RE GIORGIO LANCIA PADOAN
NEL SALUTO ALLE ALTE CARICHE NAPOLITANO DIFENDE LE RIFORME DEL GOVERNO, ATTACCA MINORANZA DEM E SINDACATI MA CHIARISCE CHE SULLE ELEZIONI ANTICIPATE IL PREMIER NON TROVERà€ SPONDE
Al Quirinale, l’attesa assomiglia a quella per il fatidico 21 dicembre del 2012.
Le dimissioni di Giorgio Napolitano, novella profezia dei Maya. Come però non accadde nulla due anni fa, così non è accaduto niente ieri pomeriggio.
Neanche una parola su quando se ne andrà .
Nonostante il clima solenne, la veglia dei presenti e un discorso di trenta minuti e tredici cartelle. La parata dei corazzieri è impressionante.
Per la prima volta sono schierati ogni due gradoni, nelle due rampe che si salgono. La cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno tra le “alte cariche” è pressochè una liturgia religiosa, non solo per il triregno (la tiara papale con le due chiavi incrociate) scolpito nel legno del soffitto.
Cellulari spenti, come in chiesa, e tutti in piedi quando entra il presidente-celebrante.
Il diacono che introduce è il supplente “senator dottor” Pietro Grasso, alla guida di Palazzo Madama.
Al posto del suo intervento, in cui di fatto si candida alla successione, il presidente del Senato avrebbe potuto proclamare e parafrasare il Vangelo della prima domenica di Avvento, a proposito del rebus delle dimissioni di Napolitano: “Vegliate dunque, perchè non sapete in quale giorno il Signore vostro si dimetterà ”.
L’economia arranca. Schiaffoni a Renzi
Ancora una volta, il capo dello Stato si dimostra preoccupato, se non pessimista, sul nostro Paese (“Il 2014 non si chiude bene”), e dispensa schiaffoni e imperativi a tutti gli “attori” politici e sociali.
Compreso Matteo Renzi. A caldo, invece, la falange dei renziani di ogni ordine e grado (dai fedelissimi in Parlamento ai giornalisti-tifosi) s’incarica di dare una versione superficiale del discorso, di sostegno tout court al premier.
Non è così e basta riascoltare con calma l’intervento del presidente della Repubblica. In pratica,Napolitano fa una difesa del sistema e s’intesta, in condominio con il defunto governo Letta (citato tre volte, una in più del “presidente del Consiglio”), il processo riformista su bicameralismo e Jobs act, invocando quindi continuità e stabilità .
Per questo malmena duramente le opposizioni: “Non si attenti in qualsiasi modo alla continuità di questo nuovo corso”.
E ancora: “Rispettare, pur nel dissenso, la coerenza delle riforme in gestazione è un dovere di onestà politica e di serietà istituzionale”.
Allo stesso tempo disarma Renzi sulla minaccia del voto anticipato: “Non possiamo essere ancora il Paese attraversato da discussioni che chiamerei ipotetiche: se, quando e come si possa o si voglia puntare su elezioni anticipate, da parte di chi e con quali intenti; o se soffino venti di scissione in questa o quella formazione politica, magari nello stesso partito di maggioranza relativa. È solo tempo, e inchiostro, che si sottrae all’esame dei problemi reali”.
Il bicameralismo, poi, non è “un tic da irrefrenabili rottamatori, ma un punto debole della Costituzione già discusso dai Padri costituenti.
Napolitano fa una sorta di testamento-vademecum politico costretto a prendere atto che uno degli esecutori di questo documento è l’attuale premier.
Tutti ai blocchi di partenza per la corsa più difficile
Renzi, dunque, non è l’unico esecutore. Napolitano vuole influenzare la sua successione quando sarà (dal 14 gennaio in poi, visto che il semestre europeo a guida italiana finirà il 13) e concede un’inaspettata passerella al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, uno dei nomi più freschi del toto-Quirinale: “Molto hanno contato (in Europa, ndr) il valore e l’affidabilità che si riconoscono al ministro Padoan”.
Lui, l’interessato, non si scompone. Nel salone ci sono anche altri papabili: Veltroni, Amato, Bersani, Gentiloni, finanche D’Alema seduto accanto a Fini, un’immagine d’altri tempi da figli di un Dio minore.
C’è pure l’eterno Gianni Letta (l’unico leader politico assente Berlusconi).
Stavolta, Napolitano, non si commuove mai, a differenza dei discorsi tenuti a Torino ai Lincei.
Le randellate non grondano lacrime. Ce ne sono altre sull’antipolitica, sulla decretazione d’urgenza e i voti di fiducia e su quella, infine, che definisce “l’ampia riforma del mercato del lavoro”.
Ai sindacati, sull’articolo 18, rinfaccia “l’interpretazione riduttiva, concentrata sul punto di massimo possibile dissenso”.
Al premier, invece, intima di darsi una calmata “nel rispetto del ruolo che è naturale dei sindacati, di rappresentanza e negoziale”.
La messa laica degli auguri finisce alle 18 e 15.
Il sindaco di Roma, Marino, saluta il procuratore capo Pignatone, mentre i primi a raggiungere il guardaroba, saltando il rinfresco, sono Amato e D’Alema.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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