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PERCHE’ L’ITALIA NON ALZA LA TESTA

Febbraio 23rd, 2011 Riccardo Fucile

PERCHE’ NON CI RIBELLIAMO? PERCHE’ IN FONDO IN QUESTO PAESE IL PIU’ PULITO HA LA ROGNA E VALE IL PRINCIPIO DI “COSI’ FAN TUTTI”…EPPOI MANCA LA VITALITA’, SIAMO UN PAESE DI VECCHI DENTRO E FUORI…SOLO UNA CRISI ECONOMICA GRAVE POTREBBE SPINGERE GLI ITALIANI A RIBELLARSI

Perchè non ci ribelliamo?
In Italia la disoccupazione giovanile è al 29%, la più alta d’Europa.
Tutti noi genitori abbiamo il problema dei figli, quasi sempre laureati, che non trovano lavoro o che devono accettare ingaggi precari molto al di sotto del loro titolo di studio, senza nessuna prospettiva per il futuro (questo è stato uno degli elementi scatenanti della rivolta tunisina innescata da un ingegnere costretto a fare il venditore ambulante e, impeditagli anche la bancarella, si è dato fuoco).
Tutti gli scandali più recenti, dal “caso Mastella” in poi, ci dicono che la classe dirigente italiana, intesa come mixage di politici, amministratori pubblici, imprenditori, finanzieri, speculatori, esponenti dello star system, piazzano i propri figli, nipoti, generi, amici degli amici, in posti di lavoro ben remunerati e sicuri.
Del resto nemmeno un chirurgo, nel nostro Paese, può fare il chirurgo se non ha gli agganci giusti con questa o quella banda di potere.
Perchè il sistema clientelare di Mastella non è il “sistema Mastella” è il sistema dell’intera classe dirigente italiana. Se non altro Mastella ha lo spudorato coraggio e la spudorata onestà  di non farne mistero.
I ceti popolari sono stati espulsi da Milano e mandati nell’hinterland, in “non luoghi” direbbe Biondillo, che hanno il nome di paesi ma non sono paesi, perchè non hanno una piazza, una chiesa, un cinema, un luogo di aggregazione.
Le deportazione dei ceti popolari ha distrutto Milano, città  interclassista dove nei quartieri del centro, Brera, Garibaldi, Pirelli abitava accanto al suo operaio, il primo, naturalmente, in un palazzo di Caccia Dominioni, il secondo in una casa di ringhiera.
Questa interfecondazione dava alla città  una straordinaria vivacità  che è andata inesorabilmente perduta.
Oggi una giovane coppia non può trovar casa a Milano, nè in affitto nè tantomeno in proprietà  nemmeno con mutui che impegnino tre o quattro generazioni.
Quando ci si lamenta che certe zone periferiche, come via Padova, sono state occupate più o meno illegalmente dagli immigrati, si sbaglia perchè se non altro hanno restituito un po’ di vita, e in particolare una vita notturna a una città  che non ne ha più se non in quei quattro o cinque bordelli di lusso, a tutti noti, che ogni tanto vengono chiusi per eccesso di escort e di droga.
In questi posti senti uomini fra i quaranta e i sessanta fare discorsi di questo tipo: “Domani parto per New York, poi faccio un salto a Boston e ritorno in Italia via Thailandia dove mi fermerò una decina di giorni”.
Se per caso ti capita di parlargli e gli chiedi: “Scusi, lei che lavoro fa?”, le risposte son vaghe.
In genere si dicono finanzieri, intermediari, immobiliaristi.
Quando agli inizi degli anni ’70 era già  cominciata la deportazione dei milanesi verso l’hinterland, lo Iacp, Istituto Autonomo Case Popolari, non dava i suoi appartamenti alla povera gente, ma a politici, amministratori locali, giornalisti, in genere socialisti perchè, prima del ribaltone della Lega, Milano, è stata governata da sindaci del Psi (Aniasi, Tognoli, Pilliteri, gli ultimi).
È ovvio che il centro di Milano, depauperato dei suoi ceti popolari, sia abitato oggi solo dai ricchi.
Noi milanesi le case di piazza del Carmine, di via Moscova, di via della Spiga, di via Statuto possiamo solo sfiorarle e occhieggiarne i lussuosi androni. Meno ovvio è che il Pio Albergo Trivulzio, la Baggina come la chiamiamo noi, che ha accumulato un ingente patrimonio immobiliare, grazie a dei benefattori che intendevano, con ciò, non solo alleviare la condizione dei vecchi soli e invalidi ma anche che i loro quattrini avessero un utilizzo sociale, svenda questo patrimonio, con affitti o vendite “low cost” come si dice elegantemente oggi, a politici, amministratori, manager, immobiliaristi, speculatori, modelle, giornalisti, che di questo “aiutino” non avrebbero alcun bisogno, sottraendo risorse a chi il bisogno ce l’ha.
Io bazzico bar frequentati da impiegati, da piccoli manager, da lavoratori del terziario e un’antica piscina meneghina, la Canottieri Milano, dove si sono rifugiati, come in uno zoo per animali in estinzione, i cittadini di una Milano che fu, gente anziana.
Tutti schiumano rabbia impotente di fronte a queste storie dei figli delle oligarchie del potere che hanno il posto assicurato o delle case del centro occupate “low cost” da queste stesse oligarchie o dai loro pargoli (nello scandalo del Pio Albergo Trivulzio c’è un nipote di Pilliteri, una figlia di Ligresti).
Queste cose li colpiscono più dei truffoni di Berlusconi perchè toccano direttamente la loro carne.
Schiumano rabbia ma non si ribellano. Perchè?
Le ragioni, secondo me, sono sostanzialmente due.
In questo Paese il più pulito ha la rogna.
Quasi tutti hanno delle magagne nascoste, magari veniali, ma ce l’hanno. Non che sia gente in partenza disonesta.
Ma, com’è noto, la mela marcia scaccia quella buona.
Se “così fan tutti”, tanto vale che lo faccia anch’io.
Così ragiona il cittadino.
Per resistere a quel “tanto vale” ci vuole una corazza morale da santo o da martire o da masochista.
La seconda ragione sta in una mancanza di vitalità .
Basterebbe una spallata di due giorni, come quella tunisina, una rivolta popolare disarmata ma violenta disposta a lasciare sul campo qualche morto per abbattere queste oligarchie, queste aristocrazie mascherate che, come i nobili di un tempo, si passano potere e privilegi di padre in figlio, senza nemmeno avere gli obblighi delle aristocrazie storiche.
Ma in Tunisia l’età  media è di 32 anni, da noi di 43.
Siamo vecchi, siamo rassegnati, siamo disposti a farci tosare come pecore e comandare come asini al basto.
Solo una crisi economica cupissima potrebbe spingere la popolazione a ribellarsi.
Perchè quando arriva la fame cessa il tempo delle chiacchiere e la parola passa alla violenza.
La sacrosanta violenza popolare.
Come abbiamo visto in Tunisia e in Egitto, come vediamo in Libia o in Bahrein (in culo al colossale Barnum del Circuito di Formula Uno, che è, in sè, uno schiaffo alla povera gente di quel mondo).

Massimo Fini
(da “Il Fatto Quotidiano“)

argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, emergenza, governo, la casta, Politica, radici e valori | Commenta »

ECCO IL FRONTE DI MARONI E DEI MARONITI: OBIETTIVO PRESIDENZA DEL CONSIGLIO

Febbraio 23rd, 2011 Riccardo Fucile

DAL PD AL TERZO POLO C’E’ CHI GUARDA A UN ESECUTIVO GUIDATO DAL MINISTRO DEGLI INTERNI…MARONI SI STA SMARCANDO, LA LEGA RISCHIA DI SPEZZARSI IN DUE FAZIONI

Nell’unanimismo armato del centrodestra, si sta aprendo un’altra crepa. Non larga. Ma nemmeno piccola.
È il fronte “maronita” della Lega, dal nome del ministro dell’Interno.
Da settimane, infatti, Roberto Maroni con l’alibi solido del profilo istituzionale sta giocando a smarcarsi dai falchi della coalizione.
Il titolare del Viminale ha volutamente disseminato una serie di indizi plateali. Per esempio, la sua assenza al momento del no del Carroccio nel consiglio dei Ministri al decreto per il 17 marzo festa nazionale dell’Unità  (e molto apprezzata dal Quirinale).
Ancora: l’apertura umanitaria in materia di immigrazione dopo le rivoluzioni nell’Africa mediterranea al grido consapevole che “i respingimenti da soli non bastano più”.
E proprio la politica estera è stata al centro del recente colloquio tra Maroni e Massimo D’Alema.
Ufficialmente, un incontro tra il ministro dell’Interno e il presidente del Copasir per affrontare l’emergenza del nuovo esodo.
Ma chi ha parlato con Maroni ammette che “il Ministro ha bisogno di una sponda dell’opposizione per imporre la sua linea e D’Alema è l’interlocutore ideale, anche per la sua passata esperienza di ministro degli Esteri”…
Un lavorio bipartisan incessante, quello del cofondatore della Lega, che conobbe Bossi all’alba degli anni ottanta.
E che fa perno sul sottotesto alla famigerata intervista di Bersani alla Padania, in cui il segretario democrat ha offerto un aiuto sul federalismo a patto di mandare a casa il Cavaliere.
Un sottotesto che per l’opposizione, dal Pd a Fli, contempla una nuova ipotesi per un’eventuale transizione post-berlusconiana: un esecutivo guidato da Maroni.
Ed è per questo che, interpellati in merito, alcuni esponenti del Pd riferiscono: “Sono quattro, cinque giorni che non attacchiamo Maroni”.
Il fronte maronita, dunque, è la nuova carta per tentare di sparigliare il centrodestra.
In ogni   caso, il momento non è favorevole, considerato il continuo allargamento della maggioranza con la perenne campagna acquisti tra i parlamentari.
Ma la fase contingente per i piani del ministro dell’Interno è relativa.
Il suo orizzonte è a media o lunga gittata e riguarda il dopo-Berlusconi ma anche il dopo-Bossi, che del Cavaliere è più giovane di un lustro.
Da via Bellerio a Milano, sede nazionale della Lega, raccontano che “il rapporto tra Bossi e Maroni è inscalfibile, accada quello che accada” ma “comunque qualcosa è cambiato tra i due”.
Soprattutto quando qualche settimana fa Maroni inviò il suo ultimatum sul federalismo dalle colonne del Corriere della Sera: “Se non passa, andiamo alle elezioni: si vota il 15 maggio”.
Chi ha assistito alla scena dice che “l’Umberto era fuori di sè per l’intervista”. Un ultimatum non in linea con la linea di subalternità  decisa da Bossi, tesa a far ingoiare ogni rospo alla base e agli elettori in nome del vincolo di coalizione.
Continua chi raccoglie i pensieri del ministro dell’Interno: “La verità  è che Silvio decide e Bossi esegue. Maroni vuole ribaltare, se possibile, questo rapporto per salvaguardare la Lega al di là  di Berlusconi”.
Compito ambizioso, che potrebbe animare la scena del palazzo nelle prossime settimane.
Anche se la vera guerra a “Bobo” viene mossa dall’interno del suo partito.
Se fino al dicembre scorso era prevalente l’asse Calderoli-Brancher-Tremonti per spianare la strada al titolare dell’Economia in caso di spallata, adesso si registra la convergenza tattica tra i calderoliani e il cerchio magico del Senatur (Rosi Mauro, Reguzzoni, Bricolo, Belsito) per evitare il voto e arginare Maroni.
Questa sarebbe anche la chiave di lettura dello stop al collegamento di Radio Padania con la trasmissione dell’Annunziata.
Senza contare che Salvini da sempre viene considerato vicino a Maroni e contende al “Trota” Renzo Bossi il posto di vicesindaco nel ticket con la Moratti alle prossime amministrative di Milano…
Maroni però in questa battaglia di riposizionamento non è solo.
Con lui sono schierati il potente Giorgetti, presidente della commissione Bilancio alla Camera e sherpa dell’invasione leghista ai vertici enti pubblici e società  partecipate, nonchè cani sciolti del calibro di Tosi, sindaco di Verona, e Cota, governatore piemontese.

Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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