TERMINI IMERESE RABBIA E SOLITUDINE AI CANCELLI FIAT
PROTESTA DEGLI OPERAI DISPERATI DOPO LE PRIME LETTERE DI LICENZIAMENTO PER L’INDOTTO: “ALTRO CHE CONQUISTA DEGLI USA, MARCHIONNE CI CACCIA A CALCI IN CULO”
Sono operai disperati, traditi e soli.
Con loro davanti ai cancelli della fabbrica non c’è nessuno. Deputati regionali, senatori e parlamentari di Roma, quelli che a ogni elezione, puntualmente, bussano alle porte delle loro case per chiedere voti, quelli che nei salottini delle tv sicule, la bocca a culo di gallina e lo sguardo perso nel vuoto, discettano di Mediterraneo e sviluppo, non si vedono.
La Fiat chiude, arrivano le prime lettere di licenziamento, a Termini Imerese esplode la rabbia.
“Qui ci giochiamo tutto, migliaia di famiglie rischiano di perdere anche quei quattro soldi della cassa integrazione, la miseria bussa alle case della gente e non si vedono prospettive”.
Roberto Mastrosimone, operaio e segretario della Fiom ha convinto gli altri sindacati e i suoi compagni a fare un presidio davanti ai cancelli. La gente è stanca, sfiduciata, arrabbiata, impaurita.
“Dopo quattro anni di tavoli interministeriali non abbiamo un imprenditore che voglia investire a Termini, a giugno scade la cassa integrazione in deroga, ma se ad aprile non c’è una soluzione la Fiat può licenziarci tutti. E allora bisogna lottare, anche occupare la fabbrica se serve, e chi non ci sta non scassi la minchia e lo dica”, urla al microfono.
Una voce che si perde nel mare della crisi italiana
Nella testa degli operai, delle loro famiglie, di chi in Fiat era entrato da poco e oggi è giovane, e di quelli che sono invecchiati dentro la fabbrica, frullano gli interrogativi: quanto contiamo, chi è disposto a investire qui, in questo nucleo industriale in riva al mare?
Finora i quattro imprenditori proposti dalla short-list compilata da Invitalia, la società governativa per “attrarre investimenti”, si sono rivelati un’enorme bufala.
Due di loro sono finiti in manette, un terzo è fallito, Dr Motors di Massimo Di Risio, l’imprenditore molisano assemblatore di fuoristrada made in China, non si è più visto. L’unico dato certo sono le 170 lettere di licenziamento arrivate agli operai di due ditte dell’indotto, ma è solo il preludio di una tempesta che rischia di travolgere Termini e la Sicilia.
La chiusura della fabbrica si è già mangiata lo 0,46% del Pil siciliano, qualcosa come 825 milioni tra produzioni Fiat e indotto, con 3500 posti di lavoro a rischio.
Il resto dell’agglomerato industriale di Termini Imerese è un cimitero.
Ferma la produzione il capannone che trasformava agrumi (63 posti), il cantiere navale (18 licenziati, 98 in mobilità ), sbarrano la porta i supermercati (una ventina di lavoratori a casa), fallisce l’illusione della piccolo Hollywood della Trinacria, la fiction di Agrodolce, che aveva promesso miracoli e posti di lavoro è finita con 200 tecnici e 60 tra attori e comparse a spasso.
“Colpi durissimi per la città ”. Salvatore Burrafato, Totò, è il sindaco di Termini Imerese, è davanti alla fabbrica anche lui, unico politico lasciato solo di fronte alla disperazione.
Lo contestano. “È una diga che non riusciamo più a tenere — ci dice — non so più che risposte dare alla gente che viene da me per chiedere aiuto. Abbiamo tagliato tutto, le spese superflue del Comune (anche il suo stipendio, abbassato a 532 euro al mese, ¼ di quanto previsto dalla legge per una città di 27 mila abitanti, ndr), le consulenze, ma non basta, è poco. Quando centinaia di famiglie non avranno più alcun sostegno economico succederà di tutto”.
In città aumentano le sale scommesse, i “Compro oro” promettono buoni affari, i negozi chiudono.
È il Sud che esplode, “La Fiat ci ha traditi”, dice con amarezza il sindaco.
Ed è vero. Tutto qui per anni è stato organizzato in funzione della Grande Fabbrica, anche il destino delle generazioni future.
Questo hanno voluto le classi politiche degli anni Settanta e Ottanta del secolo passato, quelli che i posti di lavoro li vendevano in cambio di voti, con gli intellettuali, i mille paglietta da panchina, persi a discettare sulle grandezze di Imera e sulla malvagia Cartagine.
La realtà è l’operaio di 57 anni che ci parla con le lacrime agli occhi.
“Quando sono entrato qui avevo 23 anni, ho lavorato sempre in catena di montaggio, ho cresciuto i figli e ringrazio il signor Agnelli, ma oggi, dopo una vita, il signor Marchionne mi caccia a calci in culo. Sono troppo vecchio per lavorare e troppo giovane per una pensione di merda”.
“Io ne ho 40 di anni — ci racconta un altro — da dieci lavoro qui, voglio darmi da fare, volevo fare un corso specializzato per computer, ma devo andare a Trapani…”. Centinaia di chilometri per imparare un nuovo mestiere nella Regione dello scandalo della formazione professionale, dei corsi per barman ed estetista, delle mogli dei boss politici finite in manette perchè lucravano sui soldi pubblici.
Cinque ministri (Scajola, Berlusconi, Romani, Passera, Zanonato) hanno messo le mani sul cadavere della Fiat di Termini: soluzioni zero.
Ma la beffa più grande sono i finanziamenti. “Per far ripartire lo stabilimento — ci spiega Roberto Mastro-simone — sono pronti 450 milioni, 300 per l’accordo di programma per la reindustrializzazione, 150 per la riqualificazione infrastrutturale. Soldi che fanno gola, ma solo a gente che vuole speculare”.
Gli operai si sentono sconfitti. “Siamo soli, chi se ne fotte di quattro morti di fame come noi. Sono tutti ad applaudire Marchionne che conquista l’America. Eppure la vedi la fabbrica, è pulita, in ordine, spendono centinaia di migliaia di euro per la manutenzione degli impianti. Se domani ci fanno entrare al lavoro possiamo ricominciare”.
Enrico Fierro
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