LE SEZIONI PD PERDONO IL CONTROLLO DEL VOTO: UNO E’ ISCRITTO, DIECI NO
SONO MOLTI GLI ESTERNI NELLE REGIONI ROSSE: L’ANALISI DELL’ISTITUTO CATTANEO
«Portate dieci persone a votare». L’appello Matteo Renzi l’aveva lanciato in tv, quando si temeva un flop dell’affluenza e il calo della partecipazione al voto dei circoli di novembre non incoraggiava.
Curiosa coincidenza: rispetto ai 297 mila tesserati che hanno partecipato alla fase del congresso riservata agli iscritti, ai gazebo sono stati 2,9 milioni a mettersi in fila e votare per la segreteria del Pd.
Dieci volte tanto, appunto: dieci partecipanti alle primarie per ogni iscritto.
Ma al di là della coincidenza, questo dato ha un significato: uno scarto così marcato indica «l’esistenza, intorno al partito, di un’area di elettorato di opinione in grado di mobilitarsi autonomamente, per adesione alle procedure partecipative delle primarie o per la simpatia e l’apprezzamento per un candidato», indica l’analisi di Piergiorgio Corbetta e Rinaldo Vignati dell’Istituto Cattaneo.
È il bacino di quel partito che è stato definito «aperto», «liquido», «leggero».
Elettori più autonomi e meno fedeli alla linea: «Non interessati alla militanza tradizionale, nè inquadrati nelle strutture di partito. E al partito non danno una delega in bianco, come una volta», spiega Vignati.
Viene meno la capacità di controllo: «Non seguono certo le indicazioni del segretario. Ma milioni di elettori alle primarie sono certo una risorsa».
E questa è la sfida del Pd: se si svuota l’arsenale dei militanti, bisogna pensare a riempire in altro modo il granaio dei voti. E fondamentale sarà mobilitare questo «di più» che sta intorno al partito.
Se il rapporto di 10 a 1 è già significativo, risulta ancora più elevato nelle regioni del Nord e in quelle cosiddette rosse: in Lombardia i partecipanti alle primarie sono stati 18 volte gli iscritti al voto nei circoli; in Piemonte 17.
In Emilia-Romagna 15 e in Toscana 13. Al Sud, al contrario, questo voto di opinione è risultato molto più ridotto (4 in Sicilia, 5 in Campania)
Ed è soprattutto nelle regioni rosse che elettori e militanti sono meno allineati.
Si pensi al successo di Renzi in Emilia-Romagna (71%) dove al voto dei circoli aveva vinto Cuperlo, oltre il 50% a Bologna.
In Italia tra gli iscritti Renzi ha preso il 45,3%, nelle primarie aperte il 67,8%: uno scarto di 22,5 punti percentuali.
La differenza raggiunge quota 30 punti percentuali nella fascia rossa di Umbria, Emilia-Romagna e Toscana.
È soprattutto qui che gli iscritti sono sempre meno rappresentativi della più ampia fascia di elettori e simpatizzanti
Qui dove il partito, storicamente, ha radici solide. «Pensiamo alla funzione svolta in queste regioni dal Pci negli anni 60 e 70 per i ceti popolari, nei quartieri urbani di edilizia popolare, nelle città industriali; agli immigrati che venivano dal Sud e che trovavano nel partito, dalle tombole per i bambini al liscio domenicale, un potente fattore di integrazione sociale», si legge nell’analisi del Cattaneo.
E si pensi, anche, ai successi elettorali che ne son seguiti. Un successo troppo grande: gli eredi del Pci, fino al Pd, ne sono rimasti vittime.
«Il partito si è chiuso in sè stesso, ha alimentato una struttura pesante, è diventato autoreferenziale».
Si è chiuso: proprio dove case del popolo e sezioni sono tuttora aperte e ancora in gran numero.
Ma i tempi cambiano e anche il militante invecchia: «Il partito non ha saputo intercettare i nuovi ceti».
E nelle regioni rosse più che chi rivendicava la tradizione delle sezioni, ha vinto chi ha portato al voto il «di più».
Renato Benedetto
(da “il Corriere della Sera“)
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