MATTARELLA SI APPRESTA A UNA SCELTA SOLITARIA
SI VA VERSO UN GOVERNO DEL PRESIDENTE SENZA CERTEZZA DI UNA MAGGIORANZA
Il tempo è scaduto. E c’è tutto il senso di questa consapevolezza nella “drammatizzazione” impressa dal capo dello Stato, che convoca il terzo giro di consultazioni nella giornata di lunedì, prima ancora che si svolga la direzione del Pd. O forse c’è, più banalmente, la constatazione che la situazione è oggettivamente “drammatica”, dopo due mesi di tentativi falliti per formare un governo e senza una trama razionale in campo per superare questo stallo senza precedenti nella storia d’Italia.
A questo punto, avrà pensato Mattarella, sarebbe stato inutile attendere l’esito della discussione del Pd, perchè l’oggetto della direzione, come era chiaro da giorni, non sarebbe stato il tema del governo, ma il “chi comanda del Pd”: oggetto che ha certo una valenza politica, ma poco interessante per il Quirinale.
Ecco il senso dell’ultima chiamata per verificare “se i partiti abbiano altre prospettive di governo”.
Consultazioni lampo, tutte in una giornata, lunedì prossimo, nel corso delle quali il capo dello Stato chiederà ai partiti — si sarebbe detto una volta, inchiodandoli alle loro responsabilità — se sono in grado di prospettare “soluzioni concrete”, dopo settimane di veti, puntigli e di una mai interrotta campagna elettorale: significa ipotesi di governo, con accanto in numeri di una potenziale maggioranza parlamentare, non nuovi tentativi dopo tutti quelli falliti in queste settimane, che pochi non sono. E che, almeno, hanno prodotto chiarezza sulle strade che, a questo punto, non si possono più percorrere.
È fallito lo schema basato sulla formula centrodestra-Ms5, per cui non è nel novero delle possibilità prese in considerazione da Mattarella un incarico a Salvini dopo che, in quel perimetro, è franata la presidente del Senato.
Fallito, neanche a parlarne, quello tra Pd e M5s.
Inconcepibile un governo di minoranza del centrodestra, chiesto ancora in queste ore in nome della “caccia ai responsabili”, perchè rischierebbe di non prendere la fiducia in Parlamento (dove sono i numeri?) ma poi di rimanere in carica per gli affari correnti concedendo a quello schieramento un vantaggio competitivo in caso di ritorno al voto.
Archiviato nel capitolo “chiacchiere di palazzo”, a maggior ragione dopo la direzione del Pd, la suggestione cara a Gianni Letta di un governo di centrodestra, purchè non guidato da Salvini, e aiutato dalla parte renziana del Pd, in nome del dialogo sulle riforme.
Se i partiti, come sembra al momento, non saranno in grado di rispondere senza tentennamenti all’ultima chiamata, allora sarà inevitabile quella “scelta solitaria” già al centro da giorni delle riflessioni quirinalizie: un governo del presidente — lo si chiami “di tregua”, “per la manovra”, di “garanzia”, ma la sostanza non cambia — dal perimetro, contorni e mission che però anch’essi, in questa crisi inedita, sono ancora avvolti dalla nebbia.
Perchè, questa è la novità che dà il senso della profondità della crisi in atto, per la prima volta un governo del presidente potrebbe non avere i numeri in Parlamento, dato che al Colle è ben presente nelle riflessioni del capo dello Stato con i suoi consiglieri, in un quadro di crescente preoccupazione.
Detta in modo tranchant: l’ipotesi, su cui è al lavoro Quirinale, è quella di un governo di tregua “fino a dicembre”.
Che si presenti, con un minimo di dignità e autorevolezza politica al Consiglio europeo convocato a Bruxelles il 28 giugno.
Perchè a Bruxelles non sarà un vertice ordinario. I capi di Stato e di governo dovranno discutere di temi cruciali per il futuro dell’Ue, dalla revisione del trattato di Dublino che disciplina la politica europea sull’immigrazione alla discussione sul budget comunitario per il settennato 2020-2027.
Ed è chiaro che un negoziato di tale rilievo politico, per l’Europa e per l’Italia, richiede un governo, per quanto stimabile, non in ordinaria amministrazione. Il secondo, e forse principale compito, è poi il varo della manovra economica di autunno, delicata perchè c’è da disinnescare le clausole di salvaguardia che comportano l’aumento dell’Iva.
Ecco: un governo, con pochi e mirati compiti. E un tempo: fino a dicembre. Poi, si può tornare al voto.
Anche senza mettere mano alla legge elettorale, nella consapevolezza che il tema potrebbe risultare un ostacolo per garantire a questo governo una base parlamentare il più ampia possibile.
Per favorirne la nascita, o meglio “non impedirne la nascita”, vengono messe nel conto e, in qualche misura visto il clima che c’è auspicate, soluzioni creative, come un gioco di “astensioni” o “non sfiducie” parlamentari.
Il problema — e questo è il dato che suscita un non banale allarme — è che, al momento, non c’è un Parlamento pronto ad accogliere, in un sussulto di responsabilità nazionale, un nome indicato dal capo dello Stato.
Nome che, per inciso, sarà il rovello dei prossimi giorni e delle prossime verifiche formali e informali. Anzi, al momento, sia Lega sia Cinque Stelle, e chissà se cambierà qualcosa nei prossimi giorni ma sembra assai improbabile, hanno messo agli atti la loro indisponibilità a sostenerlo.
In tal caso Mattarella ha messo comunque nel conto che, comunque, non può essere l’attuale esecutivo Gentiloni a gestire il ritorno al voto.
Ed è pronto all’eventualità , qualora le forze politiche rifiutino lo schema di un governo “per la manovra” fino a dicembre, di un governo del presidente “neutrale” che venga bocciato in Parlamento e che accompagni, disbrigando gli affari correnti, il paese alle elezioni in autunno, prima della manovra, con tutto quel che comporta e che, a quel punto, dipende solo dal senso di responsabilità o di irresponsabilità dei partiti.
Perchè è chiaro che, uno scenario del genere, equivale a mettere nel conto l’esercizio provvisorio, con il Parlamento impantanato dopo il voto in una nuova fase di ingovernabilità che rende pressochè impossibile il varo della manovra e pressochè automatico l’aumento dell’Iva.
È, semplicemente, uno scenario senza precedenti. Che prefigura una difficile crisi istituzionale, in cui i partiti incapaci di indicare uno sbocco possibile e imprigionati in una sorta di cupio dissolvi trascinano le istituzioni, persino la principale come la presidenza della Repubblica, dentro le proprie contraddizioni.
Col capo dello Stato che, per la prima volta, non riesce a fare un governo. Un nuovo capitolo della crisi, non la fuoriuscita da essa.
(da “Huffingtonpost”)
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