LEGHISTI E GRILLINI SEPARATI IN CASA
TRA SPIFFERI E SOSPIRI IN TRANSATLANTICO: CHIUSA LA FINESTRA ELETTORALE, CRESCE L’INSOFFERENZA RECIPROCA DEI DEPUTATI
Dovreste vederle le facce dei leghisti, che si aggirano in Parlamento come dei leoni in gabbia. Non ne possono più veramente. Ecco un capannello, avvolto dal fumo delle sigarette.
Barbara Saltamartini è torva in viso: “Non capisco proprio cosa ci stiamo a fare ancora in questo governo. Proprio non lo capisco. Forse ha ragione Matteo. Bah, però non se ne può più”.
Poi si allontana e detta un comunicato di fuoco: “Spadafora si sciacqui la bocca prima di parlare di Salvini. Si scusi o si dimetta”. Annuiscono i suoi colleghi: “Ieri la Trenta che gli dà del bugiardo, Di Maio che provoca sul peluche, oggi ‘quello’ che gli dà del razzista e maschilista. Siamo oltre”.
Fumano come turchi questi leghisti. Poco più in là c’è il capogruppo Riccardo Molinari, che sta raccontano, tra una boccata e un’altra di sigaro, l’aria che tira in giro: “Domenica eravamo a Fubine, in provincia di Alessandria a fare un comizio con Matteo. Quando ha fatto il solito passaggio su Di Maio sulle cose che sono state realizzate grazie al patto di inizio legislatura, sapete che è successo? Sono partiti i fischi dalla piazza. Ormai, appena lo nomini, i nostri rumoreggiano”.
Ecco, la storia è sempre la stessa, lo stesso copione, il dacci oggi la nostra rissa quotidiana, con crescente insofferenza tra le truppe, anzi si può davvero scrivere che Salvini, da quelle parti è rimasto l’unico argine, come si è visto quando, in serata, si è presentato nei panni del pompiere sulle polemiche di giornata.
Dicevamo, stessa storia, senza conseguenze per il governo. Che, nella stessa giornata, trova l’accordo sul decreto sicurezza. Il più classico dei compromessi, in cui ognuno rinuncia a qualcosa: sì alle supermulte alle Ong, no ai superpoteri a Salvini. I
nsomma, era chiaro sin dall’inizio che non sarebbe venuto giù tutto per Vincenzo Spadafora, anche se il taciturno sottosegretario c’è andato giù duro.
Però questo capitolo della storia che va in scena in data 9 luglio reca con sè quell’interrogativo che in parecchi in queste ore hanno sottoposto, con una certa inquietudine, a Matteo Salvini: “Ti rendi conto che dal 21 luglio andrà sempre peggio?. Il 21 luglio è il primo giorno in cui formalmente si è chiusa la finestra elettorale per il voto a settembre: “Da quel momento, certi di aver salvato la ghirba, questi dei Cinque stelle ricominceranno a polemizzare su tutto. Le avvisaglie si vedono già ora che si è capito che non si vota”.
Perchè questo dato, ormai è assodato: non c’è più tempo per una crisi, non c’è la volontà di Salvini, c’è l’incognita di come la gestirebbe il Quirinale.
È una consapevolezza assai diffusa che il Viceministro Laura Castelli condivideva con qualche collega: “Massì, Salvini voleva incassare l’autonomia e andare al voto, invece abbiamo rallentato l’iter. Adesso però, chiusa la procedura di infrazione e abbassato lo spread, speriamo che nessuno si metta a fare baldoria”.
Le avvisaglie di questa baldoria già si intravedono, in un equilibrio che resta precario, proprio all’interno dei Cinque stelle, sempre a proposito di malessere e di truppe che non ne possono più.
Parliamoci chiaro, Luigi Di Maio questa tentazione è impegnato a placarla. Non a caso è stata negata, proprio dai Cinque stelle, l’audizione parlamentare alla Sea Watch chiesta da Fico.
E, a ben vedere, il vicepremier ha “tenuta bassa” anche la questione Spadafora, difendendo il ruolo del suo sottosegretario, ma senza assumerne il punto di vista delle accuse a Salvini. Però non lo ha neanche censurato, consapevole che deve governare, o almeno provarci, più anime e punti di vista.
E comunque ha la necessità di non appiattirsi troppo sul governo per ragioni di consenso, quindi deve anche “lasciar fare” i suoi per non apparire come il governista arrendevole.
È chiaro che questo legittima una serie di interrogativi su quel che accadrà , perchè una linea degna di questo nome proprio non c’è.
Emilio Carelli, ad esempio ci dice: “Io sono tra quelli che si augura che Luigi non riparta all’arrembaggio. Noi dobbiamo dare anche nelle prossime settimane un messaggio di affidabilità e responsabilità , un messaggio costruttivo. Non ricominciare una campagna elettorale permanente”.
Il semplice evocarla per esorcizzarla è già un modo per sottolineare che è ripartita.
E in Transatlantico leghisti e grillini si parlano solo se è necessario, altrimenti ognuno fuma per conto suo.
(da “Huffingtonpost“)
Leave a Reply