“NON È UN CASO CHE L’ITALIA SIA TRA I PAESI CON PIÙ MORTI PER COVID”: SIGFRIDO RANUCCI, NEL LIBRO “LA SCELTA”, RACCONTA GLI SCOOP DI “REPORT” DURANTE LA PANDEMIA
“QUELLO CHE SCOPRIMMO FU CHE L’ITALIA NON AVEVA UN PIANO AGGIORNATO PER AFFRONTARE LE PANDEMIE. L’ULTIMO RISALIVA AL 2006, NEGLI ANNI ERA STATO TAROCCATO: NE CORREGGEVANO SOLO IL FRONTESPIZIO CAMBIANDO LA DATA, NON I CONTENUTI. SE FOSSE STATO AGGIORNATO, AVREBBE POTUTO EVITARE MIGLIAIA DI VITTIME”
Pubblichiamo, per concessione dell’editore Bompiani, un estratto del libro di Sigfrido Ranucci, in uscita il 7 febbraio sigfrido ranucci Sigfrido Ranucci La Scelta Bompiani (324 pp, 20 euro).
Il 22 febbraio 2020 ero a Semiana, in provincia di Pavia, a ritirare il Premio Antimafia 2020 «per le attività istituzionali e professionali in materia di contrasto alle devianze e al malaffare a tutela della collettività». Il riconoscimento arrivava dalla Fondazione Antonino Caponnetto. Due giorni prima a Codogno era scoppiato il caso di Mattia Maestri, il “paziente uno” affetto dal virus del Covid. Mi trovavo a pochi chilometri da quella che era stata appena dichiarata zona rossa.
Grazie a quel premio mi ero trovato a poter raccogliere delle testimonianze sul posto: mi parlarono di ospedali e pronto soccorso affollati, di casi di polmoniti anomale, di pazienti anziani che morivano uno dopo l’altro, di camere mortuarie stracolme. Rientrando in autostrada ero rimasto folgorato da un pensiero: se il virus era arrivato in quel piccolo paese sperduto della Lombardia, l’Italia intera doveva essere già infetta senza averne la consapevolezza.
In pochi minuti, fissando il guardrail che correva senza fermarsi mai, capii che dovevo compiere una scelta. Non sempre la vita procede dritta come pensiamo o come vorremmo, a volte ci pone davanti a bivi ineludibili. Chiamai la redazione per convocare una riunione urgente.
La messa in onda di Report era programmata per la fine di marzo, gli inviati avevano già quasi chiuso le inchieste preparate nei due mesi precedenti. Bisognava buttare il lavoro fatto fino a quel momento, ma d’improvviso sentivo che il Paese che ci saremmo trovati a raccontare non sarebbe stato più quello di prima (…) La prima puntata per rispettare i tempi della messa in onda aveva mobilitato i dieci inviati, ognuno con il compito di fare una decina di minuti a testa su argomenti che avevo scritto solo su carta e che non sapevamo a cosa avrebbero portato.
Ne scaturirono inchieste di grandissima profondità, capaci di mettere in discussione le indicazioni dell’OMS (evidenziando le relazioni tra il segretario generale Tedros Adhanom Ghebreyesus e il partito comunista cinese), il ministero della sanità, le decisioni del Comitato tecnico scientifico, la sanità privata.
Quello che Report scoprì e che fece il giro del mondo fu che l’Italia non aveva un piano aggiornato per affrontare le pandemie. L’ultimo risaliva al 2006, negli anni era stato taroccato: ne correggevano solo il frontespizio cambiando la data, non i contenuti. E invece, se fosse stato aggiornato, avrebbe potuto evitare migliaia di vittime. Non è un caso che alla fine della pandemia l’Italia sia stata tra i paesi che in rapporto alla popolazione hanno contato più morti.
Quella del racconto della pandemia con gli italiani chiusi in casa ad aspettare il lunedì sera per conoscere la verità su quello che stava accadendo è stata una stagione cruciale nella storia di Report. È stata la stagione dei record di ascolti, ma anche una stagione faticosissima per la delicatezza dei temi affrontati e per via degli attacchi infidi e violenti di cui fummo oggetto, che mirarono addirittura a sostituirmi alla conduzione del programma e togliermi la nomina di vicedirettore.
(da “La Stampa”)
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