LA PENSIONE DEI GIOVANI NEL 2040 SARA’ DI UN QUARTO PIU’ LEGGERA
STUDIO CENSIS-UNIPOL: IL DIPENDENTE PRIVATO CHE LASCERA’ IL LAVORO NEL 2040 PRENDERA’ SOLO IL 52,4% DELL’ULTIMO STIPENDIO….L’ITALIA HA LA PIU’ ALTA SPESA PENSIONISTICA, SUL TOTALE DELLE PRESTAZIONI SOCIALI: 60,7%, CONTRO UNA MEDIA DEL 40% DEGLI ALTRI PAESI EUROPEI
Oggi sono due terzi, domani sarà solo la metà .
E’ il rapporto tra il primo assegno previdenziale del neopensionato e il suo ultimo stipendio: una percentuale destinata a scendere pesantemente nel corso degli anni e ad essere solo parzialmente sostituita dalle (eventuali e naturalmente a pagamento) polizze integrative.
Le stime, decennio per decennio, sono riportate in un nuovo studio nato dalla collaborazione tra Censis e Unipol.
Il dipendente privato che è andato in pensione nel 2008 – per esempio – ha incassato una pensione che vale il 68,7% dell’ultima retribuzione.
Suo figlio, invece, quando lascerà il lavoro nel 2040 prenderà solo il 52,4% dell’ultimo stipendio.
Molto peggio andrà invece agli autonomi, già penalizzati da una «finestra mobile» che li costringe ad aspettare sei mesi in più rispetto ai dipendenti prima di incassare il primo assegno previdenziale.
Artigiani e commercianti, tanto per citare due categorie, vedranno crollare il primo incasso pensionistico dal 67,9% dell’ultimo guadagno nel 2008 al 31,8% nel 2040.
In altre parole, la quota perderà più della metà del proprio peso.
E le pensioni private e aggiuntive?
«Il contributo della previdenza complementare – si legge nello studio – integrato nella stima sulla base di una aliquota del 6,91%, contiene lo svantaggio delle generazioni più giovani soprattutto per i lavoratori dipendenti, per i quali il tasso (di sostituzione) si ferma nel 2040 al 63% circa, mentre per gli autonomi raggiunge il 42% circa». Naturalmente gli assegni integrativi dipenderanno dall’entità dei contributi che saranno prima stati versati.
Ma, almeno nello scenario preso in considerazione nel rapporto Censis e Unipol, non basteranno a riportare le lancette dell’orologio al 2008 e ai suoi tassi di sostituzione comunque più generosi.
Per non parlare poi dell’età pensionabile, destinata a crescere in un mix che va dall’agganciamento alla speranza di vita, alle finestre mobili (più lente ad arrivare di quelle fisse) fino al passaggio da 60 a 65 anni per le donne nel settore privato.
Intanto, per ora, l’Italia resta, tra i grandi Paesi d’Europa, quello che ha di gran lunga la più consistente quota di spesa pensionistica sul totale delle prestazioni sociali: nel 2008 era al 60,7%, contro il 43% della Germania, il 45,8% della Francia, il 39,7% del Regno Unito e il 39,6% della Spagna.
E tra gli obiettivi delle tante riforme previdenziali che hanno caratterizzato il nostro Paese negli ultimi 20 anni c’è naturalmente quello di riequilibrare i conti pensionistici, in un orizzonte che abbraccia tutte le politiche sociali dei prossimi anni.
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