ROBERTO ROSSO, FRATELLI D’ITALIA E LA ‘NDRANGHETA: 15.000 EURO PATTUITI MA POI ROSSO SI LAMENTA PERCHE’ I VOTI ARRIVATI SONO INFERIORI ALLE ATTESE, VUOLE LO SCONTO E OFFRE SOLO 7.900 EURO
GLI UOMINI DELLA ‘NDRANGHETA REPLICANO: “PEZZENTE, PIDOCCHIO”
Ieri all’alba Roberto Rosso, uno dei punti di riferimento in Piemonte di Fratelli d’Italia e per sei mesi assessore regionale della giunta di centrodestra guidata da Alberto Cirio, è stato arrestato dalla Guardia di Finanza con l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso, su ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip Giulio Corato. Si è dimesso dall’incarico mentre Giorgia Meloni lo ha cacciato dal partito.
Nel’operazione coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia torinese, sono state arrestate altre 7 persone.
Tra queste Mario Burlò, 46 anni, imprenditore nel settore del «Facility management», accusato di concorso esterno, in passato tra i vertici dell’Unione nazionale imprenditori, sponsor di varie società sportive. In manette anche esponenti criminali: Onofrio Garcea, 69 anni, e Francesco Viterbo, di 68.
Gli altri arrestati sono i gregari di questa storia di malaffare: Enza Colavito, 52 anni, amica di Rosso, e Carlo De Bellis, 54 anni, tutt’e due torinesi, ritenuti dagli inquirenti gli intermediari del «patto elettorale criminale»: soldi in cambio di voti dei clan.
Le 4477 preferenze che hanno assicurato a Rosso, che rimane consigliere regionale, un posto in consiglio regionale sono ora macchiate dal reato di voto di scambio politico mafioso che gli è stato contestato dai pm Paolo Toso e Monica Abbatecola. Scrive Repubblica:
Ma se prima Rosso ha promesso, poi ha ritrattato. E così i 15 mila euro pattuiti, alla fine, sono diventati 7.900.
Troppo pochi i voti presi: «Sono dei cacciapalle incredibili» definirà i boss. Che invece adirati per il suo comportamento che «è uno schifo», lo definiranno un «pezzente» o «un pidocchio». […]
Il gip Giulio Corato sottolinea come il politico di centrodestra fosse a conoscenza del calibro dei personaggi con cui aveva a che fare
Era stato lui a firmare, nel 2012, un’interpellanza per denunciare gli intrecci tra ‘ndrangheta e politica: già compariva il nome di Garcea. E nelle carte spunta anche il racconto di un presunto incontro, subito prima delle elezioni, tra i boss e alcuni parlamentari di Forza Italia, per dire che «i lavori del Tav a Chiomonte devono continuare».
Garcea è considerato un boss della cosca dei Bonavota, ben radicata in Liguria, ma viene spedito a Torino dopo che alcuni arresti avvenuti all’inizio del 2019 avevano creato un vuoto di potere. E lui si mette subito al lavoro, come racconta il Corriere nell’articolo di Marco Imarisio:
A febbraio il suo uomo di fiducia Francesco Viterbo (fino ad oggi mai condannato) partecipa a un evento di Forza Italia a Nichelino. Riferirà poi di avere parlato con «4-5 onorevoli» del partito di Silvio Berlusconi e di avere discusso con «Napoli e Bertoncini», che potrebbero essere Osvaldo Napoli di FI e Maurizia Bertoncino, candidata di +Europa, della necessità di «prendere in mano il paese», inteso come la piccola San Gillio, dove si stava per votare, e del fatto che i lavori presso il cantiere della TAV a Chiomonte «devono proseguire».
Le intercettazioni tra Garcea e la sorella Chiara rivelano, secondo il gip,«una conoscenza tra i citati esponenti politici ma anche la loro consapevolezza della sua caratura criminale». Dopo tanto peregrinare, l’approdo a Rosso. E qui pare che le porte si siano aperte.
Difeso dal legale Maurizio Basile, Rosso è stato rinchiuso nel carcere di Torino; sarà trasferito nel penitenziario di Asti. Secondo le intercettazioni mirava a uno sconto: aveva già versato un acconto di 2.900 euro prima del voto.
Così prendeva tempo: «Sì, però dopo che si sono chiusi gli assessorati … Mi telefoni tra due settimane».
(da “NextQuotidiano”)
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