LA MELONI MANDA SEGNALI A TRUMP E SCEGLIE UNA LINEA PRUDENTE SULL’UCRAINA (IN VISTA DI UN POSSIBILE CAMBIO DI LINEA ALLA CASA BIANCA SE VINCE IL TYCOON)
A PAROLE RIBADISCE SOSTEGNO A KIEV MA L’ITALIA È RIMASTO L’UNICO PAESE IN EUROPA ASSIEME ALL’UNGHERIA DI ORBÁN A NON SOSTENERE L’UTILIZZO DELLE PROPRIE ARMI IN TERRITORIO RUSSO… LA SCELTA DI MELONI DI ANTICIPARE IL RIENTRO IN ITALIA HA FATTO STORCERE LA BOCCA AGLI ALLEATI
L’amico Elon non si tocca. Poco prima di tornare in Italia, Giorgia Meloni prova a rimettere le cose al loro posto. O meglio, a tenere assieme tutto: Joe Biden e Donald Trump, il millimetrico progressivo distacco dalle ragioni di Kiev in nome del potenziale trumpismo incombente e la necessità di non apparire incoerente, nonostante Roma sia rimasta l’unica in Europa – assieme ad Orbán – a non sostenere l’utilizzo delle proprie armi in territorio russo.
E dunque, il premio dell’Atlantic Council ricevuto dal fondatore di Tesla (e ariete del leader repubblicano, oltreché finanziatore del tycoon) diventa l’occasione per ribadire questo equilibrismo: «Vederlo non significa incrinare i rapporti con l’amministrazione Biden. Musk è sicuramente una delle personalità più interessanti del nostro tempo, ma non c’entra nulla con la campagna americana: il tentativo di schierare l’Italia nella campagna americana non mi sembra particolarmente intelligente». In più, la precisazione: «Non ho avuto contatti con Trump». E ancora, per non sbagliare: «Non sono mai stata sostenitrice dell’ingerenza straniera. Queste cose piacciono tanto alla sinistra».
È ovviamente un nervo scoperto. L’atteggiamento ora prudente sull’Ucraina non deve diventare un caso diplomatico, questa è la priorità. La scelta di Meloni di anticipare il rientro in Italia – raccontata ieri da Repubblica – disertando il ricevimento del presidente americano in onore di Zelensky e il summit in presenza degli alleati su Kiev (al quale si video-collegherà) ha fatto rumore.
In realtà, non è andata così. O meglio: fino a venerdì scorso, dunque alla vigilia della partenza per gli Usa, Palazzo Chigi aveva tenuto ufficialmente in piedi anche l’opzione di tornare in Italia il 25 settembre. In ogni caso, Meloni deve segnalare il sostegno all’Ucraina, perché domani Zelensky sarà alla Casa Bianca. «La nostra posizione – giura la leader – non cambia. E quello che ci racconta la propaganda russa sul fatto che Kiev avrebbe già vinto, beh: non è vero!».
Non solo: la premier rende pubblico quello che Palazzo Chigi definisce un «incontro» con il presidente ucraino, ma che dalle foto diffuse sembra in realtà un breve incrocio e un caloroso abbraccio in un corridoio (format contemplato in diplomazia).
Trump, dicevamo: il discorso di Meloni due sere fa all’Atlantic Council è stato esempio lampante di questo afflato verso il tycoon. La leader – che ha citato dal palco anche il cantante Michael Jackson, di cui ha poi imitato il celebre passo di danza all’Onu davanti ai cronisti – riceve il premio da Musk, sodale del repubblicano. Deve ascoltare anche una battuta di pessimo gusto dell’imprenditore: «È ancora più bella dentro che fuori». Ciò che più conta, però, è che la leader traccia una linea sovranista, ma di un “patriottismo” occidentale, con toni che richiamano i tempi dei neo-conservatori americani di inizio Duemila. Segnali, appunto, rivolti a Trump.
Nella serata dell’Atlantic Council, seduta al tavolo della premier, c’erano anche esponenti libanesi di massimo livello. Interlocutori, per intenderci, in grado di parlare anche con Hezbollah. È questa è d’altra parte la principale sfida della nostra diplomazia in questa fase. Antonio Tajani ha visto ieri a New York il suo omologo iraniano.
(da La Repubblica)
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