TRA LA CITTÀ POLACCA DI PRZEMYSL E QUELLA UCRAINA DI LEOPOLI CI SONO POCHI CHILOMETRI: IN UN ANNO QUEL LEMBO DI TERRA È DIVENTATO IL PUNTO DI CONTATTO TRA IL CONFLITTO E LA LIBERTÀ
SUBITO DOPO L’INVASIONE, TUTTI SCAPPAVANO E C’ERA UN VIAVAI DI DISPERAZIONE. ORA LA SITUAZIONE È PIÙ TRANQUILLA, IN MOLTI TORNANO A CASA, E C’È CHI VA E VIENE
Varcare il confine tra la guerra e la pace è diventato un rito per alcuni ucraini. Vanno e vengono, dall’Ucraina alla Polonia, ognuno con le sue missioni, gli affari da portare a termine, i pensieri da trascinare al di qua e al di là della frontiera. Si aspetta al freddo, il treno arrivato alla stazione di Przemysl, la prima fermata su rotaia in Polonia, fa scendere i passeggeri che, passati i controlli, sembrano scivolare via dal binario, come se si fossero tolti di dosso un peso.
Chi va nella direzione opposta il peso sembra caricarselo in spalla a ogni passo verso il treno. Si attende a lungo, sia in un verso sia nell’altro, a placare il freddo ci pensano i volontari che portano tè caldo: sono polacchi che in questo anno di guerra hanno imparato qualche parola di ucraino. Przemysl è ormai bilingue.
Attorno alla stazione la segnaletica è in polacco e in ucraino, tutto ha due vite, due modi di dire, due facce: l’insegna per il supermercato della stazione è indicata in due versioni, sklep e mahazin .
Parlare l’una e l’altra lingua è spesso un gesto di cortesia venuto su in modo spontaneo e a volte le due si confondono formando una neolingua, un esperanto slavo. Questa è la quotidianità di una cittadina di sessantamila abitanti, che lo scorso anno nella sua stazione neobarocca ha accolto centinaia di ucraini che fuggivano, pochi erano invece coloro che si mettevano in fila e con pazienza aspettavano di tornare indietro.
“Ha ancora senso parlare di fuga, ma è una fuga ordinata. Chi arriva adesso spesso sa dove andare, ha un piano di viaggio, Przemysl è tornata a essere uno snodo, non più un centro della speranza. Sono aumentate invece le persone che fanno il viaggio al contrario, dalla Polonia all’Ucraina”, spiega al Foglio una volontaria. Il senso di urgenza è scomparso, ma non quello di necessità.
In fila per prendere il treno, in un attimo ci si accorge che questo popolo che varca la frontiera tanto spesso è costituito soprattutto da donne, un fiume di frontaliere, tra la guerra e la pace. Tre signore dicono di aver trascorso più tempo della loro vita in Polonia che in Ucraina, e che il servizio alla frontiera è migliorato dal 24 febbraio, data di inizio dell’invasione.
Ci si sposta più rapidamente e una signora più ottimista delle altre dice che andrà sempre meglio perché più ci si stringe all’Europa, più tutto questo diventerà una formalità. Viaggiano leggere, […] stanno in fila come se fosse una manovra che sono abituate a compiere almeno una volta al mese e dispensano consigli su come fare la valigia rapidamente, su come hanno insegnato alle figlie rimaste in Ucraina a fare scorte, perché loro l’arte l’hanno appresa durante l’Unione sovietica, erano più preparate e certe cose non si dimenticano.
Nessuno parla di normalità, ma quello che lo scorso anno era il confine della fuga, oggi è un punto di contatto, è una catena di rapporti e scambi che arriva dritta fino a Leopoli e poi prosegue per tutta l’Ucraina.
(da Il Foglio)
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