MESTIERI USURANTI
LA SCOMPARSA DEL GIORNALISMO
La notte di Capodanno non guasterebbe un minuto di raccoglimento per la scomparsa del giornalismo.
Una categoria che, pur generalmente malfamata, nel secolo scorso vide l’Italia primeggiare nel mondo con fuoriclasse come Montanelli, Bocca, Biagi, Rinaldi.
E oggi si può dichiarare, salvo sparute eccezioni, ufficialmente estinta.
Costretti (spesso da se stessi) a scodinzolare appresso a Re Giorgio e alla Regina Clio mentre fanno gli scatoloni per lo Storico Trasloco (più o meno come nel 2013: il Quirinale costa il triplo di Buckingham Palace, ma i bagagli se li fanno loro da soli). Ridotti ad applaudire per la seconda volta una conferenza stampa di Sua Eccellenza Renzi che li aveva appena sbeffeggiati, anzichè alzarsi e lasciarlo lì a parlare da solo di Fonzie, Al Pacino e Newsroom.
Intenti a magnificare l’eroica impresa del comandante Argilio Giacomazzi, meritevole di encomio solenne per aver fatto il minimo sindacale del suo dovere sulla nave Norman in fiamme, non scappando come uno Schettino qualunque.
Impegnati a camuffare da reportage sul Natale le più invereconde marchette agli sponsor pubblicitari, i giornalisti italiani fanno di tutto per giustificare la pessima fama di cui godono.
Tant’è che tra le figure più credibili per gli italiani la nostra sfugge ai radar, ben al di sotto dei politici (accreditati di un ragguardevole 3%).
Intanto l’Ordine dei giornalisti, indaffaratissimo a processare Barbara D’Urso perchè si permette di fare domande (si fa per dire) ai politici senza essere iscritta all’Albo, non trova nulla da ridire sullo spettacolo avvilente di un premier che risolve la crisi di Europa (uno dei due giornali del suo partito) trasferendone la sede a Palazzo Chigi e sostituendo la redazione col suo ufficio stampa (pagato da noi).
Forse perchè Renzi ne ha fin troppi di giornali di partito: quelli di Forza Italia.
Ormai la stampa berlusconiana è una e trina.
Il Foglio di Giuliano La Prostata non ha più dubbi e lecca sempre e solo Renzi (“le tempie appena segnate ai primi capelli bianchi… esalta l’aspetto di luce… tono sordo di sfida al dio invisibile dell’austerità economica che abita l’Olimpo della Banca centrale tedesca… uno schiocco di parole… ottimista spumeggiare di certezze… sintomatica percussione… rappresentazione di metalinguaggio e mimica facciale… e lui non ci casca”: copyright Salvatore Merlo).
Libero lecca l’altro Matteo, Salvini, senz’abbandonare il vecchio Silvio.
Al Giornale invece si consuma il dramma di Sallusti. Già molto provato dal rientro a casa della Daniela dopo anni di tournèe nei talk show, Zio Tibia se l’era cavata leccando sia Renzi sia Silvio.
“Renzi ha le palle”, titolò qualche mese fa: e non alludeva a quelle che racconta, ma al coraggio dimostrato col Patto del Nazareno (e in effetti per accordarsi con B. ci vuole un bel coraggio).
Ora che però il padrone sta per tornare a piede libero e, almeno a parole, dà segni di insofferenza verso il governo, lo Zio Tibia non sa più chi leccare.
Nel dubbio, ha sdoppiato il Giornale. La parte sinistra della prima pagina è tutta lingua: “Il premier asfalta i nemici del Nazareno”.
La parte destra invece tutta frusta: “Il governo non sa contare i morti”,“Tesseramento truffa: abbiamo iscritto il Duce al Pd (firmato Renzi)”, “Catasto, prima stangata dell’anno”. Idem nelle pagine interne, anzi alterne: una leccata nelle pari e una scudisciata nelle dispari.
Due Giornali al prezzo di uno (per onestà con i lettori bisognerebbe cambiar testata). Il tragicomico caso di sdoppiamento,che costringe Sallusti & C. a intingere la penna ora nella saliva ora nel curaro, è dovuto a una malaugurata penuria di ordini precisi. Bei tempi quelli di Prodi e di B.: si sapeva subito chi menare e chi accarezzare.
Ora il padrone tentenna, cambia idea ogni due per tre.
Ha persino tolto il veto su Prodi al Quirinale (tanto a fotterlo ci pensa il Pd).
Mettetevi nei panni di Tibia, che stava già caricando a pallettoni Paolo Guzzanti per una nuova serie a puntate del caso Mitrokhin.
Ma si può vivere così? Una prece.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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