PD, CAOS E FUGA, SALTA L’ACCORDO TRA ACCUSE INCROCIATE
L’ASSENZA DI 500 DELEGATI E LA LITE SULLE REGOLE TRA LE CORRENTI PARALIZZANO L’ASSEMBLEA NAZIONALE DEL PD
“Altro che primarie dell’Immacolata. Qua serve il miracolo dell’Immacolata per riuscire a farle”. La sintesi migliore dell’ennesima giornata di follia collettiva del Pd la fa Beppe Fioroni.
Assemblea finita, certezze nessuna, battaglia rimandata a venerdì, in direzione.
“Sono state ritirate le modifiche statutarie. Il congresso sarà l’8 dicembre e la direzione deciderà come procedere”.
Guglielmo Epifani sale sul palco che sono le due passate per dire che di 4 mesi di discussione non se n’è fatto ancora (quasi) niente.
Si conclude così una mattinata surreale.
I fatti: l’Assemblea vota un documento che stabilisce la data delle primarie all’8 dicembre; ma non vota le modifiche statutarie che dovevano velocizzare e snellire il percorso, per rendere possibile quella data, nonchè sancire la separazione tra segretario e candidato premier.
Lo Statuto adesso è immodificabile: se Renzi viene eletto segretario, sarà l’unico candidato premier del Pd. E Letta è fuorigioco.
Così un minuto dopo la chiusura iniziano le interpretazioni.
Tra chi, come Francesco Sanna (consigliere del premier) commenta: “Ma vale di più lo Statuto o un voto dell’Assemblea? ”.
Gli fa eco Marco Meloni, altro lettiano: “Abbiamo votato l’8 dicembre, mica abbiamo detto di quale anno”.
Una battuta, che scopre la volontà di far slittare il congresso.
D’altra parte, i bersaniani andavano dicendo da giorni, Nico Stumpo in testa: “Se non ci sono i numeri, allora si va con lo Statuto attuale e il congresso slitta a primavera”. Sull’altro fronte, il renziano Gentiloni – mentre avverte che l’8 dicembre non si tocca – commenta: “È un grande pasticcio: a furia di cercare cavilli per frenare qualcuno e per la paura che qualcuno diventi segretario, hanno reso la situazione ingovernabile”.
Per capire cosa è successo, proviamo a riavvolgere il nastro di una mattinata che sembrava andare in una direzione e poi finisce contro il muro.
L’Assemblea si riunisce di prima mattina.
La Commissione regole, dopo gli ultimi 2 giorni di conclave permanente, è arrivata a un accordo, che prevede data, congressi regionali dopo quello nazionale e separazione tra segretario e premier.
Lo illustra Gualtieri. Interviene la Bindi in persona: “I risultati della Commissione non sono consensuali e unitari: voterò contro la modifica del-l’articolo 3” (ovvero quello che stabilisce la distinzione tra segretario premier e candidato, in maniera permanente).
Spiega che non si cambia la natura di un partito in un’Assemblea. Con lei i veltroniani.
Se si fossero limitati a confermare la norma transitoria (quella che permise in via eccezionale a Renzi di correre contro Bersani) l’avrebbero votata tutti, spiegano.
In sala si comincia a vociferare che il numero legale (476 delegati) non c’è.
Intanto, parlano i candidati. Si approva il documento, con 378 sì, 74 no e 24 astenuti. Numero legale sul filo. E niente maggioranza qualificata, quella che serve per lo Statuto.
I bindiani chiedono che si voti separatamente la modifica permanente e quella temporanea. La Sereni vuol mettere al voto anche questo, la Bindi si oppone, minaccia di chiedere la verifica dei numeri.
Dal palco il responsabile Organizzazione, Zoggia annuncia che la Commissione si riunisce e l’assemblea si riaggiorna alle 13 e 30.
Passanno i minuti. Chiacchiera Matteo Orfini: “C’è mezzo Pd che ha lavorato per far mancare il numero legale in assemblea, far slittare il congresso ed evitare pericoli per il governo. Sono quelli che hanno lavorato con Letta, Franceschini, Bersani. E anche Epifani: se convochi un’assemblea e poi non riesce, ci sono delle responsabilità … ”. Zoggia un paio di settimane fa aveva ammesso che bisognava considerare decaduti 200 o 300 membri dell’Assemblea. E poi non l’ha fatto.
I minuti passano lenti.
L’atmosfera è un po’ quella del Capranica: dall’ovazione per Prodi al tradimento.
Il capo ufficio stampa del Pd, Seghetti, spiega che sì, la data c’è, ma a norma di statuto in questa situazione le primarie nazionali vanno a marzo. La riunione si scioglie. Riparte il tutti contro tutti.
Bindi: “Senza congresso salta il governo e il partito”.
I bersaniani danno la colpa a renziani, civatiani e bindiani.
Renzi commenta che si è fatta una pessima figura, ma che la data c’è e le regole pure. Cuperlo anche spinge per l’8, senza se e senza ma.
Veltroni, Bindi, i Giovani Turchi, i dalemiani e i renziani in direzione riusciranno a contrastare lettiani, bersaniani e franceschiniani, se si arriva a uno scontro?
Stando ai numeri no.
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano“)
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