Febbraio 16th, 2011 Riccardo Fucile
GLI SPAZI POLITICI LASCIATI APERTI DA UN PDL SPACCATO NON VENGONO OCCUPATI DA FLI: E’ ORA CHE QUALCUNO DENUNCI L’INCONGRUENZA… MENO CENETTE E PIU’ PRESENZA NEI QUARTIERI: SE QUALCUNO ASPETTA SOLO DI MONETIZZARE LA SUA SCELTA SENZA FARE POLITICA, DIVIDENDOSI TRE CARICHE PUBBLICHE, POTEVA RIMANERE NEL PDL… UN PARTITO LOCALE MINIMALISTA NON HA NE’ FUTURO NE’ LIBERTA’
Siamo restii da tempo a entrare nelle vicende genovesi, avendo per scelta il nostro sito preferito assumere un respiro nazionale, ma non riteniamo più possibile tacere su un argomento che ci preme sottolineare.
Genova assiste a uno sfaldamento della maggioranza di centrosinistra che governa da tempo immemorabile il Comune, con accuse reciproche tra il sindaco Vincenzi e il suo partito di appartenenza, il Pd.
Contestualmente il Pdl è dilaniato da polemiche interne, da regolamenti di conti tra le varie correnti, con continui riposizionamenti su sponde diverse.
L’anno prossimo ci saranno le elezioni comunali e non vi è nulla di certo: il sindaco uscente, la Pd Marta Vincenzi, non sa se avrà o meno l’appoggio del suo partito e potrebbe anche correre da sola con una lista civica.
Altrettanto farà l’ex Pdl Enrico Musso con una sua lista che sta strutturando da tempo e che vedrà presenze trasversali (e l’appoggio di Fli).
Il Pdl non ha ancora un candidato ed è arrivato persino a valutare l’ipotesi di appoggiare un esponente della Lega ( partito a Genova ad appena il 9%) per togliersi ogni responsabilità .
Un quadro di sfascio generalizzato che ben si presterebbe all’azione politica incisiva di un “partito nuovo” come dovrebbe essere “Futuro e Libertà “.
Ma a sei mesi dalla nascita, il bilancio è il seguente: manifesti affissi in città zero, attività politica sul territorio zero , presenze negli ultimi mesi nel dibattito politico cittadino zero, riunioni organizzative zero.
A bilancio, tre cene conviviali con esponenti nazionali.
Ma sfugge forse a qualcuno che non si tratta qua di gestire una sezione del Rotary o di permettere a qualche signora di sfoggiare l’abito da sera, qua si parla di “partito politico”.
E fa specie che la sua classe dirigente preferisca una presenza minimalista, quasi una scelta di campo che comporti automaticamente la medaglietta da onoreficenza per future cariche pubbliche nazionali.
Ua filosofia improntata al berlusconismo puro: “tanto i voti li porterà Fini, inutile fare sforzi”.
Trattandosi di dirigenti non ancora prossimi al ricovero in casa di accoglienza, almeno in termini anagrafici, sarebbe opportuno che costoro si rendessero conto che i voti vanno conquistati palmo a palmo, strada per strada, casa per casa.
Possibilmente parlando di politica ed esponendo le tesi di Futuro e Libertà non nei circoli del golf o negli ammezzati, ma rivolgendosi all’opinione pubblica della città .
Renderebbero un servizio al partito, visto che da quel partito ambiscono ricevere anche onori e non solo oneri.
Che senso ha strutturare un partito con un responsabile regionale (non di Genova, tra l’altro), unico autorizzato a parlare?
Che senso ha un coordinatore cittadino che non può o vuole aprire bocca da mesi?
Che senso ha non intervenire per porre fine a una frattura interna che di fatto sta bloccando ogni attività da mesi?
Che senso ha leggere sul giornale che si dovranno attendere otto mesi per arrivare a un congresso locale che fissi l’organigramma e sentire dichiarazioni di reciproche diffide a nominare nel frattempo un responsabile provinciale?
E per un anno Futuro e Libertà non dovrebbe quindi fare politica a Genova?
Un partito nazionale dato tra il 6% e il 7% che fa nel frattempo?
Che fanno coloro che vorrebbero aderire?
Contano le pecore?
Ma che sistema delirante è mai questo?
In un periodo di vuoto pneumatico di idee e di militanza del centrodestra locale, una forte struttura organizzata avrebbe un terreno immenso da coltivare e battere, non solo menù da esaminare.
Eppure nessuna voce si alza, tutti intenti a coltivare le proprie amicizie per contendersi una futura segreteria.
Non lamentiamoci poi dei casi Viespoli se localmente si stanno riproducendo tanti piccoli cloni senatorizi.
Futuro e Libertà per decollare ha bisogno di contenuti e questi programmi devono essere veicolati tra la gente comune.
Per farlo occorre una ” forma organizzazione” al servizio dei simpatizzanti e dei cittadini, occorre una presenza visiva, occorre rabbia e carica, sudore e lucidità propagandistica.
Non sfilate di modelli per tutte le stagioni, in attesa di avere il posto a “teatro Montecitorio” assegnato in prima fila.
Non può esistere un “partito fantasma” dove chi si avvicina per dare una mano viene allontanato al motto “meglio essere in pochi a gestire” così non si deve rendere conto a nessuno.
Se a Roma dormono e a Genova sonnecchiano, invece che gestire un partito era meglio che prendessero la direzione di un albergo stagionale in Riviera.
Ci sarebbe stato sicuramente meno Futuro, ma più Libertà di sentirsi a proprio agio in costume da bagno.
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Febbraio 16th, 2011 Riccardo Fucile
LA DECISIONE DEL RINVIO A GIUDIZIO DEL PREMIER DA PARTE DEL GIP DI MILANO ACCOLTA CON SODDISFAZIONE IN QUESTURA… ORA SONO “PARTI OFFESE”: “ABBIAMO RESISTITO ALLE PRESSIONI DI CHI VOLEVA RUBY FUORI SUBITO, NON E’ STATO BELLO VEDERE CERTE SCENE”
“Lo sapevo che avevamo ragione noi, meno male: ma non per noi, per la professionalità delle Volanti di Milano, per tutti i colleghi”.
C’è soddisfazione in Questura, a Milano, tra i poliziotti che lavorano all’Ufficio prevenzione generale (quelli delle Volanti in turno la notte in cui è scoppiato il Ruby-gate) alla notizia del provvedimento di rinvio a giudizio emesso dal gip di Milano Cristina Di Censo in cui i vertici della Questura coinvolti nel rilascio di Karima El Mahroug sono citati come “parti offese” nell’ipotesi di reato relativa alla concussione che viene contestata al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
“Abbiamo resistito alle pressioni che la volevano fuori subito, commentano alcuni agenti del turno, che si scambiano sorrisi e strette di mano, e abbiamo fatto bene. Anche se non è stato bello, ammettono, vedere certe scene… ”. “Anche perchè, aggiunge uno, di tutti quei minorenni che per mancanza di posti nei centri vengono rimessi in strada il mattino dopo, e sia chiaro, con il consenso dei magistrati, o di quelli che vengono riaffidati ai parenti maggiorenni con i quali erano stati sorpresi a commettere reati, di quelli non importa niente a nessuno”
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Febbraio 16th, 2011 Riccardo Fucile
BUFERA GIUDIZIARIA SUL PREMIER CHE POTREBBE VEDERSI NEGATI I DIRITTI DI ELETTORATO ATTIVO E PASSIVO… LE VIE POSSIBILI, I RISCHI, LE PROSPETTIVE
Scegliere il giudizio abbreviato o il patteggiamento, oppure farsi sottoporre al «normale» dibattimento.
Sono le tre strade che si aprono davanti al presidente del Consiglio dopo che il gip di Milano ha disposto per lui il giudizio immediato per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile nell’ambito del caso Ruby.
Il codice di procedura penale prevede infatti che in caso di giudizio immediato, che è un rito speciale caratterizzato dalla mancanza dell’udienza preliminare e a cui si ricorre quando vi sia «l’evidenza» della prova , l’imputato abbia 15 giorni di tempo dalla notifica del relativo decreto per chiedere di essere sottoposto al giudizio abbreviato o in alternativa il patteggiamento; diversamente, viene sottoposto al processo ordinario.
L’abbreviato presenta il vantaggio che si celebra in camera di consiglio, cioè a porte chiuse, e in caso di condanna comporta la riduzione di un terzo della pena; ma ha lo svantaggio che la decisione viene presa allo stato degli atti, sulla base cioè di quanto è stato raccolto dalla procura e dai difensori con le proprie indagini.
È però possibile chiedere questo rito ponendo condizioni, come per esempio l’assunzione di determinati testimoni.
Sembra però difficile che Silvio Berlusconi scelga questa strada, e ancora di più quella del patteggiamento, che consiste nell’applicazione della pena su richiesta delle parti: perchè il patteggiamento si traduce nella sostanza in un’ammissione da parte dell’imputato dei fatti che gli sono contestati, anche se presenta il vantaggio di comportare l’esclusione delle pene accessorie, cioè in questo caso scongiurerebbe l’interdizione dai pubblici uffici.
L’ipotesi più probabile è che il premier scelga la via ordinaria.
Ma anche in questo caso le sorprese non mancherebbero.
La stessa prima udienza potrebbe slittare se i difensori del presidente del Consiglio facessero valere il legittimo impedimento, magari per la convocazione concomitante di un Consiglio dei ministri.
Dopo la recente sentenza della Consulta ora l’impedimento del premier a comparire in giudizio va valutato nel concreto dai giudici, ma comunque potrebbe essere riproposto nelle varie udienze del processo.
Solo nella fase iniziale, e dunque prima dell’apertura del dibattimento, i legali di Berlusconi potrebbero invece sollevare le eccezioni sulla competenza del tribunale di Milano a giudicare il premier: sostenendo come hanno già fatto che l’unico soggetto «titolato» è il tribunale dei ministri per quanto riguarda la concussione, e il tribunale di Monza per la prostituzione minorile.
Una questione su cui aleggia lo spettro del conflitto di attribuzioni, dopo che la Camera dei deputati ha escluso la competenza della procura di Milano.
Solo nella fase iniziale del processo gli avvocati del premier potrebbero inoltre contestare la correttezza dell’operato del gip nel valutare la sussistenza dell’evidenza della prova sulla base della quale è stato disposto il giudizio immediato.
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Febbraio 16th, 2011 Riccardo Fucile
E’ USCITO IN LIBRERIA “VANDALI” IL NUOVO LAVORO DI RIZZO E STELLA CHE DENUNCIANO LA DISTRUZIONE DEL PATRIMONIO ARTISTICO E CULTIRALE IN ITALIA…UN PAESE IN ROVINA PER COLPA DELLA POLITICA E DEGLI SPRECHI DI CHI NE E’ ALLA GUIDA
Avvocati e rappresentanza
A Palazzo Chigi spese decuplicate
Nel bilancio di Palazzo Chigi non c’è nemmeno il numero delle persone che lavorano lì.
Per farsi un’idea bisogna andare nel portale della Ragioneria, dove c’è un dato del 2008.
Quando i dipendenti erano 2384 più 14 precari.
Notizie sugli staff, i comandati, gli esterni? Zero.
Si sa che sono centinaia. Punto. (…)
In un anno il costo del personale di “staff” di Palazzo Chigi è passato da 20 a 21,8 milioni: più 8,8%.
Motivo, “la riconfigurazione degli organi del vertice politico. Con decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 9 luglio 2009 è stato nominato il nuovo ministro per il Turismo”. Tutta “colpa” di Michela Vittoria Brambilla.
La manovra prevedeva di tagliare del 5% o del 10% gli stipendi pubblici più alti a partire da subito: dal 1° gennaio 2011.
Un momento: non tutti gli stipendi pubblici.
Non quelli, ad esempio, dei collaboratori più stretti del governo a Palazzo Chigi. Lo dice lo stesso bilancio ufficiale.
Spiegando che il taglio tremontiano valido per tutti gli altri italiani “ha sollevato alcuni dubbi di natura interpretativa con specifico riferimento ai destinatari”.
Quindi? In attesa di capire bene, tagli congelati.
Anzi, il capitolo di spesa per i compensi del segretario generale e i suoi facenti funzioni dovrebbe crescere nel 2011 da 430.000 a 520.000 euro.
Come pure la voce che riguarda lo stipendio di Berlusconi, dei ministri senza portafoglio e dei sotto-segretari alla presidenza: da 1,6 a 2,1 milioni. Cinquecentomila euro in più. Un aumento venti volte superiore all’inflazione.
E non è l’unica impennata.
Nel preventivo 2009 le spese di rappresentanza erano fissate in 200.000 euro. Sono quadruplicate: 800.000.
Quelle per i convegni, i congressi, le visite ufficiali del premier erano stabilite in 900.000 euro: hanno passato di slancio i 6 milioni , più quasi 4 non previsti per “spese relative a eventi istituzionali anche di rilevanza internazionale”.
Totale: una decina. Oltre il decuplo.
Come di dieci volte sono aumentate le spese legali e le parcelle degli avvocati: un milione nelle previsioni, 10.651.000 euro nel consuntivo finale.
Com’è possibile sbagliarsi di dieci volte?
Bondi e gli “affari” di famiglia
La prima moglie? Paga il ministero
“L’amore è una cosa meravigliosa. Ma a volte mette a repentaglio. È successo anche a Sandro Bondi, ministro per i Beni culturali e il patrimonio artistico.
Che, per eccesso di batticuore, rischia di perdere il suo seggiolone dorato.
Il 2010, infatti, è stato punteggiato da una serie di episodi, che stanno sgretolando la sua immagine.
“Per amore dell’onorevole Repetti, la nuova fidanzata” prosegue la rivista, “Bondi si è infilato in un altro guaio familiarpolitico”.
Anzi due.
La signora, infatti, ha un figlio maschio, Fabrizio, e un ex (dal quale è in via di divorzio), Roberto Indaco. Guarda caso entrambi “sistemati” dal ministero retto da Bondi: Fabrizio, laureando in Architettura, beneficia di un contratto interinale al Centro Sperimentale di Cinematografia.
Il padre Roberto si è portato a casa, grazie al Fondo unico per lo spettacolo nel 2009, una consulenza di 25.000 euro per “Arte e moda”.
A chi gli chiedeva ragione, Bondi ha risposto: “Sono intervenuto per risolvere due casi umani…”.
E la prima moglie? Il settimanale Oggi la scova alla fine del 2010 a New York.
La signora Maria Gabriella Podestà ora vive lì. Grazie a un contratto con il ministero degli Esteri: “Mi occupo della promozione della nostra cultura”.
Che coincidenza! “È lecito pensare che anche il suo incarico al consolato sia arrivato per intercessione del ministro?” le chiede l’inviata Marianna Aprile.
E lei, ingenua creatura: “Il dubbio ce l’ho anch’io. Io mi trovavo bene nella mia scuola, a Salò. Può essere che il mio ex marito avesse interesse a spedirmi di nuovo in America.
In fondo, il mio contratto a New York gli ha portato solo vantaggi: è arrivato proprio nel momento in cui c’erano da definire gli alimenti. E, infatti, io per me non ne ho chiesti, perchè di lì a poco avrei avuto lo stipendio del ministero per gli Affari Esteri. Non solo: oggi lui chiede la riduzione del mantenimento di Francesco proprio in virtù del mio nuovo reddito”.
Vitalizio più ritorno in Rai
Due stipendi per Marrazzo
Ricordate la storia dello psichiatra Luigi Cancrini?
Eletto deputato coi Comunisti italiani, sosteneva che gli spettasse oltre allo stipendio della Camera anche il vitalizio della Regione Lazio maturato dopo esser stato consigliere regionale per tre legislature.
Era così sicuro di averne diritto da fare ricorso al Tribunale civile di Roma. Scoppiò un putiferio.
E prese le distanze anche il governatore Piero Marrazzo: “I costi della politica sono già così alti che se riuscissimo a ridurne qualcuno faremmo cosa buona e giusta”.
Sagge parole. In seguito allo scandalo che lo costrinse a dimettersi è arrivato però anche il suo turno.
E allora non c’è stato più “costo della politica” che tenesse. Anzi, gli è sembrata cosa buona e giusta, archiviata l’avventura politica dopo appena quattro anni e mezzo da governatore e incamerata la liquidazione (31.103 euro per un solo mandato quinquennale) passare all’incasso anche per il vitalizio.
Possibile? E da quando?
Alla domanda di Giuseppe Rossodivita, il capogruppo radicale in Regione deciso a vederci chiaro, è stato risposto: dal 12 maggio 2010.
Quando l’ex presidente, nato il 29 luglio 1958, aveva 51 anni.
Quattordici in meno di quelli richiesti per andare in pensione agli italiani.
Gli spettano circa 4000 euro lordi al mese. Una cifra con cui si potrebbero pagare due giovani archeologi dei Beni culturali.
Dovesse serenamente invecchiare come un italiano medio, cosa che con affetto gli auguriamo, riceverà complessivamente, al lordo, circa un milione e mezzo di euro.
Per una cinquantina di mesi di lavoro.
Se fosse ancora il conduttore di Mi manda Raitre e questa storia riguardasse qualcun altro, colpevole di essersi rovinato con le proprie mani, ci farebbe sicuramente un servizio.
Non basta: grazie al fatto che quella prebenda mensile è un vitalizio e non una pensione, distinzione che fa salire il sangue alla testa ai lavoratori normali quale che sia il loro reddito, Marrazzo potrà liberamente cumulare i soldi con lo stipendio di giornalista della Rai (discreto se è vero che giurava di rimetterci, a fare il presidente regionale) dove nel frattempo è rientrato.
Ex parlamentari ed ex consiglieri
Doppi compensi a tutti
Per i vitalizi degli ex onorevoli nel solo 2010 abbiamo speso 219 milioni.
Molto più di quanto incassano in due anni tutti i nostri musei e siti archeologici messi insieme.
Eppure non è tutto: nonostante le roventi polemiche di qualche anno fa sulla Casta dei politici, è rimasto intatto perfino il doppio vitalizio.
Un esempio: Giulio Maceratini.
Parlamentare per sei legislature, missino prima e aennino poi, prende 9.947 euro al mese come ex onorevole. Più 9.088, stando alle tabelle, come ex consigliere regionale del Lazio.
Totale: 19.000 euro e spicci al mese. Lordi.
Fatti i conti: basterebbero a pagare una bella fetta della task force di giovani studiosi per Pompei.
Un caso isolato? Niente affatto.
Tra i pensionati della sola Regione Lazio sono in 21 su 179: quasi un ex consigliere su otto. (…)
Ma quanti sono i politici sparsi per l’Italia che hanno avuto due vite?
Duecento, trecento, chissà .
Il numero sfugge alle statistiche. In Lombardia, per fare un altro caso, i titolari di doppio vitalizio parlamentare e regionale (più modesto di quello laziale) sono 22.
C’è chi dirà : possibile che non ci sia un limite?
Vi risponderanno che c’è: la doppia pensione si può incassare solo se non si rientra in Parlamento o alla Regione. (…)
Ma poteva mancare l’eccezione? No: alla Regione siciliana, quella leggina di argine agli eccessi, si erano completamente “scordati” di farla.
Ah, la memoria…
Se ne “accorsero” solo nel 2006, quando sei ex deputati regionali (Giovanni Ricevuto, Giuseppe Firrarello, Nino Strano, Franco Piro, Vladimiro Crisafulli e Angelo Capodicasa: tre di destra, tre di sinistra) finirono a Roma intascando, grazie alla provvidenziale dimenticanza, la paga da deputato o senatore più il vitalizio dell’Ars, che poteva arrivare a 9.947 euro al mese.
Un’offesa a tutti i comuni mortali.
Alla quale si rimediò con un’altra assurdità : una norma che proibiva il cumulo, ma solo dal 1° gennaio 2011.
Risultato: con le elezioni del 2008 gli ex deputati siciliani con doppia busta paga sono passati da sei a quattordici.
(da “Vandali“)
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Febbraio 16th, 2011 Riccardo Fucile
“SORTEGGIATE” PER IL PROCESSO AL PREMIER: ECCO CHI SONO GIULIA TURRI, CARMEN D’ELIA E ORSOLINA DE CRISTOFARO… ENTRATE IN MAGISTRATURA NEL 1991, ALLA VIGILIA DI “MANI PULITE”
Dopo le toghe rosse quelle rosa.
Le donne ormai per il Cavaliere rischiano di diventare un incubo.
Non bastavano le centinaia di migliaia di manifestanti che domenica sono scese in piazza.
Adesso ci si mettono anche le sei donne che sono state chiamate a giudicarlo nei due processi chiave dei prossimi mesi: i casi Ruby e Mills.
Se poi si aggiunge Ilda Boccassini, cioè uno dei tre pm che conducono le indagini… bè, fanno sette donne che il Premier si troverà di fronte nel suo cammino giudiziario.
Dopo la decisione presa ieri dal gip — Cristina Di Censo, un’altra donna — adesso la parola è passata alla quarta sezione penale del Tribunale di Milano.
E qui è entrato in gioco il sistema elettronico che decide la composizione dei collegi.
Insomma, i nomi dei magistrati sono affidati al caso, che, però, stavolta ci ha messo un pizzico di ironia: il cervellone del Tribunale si chiama Giada, un altro nome femminile.
E’ stata proprio Giada a mettere insieme il collegio che giudicherà Berlusconi il 6 aprile.
Non è la prima volta che Giulia Turri, Carmen D’Elia e Orsolina De Cristofaro incrociano le loro storie: quasi coetanee — tra i 43 e i 48 anni — sono entrate in magistratura nel concorso del 1991, alla vigilia di Mani Pulite.
“Molto motivate”, le definiscono i colleghi.
Non c’è dubbio: passando la sera sotto il grande parallelepipedo scuro del Palazzo di Giustizia di Milano capita spesso di vedere le finestre dei loro uffici ancora accese.
Carriere simili, stesso slancio. Ma diverso carattere.
Giulia Turri, 48 anni, presidente del collegio, viene unanimemente definita un “tipo tosto”.
Insomma, alla schiera di avvocati del Cavaliere, da Niccolò Ghedini a Piero Longo, non converrà adottare una tattica aggressiva altrimenti troveranno pane per i loro denti.
Un altro punto a svantaggio di Berlusconi? Non necessariamente.
Turri è magistrato di polso, sa tenere in mano le redini del processo, senza lasciarsi mettere sotto nè dagli avvocatoni dai nomi altisonanti, nè dai pubblici ministeri.
Turri del resto è una che ha già avuto a che fare con imputati noti: è lei che nel marzo del 2007 firmò l’ordinanza di arresto di Fabrizio Corona per i presunti fotoricatti ai vip.
È sempre lei che nel novembre del 2008 ha rinviato a giudizio l’ex consulente Fininvest e deputato del Pdl Massimo Maria Berruti.
Carmen D’Elia, milanese di 44 anni, è una “vecchia conoscenza” del Cavaliere: aveva già fatto parte nel 2002 del collegio di giudici (presieduto da Luisa Ponti, altra donna!) che doveva occuparsi della vicenda Sme.
Tra gli imputati, appunto, Berlusconi.
D’Elia, assieme agli altri due componenti del collegio, il 22 novembre 2003 pronunciò la sentenza di condanna in primo grado a 5 anni per Cesare Previti e quella per gli altri imputati, tra cui Renato Squillante e Attilio Pacifico.
La posizione del co-imputato Berlusconi venne invece “stralciata” e il processo a suo carico venne affidato a un altro collegio.
Carmen D’Elia e gli altri due magistrati si astennero dal giudicare per “incompatibilità ”, avendo già emesso sentenza nei confronti degli altri imputati.
Insomma, sarà difficile per Berlusconi sostenere che D’Elia ha un atteggiamento pregiudizialmente ostile nei suoi confronti, visto che alla fine il Cavaliere , nel 2008, venne assolto per il caso Sme.
Ma D’Elia è stata anche giudice a latere nel processo contro Pier Paolo Brega Massone, l’ex primario della clinica Santa Rita condannato in primo grado a 15 anni e mezzo.
Accanto a lei già allora Orsola De Cristofaro, giudice ancora giovane, ma con esperienza sia come pm che come gip.
Schiva, ma gentile, con imputati, avvocati e cronisti che la conoscono per la cortesia con cui li accoglie, senza “purtroppo” mai rivelare una notizia.
Tre donne, quattro con Ilda la rossa.
Non è finita qui.
L’11 marzo comincia l’altro processo spauracchio di Berlusconi: il caso Mills. Ed ecco di nuovo un collegio rosa: Francesca Vitale, Antonella Lai e Caterina Interlandi.
Sette donne. E qualcuno ricorderà anche il ruolo di Anna Maria Fiorillo, il pm del Tribunale dei Minori di Milano, che la famosa notte in Questura a Milano non se ne stette quando le dissero che Ruby Rubacuori era nipote di Mubarak e poteva essere affidata a Nicole Minetti.
Gaetano Pecorella, storico difensore di Berlusconi, già delinea la tattica difensiva: “Un collegio di tre donne in un reato che riguarda un’ipotetica minorenne, e che riguarda atti che sono stati ritenuti violare la dignità delle donne è il peggio che si poteva pensare”.
Dopo il Tribunale di Milano che è un covo di sovversivi, dopo le persecuzioni delle toghe rosse, adesso arriva l’altolà alle toghe rosa.
In fondo potrebbe essere una tecnica vincente: su oltre novemila magistrati in Italia ormai oltre quattromila sono donne.
Per trovare un magistrato che possa giudicare il premier è in difficoltà anche il cervellone Giada.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 16th, 2011 Riccardo Fucile
LA PRIMA BUSTA CON 50.000 EURO PER FARLE CAPIRE CHE VOLEVA SESSO…L’OFFERTA DI UN APPARTAMENTO ALL’OLGETTINA… LA PREOCCUPAZIONE DEL PREMIER DI CANCELLARE OGNI TRACCIA DEL SUO LEGAME CON LA MINORENNE E’ STATA LA RAGIONE DELL’INTERVENTO IN QUESTURA
C’è un segreto in quest’indagine.
È stato ben conservato per sette mesi, custodito come una pepita d’oro.
Il segreto è in tre frasi del doppio verbale d’interrogatorio di Ruby, 3 agosto 2010.
Sono poche parole, pochi ricordi e risolvono con una determinante testimonianza diretta le tre questioni decisive dell’affaire: Silvio Berlusconi ha mai chiesto a Ruby di fare sesso? Due. Berlusconi sapeva che la ragazza, nella primavera del 2010, non ha ancora compiuto diciotto anni? Tre. Come nasce – e da chi – la bubbola della “nipote di Mubarak”.
Ascoltiamo Ruby.
Si deve tornare alla sera del 14 febbraio, giusto un anno fa.
È la prima volta, dice Ruby, che incontra il capo del governo.
“… Berlusconi mi prese da parte e mi condusse in una stanza dove restammo soli. Mi disse che la mia vita sarebbe cambiata e, anche se non ha mai parlato esplicitamente di rapporti sessuali, non è stato difficile per me capire che mi proponeva di fare sesso con lui”.
L’uomo ha 74 anni. È solo nella stanza con la ragazza.
Ruby non dice di essere stata toccata.
Ruby ricorda soltanto le promesse di quell’uomo immensamente ricco: “La mia vita sarebbe cambiata…”. Perchè non avrebbe dovuto crederci? Finalmente, pensa la ragazza.
È scappata di casa per inseguire il sogno di un’altra vita e la pazza, disperata convinzione di sconfiggere il destino già scritto in Italia per una marocchina figlia di un venditore ambulante.
È fuggita da una, due comunità . Ha ballato la danza del ventre, qui e là . È diventata cubista in disco pub lungo i viali che portano in periferia. Si è prostituita. Ha rubato.
Ha creduto nelle parole di Emilio Fede che l’ha ammirata in un concorso di bellezza e convinta al viaggio verso Milano.
Non ha alcun dubbio che “Emilio” l’aiuterà . Non è stato già un aiuto averla indicata a Lele Mora che l’ha accettata nella sua squadra? Non gli deve un grazie ora che, nel giorno di San Valentino, l’ha condotta ad Arcore?
Quando, la notte del 14 febbraio, Ruby entra in quella stanza da sola con il presidente del Consiglio (“un ufficio”, ricorda lei), il cielo è a portata di mano, ogni pena è finita, il passato sta per essere cancellato.
L’uomo di 74 anni, quella notte, non promette soltanto.
Dimostra di voler fare sul serio, davvero avrebbe fatto la fortuna di quella ragazza.
Ascoltiamo Ruby: “Berlusconi mi consegnò una busta con 50mila euro…” e la ragazza non aveva mai visto tanti soldi e tutti insieme.
I ricordi di Ruby sono decisivi per il processo (e anche per un giudizio extraprocessuale, politico).
Fin dalla prima volta che l’incontra dunque, Berlusconi chiede a Ruby sesso, parla di sesso e nient’altro che di sesso.
Si dice disponibile a pagare. Molto, tantissimo.
Quante volte l’uomo di 74 anni e la minorenne s’incontrano?
Il 3 agosto 2010, la ragazza racconta ai pubblici ministeri la sua versione dei fatti: in larga parte sincera, ma con qualche omissione, qualche fanfaronata, qualche parola di troppo o di troppo poco.
I pubblici ministeri “tracciano” il suo telefono e scoprono che Ruby non è stata ad Arcore tre volte, come dice, “per una cena”, o “per una notte”.
È stata a Villa San Martino ininterrottamente dal 24 al 26 aprile 2010, per dire. Silvio Berlusconi, quel giorno, è stato alla Scala con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e si è detto “radioso”.
Poi raggiunge Vladimir Putin e l’accompagna ad Arcore.
Il giorno dopo, conferenza stampa a Villa Gernetto, ma ritorno a Villa San Martino.
Ad Arcore chi c’era? Ancora la giovane ed entusiasta Ruby, la quale “notte e giorno era presente”, come hanno stabilito i tecnici che analizzano il traffico telefonico per conto della Procura.
C’era anche a Pasqua e Pasquetta, c’era il Primo Maggio, quattro settimane prima di quella notte in cui, accusata di furto da un’amica ballerina, finisce in questura, in via Fatebenefratelli: è la notte in cui Silvio Berlusconi telefona, spiegando che avevano a che fare non con una “scappata di casa”, ma con la “nipote di Mubarak”.
Tra il 14 febbraio e il due di maggio, Ruby è ad Arcore il 14 (domenica), il 20 (sabato), il 21 (domenica), il 27 (sabato), il 28 (domenica) febbraio 2010. E ancora, il 9 (martedì) marzo 2010 ; il 4 (domenica), il 5 (lunedì), il 24 (sabato), 25 (domenica – Festa della Liberazione), 26 (lunedì) aprile 2010.
A maggio, il 1 maggio (sabato – Festa del lavoro) e il due (domenica). Quindici notti.
In settantasette giorni, si contano sessantasette contatti telefonici.
Quasi uno al giorno.
La costante frequentazione nella primavera non scioglie l’altro decisivo quesito processuale: Berlusconi sapeva degli anni di Ruby? Era consapevole della sua minore età ?
Ancora una volta ascoltiamo la novità di Ruby: “Fino a quel momento, la sera del 14 febbraio, Berlusconi sa che ho 24 anni. La volta successiva, mi ricordo era in marzo, l’autista di Emilio Fede viene a prendermi in via Settala, dove abitavo allora. Torno ad Arcore e là , parlando con le altre ragazze invitate, vengo a sapere che chi stava con lui, con Silvio, poteva avere la casa gratis. Alcune ragazze mi dissero di avere avuto a Milano 2 un appartamento con cinque anni di affitto pagati”.
Parliamo della Dimora Olgettina, dove vivono Marysthell, Barbara, Iris, Imma e le altre. Ruby conosce quelle vite. Sa come possono essere comode e lussuose.
Fermiamoci un attimo: una casa, a Milano 2, gratis, per cinque anni.
Per Ruby è più di un sogno, è una vittoria contro il destino di una “scappata da casa”, da Letojanni provincia di Messina.
La proposta non è il primo passo verso il successo. È il successo, il primo di un rosario di successi.
Ruby pende dalle labbra di Berlusconi, che fa la sua mossa.
Quella sera le parla della possibilità di una sistemazione.
Di un appartamento lì all’Olgettina. Finalmente da sola, finalmente autonoma, in un appartamento tutto suo.
Ruby è incredula davanti a tanta fortuna. Sa che la casa dimostra che è entrata nel “cerchio stretto” delle favorite del Sultano.
C’è un solo pensiero che disturba quella felicità . Ora lo ricorda ai pubblici ministeri che la interrogano: “A Berlusconi avevo detto falsamente di avere ventiquattro anni e di essere egiziana. Quando mi propone di intestarmi quella casa, dovevo dirgli come stavano le cose. Non potevo più mentire. Gli dissi la verità : ero minorenne ed ero senza documenti”.
Berlusconi non fa una piega, a quanto pare. Non si stupisce. E lancia l’idea che ora lo danna come imputato di concussione.
Le suggerisce: “Dirai a tutti che sei la nipote di Mubarak così potrai giustificare le risorse che ti metterò a disposizione”.
È allora il Cavaliere a inventarsi la fanfaluca che, con impudenza, evoca oggi in Parlamento per salvarsi dal processo milanese.
Siamo ad agosto e pubblici ministeri più avventurosi avrebbero cominciato ad indagare il presidente del Consiglio.
Alla Procura di Milano, al contrario, appare urgente rintracciare conferme al racconto della minorenne prima di muovere verso Silvio Berlusconi. Ruby mente? E in che cosa mente?
Le indagini in via preliminare hanno da accertare se davvero Ruby conosce il Cavaliere; se davvero è stata ad Arcore con lui; se davvero le ragazze che dice di aver incontrato a Villa San Martino frequentano abitualmente le feste e le cene del premier; se davvero esiste un “qualcosa” chiamato bunga bunga, sino a quel momento, un assoluto inedito.
Ognuno di questi passaggi trova più di un riscontro nei documenti acustici raccolti e anche in testimonianze dirette: tre ragazze – M. T., amica di Nicole Minetti, Maria Magdoum e la giovane Natascia, amica di Aris Espinoza, una delle più assidue frequentatrici a pagamento del premier – descrivono alla stessa maniera la cerimonia erotica, la sala sotterranea, le scene, i balletti, il premier che tocca, le ragazze che ballano sempre più scollacciate davanti a lui.
È quello che Ruby chiama nell’interrogatorio “il rito dell’harem”.
Il quadro indiziario s’è fatto a questo punto più preciso, addirittura nel dettaglio. Il 6 ottobre, i pubblici ministeri afferrano la prova evidente che li convincerà di essere sulla buona strada: Ruby viene interrogata da un emissario di Berlusconi, alla presenza di Lele Mora e di un avvocato, che le chiedono di ripetere quel che ha raccontato un paio di mesi prima in procura. Vogliono sapere tutto, anche quello che Ruby preferirebbe tacere.
“Le scene hard con il pr…”, come riferisce al telefono, Luca Risso, l’attuale fidanzato di Ruby. Si può qui lasciar perdere quel che appare chiaro ai pubblici ministeri.
Berlusconi sa delle indagini, sta tentando di mettere riparo alla catastrofe che lo minaccia e i detective devono affrettarsi per evitare l’inquinamento di prove e testimonianze. Qui interessa dire altro.
La preoccupazione del premier di cancellare ogni traccia del suo legame con la minorenne è stata anche la ragione del suo malaccorto intervento, la notte del 27 maggio, alle 23.45, sul capo di gabinetto della questura milanese.
È l’episodio chiave della partita giuridica.
Lo affronta il giudice delle indagini preliminari Cristina Di Censo. Deve decidere se Milano è competente e se la procura ha raccolto prove così evidenti da rendere inutile l’udienza preliminare e legittimo un processo con rito immediato.
La telefonata in questura risolve il caso.
Berlusconi non chiama nelle sue funzioni di presidente del Consiglio, perchè il capo del governo non è funzionalmente sovra-ordinato al capo di gabinetto di una questura, come lo sarebbe il ministro dell’Interno.
Il Cavaliere mette sul tavolo, quella notte, la sua qualità di pubblico ufficiale; la sua influenza e non la sua funzione; il suo peso e la sua forza e non i suoi compiti istituzionali.
Questa differenza “radica”, come si dice, la competenza nella procura territoriale e non presso il tribunale dei ministri, come sarebbe avvenuto se avesse speso la sua funzione.
La “balla della nipote di Mubarak”, come dice il questore dell’epoca, non cambia di una virgola la prospettiva.
Come nulla cambia che gli atti sessuali con una prostituta minorenne siano stati compiuti ad Arcore, perchè il reato più grave – la concussione – “attrae” come una calamita il reato minore, in questo caso la frequentazione con la diciassettenne Ruby in “un contesto” sessualmente molto equivoco, che però ha dei punti fermi.
Il giudice li elenca in quindici pagine di “fatti storici” e accertati, o detto in altro modo, di prove evidenti. Da quei verbali di Ruby se n’è fatta di strada e solo a dicembre (21) Berlusconi è iscritto nel registro degli indagati.
Quel che sa, quel che ha fatto, prima e dopo il 27 maggio è sufficientemente dimostrato.
Intorno a lui Lele Mora, Emilio Fede e la consigliere regionale Minetti organizzano a Milano un vivamaria di ragazze, e per dirla con Nicole ci sono “zoccole” e “ragazze venute dalle favelas” e “zingare”.
Qui interessano le “zoccole” perchè sono loro ad annunciare il reato.
Per Lele, Emilio e Nicole, perchè il capo del governo è soltanto l'”utilizzatore finale”, e sin qui estraneo a ogni contestazione penale. È la “zoccola” minorenne che mette nei guai il presidente del Consiglio.
O meglio, se ha ragione Ruby, il capo del governo si mette nei guai da solo. È vero, il 14 febbraio pensa che Ruby abbia 24 anni e le promette mari e monti.
Sconveniente forse per chi ha liberamente scelto di assumere responsabilità pubbliche e dovrebbe per precetto costituzionale svolgere i suoi doveri con dignità e onore, ma in ogni caso non un reato.
Il pasticciaccio che rovina Berlusconi si consuma a marzo, quando vuole consegnare un appartamento alla ragazza.
In quell’occasione, la ragazza gli racconta la verità e dunque Berlusconi conosce la realtà dell’anagrafe, ma non si arresta.
Vuole Ruby accanto a sè e la consapevolezza della minore età della ragazza non ferma il suo desiderio.
Ruby ne è così consapevole che si vanta del capriccio che sollecita in quell’uomo di 74 anni: “Quell’altra, Noemi, è la pupilla, io sono il culo”.
Il Cavaliere sembra trovare le ragioni della prudenza soltanto dopo l’agitata notte del 27 maggio.
Non vedrà mai più, per quel che se ne sa oggi, Ruby.
Si sentiranno soltanto al telefono.
E Ruby mette a verbale l’ultima frase di Silvio Berlusconi: “Ci potremo rivedere una volta che hai compiuto la maggiore età “.
Piero Colaprico e Giuseppe D’Avanzo
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 16th, 2011 Riccardo Fucile
DA SCILIPOTI ALLA POLIDORI, DA RAZZI ALA SILIQUINI: DOPO ESSERE PASSATI CON BERLUSCONI ADESSO GIRANO CON AUTISTA E LAMPEGGIANTE…IN ATTESA DELLE POLTRONE PROMESSE NEL PROSSIMO RIMPASTO DI GOVERNO
C’è chi per un posto di governo è disposto a ripercorrere il Cammino di Santiago de Compostela, come i mendicanti medievali.
È il caso dell’ex giornalista del Tg1 Francesco Pionati, oggi deputato dell’Alleanza di centro, l’Adc.
Ogni fine settimana il figlio dell’ex sindaco di Avellino riunisce i suoi aderenti in un’amena località religiosa: a Padova, presso la basilica di Sant’Antonio, a Cassino, sotto l’abbazia di San Benedetto.
A una certa ora, miracolo, si materializza la voce di San Silvio, in collegamento telefonico con i discepoli pionatiani, puntualmente ripreso da tutti i tg della sera.
Malignano che non di iscritti all’Adc si tratti, ma di autentici pellegrini arruolati per una giornata a basso costo e tutto compreso, visita al monastero-messa-pranzo al sacco-telefonata del presidente del Consiglio, ma l’importante è che tutto questo girovagare serva a consegnare a Pionati la tanto desiderata poltrona di sottosegretario.
Altrimenti non resterà che andare a Lourdes.
Pionati è solo una delle tante anime in pena che soffrono in questi giorni di passione.
Il Cavaliere li chiama la terza gamba della maggioranza, insieme a Pdl e Lega.
Sono i 21 deputati del gruppo dei Responsabili.
“Più disponibili che responsabili”, corregge un collega.
Formati da transfughi di ogni genere (c’è l’imprenditore ex veltroniano e l’operaio ex dipietrista, l’ex fascista e l’ex comunista), una babele di dialetti e di idiomi preferibilmente originari del regno delle Due Sicilie, decisivi per tenere in vita Berlusconi e la legislatura.
La casella a sorpresa nelle grandi e infime manovre dei rimpasti e degli allargamenti prossimi venturi che devono consentire al governo di superare i passaggi più delicati: la ripresa dello scontro sulla giustizia, il federalismo, il tentativo di riportare il processo breve nell’aula di Montecitorio nelle prossime settimane e il vero match di cui già si vocifera, l’eventuale conflitto di attribuzione da sollevare con il tribunale di Milano sul processo Ruby.
All’ultima cena nell’abitazione romana di Silvio Berlusconi sono stati omaggiati di una cravatta e di un pacco dono preparato dai ragazzi della Comunità Incontro di don Pierino Gelmini.
Ma la vera sorpresa li attendeva all’uscita, nel cortile di palazzo Grazioli. Arriva una macchina con lampeggiante e carica tutto felice l’ex Idv Domenico Scilipoti, detto “the Penguin”, il Pinguino.
Arriva un’altra vettura con sirena e prende in consegna Catia Polidori, l’ex finiana.
Entrano altre berline e salgono a bordo Maria Grazia Siliquini (ex Futuro e Libertà ) e Antonio Razzi (ex Italia dei Valori).
Un carosello di autoblu degno delle Zil nere che segnalavano il saliscendi dei gerarchi nella nomenklatura brezneviana.
Anche se la scorta, giustificata con le minacce ricevute dai transfughi dopo il passaggio nel campo berlusconiano, è solo il primo gradino.
Verso il trionfale ingresso nel governo.
Nonostante le smentite di rito, nelle cucine berlusconiane stanno preparando il rimpasto.
Per superare indenne la corsa a ostacoli delle prossime settimane a Berlusconi non bastano i 314-315 deputati finora racimolati.
Bisogna allargare, anche perchè il prezzo, le condizioni poste da ciascun componente del gruppo, diventa di giorno in giorno più esoso.
“Per votare la fiducia a Sandro Bondi i due deputati sud-tirolesi pretendevano il parco dello Stelvio. Cosa vorranno per salvare Berlusconi dal processo: il Lombardo-Veneto?”, sbotta un deputato del Pdl.
Ecco perchè è diventata così importante la possibile new entry radicale, che vale da sola sei deputati alla Camera e consentirebbe al governo di superare la soglia di sicurezza.
Berlusconi e Marco Pannella non hanno bisogno di mediatori, sono in ottimi rapporti da tempo immemorabile, al punto che di Giacinto detto Marco ministro con il centrodestra si parlò già nel 1994, e finì invece con la nomina di Emma Bonino alla Commissione europea.
La trattativa va avanti da più di due mesi: alla vigilia del voto della Camera del 14 dicembre, lo scontro frontale tra il premier e Gianfranco Fini, l’intesa si era quasi trovata su un documento con uno slogan ad effetto, sei riforme per sei deputati.
Ma tra i sei punti di Pannella c’era qualcosa che suonava troppo simile a un’amnistia: utile anche a Berlusconi, probabilmente, ma la Lega non l’avrebbe gradita neppure per scherzo, e non se ne fece niente.
Ora le danze si sono riaperte.
Non ci sono poltrone per Pannella, se non il sogno di essere consacrato senatore a vita.
Nè rappresentano un problema le questioni etiche: sul testamento biologico il Pdl lascerà libertà di coscienza e amen.
In fibrillazione ci sono gli ex pannelliani approdati dalle parti di Arcore, Gaetano Quagliariello, Eugenia Roccella, Daniele Capezzone, ma se ne faranno una ragione.
Il vero ostacolo, semmai, viene dall’ostilità di Emma Bonino, leale con il Pd con cui si è candidata appena un anno fa alla regione Lazio e contraria a fare patti con il Cavaliere.
Nonostante l’ira di Emma i colloqui Silvio-Marco non si sono mai interrotti e ruotano su due questioni.
La riforma elettorale: consigliato da Mario Segni, suo partner ai tempi dei referendum elettorali dell’inizio degli anni Novanta, il leader radicale chiede la cancellazione del Porcellum e il ritorno dei collegi uninominali.
Un maggioritario hard che – oltretutto – agli occhi del Cavaliere avrebbe il bel risultato di spazzare via il Terzo Polo, costretto se non vuole sparire a scegliere se stare di qua o di là , come successe nel ’94 al centro di Segni e di Mino Martinazzoli.
La seconda condizione è la riforma della giustizia: un piano per le carceri, storica battaglia radicale, e in più la separazione delle carriere e una responsabilità civile dei giudici molto più punitiva dell’attuale.
Musica per le orecchie del premier che in questi giorni ha valutato la possibilità di un clamoroso cambio al ministero di viale Arenula.
Un tecnico, tipo l’ex componente laico del Csm Mario Patrono, al posto di Angelino Alfano.
Molto più credibile un giurista appoggiato dai radicali per fare la sempre annunciata riforma della giustizia.
Anche perchè per Angelino si progetta un futuro di prima linea.
Ritorno al partito, ma da coordinatore unico.
Riorganizzare le truppe del Pdl che nei sondaggi resta intorno al trenta per cento ma che da tre anni è affidato a un uomo macchina come Denis Verdini, di certo non un personaggio da spedire in tv a difendere l’operato del governo, oltre che già abbastanza inguaiato di suo in inchieste e ispezioni. Angelino, dunque, coordinatore unico, giovane e affidabile.
E Guido Bertolaso, disoccupato di lusso dopo il suo addio alla Protezione civile, all’organizzazione, alla guida di una rete di presunti volontari (roba da coccolone per Maurizio Scelli, ex capo della Croce rossa, che nella scorsa legislatura coltivava identica ambizione).
Un ticket per rivitalizzare il Pdl.
E per placare gli appetiti dei Responsabili.
In testa alla lista c’è il siciliano ex Udc Francesco Saverio Romano, in corsa per un ministero.
E un pugno di poltrone in palio: il calabrese Aurelio Misiti vice-ministro alle Infrastrutture, il veneto Massimo Calearo vice-ministro al Commercio con l’estero, l’eterno dc Vincenzo Scotti ritornerebbe ministro (alle Politiche comunitarie) per svuotare il posto da sottosegretario al ministero degli Esteri. Per Pionati?
Chissà : la Farnesina val bene un pellegrinaggio.
Marco Damilano
(da l’Espresso“)
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Febbraio 16th, 2011 Riccardo Fucile
SOTTO INCHIESTA PER MAFIA, UN SUO UOMO A PALERMO E’ APPENA STATO ARRESTATO, IL SUO PADRINO POLITICO CUFFARO E’ IN CARCERE…MA SAVERIO ROMANO, PASSATO CON BERLUSCONI, E’ PROSSIMO A DIVENTARE MINISTRO
«Io al governo non entro dalla finestra, entro dalla porta».
Spavaldo di carattere, Francesco Saverio Romano, nato alla vigilia di Natale di 46 anni fa, siciliano di Belmonte Mezzagno, deputato dal 2001, ha annunciato mesi fa ad amici e sodali che il suo posto da ministro non è in discussione: semmai la postazione.
Lo quotano per le Politiche comunitarie, ma lui non ha mai fatto mistero di puntare a una poltronissima: il ministero dell’Agricoltura.
Un bel dicastero di spesa e un ricordo per così dire affettivo: il ruolo fu occupato negli anni Ottanta da Calogero Mannino, il suo maestro, quando Romano ventenne muoveva i primi passi in politica.
Toccante pensiero, specie ora che Romano, come si usa nelle migliori tradizioni, ha fatto fuori il vecchio tutore e si è messo in proprio.
È lui che prende la parola a Montecitorio a nome dei Responsabili.
È lui che spinge per andare in tv, vantando la sua prestanza fisica.
Ed è lui che parla a palazzo Grazioli con Berlusconi, provando a fare il leader.
Il resto della compagnia non è granchè, ma pazienza, nessun leader si sceglie le sue truppe.
E ora, finalmente, Romano ha l’occasione di diventare generale.
Nel vuoto lasciato dai suoi padrini: Salvatore “Totò” Cuffaro è in una cella di Rebibbia dopo la condanna per favoreggiamento delle cosche, Romano lo ha accompagnato fino alla caserma.
Con l’altro nume tutelare, Mannino, anche lui processato per i rapporti con la mafia e poi assolto, c’è stata una lite furibonda.
Resta l’amico Angelino Alfano, conosciuto nel movimento giovanile della Dc di cui Romano è stato segretario siciliano.
Con Pier Ferdinando Casini, invece, Saverio ha rotto cinque mesi fa, quando uscì dall’Udc con altri quattro deputati per fondare il Pid, Popolari per l’Italia di Domani.
Roba da rievocare don Luigi Sturzo, se non fosse che il Pid e il suo leader sono da anni al centro delle indagini giudiziarie sui rapporti tra politica e mafia.
L’ultimo arresto di un suo uomo, il deputato regionale Fausto Fagone, risale a novembre.
Eletto per la prima volta nel 2001 nel collegio di Bagheria, Romano è dal 2003 sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa.
Si cominciò con le registrazioni ambientali del boss Giuseppe Guttadauro che parlava di Romano in termini entusiastici: «Voglio incontrarlo», spiegava a un interlocutore. «Dimmi tu quando devo venire. Pure in mezzo alla strada lo posso incontrare: avvocato è».
Colloqui in cui il capomafia si lasciava andare anche ad altre considerazioni: «Berlusconi non può pensare solo a lui, ai suoi processi, deve risolvere anche i nostri problemi».
Più gravi ancora le rivelazioni del pentito Francesco Campanella, il prototipo del neo-mafioso che si inserisce nella politica, candidandosi alle elezioni e inserendosi nelle istituzioni.
Campanella ha raccontato che durante un pranzo romano in un ristorante presso Campo de Fiori Romano gli chiese i voti in termini ultimativi: «Siamo della stessa famigghia».
Il deputato siciliano non ha smentito, data la presenza di altri testimoni, si è limitato a precisare: «Intendevo dire la stessa famiglia politica, veniamo entrambi dalla Dc».
Ora i pm potrebbero richiedere l’archiviazione per motivi tecnici, scadenza dei termini.
Ma il peso delle indagini si fa sentire, ora che in gioco c’è il grande salto: nonostante l’appoggio di Alfano e Renato Schifani per farlo entrare nel governo dalla porta principale, anche in funzione anti-Raffaele Lombardo, non è detto che al Quirinale facciano i salti di gioia di fronte alla nomina di un ministro a rischio.
Marco Damilano
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 16th, 2011 Riccardo Fucile
A TOR CRESCENZA GLI ONORI DI CASA LI FACEVA MARIA ROSARIA ROSSI (PDL)…CONTATTI TRA LE PROCURE DI ROMA E DI MILANO, SI APRE UN NUOVO FILONE D’INCHIESTA
C’è un nuovo filone d’inchiesta sulle feste del presidente del Consiglio. Riguarda le serate organizzate a palazzo Grazioli, ma soprattutto quelle al castello di Tor Crescenza, dove Silvio Berlusconi ha trascorso la scorsa estate.
Il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati avrebbe deciso di trasmettere ai colleghi della capitale la parte del fascicolo che riguarda tali incontri.
Il primo contatto tra i capi dei due uffici giudiziari sarebbe avvenuto un paio di giorni fa.
Quanto emerso dagli accertamenti milanesi, e prima ancora a Bari, consente di individuare le persone che portavano le ragazze alle feste del premier. Alcuni riferimenti al «giro» romano si rintracciano nelle carte depositate al Parlamento, soprattutto nelle conversazioni tra le ragazze, ma altri elementi sono stati raccolti dai magistrati e riguardano i riscontri sulle presenze a queste serate e soprattutto i preparativi.
Più volte la parlamentare del Pdl Maria Rosaria Rossi si è vantata di aver organizzato cene nel castello affittato dal presidente del Consiglio ed è possibile che il suo nome compaia nei nuovi atti, anche perchè alcuni suoi colloqui con il direttore del Tg4 Emilio Fede erano stati intercettati e allegati agli inviti a comparire notificati allo stesso capo del governo e alla consigliera regionale del Pdl in Lombardia Nicole Minetti, accusata di essere una «reclutatrice» insieme a Fede e a Lele Mora.
«Due, tre volte a settimana»
Leggendo le trascrizioni delle telefonate si capisce come le ragazze che frequentano Arcore siano quasi invidiose per quanto avviene nella capitale.
Il 23 settembre 2010 Minetti e Barbara Faggioli parlano del premier.
Faggioli: facendo i conti tra quello che ha dato… col bene che gli voglio, perchè lo sai che l’adoro… alla Marysthelle, alla Fico… a questa e a quell’altra…
Minetti: perchè te dici anche alla Raffi?
Faggioli: Raffi sicuramente sì dai. Stando a Roma lei lo vedeva anche a Roma, lo sai che fanno queste cene due o tre volte alla settimana, ultimo periodo un po’ di meno, ma prima sì… lo so perchè mi chiamavano, poi me l’ha detto anche Raffi stessa.
Minetti: ma dai?
Faggioli: e certo! Io mi sono un po’ avvicinata a lei per capire anche i giri di Roma, eh?
Minetti: e cosa ha detto, due o tre volte la settimana?
Faggioli: be’, che a volte lo vedeva anche due o tre volte, è capitato che non l’ha visto anche per un mese. Poi parlando anche con Cinzia no? Cinzia mi ha detto che si vedevano spesso, che soprattutto vedeva Valeria e Raffa… quindi anche se lui e lei dicono che no, è sì. Lui ha sempre avuto questo vizio qua di dire, no, non vedo nessuno non frequento nessuno al di fuori di voi no?… E invece non è così perchè lui non riesce cioè, io poi lo conosco da anni, lui non riesce a stare da solo.
«Andiamo al Castello»
Anche Barbara Guerra e Miriam Loddo potrebbero essere state a Tor Crescenza.
Ne parlano il 27 settembre scorso e si riferiscono ad un invito «al castello» per la domenica successiva.
Il 19 ottobre Minetti parla invece con Elisa Toti e dal colloquio riemerge la rivalità tra i due gruppi.
Minetti: io a te, non mi ricordo quand’è che t’ho visto, però io t’avevo visto altre volte.
Toti: e io ero romana, ero romana, si cioè stavo a Roma.
Minetti: ah! Ecco tu eri romana…
Toti: frequentavo il giro di Roma, tra virgolette, poi ogni tanto hai visto venivamo su a Milano perchè se c’era qualcosa… però io stavo a Roma, poi a lui gli chiesi che comunque preferivo venire su a Milano, poi hai visto, ho iniziato a lavoricchiare qui a Milano, quindi… preferivo insomma stare qua, anche perchè poi, conoscevo, parecchi miei amici erano qua, insomma una cosa l’altra, a Roma non è che proprio mi trovassi un gran che bene.
Minetti: adesso sei qua tranquilla no?
Toti: sì…
«Mi vesto da femmina»
Tra le organizzatrici delle feste a Tor Crescenza c’era Maria Rosaria Rossi, parlamentare che frequentava anche Arcore dove, almeno a sentire le intercettazioni, si muoveva come una perfetta padrona di casa. Il 24 agosto scorso parla con Emilio Fede che le annuncia il suo arrivo a Villa San Martino.
Rossi: vieni, vieni. Chi c’è? Niente poche persone…
Fede: ecco no perchè c’ho due mie amiche.
Rossi: ah che palle che sei, due amiche, quindi bunga bunga, due de mattina, io ve saluto eh?!
Fede: no tesoro, posso non portarle, eh?! Chi c’è?
Rossi: ma scherzo, ma stai scherzando? No, c’è una delle gemelline… Manuela, e un’altra, sono tre persone, aspetta però, dimmi quanti sei tu e altre due? Siete tre?
Fede: sì
Rossi: allora avverto la cucina dai, non c’è Roberta se era quello che mi chiedevi.
Fede: no Roberta lo so, è lì.
Rossi: va be’ allora mi devo vestire da femmina pure stasera?
Emilio: stai bene anche com’eri ieri sera…
Rossi: grazie come sei gentile… vabbè mi vado a vesti’ da femmina allora, va…
Fiorenza Sarzanini
(da “Il Corriere della Sera“)
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