SENZATETTO, IL PIANO DI ROMA PER OSTIA SONO TRE TENDE DI PLASTICA
L’IRA DELLA CROCE ROSSA: DA ANNI CHIEDIAMO UN EDIFICIO
Il sole di mezzogiorno riscalda il sonno dei senzatetto disseminati sulle panchine del lungomare di Ostia. È un piacere effimero.
Quando la luce cala e il freddo gela l’asfalto, la ricerca di un riparo per passare la notte diventa una questione di sopravvivenza, ma nel quartiere sul mare di Roma, grande quanto una città , non c’è nessun tetto per i clochard.
Il «piano freddo» della Capitale, che a Ostia ha ben poco di pianificato, da tre anni si limita alle soluzioni di emergenza fornite dalla Croce Rossa: tre tende da campo, lucide e bianche, montate in un parcheggio di fronte a una scuola e a una biblioteca comunale.
Le macchine dei genitori dei bambini sfilano lì davanti alle sei di pomeriggio, finite le attività del doposcuola, mentre i primi clochard iniziano ad arrivare.
«Da tre anni troviamo le tende qui davanti», dice uno dei genitori che si ferma di fronte all’ingresso con l’auto, in attesa del figlio. «Non mi sembra nè una situazione umana per loro, nè rassicurante per noi». In effetti, spesso, gli ospiti del piccolo campo «hanno problemi di alcolismo», ammettono i volontari che prestano servizio nel campo.
«Sono quasi tutti dell’Europa dell’Est e solo qualche italiano». Pochissime le donne, nonostante una delle tre tende sia riservata proprio a loro. Chi arriva già ubriaco non può entrare, assicurano, ma lo spazio è all’aperto e quindi difficile da controllare. Non è una rarità che l’alcol riesca in qualche modo a eludere i controlli e il rischio, allora, è che si scateni un litigio, talvolta una rissa. «Servirebbe una volante della polizia fissa qui davanti», sostengono genitori e volontari, perchè «i senza tetto hanno difficoltà a relazionarsi tra loro, specie in piccoli spazi comuni come questo».
I volontari, con l’aiuto della protezione civile, preparano nel primo pomeriggio le trenta brandine in file ordinate.
Le coperte colorate, la biancheria stesa su un filo, qualche zaino logoro lasciato in un angolo, una busta di plastica trasparente in cui è stato riposto un pezzo di sapone e un rasoio: sono la testimonianza dei quindici senza tetto ospitati nei primi giorni di apertura delle tende. Il timore è che a breve, grazie al rapido passaparola che scorre sui marciapiedi, i trenta posti possano non essere più sufficienti.
Di certo, tre tende montate in un parcheggio davanti a una scuola «non possono essere considerate un «piano contro il freddo».
Più che una soluzione, è una toppa», dice senza girarci intorno Debora Diodati, presidente della Croce Rossa di Roma. «Per questo chiediamo da anni, insieme alle altre associazioni di volontariato, che venga fornito dal Comune un edificio idoneo». Una struttura confiscata alle mafie, magari, nel quartiere appena uscito proprio da un commissariamento per mafia, o una caserma, una scuola chiusa.
«Sarebbe un bel segnale», dice ancora Diodati, ma «le istituzioni non ci hanno mai ascoltati». Quanto meno, quest’anno il «piano freddo» a Ostia è iniziato in anticipo rispetto al 2017, quando le tende erano state montate a febbraio, poche settimane prima dell’arrivo della mite primavera romana. Un tetto, delle mura, e una porta aperta ai senza fissa dimora già dall’inizio di dicembre è tutto ciò che vorrebbero le associazioni di volontariato. Una richiesta rimasta inascoltata per anni.
Chi soffre maggiormente la denunciata assenza delle istituzioni sono le piccole realtà di volontariato. Ne sono sopravvissute poche.
Qualcuno, come Franco De Donno, ha scelto di entrare in politica. Qualcun altro ha gettato la spugna. La rete ha iniziato a disfarsi dopo l’inchiesta di Mafia Capitale e il commissariamento del X municipio.
Il sistema di Buzzi e Carminati aveva affondato radici velenose proprio nel mondo del sociale. Da quando il marcio si è disfatto, però, sono stati in pochi ad aver trovato il coraggio di affrontare il difficile territorio di Ostia. E senza la presenza delle istituzioni, persino la Croce Rossa Italiana finisce per arrendersi al gelo, con tre tende di plastica in un parcheggio e nulla più.
(da “La Stampa”)
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