Febbraio 14th, 2011 Riccardo Fucile
SOLO UN ITALIANO SU QUATTRO PENSA CHE ABBIA MANTENUTO LE PROMESSE…PDL AL 27%, PD AL 24%: IN DUE ANNI HANNO PERSO COMPLESSIVAMENTE IL 20% DI VOTI… IL CENTROSINISTRA BATTEREBBE LA COALIZIONE PDL-LEGA, TERZO POLO AL 20,1%
Silvio Berlusconi resiste.
Nonostante le inchieste, gli scandali e le proteste. Anzi, reagisce con violenza. Contro i nemici. La Magistratura, i giornali e i giornalisti della Repubblica Giudiziaria.
Perfino – anche se in modo meno esplicito – contro il Presidente della Repubblica.
Ma la sua posizione e la sua immagine ne hanno risentito sensibilmente.
Come mostra il sondaggio condotto nei giorni scorsi dall’Atlante Politico di Demos .
Oggi, infatti, la fiducia dei cittadini nei confronti di Silvio Berlusconi ha toccato il fondo.
La quota di italiani che ne valuta positivamente l’operato (con un voto almeno sufficiente) è ridotta al 30%.
Meno che nel settembre 2005, quando il Cavaliere sembrava avviato a una sconfitta pesante alle elezioni politiche dell’anno seguente.
Il che suggerisce di usare cautela, prima di darlo per finito, visto come sono andate le cose in seguito.
Tuttavia, gli avvenimenti recenti fanno sentire i loro effetti.
Quasi metà degli italiani ritiene vere le accuse rivolte dagli inquirenti a Berlusconi.
E pensa che il Premier si dovrebbe dimettere.
Meno del 20% considera, invece, falsi i fatti che gli sono addebitati.
Anche se oltre metà degli italiani ritiene che, per quanto colpevole, il Premier resterà “impunito”. Come sempre.
Anche per questo la fiducia in Berlusconi, oltre che limitata, appare in declino costante e precipitoso.
È, infatti, calata di 5 punti percentuali negli ultimi due mesi, ma di 12 rispetto allo scorso giugno e addirittura di 18 rispetto a un anno fa.
I motivi di insoddisfazione degli elettori, d’altronde, vanno al di là delle feste e dei festini a casa del Premier.
Solo un italiano su quattro, infatti, pensa che il governo Berlusconi abbia “mantenuto le promesse”.
Quasi metà rispetto a due anni fa.
Neppure gli elettori leghisti sembrano disposti ad ammetterlo.
Da ciò la crescente in-credibilità di Berlusconi.
Sempre più indebolito sul piano del consenso personale.
Mentre tutti gli altri leader politici hanno migliorato la propria immagine presso gli elettori, negli ultimi due mesi.
Nella maggioranza (e non solo), Tremonti resta il più apprezzato.
Nel Terzo Polo, non solo Casini – di gran lunga il più stimato – ma anche Fini ha recuperato (un po’ di) credibilità , dopo la battuta d’arresto subìta il 14 dicembre.
Nel Centro-Sinistra, infine, Vendola si conferma il “più amato”, per quanto anche Bersani abbia allargato la propria base di consensi.
È significativo il seguito di una outsider come Emma Bonino.
Nonostante il peso elettorale, limitato, del suo partito. A conferma del disorientamento di quest’epoca, senza riferimenti fissi.
Senza baricentri.
Come emerge, con chiarezza, dalle intenzioni di voto.
Contrassegnate, anzitutto e soprattutto, dal calo sensibile dei due partiti principali. Il PDL, infatti, scende al 27%, il PD al 24%.
Insieme: poco più del 50%.
Alle elezioni politiche del 2008 superavano il 70%.
Segno definitivo che l’illusione bipartitica è finita.
Compromessa – se non finita – insieme alla capacità di Berlusconi di unire e dividere il mondo (politico) italiano.
Con la conseguente frammentazione, che, più degli altri, premia la Lega, a destra, e SEL, a sinistra.
I dati del sondaggio parlano del Pdl al 27,2%, Lega all’11,8%, Fli al 5,5%, Udc al 7,1%, Pd al 24,3%, Idv al 5,9%, Seal all’8,2% .
È interessante osservare come il quadro cambi sensibilmente di fronte a scenari di coalizioni possibili.
In primo luogo, si assiste a una riduzione consistente degli indecisi.
I quali, praticamente, si dimezzano con effetti evidenti sugli equilibri politici.
Secondo le stime dell’Atlante Politico, infatti, l’attuale coalizione di governo, allargata alla Destra di Storace, perderebbe nettamente il confronto (57% a 43%) con una – ipotetica – “Grande Alleanza” di opposizione, che dal Terzo Polo arrivasse fino a SEL, passando per il PD e l’IdV.
Ma appare sfavorita anche in una competizione tripolare.
Il Centrosinistra (PD e IdV insieme a SEL) vincerebbe, infatti, in misura più larga rispetto a due mesi fa (6 punti percentuali in più).
Aiutato, per un verso, dal voto di elettori incerti di centrosinistra; per altro verso, dalla crescita del Terzo Polo a spese del Centrodestra.
Finirebbe con la sinistra al 41,4%%, Pdl-Lega al 39,7%, Terzo Polo al 20,1%.
Si spiega così la resistenza del Premier di fronte a ogni ipotesi di voto anticipato.
Assecondato, con malcelato disagio, dalla Lega.
Si spiegano, allo stesso modo, le telefonate del Premier durante le trasmissioni “nemiche”, la crescente pressione esercitata sui media.
Ma anche la guerriglia condotta dagli uomini della maggioranza contro ogni sondaggio sfavorevole.
Il Premier, il PdL, il centrodestra sono impegnati a modificare il clima d’opinione loro sfavorevole. Con ogni mezzo. E ad allontanare le elezioni anticipate.
Visto che oggi il Centrodestra ha la maggioranza – ipotetica e incerta – in Parlamento, ma è minoranza nel Paese, fra gli elettori.
Oggi, un’alleanza tra le forze di opposizione avrebbe grandi possibilità di rappresentare la “maggioranza” – dei cittadini ma anche degli elettori.
È ciò che teme Berlusconi.
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Febbraio 14th, 2011 Riccardo Fucile
CIRCONDATI DI GIOVANI, DI MILITANTI CHE AMANO L’ITALIA E NON LA POLTRONA: A CERTI SOGGETTI HAI CONCESSO FIN TROPPO… LA BASE DI FUTURO E LIBERTA’ STA CON LE TESI DI GRANATA E BOCCHINO E CONTRO LA FINTA DESTRA AFFARISTICO-RAZZISTA BERLUSCONIANA, ALTRO CHE COLOMBE CHE RAPPRESENTANO SOLO SE STESSE (E NON SI FANNO CONTARE)
Dall’assemblea Costituente di “Futuro e Libertà ” sono emerse luci ed ombre. Di positivo il radicamento di Fli sul territorio, la volontà di dibattere di politica della sua media classe dirigente, la crescita di una generazione di giovani estranei alla logica partitocratica, la volontà di Fini di liberarsi di lacci e lacciuoli correntizi, “vere metastasi” che quel mondo umano sembra destinato a portarsi dietro (come tutti i partiti).
Di sobrio, ma non certo innovativo o dirompente, va segnalato il discorso conclusivo di Fini incentrato su una efficace analisi della società contemporanea, su una abile anche se tardiva provocazione uso media ( la sfida a Berlusconi a dimettersi insieme) e sulla collocazione “a destra” di Futuro e Libertà .
Capitolo a parte il richiamo alla fine del correntismo interno che merita da solo la sufficienza.
Partiamo dalla collocazione di Futuro e Libertà : per tre giorni qualcuno si è sentito in dovere di ribadire che “Fli sta a destra e non tratterà mai con la sinistra”.
Così facendo si è andati dietro a quei quattri cialtroni di pidiellini che lo usano come argomento diffamatorio da mesi (tipo il “kompagno Fini”), veicolandolo attraverso i loro quotidiani di regime e la manovalanza delle macchiette nostalgiche alla Storace (ovvero dei servi dei servi).
Ma, caso strano, argomento utilizzato anche da qualche esponente di Futuro e Libertà per una lotta interna a chi rivendicava autonomia comportamentale.
Qualcuno che “teme” che Fli possa spostarsi troppo a sinistra, tanto per capirci.
Una questione che poteve essere liquidata con i seguenti argomenti in pochi minuti:
1) Se cercate comunisti, socialisti e piduisti, cari peracottari pidiellini, cercateli a casa vostra e non rompete i coglioni: chiedete per referenze a Bondi, Cicchitto, Tremonti, Berlusconi, Brunetta, ecc.
2) Chi non è di destra è il Pdl, rappresentando una deriva affaristico-razzista che ha tradito persino il proprio programma, oltre che essersi venduto la destra italiana alla Lega solo per salvare il culo del premier dai bunga bunga dei suoi processi.
3) Chi non è coerente è chi parla di meritocrazia, come la Gelmini, ma ha sostenuto gli esami di Stato a Reggio Calabria perchè a Brescia erano più difficili, chi ha cambiato cinque partiti in due anni come i “responsabili”, alias il partito dei venduti, chi come Lupi e Formigoni hanno respirato l’incenso delle sagrestie per finire a difendere dei corrotti e dei puttanieri, tanto per limitarci a qualche esempio.
4) Essere di destra non vuol dire affogare i clandestini, sputare sul tricolore, mettere in discussione l’unità nazionale, favorire le regione più ricche e discriminare gli italiani.
Questo vuol dire solo rappresentare la feccia e gli egoismi del nostro Paese.
Non abbiamo sentito dire una parola da coloro che hanno posto la pregiudiziale “mai a sinistra”: non li abbiamo mai sentiti affermare con altrettanta chiarezza “mai con la Lega”.
Eppure questa affermazione “di destra vera” dovrebbe costituire la discriminante culturale e ideologica di un sano partito di destra.
Al massimo qualche buffetto alle “intemperenza leghiste”, qualche accenno al “federalismo malfatto”, nessuna presa di posizione netta del tipo: “dove c’è la Lega, noi saremo dall’altra parte”.
A questi “finti destri” che si qualificano ancora di “scuola almirantiana” vorremmo solo ricordare le battaglie che la destra di un tempo fece per tutelare l’unità nazionale: a questi cialtroni, se fosse vivo, Almirante manderebbe una diffida legale dal’usare il suo nome.
No, l’importante è non “andare a sinistra”, è non fare “alleanze temporanee” per far crollare la finta destra berlusconiana, guai.
Meglio tenersi i gran sultani di Puttanopoli, i ministri-cavallo che scalciano i giornalisti, le donne ex verticali finite prone, i coordinatori inquisiti, i sottosegretari sospettati di essere mafiosi, i ministri corrotti.
Ma andiamo all’appello di Fini che annuncia: “basta coi colonnelli, non voglio ripetere l’esprienza di An, le correnti sono la metastasi dei partiti, stavolta i collaboratori li scelgo io”.
Ecco la prima fila degli Urso, dei Ronchi, dei Viespoli scattare in piedi nell’applauso uso telecamere, salvo poi litigare per due poltroncine.
Senatori che minacciano di uscire dal partito, discussioni che vanno avanti per ore, organigrammi che cambiano in continuazione:
Che putridume è mai questo?
Sono mesi che alcuni senatori annacquano ogni decisione di Fini.
Ora si permettono di porre un veto su Bocchino, l’unico che televisivamente buca il video?
Se ci dovessero essere elezioni anticipate chi meglio rappresenterebbe Futuro e Libertà ?
La passione e la battaglia per la legalità di Fabio Granata o la soporifera dialettica di Urso che riesce a farsi mettere sotto persino da quella stampella d’armadio della Biancofiore?
La battuta pronta e l’analisi di Bocchino o il ritmo da “tazzariella ‘è cafè” di Viespoli?
In ogni caso il vice di Fini deve rappresentare il partito e la sua base militante: allora perchè non è stato fatto votare dall’assemblea?
Chi si è opposto a questo atto democratico?
Non a caso le colombe che avrebbero al massimo preso il 20% dei voti (e siamo larghi).
Ci voleva la pazienza di Fini ad offrire loro 4 posti sui 6 che contano per sentirsi poi anche ricattare “se scegli Bocchino, noi usciamo dal partito”.
Se fossimo in Fini gli avremmo già indicato la porta, accompagnandoli a calci nel culo.
Basta con le mediazioni quotidiane, si affidi il partito a gente onesta, disinteressata e capace, si aprano sedi, si faccia politica sul territorio, si dia spazio ai giovani e alle donne.
Fli non decollerà mai finchè sarà rappresentato da arrivisti, ricattatori e “prudenti”.
Se si apre una fase nuova ci vuole una mentalità nuova: chi ci sta bene, altrimenti fuori dai coglioni.
E’ cosi che aumentano i voti, non rincorrendo quattro bertucce.
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Febbraio 14th, 2011 Riccardo Fucile
URSO E VIESPOLI GUIDANO LA PROTESTA, FINI SBOTTA: “LASCIATEMI SOLO”… OGGI RIUNIONE DEI SENATORI DISSIDENTI, LA SOLITA FAIDA DI CHI PENSA DI VIVERE DI RICATTI E DI POLTRONE, SALVO NON FARSI CONTARE….FINI: “QUA CI STIAMO GIOCANDO IL FUTURO DELLA DESTRA IN ITALIA E QUESTI STANNO A LITIGARE PER DUE POLTRONCINE”
Doveva essere il giorno della sua rinascita.
Nuovo partito, nuova sigla, nuova avventura.
In poche ore, Gianfranco Fini si ritrova invece risucchiato nel suo passato: nella faida dei colonnelli.
Volti e nuovi nomi, ma la dannazione è la stessa.
Stavolta col rischio di far saltare tutto per aria proprio all’atto di nascita di Futuro e Libertà . Il presidente (autosospeso) impone Italo Bocchino suo vice e reggente plenipotenziario.
Sfida le resistenze della”colombe”Viespoli, Urso, Ronchi e di alcuni senatori. Di più.
Sceglie a sorpesa il laico, ex radicale, Benedetto Della Vedova capogruppo a Montecitorio al posto di Bocchino, «per segnare l’apertura a esperienze diverse dalle nostre origini».
Ma sarà la goccia che scatenerà la “rivolta”.
Tre giorni di congresso non bastano a comporre i dissidi interni. Inconcludente perfino il lungo “caminetto” di sabato notte al Principe di Savoia.
I dissidenti non accettano «l’opa di Bocchino sul partito», nemmeno a ridosso dell’intervento di chiusura, quando Fini ha l’urgenza di annunciare dal palco il nuovo organigramma.
Il vero congresso, così, si apre alle 15 in Fiera, quando gli operai stanno già smontando la scenografia e i delegati sono partiti.
Ennesimo vertice tra i big.
Dal palco Fini era stato risoluto: «È di tutta evidenza che non potrò esercitare il ruolo di presidente, mi autosospenderò – spiega il leader alla platea – ma proprio perchè dobbiamo organizzare il partito non si devono ripetere gli errori del passato: ci vuole una governance definita».
Non si torna a correnti e colonnelli.
«Questa volta dirò di meno ma farò di più, non è pensabile un bilancino o la paralisi» è l’avvertimento.
L’idea di un coordinamento collegiale non gli piace affatto.
«Serve un ufficio di presidenza, un vicepresidente che avrà il compito di coordinare, poi un portavoce e una segreteria in cui non ci sarà un solo parlamentare» scandisce dalla tribuna.
Nel frattempo, Briguglio, Granata, Menia, Moroni e Buonfiglio hanno raccolto una quindicina di firme di altrettanti deputati per un documento di sostegno a Bocchino. Niente da fare.
E la frattura permarrà anche nel vertice post congresso.
Urso lascia la sala riunioni del retropalco indispettito.
Alle 17 Fini ha un volo privato che lo attende da Linate e sbotta: «Andatevene via tutti, lasciatemi da solo con Bocchino e Menia».
La tensione è alle stelle.
Trapela la notizia che Urso è il nuovo capogruppo, gli animi si rasserenano. Sarà un bluff.
Solo nel tardo pomeriggio, i diretti interessati apprenderanno il nuovo organigramma dal comunicato ufficiale, appena rientrati a Roma.
E scatta la rivolta dei dissidenti.
Viespoli e Urso fanno sapere di essere «sconcertati» dal tandem Bocchino-Della Vedova. E passano al contrattacco.
Il capogruppo al Senato convoca i colleghi di Palazzo Madama per oggi e preannuncia le dimissioni da presidente.
Lui, Saia, Menardi, Valditara, Pontone sono a rischio addio.
Anche Baldassarri è in rotta.
Urso indice per oggi pomeriggio una conferenza stampa. «Ho abbandonato il governo, non ho paura di rinunciare adesso auna poltroncina» dice ai suoi: non sarà portavoce.
In fibrillazione anche i coordinatori regionali di Campania, Sicilia, Piemonte, Veneto. Un terremoto.
Berlusconi gongola: «Si azzannano già per le poltrone, Fli implode».
Proprio quello che Fini avrebbe voluto scongiurare: «Vanno via? Sarebbe da irresponsabili – è il rammarico serali coi fedelissimi–Qui ci stiamo giocando tutto, siamo usciti dal governo e ora litigano per due incarichi».
Aveva detto che le correnti sono metastasi, lo ripete e non intende tornare indietro
Lopapa Carmelo
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 14th, 2011 Riccardo Fucile
IL GOVERNO ITALIANO ACCUSA L’EUROPA DI NON COLLABORARE PER L’EMERGENZA PROFUGHI, MA LA UE RISPONDE: “NOI DISPONIBILI, MA MARONI NON CI HA DETTO COSA VUOLE”…LA TUNISIA DEFINISCE GIUSTAMENTE INACCETTABILE UN CONTINGENTE ITALIANO DI RESPINGIMENTO…MA PER 4.000 PROFUGHI E’ NECESSARIO ANDARE IN CRISI ISTERICA, QUANDO SIAMO ARRIVATI IN PASSATO A OSPITARNE 30.000?
Maroni attacca, la Ue risponde.
E intanto scoppia lo scontro anche con Tunisi.
La nuova polemica tra il governo italiano e Bruxelles arriva sullo sfondo della crisi degli sbarchi a Lampedusa.
Così il ministro dell’Interno Roberto Maroni lancia il suo j’accuse: “Siamo soli, l’Europa non sta facendo nulla”, dice intervistato dal compiacente TG5.
E annuncia che chiederà alla Tunisia di ospitare sul suo territorio la polizia italiana per fermare il flusso dei disperati.
Intanto, l’esercito tunisino presidia da oggi il porto di Zarzis (nel sud della Tunisia) e impedisce alla gente di accedere di notte, sia a piedi sia in macchina
La prima ad arrivare, in ordine di tempo, è la risposta dell’Unione Europea. “Cecilia Malmstrom, commissaria agli affari interni, ha avuto ieri un colloquio telefonico con Maroni” assicura la portavoce della stessa Malmstrom, “nella quale si è detta pienamente cosciente della situazione eccezionale che si sta vivendo in Italia”.
Ma la Commissione può agire solo dietro mandato degli Stati dell’Unione e non autonomamente (nonostante da un anno chieda ai governi di vedersi attribuito qiesto potere).
Nel concreto la Ue può aiutare l’Italia attivando Frontex, l’Agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne, una missione di pattugliamento pagata con soldi comunitari.
Bruxelles può dare una mano al nostro Paese inviando pattuglie per aiutare nella gestione della situazione a terra e pagando parte delle spese per le procedure d’asilo.
Quindi è inutile che Maroni accusi l’Europa di non fare nulla, sono due anni che suona il medesimo disco rotto per giustificare l’emergenza.
Salvo poi tentare di nasconderla, quando diventa evidente a tutti, tenendo chiuso il Centro di accoglienza di Lampedusa.
Ci sono voluti tre giorni e pressioni internazionali per fare un’operazione di buon senso:aprire il Centro che era perfettamente funzionante e dotato di personale, invece che costringere i profughi a dormire sul molo.
Tutto per una ignobile spepulazione politica: non si doveva far vedere che il Centro di Lampedusa era stracolmo, dopo essersi venduto in padagna la palla che il problema era risolto.
Quanto alla richiesta di pattugliare le coste tunisine con i nostri mezzi navali, secca e dura è giunta la risposta del paese africano.
Il portavoce del governo giudica “inaccettabile” l’ipotesi di dispiegare contingenti italiani.
Una proposta definita “prevedibile” dal portavoce, che l’ha attribuita al ministro italiano di “estrema destra razzista”.
Finalmente un esponente politico che ha chiamato per nome l’esponente leghista.
Uno dei problemi con la Tunisia è che, con le dimissioni oggi del ministro degli Esteri Ahmed Abderraouf Ounaies, le nuove relazioni internazionali che il paese post-Ben Ali si apprestava a tessere, proprio alla vigilia di un’intensa giornata di contatti, resteranno monche per l’assenza proprio di un responsabile dei rapporti con le altre nazioni.
In realtà Maroni strilla per fini elettorali.
I Centri di accoglienza, nei periodi di maggiori flussi migratori, erano arrivati ad ospitare anche 30.000 profughi l’anno, inutile fare tutto questo casino per 4.000.
Bastava prevedere ed organizzarsi: invece, dopo giorni, non si è neanche vista l’ombra della Protezione civile, altro che balle mediatiche.
La soluzione sta in un piano europeo che permetta di smistare i profughi anche in altri Paesi europei, dividendosi gli oneri. ma per fare una cosa del genere il governo italiano dovrebbe avere quella credibilità internazionale che purtroppo non ha.
Inutile girarci intorno.
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Febbraio 14th, 2011 Riccardo Fucile
LA SVOLTA: FINITO L’INTERVENTO, FINI BLOCCA IL TENTATIVO DEI COLONNELLI DI SALIRE SUL PALCO PER LA FOTO DI GRUPPO, SI DIRIGE VERSO I GIOVANI DI FUTURO E LIBERTA’ E CANTA CON LORO L’INNO NAZIONALE….IL SEGNALE E’ CHIARO, MAI PIU’ BEGHE PER LE POLTRONE: “NON VOGLIO CHI STA IN POLITICA PER UN POSTO IN PARLAMENTO”
L’hanno visto molto bene anche quelli che erano seduti nell’ultima fila. Gianfranco Fini ha appena chiuso il suo intervento, allontana i due microfoni e il maxischermo manda l’immagine di Andrea Ronchi, l’ex ministro, che è il più lesto a farsi avanti.
Come a Mirabello, come a Bastia Umbra, come sempre, ormai è un rito.
I parlamentari che salgono sul palco, si stringono al leader, qualcuno sgomita per mettersi proprio accanto, in posa per le foto mentre intonano Fratelli d’Italia.
E invece questa volta no.
Ronchi si ferma, l’inquadratura coglie un certo imbarazzo.
Fini per la prima volta non li ha aspettati.
Ha voltato le spalle ai colonnelli e se n’è andato in fondo al palco.
A cantare con i ragazzi del suo Fli.
Di più.
Finito l’Inno di Mameli saluta solo il vecchio Mirko Tremaglia e se ne va.
Nei congressi di partito ci sono riti che durano più delle sigle, dei nomi che cambiano.
Al padiglione 18 della Fiera di Rho Gianfranco Fini ha cancellato anche questo.
E non è dietrologia immaginare che questa novità abbia un certo collegamento con quel che è avvenuto, o non avvenuto, al congresso.
Ad esempio il mancato accordo, tra i parlamentari, sul nome del coordinatore. Fini non può fare a meno dei suoi deputati e senatori, ovvio. Ma in questo primo congresso di Futuro e Libertà ai colonnelli preferisce i soldati semplici, la truppa.
L’hanno eletto presidente all’unanimità , manco un astenuto.
Per i convenuti al Padiglione 18 Fini è l’unico leader.
Ma a sentire gli umori della platea in questo Fli appena nato c’è qualcosa che ancora non funziona.
Alle 10 del mattino, aspettando il mezzogiorno di Fini, in una saletta dietro il palco un gruppo di delegati si è sfogato con Luca Bellotti, deputato di Rovigo. Avevano saputo che sul coordinatore non c’era l’accordo.
E dunque: «Caro Bellotti, guardate che voi parlamentari vi siete persi qualche puntata. Noi che siamo sul territorio siamo molto più avanti di voi. Non si è mai visto un congresso che non nomina il coordinatore del partito».
Se è per questo, nemmeno la Direzione.
Così si capiscono meglio un paio di frasi che Fini lascia cadere sulle prime file del Padiglione 18, quelle del suo Stato Maggiore.
«Per non riprodurre il peggior difetto del passato dico che ho fatto meno del dovuto e farò di più: nel Coordinamento della Segreteria non ci saranno nè parlamentari nè consiglieri eletti nei comuni o nelle regioni; e nei gruppi dirigenti ci sarà anche chi non ha mai avuto in tasca la tessera di Alleanza Nazionale».
E ancora: «Non saremo un soggetto politico da nomenklatura, non voglio chi sta in politica per una candidatura al Parlamento o un posto in un Consiglio di Amministrazione. I nostri ragazzi dovranno tirarci per la giacca…».
Ed ecco che alla fine, dopo 90 minuti di comizio, Gianfranco Fini va proprio in mezzo a Gianmario, Giuseppe, Michele, Peppino, i ragazzi di Futuro e Libertà .
«E’ stato un bel segnale», dice Gianmario Mariniello, che però è un collaboratore di Italo Bocchino, il mancato coordinatore ricompensato con la vice-presidenza, e dunque sospettabile di partigianeria.
«No – precisa lui – è un bel segnale perchè Fini fa capire che questo partito, per essere davvero nuovo e diverso, deve superare le vecchie logiche e le vecchie abitudini».
Una era quella dei colonnelli che salgono sul palco con il leader.
Ma se baruffano tra loro no, stiano al loro posto.
E Fratelli d’Italia se lo cantino in platea.
Giovanni Cerruti
(da “La Stampa“)
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Febbraio 14th, 2011 Riccardo Fucile
IL TIMORE DI UNA CONDANNA NEL PROCESSO RUBY E L’INCOGNITA DELLA REAZIONE DEL CARROCCIO….PER IL SENATUR, IL DESTINO DELLA LEGISLATURA SI DECIDERA’ QUESTA SETTIMANA
C’è un filo invisibile che lega le parole pronunciate nel weekend da Umberto Bossi e gli avvertimenti di Giorgio Napolitano.
Un filo che sta scuotendo l’intera maggioranza e che mette in allarme il presidente del Consiglio.
“Si decide tutto questa settimana”, avverte il Senatur.
E il messaggio è arrivato per direttissima anche a Silvio Berlusconi. Perchè le riflessioni del suo “miglior alleato” più che una minaccia rappresentano una constatazione.
Che in queste ora sta prendendo le forme di una delle norme del codice penale: “L’interdizione dai pubblici uffici”.
Una pena accessoria che trasforma i sogni del Cavaliere in incubi.
Che fa materializzare il fantasma delle elezioni anticipate o “peggio di un governo tecnico”.
I suoi legali e lo stesso presidente del Consiglio si sono ormai fatti la convinzione che se il processo per il “Rubygate” arriverà a sentenza, allora già in primo grado i magistrati la accompagneranno proprio con l’interdizione dei pubblici uffici. Compresa la presidenza del Consiglio.
“È chiaro che l’obiettivo dei magistrati è questo – si è sfogato l’altro ieri il premier con un fedelissimo -. In quel caso cosa faremo?
Come si comporteranno i leghisti?
Cosa accadrà nel gruppo dei Responsabili?
Dobbiamo opporci, fare di tutto per impedirlo. Sarebbe un golpe inaccettabile”. Alla fine, però, il capo del governo lascia i suoi interrogativi
senza risposte.
Quesiti che possono aprire un varco verso le elezioni anticipate.
La paura che si è fatta largo a Palazzo Chigi, infatti, ora sta condizionando le mosse di tutti. Del Pdl e, soprattutto, della Lega.
Per questo la previsione di Bossi è suonata a Via del Plebiscito come un campanello d’allarme.
E il filo invisibile che unisce la Lega al Quirinale si presenta agli occhi del premier come un pericolo costante.
Perchè al di là delle rassicurazioni ufficiali, il campo del Carroccio è quanto mai in movimento.
E il Senatur è deciso a coglierne tutti i segnali.
A interpretare i malumori della “pancia” lumbard e a recepire le “prudenze” dei dirigenti.
Ma con una certezza: il possibile rinvio a giudizio del premier sul caso Ruby, non potrà risultare indifferente. “Per ora – spiega in queste ore il ministro delle Riforme – io sono in grado di tenere i miei. Se il federalismo va avanti, nessuno si potrà lamentare. Ma se nella palude anche il nostro progetto si blocca allora tutto cambia. E dovrò capire se qualcosa cambia anche nel caso in cui Silvio venisse condannato in tempi brevi”.
Berlusconi conosce i dubbi dell’alleato.
Con l’amico Umberto ha riparlato anche negli ultimi due giorni.
È sicuro che “non ci saranno tradimenti”. Ma si è anche reso conto che il feeling maturato tra lo stato maggiore leghista e il Quirinale può provocare sviluppi imprevisti.
Soprattutto alla luce di quel che accadrà a Milano nei suoi quattro processi. Senza contare che il successo delle manifestazioni di piazza di ieri costituiscono, a suo giudizio, un tassello dello stesso mosaico cospirativo.
“Una protesta senza senso – ha commentato vedendo le immagini di Piazza del Popolo – mi vogliono far passare per un mostro. Tutte falsità , è già campagna elettorale. Fanno i bacchettoni con me e poi sono i primi a combinarne di tutti i colori. Io sono un uomo separato e sono libero di fare quello che voglio a casa mia. Vogliono farmi dimettere e basta”.
Mai come in questo momento, dunque, il partito delle elezioni anticipate è stato così forte.
Con l’intera opposizione – da Bersani a Fini – pronta a scendere in campo per le urne.
Anche la scelta elettorale del leader Fli – che si è tenuto in contatto con Napolitano – sta sortendo l’effetto di modificare gli equilibri tra il partito “del voto” e quello del “non voto”.
Anche perchè è proprio il presidente della Repubblica a vedere le urne come una possibile soluzione alla “paralisi” che condiziona l’attività del governo.
E allora quel “si decide tutto questa settimana”, sta riecheggiando nelle orecchie del Cavaliere come un monito.
Le difficoltà con cui procede l’iter del decreto Milleproroghe – al cui interno spiccano diverse misure di spesa cui Berlusconi tiene molto – e i “no” di Giulio Tremonti ad allentare i cordoni della borsa hanno assunto nei ragionamenti di Berlusconi tutta un’altra configurazione.
Per non parlare dei giudizi taglienti (la cui asprezza è arrivata fino ai piani alti di Palazzo Chigi) del ministro dell’Economia sui provvedimenti per dare una scossa all’economia e per rilanciare il Sud.
Fattori che hanno di nuovo illuminato i sospetti sul titolare di Via XX Settembre. Sulla possibilità che faccia parte del ristretto numero di “carte di riserve” pronte all’uso in caso di emergenza.
Quell’emergenza evocata, appunto, per ben due volte tra venerdì e sabato scorso dal capo dello Stato.
Il “filo” che unisce il Quirinale, la Lega, il presidente della Camera e l’intero arco delle opposizioni, allora, per Berlusconi è qualcosa di più di una semplice sintonia istituzionale.
Così come le conseguenze del rinvio a giudizio per il caso Ruby stanno assumendo tutta un’altra configurazione nelle riflessioni del Cavaliere.
In cui lo scioglimento del Parlamento è un’opzione, ma l’altra è la nascita di un nuovo governo. “Qualcuno pensa ancora che si possa formare un esecutivo tecnico. Quella sì sarebbe una porcata”.
Non a caso anche ieri i toni con cui il presidente del Consiglio ha in privato commentato le mosse del Colle non sono stati per niente accondiscendenti. “Vuole sciogliere le Camere anche se ho la maggioranza? Ci provi e vediamo come va a finire. Finchè ho i numeri, nessuno può imporre le elezioni”.
La nota con cui ieri i capigruppo del Pdl hanno ricordato e difeso il lavoro dell’esecutivo, del resto, era diretta proprio al presidente della Repubblica. Sebbene sia sotto gli occhi di tutti, la sostanziale inattività dell’esecutivo e del Parlamento.
Basti pensare che l’aula di Montecitorio da tempo si riunisce per non più di 2-3 giorni a settimana.
E il motivo è piuttosto semplice: l’assenza di provvedimenti da discutere.
Ma i “numeri” invocati dal presidente del Consiglio possono rivelarsi un’incognita. Soprattutto se il “giudizio immediato” della procura di Milano in relazione alle accuse di concussione e prostituzione minorile si chiuderà con una condanna e con “l’interdizione dai pubblici uffici”.
Claudio Tito
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 14th, 2011 Riccardo Fucile
MULTA DELL’AGCOM ALL’EDITORE: IL QUOTIDIANO DI FELTRI E BELPIETRO RISCHIA DI PERDERE 7,7 MILIONI E I FINANZIAMENTI 2009 E 2010…PRENDONO FINANZIAMENTI COME FONDAZIONI E COOPERATIVE, MA SONO IN REALTA’ GIORNALI RICONDUCIBILI AD ANGELUCCI
Grossi guai in vista per Libero.
Il quotidiano diretto dalla coppia Feltri-Belpietro è stato pescato dall’Autorità Garante per le Comunicazioni con le mani nella marmellata mentre attingeva dalle casse pubbliche finanziamenti che non gli spettavano.
Il giornale caro ai leghisti si trova in una situazione davvero imbarazzante. Come una qualsiasi impresa meridionale scoperta dalla Guardia di finanza a truccare i requisiti per accedere a una legge di agevolazione, dovrà restituire il maltolto.
Secondo l’interpretazione dell’Agcom, Libero ha incassato 12 milioni di euro e chiesto altri 6 milioni di euro alla Presidenza del Consiglio che non gli spettavano e su quei soldi ha fatto affidamento per chiudere in pareggio i bilanci degli scorsi anni.
Il 9 febbraio scorso l’editore di Libero, il deputato del Pdl Antonio Angelucci, proprietario del gruppo di cliniche private Tosinvest, si è visto comminare una multa di 108 mila euro e presto potrebbe trovarsi costretto a mettere mano al portafoglio.
Il provvedimento dell’Autorità Garante delle Comunicazioni è frutto di una lunga istruttoria durata un anno e mezzo, avviata in tandem con Dipartimento editoria della presidenza, diretto da Elisa Grande.
La delibera colpisce anche la società editrice del quotidiano Il Riformista, diretto da poche settimane da Stefano Cappellini.
Entrambi i quotidiani ogni anno attingono all’apposito fondo della presidenza del Consiglio dichiarando di appartenere a enti (una fondazione e una cooperativa) non collegati.
L’Agcom contesta quei finanziamenti perchè i due giornali, al di là delle qualifiche formali, sono controllati entrambi dal gruppo di Antonio Angelucci. La delibera dell’Agcom è stata presa sulla base della relazione favorevole alla ‘condanna’ di Angelucci del commissario Sebastiano Sortino che è riuscito a convincere il presidente Corrado Calabrò (nominato da Silvio Berlusconi) e a strappare l’astensione di un altro membro dell’Agcom in quota Pdl, Stefano Mannoni.
Un buon segnale per questa Autorità che finora aveva fatto parlare di sè solo per gli scandali seguiti alle intercettazioni di Trani.
Gli effetti della delibera potrebbero essere devastanti per i conti dei due giornali che — se la Presidenza del Consiglio applicherà la delibera Agcom — rischiano di saltare.
Una pessima notizia anche per Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro che sono entrati con una quota del 10 per cento a testa nella società editrice per rilanciarla.
Libero dovrà restituire i 7,7 milioni incassati nel dicembre 2008, con riferimento ai conti del 2007.
Non solo: non potrà incassare nemmeno i 6 milioni di euro iscritti a bilancio nel 2009 nè potrà chiederne altrettanti per il 2010.
Anche una parte del contributo del 2006 dovrà essere restituito.
Nel marzo del 2006 Angelucci ha comprato da Claudio Velardi, ex spin doctor di Massimo D’Alema, la maggioranza del Riformista.
E quindi da quel momento, secondo l’Agcom, si è verificata la situazione di incompatibilità con il finanziamento.
Anche per Il Riformista, che incassa 2,5 milioni di euro all’anno, nonostante venda in edicola poco più di 3 mila copie, gli effetti della delibera dell’Agcom saranno devastanti.
Secondo l’Agcom ci sono almeno quattro buone ragioni per ritenere che — al di là della forma — sia Libero che Il Riformista sono di proprietà di Tonino Angelucci.
Innanzitutto il gruppo ha contribuito con molti milioni di euro ogni anno ai due giornali stipulando dei contratti di “valorizzazione della testata” che in realtà celerebbero una forma di finanziamento all’impresa.
In secondo ruolo le riunioni degli organi delle società editoriali si tengono nei medesimi uffici del gruppo Angelucci.
Inoltre gli amministratori spesso sono gli stessi e infine c’è una strana cessione di credito che somiglia molto a un finanziamento.
Per il 2006 Libero ha incassato 7.953.436,26 euro (parzialmente da restituire).
Per il 2007 invece 7.794.367,53, che dovrebbero essere integralmente restituiti.
A questi bisogna aggiungere i 6 più 6 milioni che verranno a mancare per i bilancio già chiuso del 2009 e per quello del 2010.
Per capire l’effetto di questa mazzata bisogna rileggere quello che ha scritto la società di revisione BDO, prima di certificare il bilancio: “L’equilibrio economico e finanziario della società è strettamente legato all’ottenimento dei contributi suddetti”.
Le conseguenze pratiche della delibera Agcom ora dipenderanno dall’interpretazione che ne darà il Dipartimento dell’Editoria.
Se Libero avesse dichiarato subito di appartenere allo stesso gruppo del Riformista, solo quest’ultimo avrebbe perso il contributo.
Ma il fatto di avere nascosto questa situazione agli uffici dovrebbe comportare la perdita del contributo per entrambi i giornali.
Per non parlare poi dei possibili effetti penali.
Potrebbero esserci dei riverberi anche per il personale.
Nel 2008 tutti i 98 dipendenti (compresi 83 giornalisti) di Libero sono stati pagati con i soldi dello Stato.
Soldi ai quali il giornale nemico degli sprechi non aveva diritto.
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Febbraio 14th, 2011 Riccardo Fucile
“NESSUNA RIFORMA DI QUELLE PROMESSE E’ STATA REALIZZATA, BERLUSCONI PENSA SOLO AI SUOI GUAI GIUDIZIARI”….”SARKOZY IN FRANCIA NON SI SAREBBE MAI SOGNATO DI DIRE E DI FARE QUELLO CHE FA BERLUSCONI IN ITALIA”
Bill Emmott è stato direttore dell’Economist dal 1993 al 2006, dopo anni spesi come corrispondente in giro per l’Europa nonchè in Giappone.
Ora è editorialista del Times, e “pensa” spesso all’Italia.
A ottobre 2010 ha pubblicato per Rizzoli “Forza Italia: come ripartire dopo Berlusconi”.
Lo abbiamo incontrato nel bar di un albergo del centro di Londra…
Signor Emmott, ai tempi in cui dirigeva l’Economist, Berlusconi vi ha dato più o meno dei “comunisti” bolscevichi… Evidentemente a Mr B. non deve essere andata giù quando lo avete descritto “unfit to lead Italy”. “Inadatto a governare l’Italia”.
Confermo. Ma allora era il 2001. I motivi per cui secondo noi non doveva essere eletto erano principalmente due: il conflitto di interessi e l’inaffidabilità della Lega come alleato di governo. Allora Berlusconi non aveva ancora avuto modo di mostrare in pieno cosa era capace di fare…
Ora lo sappiamo…
Nei quasi 10 anni successivi è diventato chiaro che i motivi per cui è “unfit” sono molti di più. Adesso lo possiamo dire con cognizione di causa. Nessuna riforma di quelle promesse si è realizzata, nè liberalizzazioni, nè riforme istituzionali. Fondamentalmente ha governato male. L’Italia ha bisogno di ripartire, ma lui si occupa sempre di più dei suoi problemi giudiziari…
Proprio in questi giorni si chiedono tutti: cade o non cade…?
Lei ha la sfera di cristallo…? Chi può dirlo..? Una cosa appare chiara: ormai sta su ma non governa, una cosa di cui il vostro Paese sente disperatamente il bisogno…
Preso da altro…?
Patrizia D’Addario, Noemi Letizia, Ruby, Nicole Minetti, Sara Tommasi. La serie di scandali che lo coinvolge da mesi lo sprofonda giorno dopo giorno, la sua credibilità viene erosa sempre di più. E poi cos’è questa idea di “fare causa allo Stato”, o di ricorrere alla Corte di Strasburgo (da parte del ministro Frattini, ndr) per la violazione della privacy…?
Inimmaginabile in Gran Bretagna…?
O in qualsiasi altra democrazia europea. Facciamo un paragone con altri leader della destra. Non con David Cameron, che è molto diverso da lui. Prendiamo Sarkozy, che vagamente gli somiglia. Non si sognerebbe mai di dire o fare le cose che Berlusconi fa, e sa perchè? Perchè in Francia le istituzioni, la magistratura, la stampa hanno il loro ruolo autonomo e ben definito…
E in Italia…?
L’Italia è in una condizione magari non di “fragilità ” democratica, la parola mi sembra poco adatta. Direi piuttosto di “democrazia soft” (tocca il divano su cui siamo seduti per mostrami meglio cosa sta pensando). E questo vale per tutte le istituzioni: Parlamento, magistratura, stampa…
La magistratura, magari, fa quel che può…
La maggior parte delle vicende giudiziarie in cui è coinvolto il presidente del Consiglio sono ovviamente gravissime. Eppure, uso politico della giustizia ne vedo, su questo Berlusconi non ha tutti i torti. La riforma del sistema giudiziario è una priorità . Certo, finchè c’è lui al governo non se ne parla. Un altro segno di come e quanto blocca il Paese…
Tutti questi scandali cominciano a indebolirlo…?
Nell’opinione pubblica è screditato, forse ancora di più all’estero. Però capire oggi il suo destino è difficile, perchè è tutto in mano alla Lega. Azzardo una previsione: nel giro di un mese, date le tensioni continue, Berlusconi sarà forzato a lasciare. E allora, come dicono in molti, si aprono tutti gli spazi possibili, sia per Tremonti, che mi pare abbia ottimi agganci dalla finanza al Vaticano, alla stessa Lega ovviamente, sia eventualmente per Draghi, nel caso in cui si pensasse a un esecutivo tecnico…
La sinistra però dovrebbe dire qualcosa (magari anche non di sinistra)…?
La sinistra è debole, ma le dò un consiglio: non deve cercare la sua via al berlusconismo, non deve correre appresso all’idea di un leader a tutti i costi…
Vale a dire…?
Da quando si è andati verso il bipolarismo, vedo delle aggregazioni completamente disomogenee. Cosa c’entra Vendola con Enrico Letta…? O Bossi con Fini…? Il cui errore infatti, è stato proprio questo: entrare nel Pdl, forzato da una legge elettorale che andrà assolutamente cambiata. Così non va, la realtà politica italiana è troppo complessa. Un proporzionale, magari con sbarramento alla tedesca, aiuterebbe a creare alleanze meno forzate.
Ipotesi: si vota e Mr B. che ha nove vite, rivince…. Il Quirinale…?
Penso ormai sia impossibile…
Andrea Valdambrini
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 14th, 2011 Riccardo Fucile
SECONDO UNO STUDIO DELLA CISL, LA REGIONE SARA’ COSTRETTA A COPRIRE IL DISAVANZO DELLA SANITA’…EVASIONE FISCALE: IN 500.000 NON PAGANO IL BOLLO
Ma quanto ci costa il federalismo?
A giudicare dalle cifre e dalle proiezioni elaborate dall’ufficio studi della Cisl, che ha tradotto gli effetti della riforma sul territorio, per i contribuenti di Roma e Lazio sarà una mazzata senza precedenti.
Destinata a colpire soprattutto lavoratori dipendenti e pensionati, quelli cioè che hanno la trattenuta alla fonte e pagano le tasse per intero, senza minimamente scalfire le crescenti sacche di evasione fiscale.
Che hanno ormai raggiunto livelli preoccupanti: tra i 21 e i 23 miliardi ha calcolato il sindacato, parametrando i dati nazionali sugli indici del Lazio. Secondo l’organizzazione guidata da Raffaele Bonanni, che ha celebrato in tutta Italia il Fisco day per denunciare i rischi del federalismo, potenzialmente devastante per le Regioni gravate da un forte debito sanitario, il pericolo maggiore arriverebbe dal decreto sui costi standard.
“Se verrà approvato così come è stato licenziato dal consiglio dei ministri”, spiega infatti il segretario regionale Franco Simeoni, “il Lazio sarà obbligato a coprire l’intero disavanzo della Sanità , pari a 1,5 miliardi, attraverso un ulteriore incremento della fiscalità aggiuntiva. E poichè da noi l’85% dell’Irpef regionale la pagano i lavoratori dipendenti (per il 51%) e i pensionati (per il restante 34), è evidente che saranno soprattutto loro a farsi carico dell’ennesimo aumento delle addizionali”.
Già adesso fra le più alte d’Italia, pari all’1,7%, e tuttavia destinate a crescere ancora a partire dal 2013: a debito sostanzialmente invariato saliranno infatti dell’1,1% nel 2014 e addirittura del 2,1 nel 2015, che per i laziali significherà versare alla Regione addirittura il 3,8% del reddito percepito.
Per esempio, un insegnante che guadagna in media 25mila euro lordi l’anno passerà dai 350 euro sborsati nel 2010 (425 nel 2011) ai 950 euro del 2014; un dirigente o funzionario pubblico da 75 mila euro l’anno sborserà all’ente guidato da Renata Polverini la bellezza di 2.850 euro, 1.850 in più rispetto al 2010.
“Ecco perchè è assolutamente necessario pervenire ad una riforma strutturale del sistema sanitario regionale, che però al momento non mi pare sia una priorità della giunta Polverini”, lancia l’affondo Simeoni. “E avviare una seria lotta all’evasione, a cominciare dal bollo e dal ticket sanitario”.
Sono i numeri a fornire il quadro di una debacle: “Nel Lazio si stima che ben 500 mila veicoli si sottraggono ogni anno al pagamento del tributo regionale, pari a circa 70 milioni, recuperabili con l’intensificazione delle azioni di accertamento. Peccato che il bilancio regionale non abbia previsto un solo euro di entrate aggiuntive relative a questo tributo”, incalza il leader della Cisl. Non solo. “Sulla base dei redditi 2009 è emerso che circa 500mila cittadini evadono i ticket (farmaci e specialistica ambulatoriale) per oltre 60 milioni. Eppure nei suoi programmi operativi la giunta Polverini ha previsto di incassare appena 10 milioni/anno. Una maggiore coerenza ed un maggior coraggio consentirebbero invece di recuperare realisticamente almeno 60 milioni (50% evasione stimata)”.
Se a questo si aggiungono che le attuali società e consorzi partecipati della Regione comportano un impegno finanziario per oltre 500 milioni l’anno, con una spesa per i circa 80 amministratori-consiglieri di 2,5 milioni, “si capisce quanto ancora ci sia da fare, anzichè scegliere sempre la via più facile: mettere le mani nelle tasche dei contribuenti”.
Giovanna Vitali
(da “La Repubblica“)
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