L’OMBRA DI CONTE SU DI MAIO CHE ASPIRA A FARE IL PREMIER MA NON PUO’ METTERE DA PARTE L’EX PRESIDENTE
E NON SI CHIUDE IL SECONDO FORNO DELLA LEGA… INCREDIBILE: UNO CHE HA FATTO DIMEZZARE I VOTI AL M5S HA ANCORA LA FACCIA DI CHIEDERE UNA “PROMOZIONE” INVECE CHE TOGLIERSI DALLE PALLE
Di giornate più lunghe in questo ultimo anno e mezzo il Movimento 5 stelle ne ha vissute molte. Ma questo giovedì è stata forse la più lunga di tutte.
Finisce con un warning lanciato a sera da Luigi Di Maio: “La trattativa con il Partito democratico può partire, ma solo se abbiamo un sì chiaro al taglio dei parlamentari”. Una pre condizione che fa da scudo alle mille difficoltà di una trattativa che fino a ieri erano solo guardate come uno spauracchio all’orizzonte, e che oggi si sono disvelate in tutta la loro complessità . Lasciando disorientato il capo politico e tutto lo stato maggiore.
A mattina la delegazione Dem entra e esce dal Quirinale. Giù dal Colle rotola la notizia che Nicola Zingaretti ha posto un veto su Giuseppe Conte. Se discontinuità deve essere, il presidente del Consiglio non può rimanere lo stesso. Ecco il primo elefante nel salotto pentastellato.
Dopo un anno di governo e lo standing ritagliatosi dal premier anche e soprattutto per la sua intemerata contro Matteo Salvini in Senato, l’avvocato del popolo italiano non può essere licenziato così su due piedi.
E soprattutto non può essere messo da parte con leggerezza da Di Maio, che incassa ovazioni nelle assemblee e litri di veleni nei conciliaboli con i suoi.
“Luigi al momento è debole – spiega un parlamentare – Se gestisce un’operazione spericolata nel gruppo lo mettono al palo, ormai Conte è una star. A meno che…”.
A meno che non siano i Democratici a proporre urbi et orbi uno scarto che preveda lo stesso Di Maio a Palazzo Chigi. Un’operazione che la testa del M5s non si può intestare in prima persona, ma che deve maturare nel dialogo dei prossimi giorni.
È lo stesso Matteo Salvini a lusingare l’ex ragazzo di Pomigliano, riaprendo la finestra della cosa gialloverde davanti alle miriadi di telecamere e taccuini aperti nello studio alla vetrata del Quirinale, una citazione diretta fatta cadere quasi per caso: “Di Maio ha lavorato bene”.
“La verità è che Matteo e Di Maio non si parlano più”, spiega un leghista di rango. Ma il tentativo spericolato del Carroccio (certificato in qualche modo da Sergio Mattarella parlando di altre forze politiche che “hanno chiesto ulteriori verifiche”) è quello di riacchiappare per la coda i “fantastici ragazzi di Beppe Grillo”.
Anche mettendo sul piatto la premiership per il ministro del Lavoro. Una mossa che non trova al momento aperture sensibili nella controparte, ma che permette ai grillini di tenere aperto il secondo forno. Un ritorno al futuro, una riedizione del film hardboiled già proiettato nel 2018. Con interpreti che si invertono i ruoli, con un minutaggio minore, ma con una sostanza pressochè immutata
Ma il nodo Conte non è l’unico groviglio che rende complicato districare la matassa.
A metà giornata escono le tre vere condizioni che Zingaretti (sostenuto da Paolo Gentiloni), porrebbe al Movimento sulla strada di un accordo: la cancellazione dei due decreti sicurezza, la definizione dei contenuti della manovra prima che il governo si insedi, l’impossibilità del taglio dei parlamentari senza una serie di pesi e contrappesi a partire dalla ridefinizione della legge elettorale.
Soprattutto la conferma da sherpa renziani che questa sia la vera mossa d’ingresso del segretario Pd fa infuriare Di Maio: “A che gioco sta giocando?”. È in quel momento che scatta la consapevolezza, la prova provata, che i 5 stelle stanno trattando con due partiti uniti, ma diversi. È lì che si tira il freno a mano.
Di Maio calibra con i suoi il messaggio dei dieci punti da diffondere dopo il colloquio a Mattarella, al quale ribadisce la disponibilità a trattare con il Pd ma non a tutti i costi. In campo c’è ancora Conte, che i 5 stelle al momento non vedono come Commissario europeo, soprattutto dopo aver capito che l’altolà di Zingaretti è funzionale anche a mettere in difficoltà il capo politico.
Venerdì le delegazioni dei due partiti si incontreranno. I capigruppo Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli comporranno quella stellata. Di Maio al momento rimane al coperto. “Incontreranno i capigruppo del Pd”, spiegano dal M5s. Prima di accorgersi che nel programma c’è un bug: Andrea Marcucci e Graziano Delrio sono entrambi vicini a Matteo Renzi. Ecco che nel panel compaiono anche i vicesegretari Andrea Orlando e Paola De Micheli, cortocircuito sventato.
Siamo solo all’inizio.
(da “Huffingtonpost”)
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