare queste persone. Non c’è ancora supporto sufficiente per la nostra Guardia costiera”.
E si dice “sorpreso che, mentre nessuno in Europa vuole più accogliere i migranti, a noi chiedono di riprenderne altre centinaia di migliaia”. E’ una richiesta di nuovi fondi, la sua? Ufficialmente no: “Non saremo d’accordo anche a qualsiasi intesa con fondi Ue”, stabilisce il premier libico, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale.
L’altro è il generale Haftar, che governa la Cirenaica e che è più vicino a Egitto e Francia: se al-Serraj dice no, figurarsi Haftar.
Resta la Commissione europea, l’unico organismo che – come già è successo con i governi Renzi e Gentiloni – dimostra vicinanza alle richieste italiane.
Nel 2015 il presidente Jean Claude Juncker ci provò con il piano sulle relocations: fallito per l’ostilità dei paesi dell’est e il blocco di Visegrad, gli alleati sovranisti che Salvini continua a curare malgrado non lo stiano aiutando sull’immigrazione, il tema sul quale il leader leghista ha deciso di giocarsi la carriera politica.
Ora la Commissione Ue dice di volerci riprovare. O almeno è questo ciò che Juncker scrive a Conte.
In una lettera di risposta a quella inviata dal premier italiano, Juncker promette che la Commissione “continuerà a lavorare ininterrottamente tutta l’estate, da un lato per sostenere gli sforzi degli Stati membri, dall’altro per preparare le proposte legislative da presentare in settembre per rafforzare la guardia di frontiera e costiera europea e rendere più efficace la politica di rimpatrio”.
Si dice d’accordo con l’idea del governo di Roma di istituire una cellula di crisi coordinata dalla Commissione con il compito di coordinare, in caso di emergenza, azioni condivise. Ma qui finisce la parte positiva.
Perchè tutti i meccanismi ipotizzati da Juncker restano su base volontaria.
Un criterio che – paradossalmente – l’Italia per prima non contesta: si metterebbero a rischio le intese di Salvini con i nazionalisti di ogni dove in Europa.
E infatti Conte commenta positivamente la risposta di Juncker, sorvolando su dettagli eppure fondamentali. “L’Ue riconosce che il problema è europeo”, scrive il premier su Facebook.
Peccato che nella stessa lettera Juncker metta in chiaro che le soluzioni “ad hoc” messe in atto da quando l’Italia ha deciso di chiudere i porti alle ong e – a seconda dei casi – anche alle navi della guardia costiera italiana, “non rappresentano un modo di procedere sostenibile e soddisfacente”.
Insomma non si può procedere a casaccio, di volta in volta. “Dovremmo invece cercare metodi più prevedibili che si basino sul sostegno europeo, sia dal punto di vista finanziario, sia in termini di sostegno operativo da parte delle agenzie dell’Ue, evitando contemporaneamente ogni fattore di attrazione”, scrive il presidente dell’organismo europeo con sede a Palazzo Berlaymont.
E soprattutto Juncker sottolinea che “non va però dimenticato che l’Ue non ha competenza per determinare il luogo/porto sicuro da usare per gli sbarchi in seguito a un’operazione di ricerca e salvataggio in mare. Sono già in corso discussioni tecniche sulle misure concrete volte a dare seguito a questi accordi”.
Dunque il nodo sbarchi resta. Eppure Conte ringrazia Bruxelles. Salvini invece oggi tace gelato dalle chiusure libiche.
Del tema immigrazione si tornerà a discutere a Ginevra il 30 luglio, al vertice dei paesi Mediterranei. Una data che coincide con una sorta di ultimatum che Salvini ha lanciato a Innsbruck: “A fine luglio tirerò le somme di come si è comportata l’Ue”.
C’è poco da tirare finora, se non le decine di migranti alla fine accolti dalla Francia, Germania, Malta, Spagna, Portogallo e Irlanda, i paesi che si sono detti disponibili a sciogliere l’impasse delle navi bloccate nel Mediterraneo da Salvini. Soluzioni una tantum, che non fanno la regola, lo dice pure Juncker.
La prossima settimana intanto “la Commissione dovrebbe presentare una “concept note” sui centri controllati, dove trasferire i migranti salvati in mare e da dove poi rimpatriare i migranti illegali e ridistribuire i richiedenti asilo verso altri Stati membri. Il tutto sempre su base volontaria.
E siamo punto e a capo: stretti tra nord e sud, senza alleati veri, appollaiati su un’emergenza che si svela sempre più come propaganda.
(da “Huffingtonpost“)
Leave a Reply