LA LEZIONE DI GISCARD ALLA DESTRA CHE L’ITALIA NON HA
L’EX PRESIDENTE FRANCESE, MORTO DI COVID, ERA UN CONSERVATORE, MA ANCHE UN EUROPEISTA
Il 27 maggio 1974 i francesi, allora popolo giovane, 50 per cento sotto i trent’anni, videro un quarantenne con “passo felino e occhio da rapace” (scrisse il Figaro) attraversare a piedi Parigi per arrivare all’Eliseo.
Valèry Giscard d’Estaing era appena stato eletto presidente, con 400 mila voti di scarto su Franà§ois Mitterrand (50,8 cento) ed apriva una stagione nuova nella rappresentazione stessa della politica.
Dopo i venticinque anni dominati dalla figura di paterna e pedagogica di De Gaulle, la breve parentesi di Pompidou deceduto per malattia prima della fine del mandato, mentre l’onda del 68 ancora muoveva aspettative di ogni genere, Giscard rappresentava un’alternativa di destra al gollismo, tecnocratica, competente, riformista in politica ed economia, ma radicale nell’idea di società .
L’inizio di settennato fu “abbagliante”, come scrive oggi Le Point: la semplicità di quell’uomo a piedi nelle vie di Parigi era un taglio netto con la monumentalità del generale e del suo successore Pompidou che alla notizia della morte di De Gaulle aveva pomposamente dichiarato per sempre “vedova” la Francia.
Giscard segnò innanzitutto una rottura con quella retorica, pur dichiarandosene figlio, rivendicando la Resistenza contro il nazismo e, benchè giovanissimo, la partecipazione alla liberazione di Parigi nel 1944 (anche se da sinistra ci fu qualche polemica sul suo reale coinvolgimento).
Ma era il rappresentante della “sociètè liberale avancèe”, di una destra moderna che non aveva bisogno di sdoganare il passato perchè la lotta al nazismo era la sua storia, non doveva occhieggiare ai collaborazionisti o ai nostalgici del colonialismo perchè a questi ci pensava dal suo ghetto Jean-Marie Le Pen.
Era – in poche parole – quella destra liberale, laica, radicale, riformista che l’Italia non ha mai avuto se non in una minoranza testimoniale. E che sapeva parlare alla sinistra senza complessi, come nell’ultimo faccia a faccia televisivo, quando Giscard si rivolse all’avversario con una battuta rimasta famosa: “Lei monsieur Mitterrand non ha il monopolio del cuore”.
Con Giscard la maggiore età si abbassa a 18anni, le riforme civili si compiono con la legge per l’aborto, nel divorzio il ruolo tra uomo e donna diventa paritario, si riforma il sistema carcerario, salta il monopolio dell’azienda della radio e della televisione di stato.
Ma gli anni Giscard furono anche un rottura nel costume, è stato il primo a mostrare la sua vita privata, mai si era visto un presidente sciare in montagna o in pubblico con un maglione a girocollo e i pantaloni di velluto.
Da ministro si era già fatto intervistare a torso nudo negli spogliatoi di un campo di calcio alla fine della partita. La sua campagna elettorale per l’Eliseo fu condotta con la moglie Anne-Aymone per mano, in versione americana, come Kennedy con Jacqueline. Anche le figlie lo accompagnavano, una conversazione con la maggiore sui problemi dei giovani fu diffusa in tivù.
La comunicazione presidenziale fu completamente rivoluzionata. Giscard si invitava a cena nelle case dei francesi normali, riceveva all’Eliseo i rappresentanti degli addetti alla manutenzione delle fogne di Parigi, andò stringere la mano ai detenuti del carcere di Saint-Paul di Lione a conclusione di una rivolta.
Ma tutto questa fenomenologia, in un paese che ha al tempo stesso una propensione monarchica e una uguale e contraria propensione a mettere il monarca sulla ghigliottina, non poteva che rovesciarsi nel suo contrario.
Come disse il cinico Mitterrand “non è colpa sua, è figlio di un ricco, la sua fortuna è stata la sua sfortuna”.
In effetti Valèry Giscard d’Estaing era nato in una famiglia di banchieri con radici nel 1600. Come la moglie Anne-Aymone Marie Josèphe Christiane Sauvage de Brantes, ma anch’essa con solide radici resistenziali e il padre ufficiale morto nei campi nazisti. Il grottesco paradosso della sua presidenza fu un dono di diamanti per la moglie ricevuto dal dittatore centroafricano Bokassa. Il piglio del giovane presidente si era mutato nella decadente allure di un Luigi XIV.
Ma a minare politicamente la corsa di Giscard è stata soprattutto l’infinita rivalità con Jacques Chirac, scomparso pochi mesi fa. Tra i due, accaniti avversari da sempre, non c’è mai stata riconciliazione, nemmeno nella vecchiaia. Come scrive oggi Le Monde “solo la morte ha spento questo duello, tra un aristocratico spesso arrogante, dallo spirito prodigiosamente cartesiano e un Rastignac godurioso e carismatico, tra un orleanista e un bonapartista”.
Alla fine, della sua parabola terrena, più che le innovazioni restano le sconfitte, compresa quella della commissione che ha guidato a Bruxelles per la “Costituzione europea” che il 55 per cento dei francesi ha bocciato nel referendum del 2005, come una sanzione storica e definitiva.
Amaro e lucido, eletto all’Acadèmie, il senato degli “immortali” di Francia, Giscard non aveva illusioni per il futuro: “i posteri non ricorderanno niente di me, le nostre società sono senza memoria”.
(da “Huffingtonpost”)
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