LA BUFALA DI RICAVARE 18 MILIARDI DALLE PRIVATIZZAZIONI
IN 8 ANNI I RICAVI DALLE VENDITE DEI GIOIELLI DI FAMIGLIA SONO STATI DI APPENA 8,7 MILIARDI, ORA IN POCHI MESI VOGLIONO FAR CREDERE AI PIRLA DI RICAVARNE 18 CON QUEL POCO CHE E’ RIMASTO
Nella nuova lettera di risposta del governo alla Commissione europea, il governo ha messo a punto due importanti modifiche, che pur senza cambiarei punti più controversi del quadro macroeconomico contestato da Bruxelles, aggiungono nuovi elementi nello scontro con l’Europa. Una nuova richiesta di flessibilità sui conti per eventi eccezionali legata alle ultime alluvioni e alle spese per interventi sulla rete viaria (dopo la tragedia del Ponte Morandi) e la garanzia, molto ambiziosa, di far calare più decisamente il debito già dal prossimo anno grazie a un piano di privatizzazioni e dismissioni da 1 punto di Pil, circa 18 miliardi.
Parlando con i cronisti all’uscita da Palazzo Chigi, il ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha assicurato che il piano di dismissioni del governo “non include i gioielli di famiglia” parlando di “immobili e beni secondari dello Stato”.
I risultati raggiunti negli anni passati mostrano però che l’obiettivo del governo, 18 miliardi di incassi nel solo 2019, se fosse concentrato unicamente su questi asset sarebbe praticamente impossibile da raggiungere.
Secondo i dati del Def del 2018 e di quelli degli anni precedenti il bottino è stato assai più magro: dal 2010 al 2017, in otto anni, l’incasso totale è stato di 8,7 miliardi di euro.
Di questi, nell’ultimo triennio, ne sono entrati soltanto 2,5 miliardi.
Posto che il traguardo dei 18 miliardi in un anno dalle sole dismissioni immobiliari è più un miraggio che un reale obiettivo, come sottolineato anche dal presidente della Commissione economica dell’Europarlamento Roberto Gualtieri, resta la possibilità che il governo intenda procedere alla cessione di quote delle sue società di Stato.
E nel recente passato a più riprese si è messo mano ai “gioielli di famiglia”: è lo stesso Tesoro a tenere conto di quello che si è incassato dalla vendita di quote di società pubbliche.
Nell’ultima relazione sulle privatizzazioni, di un paio di anni fa, si indicava curiosamente proprio in “poco meno di 20 miliardi di euro” il ricavato dirottato al fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. Peccato che ci siano voluti quasi sei anni per arrivare a quel risultato, con operazioni di vaste dimensioni.
Ora il Documento programmatico di bilancio indica un obiettivo dell’1 per cento del Pil, circa 18 miliardi, in un solo anno.
Nella finestra in esame nell’ultima relazione – dal gennaio 2011 al settembre 2016 – lo Stato ha venduto in Borsa con una procedura accelerata una fetta (la quinta tranche) dell’Enel per oltre 2,1 miliardi e ha quotato il 35% delle Poste per 3,1 miliardi.
Anche l’Enav è stata messa sul mercato in quel periodo e non va dimenticato il peso della cessione alla Cassa Depositi e Prestiti delle partecipazioni in Sace, Simest e Fintecna: una partita di giro da quasi 9 miliardi, 2,4 dei quali erano stati dirottati al pagamento dei fornitori.
Ancora, nel conteggio di allora andarono anche i rimborsi dei cosiddetti Tremonti e Monti Bond pensati per salvare il Monte dei Paschi.
In passato, ha annotato dall’Osservatorio sui conti pubblici Carlo Cottarelli, soltanto nel 2003 si è venduto per un ammontare pari all’1% del Pil.
Allora però vennero vendute quote pesanti di Enel, Eni, Cdp e altro ancora. Via via i “gioielli” dai quali attingere per far cassa sono diventati sempre meno.
E metterli in vetrina è diventato più complicato: in tempi recenti, più volte si è parlato di nuove privatizzazioni, a proposito di una seconda tranche di Poste o delle Ferrovie. Ma non se n’è fatto nulla. Ora, dice il Documento programmatico di bilancio, si potrebbe puntare a centrare l’obiettivo in pochi mesi per costruire “un margine di sicurezza per garantire che gli obiettivi di riduzione del debito” siano “raggiunti anche qualora non si realizzi appieno la crescita del Pil ipotizzata”.
Nonostante le attuali condizioni di mercato siano tese e gli economisti di una grande banca d’affari quale Barclays abbiano definito di prima mattina “incerto” quel target di introiti, considerando che l’Italia ha scollinato il picco del ciclo economico e il barometro dell’economia segna un futuro incerto.
(da “La Repubblica”)
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