Febbraio 21st, 2011 Riccardo Fucile
LE NOTIZIE CHE RIESCONO A USCIRE, VIOLANDO LA CORTINA DEL SILENZIO DEL REGIME LIBICO…L’OSCURAMENTO PARZIALE DELLA RETE NON IMPEDISCE AI MANIFESTANTI DI RENDERE NOTI I MASSACRI, IL NUMERO DEI MARTIRI, LE RIVOLTE IN ATTO, IL GENOCIDIO ORDINATO DAL COMPAGNO DI MERENDE DI BERLUSCONI E MARONI
“Tutto questo non fa che rendere i libici più uniti. Ogni città ora ha i suoi martiri — scrive un’attivista che si fa chiamare Lybian Dude su Twitter, e aggiunge — soltanto il tempo potrà chiarire la reale portata del massacro. Prego soltanto che l’esercito e i commando facciano la scelta giusta”. Changeinlybia è uno degli account più attivi sul sito di microblogging, uno dei pochi, assieme a @ShababLibya che riescono a superare la cortina di silenzio stesa dal regime del colonnello Gheddafi sulle rivolte interne.
Le notizie che arrivano attraverso i social media sono poche e intermittenti. Internet è a singhiozzo: il governo, per nascondere le notizie dei massacri e impedire ai manifestanti di comunicare fra loro, sembra aver dato il via a una specie di coprifuoco digitale.
Non un totale spegnimento della Rete, come avvenuto in Egitto, ma un oscuramento parziale che, secondo quanto riportato dall’edizione per il Medio Oriente del sito The Next Web, viene attivato ogni notte a partire dalle 22 locali, per poi cessare, col ripristino della connettività alle 5.30 della mattina del giorno dopo.
Alcuni siti rimangono inaccessibili anche dopo tale ora, Facebook, You Tube, Twitter e Al Jazeera su tutti.
Qualcosa però filtra: ShababLybia, voce del Movimento dei giovani per la Libia, un gruppo che si ispira a quanto successo in Egitto per migliorare la situazione del proprio paese, possiede anche un profilo Facebook, dove vengono postati video e aggiornamenti sui tumulti in corso.
L’ultima testimonianza visiva è della notte scorsa e mostra un gruppo di persone che girano in tondo urlando slogan contro il regime.
In precedenza, grazie al network del gruppo di attivisti Telecomix, erano stati diffusi sul Web alcuni brevi clip riprese col telefonino, immagini impressionanti di giovani feriti in barella e degli scontri di Bengasi, la seconda città del Paese, che sembra essere stata conquistata dai manifestanti.
Telecomix ha anche messo a disposizione dei rivoltosi alcuni numeri da chiamare per poter accedere a Internet malgrado il blocco governativo, e un wiki, una specie di blocco appunti editabile da chiunque in cui sono raccolte le istruzioni per bypassare la censura.
Anche gli Anonymous, gli hacker celebri per il loro supporto a Wikileaks e, da ultimo, noti anche in Italia per alcuni attacchi informatici ai siti delle istituzioni, si sono schierati dalla parte dei libici, dando il via alla “Operation Lybia”, i cui contorni rimangono però ancora da definire.
Su YouTube aggiornamenti e immagini delle proteste arrivano attraverso il canale di SaveLibia.
“Questo canale è stato creato per mostrare al mondo quello che sta succedendo in Libia. È una delle poche vie di comunicazione che la Libia ha col mondo esterno e intendiamo mantenerlo attivo”.
Come nel caso della crisi egiziana, la creatività dei manifestanti riesce a sfruttare al meglio anche gli altri strumenti messi a disposizione da Google. Un cittadino il cui pseudonimo su Twitter è “@arasmus” sfrutta Google Maps per georefenziare tutti i focolai di protesta e le notizie sulle vittime dei massacri.
L’ultima segnalazione è delle 5.30 di questa mattina e racconta di rivoltosi uccisi e feriti nella Piazza Verde di Tripoli.
L’autenticità delle news è da confermare, anche se l’autore afferma di servirsi di fonti attendibili.
Il sistema Speak2Tweet, ovvero la conversione dei messaggi vocali in tweet fornita da Google e Twitter in occasione della rivolta egiziana, non sembra molto sfruttato dai libici, che preferiscono lasciare i loro messaggi nell’account Feb17voices di AudioBoo.
Stando all’ultimo file audio inviato, tre o quattromila persone avrebbero occupato la centralissima Piazza Verde, dove Gheddafi soleva tenere i comizi.
Infine “Killed in Lybia” è un foglio di calcolo di Google Docs il cui scopo è quello di raccogliere i nomi di tutti i caduti per la rivoluzione.
Finora sono state inseriti 54 nominativi e anche qui è evidente il richiamo alla protesta egiziana, in cui era stata sperimentata una soluzione simile per censire i morti.
Federico Guerrini
(da “La Stampa“)
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Febbraio 21st, 2011 Riccardo Fucile
IL PROCEDIMENTO ALLA CAMERA RISCHIA LO STOP DI FINI… LA DIFESA DI BERLUSCONI CONVINTA DI USCIRE DAL PROCESSO RUBY IN TEMPO BREVI
Esitanti. Dubbiosi. Incerti.
Con il fantasma di un no di Fini e dell’ufficio di presidenza della Camera al conflitto di attribuzione.
Stanno messi così quelli del Pdl.
Con gli avvocati del premier, intenti alla lettura delle carte del processo, che spingono per liquidare subito il dibattimento del Rubygate, farlo e chiuderlo in più in fretta possibile, per evitare che possa essere ricongiunto a quello Minetti-Fede-Mora, in cui Berlusconi finirebbe nel tritacarne mediatico delle decine di ragazze che raccontano le notti di Arcore.
Ma con i consiglieri politici di Berlusconi che calcano la mano sulla necessità , all’opposto, di un segnale di netta contrapposizione ai magistrati, che passa necessariamente per il conflitto di attribuzione alla Consulta.
Sul quale però incombe il rischio di un altolà di Fini e dell’ufficio di presidenza della Camera, dove i numeri non arridono alla maggioranza.
È questa la fotografia del week end di dubbi e incertezze in casa berlusconiana che potrebbe preludere oggi alla decisione di rinviare ancora l’avvio del conflitto di attribuzione alla Camera.
“Potrebbe”, un condizionale d’obbligo, perchè nella strategia per difendere il “capo” mai come questa volta ci sono stati stop and go, corse in avanti e precipitosi passi indietro.
Il caso del conflitto alla Corte è emblematico. Uno o due?
Uno alla Camera e uno di palazzo Chigi?
Non è ancora deciso.
Pareva certo che oggi, al presidente della giunta per le autorizzazioni Pierluigi Castagnetti, il capogruppo del Pdl Maurizio Paniz avrebbe recapitato una lettera per annunciargli l’avvio del conflitto. Poi ecco la frenata.
Perchè a Montecitorio la procedura è chiara, la richiesta di conflitto va rivolta al presidente, il quale la gira alla giunta per un parere.
Lì si vota, le carte ripassano all’ufficio di presidenza che vota sulla trasmissione all’aula.
Qui i berlusconiani non hanno i numeri, temono che Fini stoppi tutto, e il leader di Fli finora ha rifiutato qualsiasi messaggero che potesse convincerlo a trasferire il conflitto in aula.
Paniz lo dà per scontato: “Solo l’aula si esprime sul conflitto”.
Enrico Costa, anche lui componente Pdl della giunta, aggiunge: “Su una questione che attiene alle prerogative il presidente non può bloccare alcunchè”.
Ma il precedente Sardelli versus Faggiano, dove l’ufficio di presidenza nell’ottobre 2003 non dette seguito al conflitto pur votato dalla giunta delle elezioni, mette in agitazione il Pdl.
Di una cosa è convinto l’avvocato del premier Niccolò Ghedini, bisogna evitare brutte figure, come un no al conflitto d’attribuzione.
Mentre legge i 22 faldoni del Rubygate, Ghedini si va confermando nell’idea che questo è un processo vinto in partenza e soprattutto che può chiudersi in due mesi, con non più di 15 o 20 testi tra accusa e difesa.
Un primo grado da chiudere per evitare che un eventuale rinvio possa farlo riunire a quello Fede-Mora-Minetti dove sfileranno le ragazze dell’Olgettina. Poi, qualunque sia la sentenza, lo spazio per il ricorso alla Corte rimane. Come resta la via, seguita dallo stesso Ghedini nel ruolo di avvocato dell’ex Guardasigilli Roberto Castelli, di un’istanza del parlamentare alla Camera di appartenenza la quale delibera se autorizzare o meno il prosieguo dell’azione penale. Lo fece l’ex ministro Altero Matteoli nel 2009, ma la conseguenza è stata un ulteriore ricorso dei giudici di Livorno alla Corte rispetto a un atto politico dal valore inesistente.
La Consulta deve ancora decidere.
Ma i tre giudici del collegio Rubygate, nella stessa situazione, potrebbero ben andare avanti.
A quel punto la Camera dovrebbe comunque sollevare il conflitto.
Oggi, come ogni lunedì, Ghedini sarà ad Arcore. E non è escluso che chieda conto alla procura di Milano del perchè, mentre Ruby parla di una trentina di interrogatori, nei faldoni ce ne sono solo cinque.
Poichè i tempi stringono per tutti i processi del premier, ben quattro in un mese (28 febbraio Mediaset; 5 marzo Mediatrade; 11 marzo Mills; 6 aprile Rubygate), oggi gli avvocati, negli uffici Fininvest, terranno un briefing per limare le strategie.
Sollevare o no il legittimo impedimento?
Sempre, o solo per i processi, come Mills, che rischiano di chiudersi presto e con una condanna per corruzione?
L’11 marzo, giusto quando cade Mills, a Bruxelles c’è un consiglio straordinario sull’economia e l’udienza potrebbe saltare.
Ma l’impressione complessiva è che la “macchina da guerra” anti-processi del Cavaliere, al di là dei proclami, non giri ancora a pieno regime.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 21st, 2011 Riccardo Fucile
IL GOVERNO ITALIANO SI SCHIERA COL BOIA GHEDDAFI: “L’EUROPA NON ESPORTI LA DEMOCRAZIA”…. IN IRAQ E IN AFGHANISTAN ANDAVA BENE BOMBARDARE LA POPOLAZIONE CIVILE, ORA PER SPORCHI INTERESSI ECONOMICI E RAZZISTI FRATTINI DIFENDE CHI HA IMPICCATO CENTINAIA DI STUDENTI: E’ LA DEMOCRAZIA DEL BUNGA BUNGA?
Il video gira su You Tube.
Un mercenario, assoldato in Ciad da Gheddafi, è catturato dalla folla a Bengasi e ammette: «Ci ordinano di sparare sulla folla».
Ma mentre Francia e Germania assumono una posizione fortemente critica nei confronti del regime libico, il governo italiano “non interferisce” e diffida addirittura l’Europa dall’imporre il proprio modello a Tripoli.
“L’Europa non deve esportare la democrazia”.
Ne è convinto il ministro degli Esteri Franco Frattini che, a margine della riunione dei capi delle diplomazie europee a Bruxelles, è intervenuto sulla situazione libica.
Una dichiarazione lontanissima dalle posizioni espresse dai leader degli altri paesi europei, soprattutto alla luce del fatto che le forze armate italiane sono state mandate a “esportare la democrazia” in Iraq (per ben due volte) e in Afghanistan.
Una presa di posizione da vigliacchie complici degli eccidi.
La linea del titolare della Farnesina sulla pesantissima crisi politica e sociale in Libia è quindi quella della non interferenza: “Noi vogliamo sostenere il processo democratico — continua il ministro — ma non dobbiamo dire ‘questo è il nostro modello europeo, prendetelo’. Non sarebbe rispettoso dell’indipendenza del popolo, della sua ownership”.
Una posizione che stona con quanto espresso dai titolari della diplomazia di tutti i paesi europei e degli Stati Uniti.
Solo per fare qualche esempio la Germania, per voce del ministro degli Affari europei Werner Hoyer, si è detta “preoccupata e indignata” per “la violenza impiegata dalle autorità dello Stato in Libia e in altri stati” del Nord Africa.
Una posizione condivisa anche dalla Francia che con il ministro per le Politiche europee, Laurent Wauquiez, ha condannato l’uso della forza in Libia, definendolo “totalmente sproporzionato” e aggiungendo che i morti negli scontri fra dimostranti e polizia sono “assolutamente inaccettabili”.
Insomma, ancora una volta la diplomazia italiana non perde l’occasione di fare brutta figura davanti al mondo.
Quella che sembrava solo un’infelice battuta di Silvio Berlusconi, che nei giorni scorsi aveva dichiarato “non voglio disturbare Gheddafi”, in realtà era una linea programmatica.
Che poi per Frattini Muammar Gheddafi sia un modello di democrazia è cosa nota da tempo.
In un’intervista concessa a Claudio Caprara del Corriere della Sera il 17 gennaio 2011 e pubblicata sul sito del Mae (ministero degli Affari esteri) il capo della diplomazia italiana definisce il rais un modello di dialogo con le popolazioni locali per un paese arabo.
Nonostante la comunità internazionale condanni senza se e senza ma la violenta repressione in atto in Libia, il governo italiano sembra più preoccupato ad assecondare gli avvertimenti di Gheddafi sulle possibili ripercussioni sulle ondate migratorie provenienti dalla sponda sul del Mediterraneo.
A tale riguardo, l’Unione europea ha riferito di aver ricevuto vere e proprie “minacce” arrivate da Tripoli che avrebbe convocato l’ambasciatore ungherese (paese presidente di turno dell’Ue), per riferire che il Paese non è più disposto a collaborare sul fronte dell’immigrazione se l’Europa continuerà a sostenere i manifestanti.
Minacce simili, ha sempre riferito l’ambasciatore, sarebbero arrivate anche ad altre rappresentanze Ue in Libia.
Le dichiarazioni di Frattini hanno provocato un vespaio di polemiche fra i banchi dell’opposizione. ”.
Le opposizioni chiedono a Frattini di venire in aula a riferire e ad “assumersi la responsabilità del patto d’acciaio stretto per assecondare e proteggere Gheddafi” .
Sulle strette relazioni che legano la leadership libica con il nostro paese è intervenuto anche Enrico Jacchia, responsabile del Centro di Studi Strategici, che in una nota mette in guardia il presidente del Consiglio dall’accogliere e ospitare in Italia il colonnello Gheddafi.
“Se noi lo ospitassimo ci metteremmo in una situazione impossibile con il resto del mondo. Ma le alternative per Gheddafi sono poche”.
Secondo lo studioso di strategia e difesa è molto probabile che il rais, nel caso sopravviva e riesca a scappare da Tripoli, chieda asilo a Roma proprio in virtù dello stretto rapporto che lo lega con Berlusconi.
E un’eventuale decisione del premier di accoglierlo “ci metterebbe in una situazione impossibile con il resto del mondo”, dice Jacchia.
Ecco perchè secondo lui dovrebbe essere convocata una sessione di emergenza del Parlamento o almeno della commissione Esteri.
Questo governo fantoccio affaristico- razzista ha oggi svelato il suo vero volto: ma che destra, sono solo degli ignobili servi di un assassino che paga persino dei mercenari per massacrare il suo popolo.
La destra vera sta col popolo libico, non con Gheddafi e i suoi servi italiani.
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Febbraio 21st, 2011 Riccardo Fucile
IL CONFLITTO TRA NAPOLITANO E IL PREMIER: PER IL PRIMO, VIGE IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA DI FRONTE ALLA LEGGE E LE GARANZIE PER L’IMPUTATO… IL SECONDO ESASPERA OGNI GIORNO LO SCONTRO TRA POTERI, DELEGITTIMA LA MAGISTRATURA E LA VUOLE ASSERVITA AL POTERE POLITICO…GARANTISMO LIBERALE O TRUCE AVVENTURISMO?
L’Italia precipita in una rovinosa “democrazia del conflitto”.
Come è evidente, si fronteggiano due forze.
Da una parte c’è lo Stato, con le sue ragioni e le sue istituzioni.
Il simbolo dello Stato, oggi più che mai, è Giorgio Napolitano.
Dall’altra parte c’è l’Anti-Stato, con le sue distorsioni e le sue convulsioni. Il paradigma dell’Anti-Stato, ormai, è Silvio Berlusconi.
Dall’esito di questa contesa dipenderà l’assetto futuro del nostro sistema politico e costituzionale.
La giornata di ieri fotografa con drammatica evidenza questa contrapposizione irriducibile tra due modi diversi di vivere la cosa pubblica e di interpretare il proprio ruolo nella “polis”.
Il capo dello Stato, in un’intervista al settimanale tedesco Welt am Sonntag, tenta di ricucire il tessuto lacerato delle istituzioni.
Si fa interprete dell’esigenza di responsabilità che si richiede alla politica e del bisogno di normalità che chiede il Paese.
Si fa ancora una volta custode della Costituzione.
Non per conservarla staticamente, ma per farla agire dinamicamente nella naturale dialettica tra i poteri.
Questo vuol dire Napolitano, quando parla dei processi del premier osservando che si svolgeranno “secondo giustizia”: il nostro sistema giurisdizionale, incardinato coerentemente nel meccanismo della garanzia costituzionale, gli permetterà di difendersi davanti ai tribunali, di far valere le sue ragioni di fronte ai suoi giudici naturali.
Si tratta solo di riconoscere la legittimità dell’ordinamento giuridico e la validità dei suoi codici.
Si tratta solo di accettare l’irrinunciabilità di un principio che sta alla base della convivenza civile: la legge è uguale per tutti, tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge.
In altre parole, si tratta solo di riconoscere lo Stato di diritto, di difenderlo come una missione, e non di subirlo come una maledizione.
Invece è proprio questo che Berlusconi ha fatto e continua a fare.
Il capo del governo, nel suo ormai rituale messaggio domenicale ai promotori della libertà , fa l’esatto opposto di quello che ha fatto e continua a fare Napolitano.
Allarga lo strappo istituzionale, esaspera lo scontro tra i poteri, rilancia le “riforme della giustizia” a una sola dimensione: non quella dei cittadini, che chiedono un sistema giurisdizionale più equo, più rapido e più efficiente, ma quella del premier, che esige una magistratura umiliata, delegittimata e subordinata alla politica.
Spaccare il Csm, separare le carriere, stravolgere i criteri delle selezioni dei giudici della Consulta, reintrodurre l’immunità parlamentare come mezzo per assicurarsi l’impunità politica, rilanciare la legge – bavaglio per negare ai pm l’uso di un prezioso strumento investigativo come le intercettazioni e per negare all’opinione pubblica il diritto di essere informata su ciò che accade negli scantinati del potere.
Tutto questo non è nobile “garantismo liberale”, ma truce avventurismo politico.
Non è alto “riformismo costituzionale”, ma bassa macelleria ordinamentale. “Atti insensati”, quelli della Procura milanese?
Piuttosto sono “atti sediziosi” quelli del premier.
Ed è penoso, per non dire scandaloso, che su alcuni di questi atti trovi una sponda anche nel centrosinistra, che non sa più distinguere tra le leggi varate nell’interesse di una persona e quelle varate nell’interesse della collettività .
Con queste premesse, lo Stato di diritto non si difende nè si migliora: va invece abbattuto e destrutturato.
Questa è oggi la posta in gioco.
Questa è la portata della guerra tra il Presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio.
Una guerra asimmetrica tra un capo del governo che l’ha dichiarata e la combatte ogni giorno, e un capo dello Stato che non l’ha mai voluta e ora tenta di disinnescarla.
Ma in questa guerra, di qui al 6 aprile, il Cavaliere trascinerà ogni cosa. Trascinerà il governo, trasfigurato in una trincea dove l’unico motto di generali e luogotenenti è “credere, obbedire, combattere”.
Trascinerà il Parlamento, trasformato nel “tribunale del popolo” che dovrà opporsi a qualunque costo al tribunale di Milano.
Trascinerà il Paese, che non ha bisogno di “rivoluzioni” populiste nè di pulsioni autoritarie, ma urgente necessità di una strategia per tornare a crescere, produrre ricchezza e occupazione, a offrire opportunità alle donne e futuro ai giovani.
Questa è e sarà la guerra delle prossime settimane.
Proprio per questo, in un momento così difficile, dobbiamo essere grati a Napolitano.
Senza il suo Presidente, l’Italia sarebbe un’altra Repubblica.
“Monocratica”, non più democratica.
Massimo Giannini
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 21st, 2011 Riccardo Fucile
MENTRE L’INTERO POPOLO LIBICO SI STA SOLLEVANDO CONTRO IL REGIME DELL’ASSASSINO GHEDDAFI E IL RAIS VIENE DATO IN FUGA, SOLO IL VERGOGNOSO GOVERNO ITALIANO DIFENDE IL TIRANNO… A BERLUSCONI, FRATTINI E MARONI VERREBBE MENO L’AFFOGATORE DEI PROFUGHI… 5 MILIARDI ITALIANI REGALATI A UN ASSASSINO
Quasi trecento morti. I cecchini sparano sulla folla.
Al Jazeera: “Il rais in Venezuela”.
Saif Al Islam, figlio di Gheddafi, evoca scenari da guerra civile e smentisce la fuga del padre: “Il colonnello guida la lotta da Tripoli”.
Testimoni oculari hanno detto che a Tripoli i soldati si sono uniti ai manifestanti anti-Gheddafi.
Il palazzo del popolo, uno dei principali edifici del governo, è in fiamme nel centro della capitale libica Tripoli.
Lo hanno riferito fonti giornalistiche presenti alla scena, secondo cui “ci sono numerosi vigili del fuoco che stanno tentando di estinguere” il rogo.
L’emittente satellitare araba Al Jazeera riferisce che la rivolta ormai dilaga anche nella capitale libica.
Escalation di sangue in Libia, ma la tensione rimane alta in tutto il mondo arabo ed anche in Iran.
A quanto riferiscono le agenzie, lo scalo aereo di Bengasi, seconda città del Paese, è in mano ai manifestanti, tanto che a un aereo della Turkish Airlines, giunto in Libia per rimpatriare i cittadini turchi, è stato negato il permesso all’atterraggio.
Situazione sempre più tesa anche nella Capitale dove la folla ha dato l’assalto alla sede della televisione nazionale pubblica.
Razziati e dati alle fiamme anche altri edifici governativi a Tripoli.
Intanto si contano le vittime della giornata di ieri.
Quella domenica di sangue che ha segnato il sesto giorno di proteste e l’ulteriore inasprimento del confitto in atto.
Secondo l’organizzazione umanitaria Human Rights Watch, dall’inizio delle proteste, lo scorso 17 febbraio, i morti sono 233. 60 nella sola Bengasi.
Ed è proprio lì che si sono registrati gli episodi più gravi.
Nonostante alcuni esponenti delle forze di polizia si siano unite ai manifestanti, le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sulla folla arrivando a colpire anche un corteo funebre.
La brigata responsabile della sicurezza in città , al-Fadil Abu Omar, ha usato contro i manifestanti anche razzi Rpg e armi anti-carro.
”La maggior parte delle persone uccise in questi giorni a Bengasi sono state ferite da colpi d’arma da fuoco al cuore o allo stomaco”, ha riferito il medico dell’ospedale al-Jala di Bengasi, Mohammed Mahmoud, nel corso di un collegamento telefonico con la tv araba al-Jazeera.
Nel frattempo è giallo sulla possibile fuga dal Paese del colonnello Gheddafi. Secondo la televisione del Quatar il Rais sarebbe fuggito in Venezuela. Notizia smentita dal secondogenito Saif Al Islam che dice che “Muammar Gheddafi sta guidando la lotta a Tripoli e vinceremo”.
Il figlio del rais evoca scenari da guerra civile e il ritorno del potere coloniale. “La Libia è a un bivio — dice Saif — Se non arriviamo oggi a un accordo sulle riforme, non piangeremo solo 84 morti, ma migliaia e in tutta la Libia scorreranno fiumi di sangue”.
Anche la Francia, dopo Gran Bretagna e Germania, ha fermamente condannato l’uso della violenza, mentre l’Italia, dopo l’infelice battuta di Berlusconi (“Non voglio disturbare Gheddafi”), non ha ancora preso una posizione ufficiale.
Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, si è limitato a esprimere preoccupazione per la crisi in Nordafrica.
L’Italia “sottoscriverà qualsiasi tipo di dichiarazione che promuova la stabilità , la sicurezza e la prosperità nel Mediterraneo”, ha detto confermando che i timori sono legati, come già espresso da Roberto Maroni, alle “ripercussioni sulle situazioni migratorie nel sud del Mediterraneo”.
Mentre c’è un popolo che sta lottando per la libertà , pagando un tributo di centinaia di morti, il nostro Governo si preoccupa del flusso degli immigrati.
Che vergogna, che ribrezzo: siamo davvero diventati la feccia d’Europa, altro che “riforme liberali”, preferiamo far massacrare la gente del popolo basta non disturbare i nostri equilibri.
Hanno regalato 5 miliardi a Gheddafi perchè affogasse i profughi per conto terzi e ora gli viene meno il boia…poveretti.
Noi preferiamo invece preferiamo che il boia faccia la fine che merita.
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Febbraio 21st, 2011 Riccardo Fucile
AUMENTA IL NUMERO DI CHI VUOLE ANDARE A VOTARE: ARRIVA ORMAI AL 35%…CRESCE LA SFIDUCIA NEL GOVERNO E AUMENTA LA STANCHEZZA VERSO LA SITUAZIONE ATTUALE…IN CASO DI ELEZIONI, BERLUSCONI USCIREBBE SCONFITTO SIA ALLA CAMERA CHE AL SENATO
Il consenso del premier è in caduta libera.
Ormai soltanto il 28% degli italiani vuole che Silvio Berlusconi rimanga alla guida del Governo.
I sondaggi di Renato Mannheimer rivelano un Paese pronto ad abbandonare il Cavaliere anche a costo di andare a elezioni anticipate.
Aumenta infatti, rispetto a settimana scorsa, il numero di quanti pensano che il ritorno alle urne sia l’unica soluzione per uscire dalla situazione di stallo che si è creata dopo il caso Ruby.
Da dicembre scorso a oggi il “popolo del voto subito” è passato dal 26% al 35% di oggi.
Praticamente la maggioranza relativa degli italiani.
Per quanto concerne la guida dell’esecutivo, dal sondaggio pubblicato sul Corriere della Sera, emerge la volontà della maggioranza degli italiani di liberarsi di Berlusconi.
L’8% vuole un esecutivo con a capo un politico di centrodestra che non sia il Cavaliere, mentre il 17% ritiene sia preferibile che si formi un governo tecnico guidto da un’alta personalità istituzionale.
Berlusconi deve continuare a governare il Paese con l’attuale esecutivo per il 26% degli italiani, mentre appena il 2% ritiene che sia necessario un rimpasto senza che il Presidente del Consiglio sia sostituito da altri.
Secondo Mannheimer il crollo di consensi è dovuto al susseguirsi delle gravi accuse contro Berlusconi, che ne hanno indebolito il prestigio e l’autorevolezza, ma nel logoramento della figura del Cavaliere non ha contato in modo specifico l’uno o l’altro episodio o l’una o l’altra rivelazione scandalistica.
“E’ piuttosto — scrive Mannheimer — il succedersi quotidiano di queste ultime ad aver portato al sedimentarsi, lento ma progressivo, di una sfiducia crescente e, pertanto, al diffondersi del desiderio di interrompere la legislatura”.
Inoltre, secondo il presidente di Ispo, al di là del giudizio su Berlusconi, si è andata “allargando nel Paese, anche in una quota dell’elettorato di centrodestra e, specialmente, tra i tanti indecisi su cosa (e se) votare, la stanchezza per la situazione attuale, per l’instabilità che ne deriva e, non ultimo, per le evidenti difficoltà nell’azione di governo”.
Quindi, dicono molti, “di fronte a questo stato di cose perdurante tanto vale tornare a votare”, aggiunge Mannheimer.
In caso di elezioni politiche anticipate in primavera il Centrodestra di Silvio Berlusconi e Umberto Bossi risulterebbe sconfitto.
“Se ci fosse un’alleanza di tutte le forze delle opposizioni, da Futuro e Libertà fino a Sel di Nichi Vendola, certamente questo super-Polo avrebbe la maggioranza in Parlamento”, afferma Mannheimer.
Ma attenzione, “anche in caso di coalizione solamente di Centrosinistra, che metta cioè insieme il Partito Democratico, l’Italia dei Valori e Sinistra Ecologia Libertà , la vittoria sarebbe molto probabile sia alla Camera sia al Senato. Il Pdl e la Lega potrebbero tornare al governo soltanto se la sinistra si presentasse separata”.
E per quanto riguarda il leader?
“In caso di coalizione allargata, il candidato alla presidenza del Consiglio potrebbe essere o lo stesso Pierluigi Bersani o una figura di Centro come Pierferdinando Casini o una personalità esterna come Mario Draghi.
Mentre se l’alleanza fosse Pd-Idv-Sel, il candidato premier con maggior chance di battere il Centrodestra e Berlusconi sarebbe certamente Vendola”.
E infine le intenzioni di voto. “C’è una grossa confusione e i numeri cambiano tutti i giorni. Comunque il Popolo della Libertà oscilla tra il 26 e il 30%.
Mentre la Lega ritengo che sia stabile, non in calo ma nemmeno salita recentemente”.
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Febbraio 21st, 2011 Riccardo Fucile
NELLA CLASSIFICA DEI PAESI MENO CORROTTI, IL RUANDA HA SCAVALCATO L’ITALIA…. NEL PAESE AFRICANO UN MINISTRO SI E’ DIMESSO PER ALCUNE FOTO COMPROMETTENTI CHE L’HANNO RITRATTO AVVINGHIATO AD ALCUNE RAGAZZE: LA’ SONO DIVENTATI PAESI CIVILI
Qualche mese fa fece scalpore, si fa per dire, la notizia che nella classifica mondiale dei paesi meno corrotti, l’Italia era stata scavalcata dal Ruanda, piazzandosi al 67° posto.
Ora, sempre dal Ruanda, giunge notizia (ne parla la locale agenzia di stampa Rna, ripresa dal sito missionario alberwandesi.blogspot.com  ) che il ministro della Cultura e dello Sport, Joseph Habineza, si è dimesso dal governo dopo che alcune sue foto che lo ritraggono avvinghiato ad alcune ragazze, pare a una
festa per San Valentino, erano finite su Internet .
Bunga-bunga?
Per carità , mica siamo ad Arcore.
Balli, abbracci, bacetti e una mano malandrina spalmata sul sedere di una pulzella.
Tanto basta, in Ruanda, per dare le dimissioni, prontamente accettate dal premier di Kigali.
Habineza non ha detto che la ragazza era la nipote di Mubarak, non ha ricordato di essere eletto dal popolo, non ha minacciato riforme costituzionali nè manifestazioni di piazza.
Non risultano, in Ruanda, polemiche sulla violazione della privacy, la presunzione di innocenza, le foto a orologeria e l’antihabinezismo, nè appelli del capo dello Stato ad abbassare i toni, nè convegni di giornalisti governativi con mutande appese nè interventi del Garante, nè editoriali degli Ostellino locali (in Ruanda non ce ne sono) sulle ragazze sedute sulla propria fortuna.
Chissà le risate, in Ruanda, quando apprenderanno che nella civilissima Europa c’è un paese governato da un tizio non solo fotografato con quattro o cinque squinzie sulle ginocchia, le mani posate sulle “fortune” di due di esse, pochi giorni dopo aver sfilato al Family Day, ma pure rinviato a giudizio per induzione alla prostituzione minorile e concussione.
Due anni fa suscitò grande costernazione la notizia che Mediaset chiudeva il Bagaglino per mancanza di pubblico.
Il motivo della crisi era lo stesso che fa di “Cetto La Qualunque” un film neorealista, ma molto minimalista: il Bagaglino, valicate le mura del salone Margherita, è ormai dappertutto.
L’altra sera, per esempio, ha fatto tappa al Circolo degli Scacchi, che ha sede a Palazzo Rondanini al Corso, cenacolo — scrivono i giornali — dell’“aristocrazia romana”.
Lì infatti le nobili “ammiratrici” del Cainano hanno organizzato una “serata per sole donne” con “selezionatissimi invitati” (così li chiama il Corriere della Sera): ospiti d’onore Lui, il fido Apicella “munito di chitarra” e l’onorevole Annamaria Rossi.
“Nessuna di noi era minorenne, purtroppo”, ha commentato la più aristocratica fra loro, la principessa Nicoletta Odescalchi, “molto invidiata dal Cavaliere per il favoloso Caravaggio che custodisce nel suo palazzo”.
C’erano anche altre “nobildonne”, come “l’ideatrice della festa, la duchessa Nicoletta Maresca di Serracapriola”, che s’è fatta aiutare “dal conte suo amico Lupo Bracci”.
“Quattro tavoli da dieci persone — annota ancora il Corriere — e menu semplice: timballo, filetto in crosta e torta millefoglie con in cima una tipica decorazione scacchistica, caselle bianche e nere di panna e cioccolato. Era giovedì sera ma gli ospiti non hanno visto nè Benigni nè Santoro, ‘la tv non c’era proprio’, taglia corto il principe Mario Chigi, parco di parole e altri dettagli”.
Si sa soltanto che il principe di Arcore e Milanello — come “rivela il maestro Apicella”, marchese della Vongola — “ha cantato la canzone ‘Senza te’, che scrissero insieme e fa parte del vecchio album, e poi, da bravo presentatore, ha annunciato la performance dell’on. Bernini, che si è esibita in ‘Summertime’ di Gershwin, riscuotendo calorosi applausi”.
La contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare, impegnata nel varo di una nave con il ragionier Ugo Fantozzi, ha inviato un saluto denso di rammarico per non poter essere della partita.
Viva commozione anche in Ruanda.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 21st, 2011 Riccardo Fucile
I DOCUMENTI DIMOSTRANO L’IDEA CHE LA DIPLOMAZIA STATUNITENSE HA SUL CLOWN BERLUSCONI….DURI GIUDIZI SUL CAOS ORGANIZZATIVO AL G8 DELL’AQUILA: “BERLUSCONI IN EUROPA E’ ORMAI UNA CARICATURA”
Il premier Berlusconi “non è mai stato condannato in via definitiva nei processi a suo carico, che lo inseguono sin da quando è entrato in politica nel 1994”.
Diversi personaggi a lui vicini “sono però stati giudicati colpevoli, con sentenze confermate in appello”.
E in molti casi “per evitare una condanna al premier sono intervenuti i suoi legali, cercando di portare indietro nel tempo l’orologio della prescrizione.
In un caso addirittura il Parlamento controllato dal presidente del Consiglio ha ridotto i termini di prescrizione per i reati a suo carico” (la cosidetta legge ex-Cirielli).
È l’8 ottobre 2009, a pochi giorni dalla bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale, quando Elisabeth Dibble, numero due dell’ambasciata americana a Roma, scrive a Washington per raccontare cosa sta succedendo in Italia.
Dopo la bocciatura della legge che lo avrebbe protetto dai giudici – riferisce la diplomatica – Berlusconi si scaglia contro i giudici “comunisti” e attacca direttamente il presidente Napolitano “rompendo un tabù” di garbo istituzionale e tacciandolo “di essere stato eletto da una maggioranza di centro-sinistra”; il portavoce della maggioranza intanto critica la Corte, definendo la sua sentenza “sfacciatamente politica” e si affacciano quindi timori di una crisi di governo.
Un clima pesante, insomma. A Washington sono preoccupati.
Vogliono spiegazioni.
In un lungo cable, – che fa parte dei 4mila documenti ottenuti
da WikiLeaks di cui l’Espresso ha l’esclusiva- la Dibble lo fa.
Nel documento, classificato come “Confidential” e indirizzato al Dipartimento di Stato Usa – la funzionaria spiega che la Corte Costituzionale ha giudicato illegittima una norma che avrebbe evitato a Berlusconi di essere processato per almeno quattro reati di cui è accusato.
Pragmaticamente la Dibble avverte anche che gli italiani “fanno spallucce su queste questioni così come spesso dimenticano le frequenti gaffes del premier e le sue trasgressioni sessuali”.
Ma in ogni caso la bocciatura del lodo Alfano “ha indebolito il premier. Il doversi difendere dalle accuse – si legge nel documento – diventerà un’altra significativa distrazione” dalle attività di governo, “mentre le aspre critiche a Napolitano minacciano ulteriori divisioni tra Palazzo Chigi e il Quirinale” e hanno un eco poco favorevole tra i cittadini, che rispettano il Presidente della Repubblica.
La Dibble comunque tranquillizza Washington.
Berlusconi è indebolito ma non è sconfitto.
“Il premier ha ancora una solida maggioranza in Parlamento”.
Lo aiuta anche l’opposizione, con il Partito Democratico definito “disorganizzato”: l’ex leader Walter Veltroni ci ha detto che il Pd “sarà competitivo tra quattro-cinque anni, riconoscendo che nell’immediato futuro non sarà una seria alternativa a Berlusconi”.
E “i dissidenti della coalizione di maggioranza” infine “non sono ancora in grado di agire”. Le crepe però si vedono tutte.
Le prime, nella visione americana, si erano già aperte in occasione del G8 de L’Aquila.
Silvio Berlusconi nell’estate del 2009, alla vigilia del vertice tra capi di stato e di governo è già definito – in un altro cable, sempre firmato da Elisabeth Dibble – “una caricatura” in Europa, “bersagliato quotidianamente dalla stampa estera”.
In Italia invece in buona parte della stampa nazionale – nota con stupore l’ambasciata Usa – “pochi analisti sembrano essersene accorti”.
Ma il suo gradimento, fiaccato dai primi scandali a sfondo sessuale (le frequentazioni con la minorenne Noemi Letizia e gli incontri a palazzo Grazioli a cui partecipa la escort Patrizia d’Addario, con corredo di imbarazzanti registrazioni audio) comincia a vacillare.
“Berlusconi è lontano dai picchi di popolarità raggiunti nell’autunno del 2008 – scrive da Roma l’ambasciata Usa – e parte di questa sua debolezza è attribuibile alla stanchezza di molti italiani, inclusi gli elettori di centrodestra, nel vedere immagini in cui il presidente del Consiglio amoreggia assieme ad altri con giovani donne nelle sue residenze”.
La Dibble fotografa con esattezza un trend costantemente calante.
Nell’aprile del 2008 l’indice di fiducia calcolato dall’Istituto Piepoli è a quota 52, sull’onda del tributo alla Resistenza che il premier fa ad Onna, quando in una cerimonia indossa il fazzoletto della brigata partigiana Maiella.
Ma ad agosto 2008 è già precipitato a quota 46: in quei quattro mesi hanno fatto irruzione la visita a Noemi Letizia a Casoria, l’ira di Veronica Lario per il “ciarpame senza pudore”, i festini a palazzo Grazioli con la escort Patrizia D’Addario.
E nel giugno 2009, alla vigilia del G8, si tocca pericolosamente quota 42. Berlusconi lo sa, e come spesso accade inventa il suo colpo di teatro.
Il vertice dei capi di stato e di governo non si farà più alla Maddalena, annuncia Berlusconi nell’aprile 2009, ma sarà trasferito a L’Aquila, da poco devastata dal terremoto.
Una sfida coraggiosa, ma anche una decisione ispirata da opportunismo.
Il 27 giugno la Dibble scrive direttamente al presidente Barack Obama, che sta per arrivare in Italia, e gli illustra cosa troverà .
“Il summit – dice – era in origine previsto alla Maddalena – ma la realizzazione delle opere programmate era molto lontana dalla realizzazione”.
Così ci si trasferisce a L’Aquila.
E sull’appuntamento il premier conta molto per invertire il trend di popolarità calante.
Berlusconi – leggerà Obama nel rapporto – è in questo momento in difficoltà nell’affrontare i reali problemi economici del Paese, ed “è ansioso di ospitare Lei e questo evento dimostrando il suo ruolo e la sua importanza in qualità di capo di governo più longevo del G8. In Italia tutti gli occhi saranno puntati sul premier, ed il vertice cade proprio mentre la stampa nazionale ed internazionale è piena di impressionanti accuse che riguardano la sua condotta privata. Berlusconi – spiega la Dibble – spera di usare il vertice per dimostrare che gode del rispetto internazionale”.
Gli americani staranno al gioco. A mettere i bastoni tra le ruote – paradossalmente – saranno gli italiani.
Per strafare l’Italia organizza il G8 infilando nel programma tutti i temi possibili.
Si dovrà parlare di stabilità finanziaria, di clima, di energia, di sicurezza, di pirateria, dei rapporti tra Pakistan e Afghanistan, di non proliferazione degli armamenti, di commercio mondiale ed anche di sicurezza dell’alimentazione. La Farnesina e gli sherpa sono un vulcano di iniziative.
Tante. Troppe.
“La proliferazione di argomenti e una lista continuamente crescente di invitati caratterizza il vertice”, scrive la Dibble, che usa toni ironici.
A L’Aquila in effetti ci sono tutti.
Il gruppo dei 5 emergenti Outreach (Cina, India Brasile, Sudafrica e Messico), avrà il piacere di vedersi allargato a Corea del Sud, Indonesia e Australia. I paesi del Mef (Major Economic Forum) inizialmente sono soli, ma l’organizzazione italiana provvede ad affiancargli anche la Danimarca.
Ci sono anche gli africani del Nepad (Libia, Egitto, Algeria, Senegal, Nigeria ed Etiopia).
L’Egitto però avrà in dono anche la possibilità di rendersi ubiquo potendo discutere anche con il gruppo Outreach.
In più, visto che c’era posto, sono state chiamate anche Spagna e Olanda.
“Il vertice del G8 italiano – scrive sconsolata la Dibble – sarà il più grande mai organizzato, superando come partecipanti anche il G20. Il risultato? “Sminuita la coesione tra i partner e vanificato l’obiettivo italiano di rendere adeguato il summit”, e questo anche grazie a ministri in competizione tra loro.
L’Aquila insomma è una Babele con pochi frutti, ma gli americani daranno una mano.
Anche perchè, conclude la Dibble, gli italiani si sono detti disponibili a venire incontro “dovunque a tutte le nostre esigenze”.
“La sua visita – signor Presidente ha un significato particolare per il governo, mentre il premier Silvio Berlusconi vede il summit come l’occasione per dare di sè l’immagine di uno statista”.
Fabio Bogo
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 21st, 2011 Riccardo Fucile
TRA GLI ITALIANI ALL’ESTERO C’E’ CHI SI FINGE SPAGNOLA: “MI VERGOGNO DI ESSERE ITALIANA”…”CI STA COPRENDO DI RIDICOLO”… “UN PAESE SEMPRE PIU’ SIMILE AD UN’AUTOCRAZIA ARABA”
Sono molti gli articoli su Berlusconi sulla stampa internazionale.
Il Times gli dedica due pagine, con un servizio sulle “mamme-nonne d’Italia che hanno perso l’istinto materno” nei confronti del premier e un mini-sondaggio tra alcuni italiani famosi che risiedono a Londra o girano il mondo, per sentire il loro parere sul Cavaliere.
“La situazione è atroce”, dice per esempio l’architetto Massimilano Fuksas. “Quando incontro gente a New York o in Cina, la prima cosa che mi dicono, ridendo, è bunga-bunga. Chiedono se tutti noi italiani siamo così, e se non lo siamo, domandano perchè non ci liberiamo di lui. L’Italia è diventata un paese di cui l’Unione Europea dovrebbe preoccuparsi”.
Lo scrittore Roberto Saviano afferma che ciò che Berlusconi più teme, in caso di una condanna, è “di non poter più occupare incarichi pubblici”.
Livia Giuggioli, produttrice cinematografica e moglie dell’attore candidato all’Oscar Colin Firth, è sdegnata: “Mi vergogno di essere italiana. Ormai vado in giro dicendo che sono spagnola. E’ una tragedia avere avuto quest’uomo al potere per così tanto tempo. Eppure continua a prendere voti. Questa è la domanda a cui vorrei sentire una risposta: perchè? Lo scandalo sessuale è orribile ma non è la cosa più orribile su di lui. Ma se saranno i party del bunga-bunga a farlo cadere, mi va bene lo stesso”.
Stefano Dominella, presidente della casa di moda Gattinoni, dichiara al quotidiano londinese: “Vorrei essere rappresentato nel mondo da un presidente del Consiglio decisamente più tranquillo. Tutti sanno che il premier ha appetiti sessuali inappropriati per un uomo della sua età . Ha reso l’Italia lo zimbello del pianeta ed esposto se stesso a ricatti”.
E Nancy Dell’Olio, l’ex-fidanzata dell’allenatore dell’Inghilterra Sven Goran Eriksson, afferma: “Quando sei un personaggio pubblico e specialmente un primo ministro, ci sono certe cose che non si possono fare. E’ triste finire la propria carriera in modo simile. Non c’è niente di peggio che ricoprirsi di ridicolo. Non mi piace quello che sta succedendo. E’ una vergogna”.
Su Berlusconi dicono la loro anche due italiane in un articolo sull’Herald Tribune, edizione internazionale del New York Times: “Ne abbiamo abbastanza del machismo all’italiana del premier, ecco perchè tante donne sono scese in piazza contro di lui, l’Italia è una delle otto potenze industriali della Terra, ma quanto al trattamento riservato alle donne vive nel medioevo”, scrivono Chiara Ruffa, ricercatrice del Kennedy Center dell’università di Harvard, e Rosa Raffaelli, della Scuola Sant’Anna di Pisa.
E su Berlusconi riferisce un pettegolezzo anche Sarah Brown, moglie di Gordon Brown, primo ministro fino al maggio scorso. In un libro di memorie, anticipato dal Daily Mail, l’ex-first lady britannica rivela che durante un convegno internazionale “vedemmo Berlusconi mentre chiedeva il numero di telefono a Naomi Campbell”.
Da segnalare anche la nota rubrica “Lex Column” del Financial Times, che paragona l’Italia a un paese arabo, “un’economia sclerotica, una cultura corrotta dal crimine organizzato, una classe politica controllata dalla gerontocrazia e un premier 74enne che ha molti aspetti di un classico autocrate arabo, è immensamente ricco, controlla la grande parte dei media ed è circondato da “yes men”.
Il suo miglior amico dovrebbe essere Gheddafi, il dittatore libico, a sua volta in un mare di guai.
Forse Mubarak dovrebbe dargli un consiglio sulla giustezza di una strategia improntata a resistere fino all’ultimo, ma tutto quello che il premier italiano deve fare per mettere fine a questa commedia è indire elezioni anticipate, e allora saranno gli italiani ad avere l’ultima risata”.
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