RINNEGATO ANCHE SAVONA
SI SCOPRONO LE CARTE DEI SOVRANISTI: ANDARE ALLE ELEZIONI RACCONTANDO LA BALLA DELL’EUROPA CHE HA FERMATO IL GOVERNO DEL POPOLO
Persino Paolo Savona, l’ideologo della liberazione dall’Europa teutonica e dalla gabbia dell’euro, viene platealmente rinnegato, perchè ha osato ipotizzare cambiamenti della manovra se lo spread dovesse sfuggire di mano.
La scomunica, piuttosto brusca è affidata, alla classica nota di “fonti del governo”, a vertice in corso, in cui si precisa che ha parlato da “tecnico”, e invece “l’obiettivo politico” è che “si va avanti per la strada tracciata perchè senza la possibilità di realizzare le misure contenute nella manovra la maggioranza non avrebbe più senso di esistere”.
Cade in modo paradossale anche l’ultimo tabù, con Salvini e Di Maio che si assumono tout court la paternità del cigno nero, ovvero l’innesco del conflitto con Europa e mercati. L’evento imprevisto e improvviso che a prescindere dalla volontà ci avrebbe portato alla “guerra” con l’Europa e i mercati, non è altrove.
Le sue ali si agitano in ogni parola di Salvini e Di Maio, in una giornata da tregenda, e nella minacciosa negazione, in nome del popolo, della legittimità delle articolazioni “terze” dello Stato, mentre l’andamento dei mercati certifica che è stata intrapresa la rotta verso l’abisso.
“Bankitalia si presenti alle elezioni”, dice Luigi Di Maio. Sotto-testo: oppure taccia, perchè tutto ciò che è in mezzo, tra la “volontà popolare” e gli eletti che detengono il potere di interpretarla è solo un ostacolo, senza diritto di parola.
E la Corte dei conti che esprime preoccupazioni sul debito, in una manovra fatta di spesa corrente? Allarmismo ingiustificato, dice il premier Conte.
E il Fondo monetario internazionale che prevede una crescita infinitamente più bassa rispetto ai numeri da Dottor Stranamore inseriti nel Def? “Stime da aggiornare”, perchè non ha previsto gli effetti miracolosi sulla crescita. E l’ufficio parlamentare dei Bilancio? Avanti lo stesso, perchè “sono tutti tecnici messi lì da Renzi”.
Sono le parole di un gioco d’azzardo sul destino del popolo: lo spread con titoli tedeschi salito fino a 315 punti base, quello con gli spagnoli ha toccato i massimi ventennali, i rendimenti sui Btp con scadenza a due anni si sono avvicinati alla soglia del 2 per cento, mentre quelli sui Btp a dieci anni hanno sfondato il 3,6, ai livelli massimi dal 2014.
Le dichiarazioni innocue del ministro del Tesoro, al pari del suo microfono spento da Borghi, il teorico dell’Apocalisse, sono la rappresentazione plastica della rottura degli argini. Mai si era vista, in una giornata con questo tasso di drammaticità , un’audizione del titolare dell’Economia così ininfluente nel placare gli investitori e i mercati, perchè mai si era vista una tale perdita di credibilità di un ministro diventato, nell’arco di una settimana, il difensore di un pericolo che aveva promesso di sventare.
Ecco, siamo al dunque, come ormai notano tutti gli analisti: se il governo non rivedrà entro la prossima settimana il rapporto deficit-Pil, sarà pressochè impossibile invertire il trend negativo sui mercati ed evitare il declassamento delle agenzie di rating. È su questo che prende forma l’incrinatura nel governo.
Il silenzio inquieto di Giorgetti, le dichiarazioni del viceministro Garavaglia possibiliste sui cambiamenti della manovra, le ipotesi di Tria sulla ridefinizione “temporanea” delle pensioni, la sterzata di Paolo Savona indicano una preoccupazione comune e condivisa. E cioè che, se non si mette mano alla manovra prima che si pronuncino le agenzie di rating, dopo il declassamento annunciato su queste basi, non c’è più niente da fare.
L’isolamento testardo e spavaldo dei due leader di governo, e con esso la roboante rivendicazione che si andrà avanti, sempre e comunque, rivela il cinico calcolo politico che sta dietro l’intera operazione.
La costruzione di un gigantesco e potente alibi elettorale.
Qualunque sarà lo scenario delle prossime settimane rimarrà inalterata, e anzi risulterà potenziata, la narrazione che già da tempo tiene insieme una coalizione di governo che assomiglia sempre di più a una “cosa gialloverde”, intesa come blocco politico che, nell’esperienza di governo, sta definendo una sua soggettività sovranista.
Salvini e Di Maio potranno sempre rivendicare il “siamo noi che vi volevamo liberato dalla povertà “, “siamo noi che volevamo restituire le pensioni agli italiani”.
Ma i poteri forti, le perfide tecnocrazie, il grande capitale, tutti i pezzi di un sistema che non si rassegna “ci hanno fermato”.
È una narrazione perfetta per trasformare la prossima campagna per le europee in un’ordalia del popolo contro i suoi nemici, l’Europa in primis, scaricando su di essi il prezzo che il paese, nel frattempo, dovrà pagare.
(da “Huffingtonpost”)
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