Febbraio 11th, 2011 Riccardo Fucile
DA OGGI A DOMENICA, FINI E’ CHIAMATO A DEFINIRE L’IDENTITA’ DEL MOVIMENTO DAVANTI A DIECIMILA PERSONE AFFLUITE DA TUTTA ITALIA
In uno scenario che Carmelo Briguglio definisce «estremo, di tipo egiziano», da «vigilia di emergenza democratica e costituzionale», si apre oggi a Milano – al Padiglione 18 della Fiera di Rho-Pero – l’Assemblea Costituente di Fli.
Tre giorni, da oggi a domenica, quando Fini parlerà come presidente eletto per acclamazione ma autosospeso per rispetto alla carica istituzionale, per comunicare a un mondo politico in cui la parola più spesa è «eversione» quale sia il progetto di Futuro e libertà , quali le scelte strategiche, di alleanze, di linea per l’immediato e per il futuro.
Parole necessarie, che tanti osservatori chiedono a Fini, che gli intellettuali d’area come il critico Campi (che dovrebbe partecipare all’assemblea) e la sferzante Ventura pretendono, per rendere chiaro se Fli sarà solo «un partitino» perso nella galassia dei tanti che non hanno fatto la storia, o in nuce il motore di «un nuovo centrodestra, ancorato al Ppe, alternativo alla sinistra come al vascello familistico e arroccato di Berlusconi», come dice Adolfo Urso, che con la sua relazione aprirà le assise.
E la novità è che su questa posizione, sulla scelta di costruire un partito che «per l’immediato» si presenterà alle elezioni amministrative assieme a Udc e Api, ma che per il futuro si pone l’obiettivo di diventare il «primo polo» del centrodestra, attrattivo per i «sedici milioni di italiani» che hanno scelto la coalizione al governo e per tutti gli altri scontenti e delusi da questa politica, sembrano convergere tutte le anime della creatura finiana.
Certo, nel dibattito che occuperà l’intera giornata di domani, si ascolteranno toni diversi.
Come la posizione fermissima di Andrea Ronchi per un ancoraggio senza tentennamenti a un centrodestra «che si ispira al Ppe», come quella più antiberlusconiana di un Briguglio o di un Fabio Granata che pure annuncia che nascerà una destra «repubblicana, costituzionale, legalitaria, per andare oltre il crepuscolo triste e decadente del berlusconismo».
Ma anche un «falco» come Italo Bocchino, rispetto all’ipotesi che da Milano venga rilanciata la necessità di un’alleanza repubblicana che vada da Fli al Pd per battere Berlusconi, è netto: «Basta con questa propaganda berlusconiana. Noi siamo un partito di destra che ha come ambizione quella di battere la sinistra».
Se poi ci fosse davvero l’«emergenza democratica» che tanti paventano, chiaro che tutto «sarebbe possibile», ammettono in Fli.
Ma non è questo il tema dell’oggi.
Oggi, a Fini preme delineare le sfide di un partito che guarda al 2020 al grido di «la ricreazione è finita, basta con il circo mediatico».
Lo farà davanti a una platea imponente – sono attesi 10.000 partecipanti -, da un palco di 50 metri dietro il quale svetterà una collina ricoperta da un prato vero (che sarà poi donato a una scuola di rugby del Milanese), da un megaschermo ipermoderno che fa da simbolo al «primo partito della terza repubblica», quella di Internet, delle iscrizioni telematiche (oltre centomila), della partecipazione diretta (20 mila i costituenti collegati online) con diritto di voto a portata di pc e un’agorà informatica che ambisce ad essere la «wiki-politics» della politica italiana.
Paola Di Caro
(da “Il Corriere della Sera“)
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Febbraio 11th, 2011 Riccardo Fucile
LE “TRIPPE RIVOLUZIONARIE” GUIDATE DALLA PROLETARIA SANTANCHE’ MANIFESTANO CONTRO I GIUDICI GOLPISTI… I PASSANTI GLI URLANO “VERGOGNATEVI”… I MINISTRI EVITANO IL “BAGNO” DI FOLLA, DEL BAGNO DEI BAR VICINI USUFRUISCONO INVECE I VECCHIETTI AL SEGUITO DELLA SIGNORA GARNERO IN SALLUSTI
Il Cavaliere ha rotto gli indugi ed è tornato a chiamare il suo popolo a raccolta, ma il primo tentativo non sembra esaltante, il popolo non c’è più: al presidio davanti al tribunale di Milano presenti poche persone e nessun ministro, tra i passanti che urlano “vergogna”.
Intanto Il Foglio e Libero pubblicano un’intervista in cui il premier paragona l’inchiesta sul caso Ruby a un “golpe giudiziario” degno della ex Ddr.
“In piazza contro il golpe”, ha titolato questa mattina il Giornale.
Una chiamata al popolo per sostenere l’offensiva di Berlusconi contro la magistratura.
A partire da subito.
Con un presidio voluto dal premier davanti al Palazzo di giustizia di Milano per oggi a mezzogiorno.
Ma la manifestazione è un flop.
All’appello hanno risposto circa 100 persone che, sventolando bandiere del partito degli accattoni, si sono raccolte attorno a un gazebo e hanno occupato parte della carreggiata, bloccando solo per mezzora il traffico.
Sugli striscioni si legge “Giustizia non esiste là dove non vi è libertà ”, “No alla repubblica giudiziaria”, e “Silvio devi resistere, resistere, resistere”.
I manifestanti sono stati contestati da numerosi passanti, che hanno urlato “vergognatevi, siete la rovina dell’Italia”, mentre alcuni rappresentanti del Popolo Viola sono arrivati davanti al tribunale con in mano cartelli contro il presidente del Consiglio, con le scritte “Basta impunità ” e “Berlusconi fatti processare”.
Tra i due gruppi contrapposti si sono schierate le forze dell’ordine ed è volato qualche insulto.
Dei dirigenti lombardi del Pdl, “compresi i ministri La Russa, Gelmini, Romani, Brambilla e il sottosegretario Santanchè”, la cui presenza è stata annunciata dal Giornale, sono arrivati solo il coordinatore del Pdl Lombardia Mario Mantovani e la Santanchè.
Presenti al sit in del Pdl anche la presidente della commissione Cultura della Camera, Valentina Aprea, l’assessore lombardo alla Protezione civile Romano La Russa e Alberto Torregiani, responsabile del settore giustizia del Movimento per l’Italia .
La decisione annunciata dal Giornale di lanciare l’offensiva di piazza è arrivata all’improvviso.
A far scendere la gente in piazza, il Cavaliere ci aveva già pensato due settimane fa, quando era arrivato l’annuncio di una grande manifestazione organizzata dal Pdl “per difendere il premier contro la giustizia politicizzata” che avrebbe dovuto tenersi nel capoluogo lombardo il 13 febbraio.
Ma ora Berlusconi rilancia.
E decide di seguire la via indicata dai “falchi” del Pdl.
il sit in di oggi è solo il primo passo, perchè “contro questi pm non possiamo che affidarci a chi, con un voto democratico, ci ha chiesto di governare”.
Ma a tradirlo nella sua Milano sono stati proprio i “buoni borghesi” che devono pensare a lavurar.
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Febbraio 11th, 2011 Riccardo Fucile
LO RIVELA IL “SECOLO XIX”: LA VERSIONE DELLA “NIPOTE DI MUBARAK” MISE IN SERIA DIFFICOLTA’ IL PRESIDENTE EGIZIANO DI FRONTE AI FONDAMENTALISTI…LA LETTERA RISERVATA E RISENTITA A BERLUSCONI CON LA QUALE CHIEDEVA UNA IMMEDIATA SPIEGAZIONE… IL SILENZIO IMBARAZZATO DEL PREMIER… FRATTINI NON RICEVUTO IN EGITTO
C’è un retroscena nello scandalo “Ruby Gate” che non è stato ancora studiato a fondo e probabilmente mai lo sarà .
Lo rivela Angelo Bocconetti sul “Secolo XIX” da fonte riservata.
Quando dall’inchiesta dei giudici di Milano emerse il tenore della telefonata del premier alla questura milanese, per indurre i funzionari a rilasciare Ruby, in quanto “nipote di Mubarak”, al Cairo esplose una bomba diplomatica di dimensioni inimmaginabili.
Mubarak è stato messo in gravi difficoltà di fronte all’ala musulmana del suo governo.
Ai primi di novembre, in forma riservatissima, il premier egiziano avrebbe inviato a Roma una sua lettera personale, diretta a Berlusconi, recapitata dall’ambasciatore egiziano a Roma.
Nel messaggio, Mubarak esprimeva tutto il suo disappunto per la leggerezza italiana e chiedeva immediate rettifiche.
Per molti giorni Berlusconi non fece più riferimento alla parentela di Ruby e definì “assolute sciocchezze” le indiscrezioni su quella telefonata.
Un tentativo ufficiale di riconciliazione fu affidato a Frattini che il 22 novembre aveva in programma un viaggio ufficiale in Medio Oriente.
Il nostro ministro degli Esteri, secondo fonti ufficiali, avrebbe dovuto recarsi in Egitto per incontrare Mubarak, ma all’ultimo momento fu il presidente egiziano in persona ad annullare l’incontro.
Alla fine di gennaio poi in Egitto inizia la rivolta ed ecco spiegato il motivo per cui Berlusconi definisce il leader egiziano “un uomo saggio”: nella speranza di un riavvicinamento.
Ma Mubarak non ringrazia e nel frattempo la situazione in Egitto precipita con il leader arabo che ha cose più serie cui pensare.
E a febbraio, approfittando della distrazione di Mubarak e per esigenze processuali, ecco di nuovo Silvio rispolverare la presunta parentela di Ruby, trasformandola in un punto di forza della difesa.
Ora qualcuno deve solo augurarsi che il presidente egiziano non intervenga, sputtanando il comportamento del nostro premier.
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Febbraio 11th, 2011 Riccardo Fucile
OLTRE 1.200 MIGRANTI PROVENIENTI DALLA TUNISIA SONO ARRIVATI NELLE ULTIME 48 ORE…IL CENTRO DI LAMPEDUSA POTREBBE ACCOGLIERLI, MA SI PREFERISCE TENERLI ALL’ADDIACCIO E POI DISTRIBUIRLI IN QUELLI SICILIANI PER NON DARE NELL’OCCHIO…
L’ultimo barcone lo hanno scortato in porto all’alba.
In cento sono sbarcati sulla banchina stracolma di immigrati che nelle ultime 48 ore hanno preso d’assalto l’isola di Lampedusa.
Solo nella notte sono arrivati in 750: sommati a quelli che erano arrivati nei due giorni precedenti, superano quota 1200.
E nell’isola è di nuovo emergenza, visto che da Roma persiste la direttiva di non aprire agli extracomunitari le porte del centro di permanenza temporanea che resta perfettamente funzionante 24 ore su 24, ma chiuso, come ha deciso il ministro dell’Interno Maroni.
La notte scorsa, Guardia costiera e Guardia di finanza hanno avuto il loro bel da fare.
Ben 11 sono state le operazioni di soccorso dei diversi barconi che erano già stati avvistati ieri pomeriggio nel Canale di Sicilia e che sono arrivati, per fortuna, senza incidenti, grazie al mare in buone condizioni.
Numeri che sono previsti in continuo aumento come raccontanto gli stessi migranti tutti fuggiti dalla Tunisia in seguito alle tensioni delle ultime settimane.
Tutti inneggiano alla caduta di Ben Alì.
A Lampedusa, militari e volontari aspettano indicazioni su come gestire questa ondata migratoria che era stata ampiamente prevista e annunciata dai minisbarchi delle scorse settimane, mentre ora in ogni barcone arrivano decine e decine di persone.
Ben 137 immigrati sbarcati ieri sera sono stati ospitati in un albergo dopo che il parroco dell’isola, don Stefano Nastasi, aveva messo a disposizione i locali della parrocchia pur di non lasciarli all’addiaccio.
Quasi tutti gli immigrati presenti sull’isola dovrebbero essere trasferiti a Porto Empedocle, per poi essere smistati in vari centri di accoglienza.
Si attende l’arrivo sull’isola della nave della Siremar sulla quale potrebbero salire tutti gli immigrati arrivati in questi giorni.
L’ondata di arrivi dalla Tunisia era stata ampiamente annunciata e prevista, ma il governo italiano persegue solo una miope politica di immagine.
Preferisce tenere bloccati i migranti in spiaggia piuttosto che aprire le porte del Centro di accoglienza di Lampedusa, altrimenti Maroni poi non potrebbe più vendersi lo spottone che il Centro è vuoto.
A questo siamo arrivati, a nascondere la realtà , smistando i profughi come cartoline postali, senza alcuna programmazione.
Secondo il ministro dell’Interno “gli strumenti necessari per risolvere la situazione non possono essere messi in campo solo dall’Italia”.
Peccato che sia una vita che Maroni ne parla e basta e non abbia ottenuto un bel nulla a livello Ue.
“C’è il rischio di una vera e propria emergenza umanitaria, con l’arrivo di centinaia di persone sulle coste italiane in fuga dai paesi del Maghreb” fa notare Maroni e concordiamo.
Ma era ampiamente prevedibile e il governo italiano doveva muoversi a tempo debito, invece che farsi cogliere impreparato e pensare solo a non danneggiare l’immagine verso il proprio elettorato.
I problemi si affrontano con umanità , non si nascondono.
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Febbraio 11th, 2011 Riccardo Fucile
AD AGOSTO QUALCUNO SFONDAVA LA PORTA DEL GIP AL TRIBUNALE DI MILANO CERCANDO I FASCICOLI SUI FESTINI…NESSUNO SAPEVA DELL’INDAGINE IN CORSO, TRANNE LELE MORA… E’ STATO SOLO IL PRIMO DI UNA SERIE DI TENTATIVI PER IMPEDIRE AI MAGISTRATI DI ARRIVARE ALLA VERITA’
Lele Mora che riesce a spiare gli interrogatori segreti di Ruby.
Emilio Fede che indovina i telefoni intercettati.
Un misterioso 007 che penetra di notte negli uffici di tre giudici.
Nicole Minetti che convoca ad Arcore le “Papi girls” per parlare della minorenne ancor prima che gli avvocati-deputati comincino le loro, altrettanto profetiche, indagini difensive.
E il tesoriere Giuseppe Spinelli che evita la perquisizione grazie a un’immunità parlamentare creata proprio quando scoppiò l’affare Mills, cioè l’altro guaio giudiziario che ora spaventa il capo del governo.
Messe in ordine, le intercettazioni del caso Ruby raccontano una spy-story che sembra l’esatto contrario delle proteste berlusconiane: non la procura che viola la privacy del premier, ma gli indagati che riescono a controllare in diretta e addirittura a prevenire le indagini della magistratura.
Karima detta Ruby, la presunta baby-prostituta che secondo i pm fu pagata in contanti dal premier tra il 14 febbraio e il 2 maggio 2010, quando era ancora minorenne, è stata interrogata per quattro volte dal pm Pietro Forno, tra il 2 luglio e il 3 agosto.
Finora si pensava che quei quattro verbali fossero i pilastri dell’accusa, che poi Ruby ha ritrattato con gli avvocati del premier.
In realtà i pm Ilda Boccassini e Antonio Sangermano hanno trovato sia riscontri (soldi e documenti) che smentite.
L’interrogatorio più affidabile è il primo.
Già nei tre successivi, Ruby mescola fatti veri a episodi clamorosi ma non verificabili o a bugie conclamate.
Come se già allora qualcuno l’avesse spinta a recitare il primo atto di quel copione che in autunno la porterà a chiedere a Berlusconi «cinque milioni di euro»: «fingersi pazza», raccontare «tutto e il contrario di tutto», per screditare l’inchiesta.
Oggi gli avvocati di Mora fanno notare, giustamente, che Ruby è capace di mentire anche da sola: il primo maggio, ad esempio, usò una falsa identità per denunciare ai carabinieri lo scippo di 6.500 euro (che secondo l’accusa aveva appena intascato per la sua ottava nottata di “bunga bunga” con Silvio).
Ma un altro fatto certo è che, proprio mentre comincia a parlare ai pm, Ruby viene ricalamitata nell’orbita di Lele.
Prima sua figlia Diana Mora ne chiede l’affidamento (senza successo), poi, il 5 agosto, il loro legale, Luca Giuliante, diventa l’avvocato di Ruby.
Dal 4 agosto, intanto, Mora e Fede vengono intercettati mentre brigano per farsi versare almeno un milione e 200 mila euro da Berlusconi, tramite Spinelli.
Mora ha già visto fallire la sua Lm management, dunque quei soldi non possono più salvarlo dalla bancarotta.
Ma allora a cosa servono?
Il 25 agosto Fede istruisce Mora così: «Dovresti andare da Lui insieme al tuo avvocato simpatico e dire che insieme si è superato un brutto rischio…».
Tre giorni dopo il direttore del Tg4 descrive a Lele i timori di Arcore: «L’avvocato della minchia ha detto “no, perchè poi se viene fuori che lui procurava programmi…”.
Allora dico: “No, guarda, quest’uomo ci ha dato tutto… e soprattutto la riservatezza”».
Berlusconi, insomma, sembra scoprire il rischio-Mora in quei giorni.
Ed è subito giallo.
Poche ore dopo, nella notte tra il 30 e il 31 agosto, un intruso sfonda la porta del capo dei gip di Milano, senza rubare nulla.
L’indomani si scopre che è stato rovistato anche l’archivio del giudice titolare del caso Ruby: qualcuno che aveva fretta ha fatto cadere a terra un fascicolo diverso, ma con gli stessi magistrati (pm Sangermano, gip Di Censo).
Nelle stesse ore è stata rubata pure la chiave dell’ufficio di un terzo giudice, lo stesso che, guarda caso, aveva autorizzato le prime intercettazioni su Ruby.
Su questo giallo ora indaga il pm Riccardo Targetti: tutto porta a ipotizzare tre tentativi di spiare l’inchiesta su Ruby.
Che era ancora segreta per tutti, ma non per Mora.
Il 6 ottobre, infatti, Lele partecipa nientemeno che a un vertice notturno con Ruby, un «avvocato» e un «emissario di Lui»: la minorenne verbalizza per ore le sue «scene hard con il pr… con Lui-Lui», come spiega in diretta il suo neo-convivente Luca Risso.
Il giorno dopo, anche Ruby conferma che «Gesù di Arcore» ha saputo da Mora che lei ha parlato con i pm: «Lui mi ha detto che si è sentito con Lele, ha saputo che io ho detto tante cose… Il mio caso è più grave di Noemi e della D’Addario…».
Proprio allora sia Mora che Ruby ricominciano a spillare soldi a Berlusconi. La minorenne riceve da Spinelli buste di banconote da 500 euro (in parte sequestrate dalla polizia) e il 27 settembre ringrazia il premier «per il regalo». Non è che l’inizio: in gennaio Ruby scriverà di aspettarsi altri «4 milioni e mezzo da Berlusconi».
E ora attenzione alle date. “Il Fatto quotidiano” rivela l’inchiesta su Ruby solo il 26 ottobre. Eppure già nove giorni prima Nicole Minetti sa che la minorenne ha cantato: «’Sta stronza della Ruby ha detto cose pesanti su tutti… Ci ha sputtanato!».
Fede è il primo ad aggiungere che «ci sono tre telefoni sotto controllo nell’entourage».
Ma chi ha avvisato gli indagati? La Minetti tira in ballo «Giuliante», ma Fede dice di avere «altre strade».
Quello stesso 17 ottobre la Minetti convoca d’urgenza ad Arcore le ragazze più fidate. Berlusconi è «preoccupato», Fede pure.
La cena dura solo un paio d’ore. Al ritorno le Papi-girls contano i soldi.
E svelano che la serata è servita soprattutto a fare il bilancio dell’emergenzaminorenne.
La Minetti tuona: «La Ruby… 60!».
E le altre insultano Silvio: «Faccia di m…, diamo tutto a Ruby… 60!». Il 21 ottobre Ghedini e Longo cominciano a sentire testimoni per difendere il premier da un’accusa che i pm non hanno ancora formulato.
Ma il capolavoro profetico è la targhetta che il 14 gennaio 2011 consentirà a Spinelli, che non ha mai avuto cariche politiche, di fermare la perquisizione: il suo ufficio è protetto dall’immunità parlamentare.
E da quando? Fin dal 21 ottobre 2004, certificano gli avvocati-deputati.
E perchè il premier, già sei anni fa, dichiarò inviolabile perfino il custode dei suoi soldi?
Un aiutino: proprio allora si era saputo che l’avvocato David Mills, nel luglio 2004, aveva fatto l’errore di confessare ai magistrati di aver intascato 600 mila dollari per testimoniare il falso sulle offshore con i conti segreti di «mister
B».
Paolo Biondani e Giovanna Trinchella
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 11th, 2011 Riccardo Fucile
DIRIGENTI ELETTI VIA WEB DALLA BASE…UN “CONFESSIONALE” A DISPOSIZIONE PER POTER REGISTRARE UN VIDEOMESSAGGIO “SULL’ITALIA CHE VORREI”….ATTESI 10.000 MILITANTI ALLA FIERA DI RHO
La t-shirt col dito puntato di Gianfranco Fini, già andata a ruba a Bastia Umbra (“Che fai mi cacci”) sarà il pezzo cult anche stavolta allo stand dei gadget.
Ma il “confessionale” su «l’Italia che vorrei», dove ognuno potrà chiudersi e registrare un videomessaggio (poi rilanciato sul web) sarà l’attrazione più gettonata tra i diecimila iscritti e militanti.
Alla vigilia del congresso fondativo di Futuro e libertà , che si apre oggi alla Fiera di Rho-Milano, l’attesa però è già tutta proiettata sulle conclusioni del leader.
Fini domenica sarà eletto dalla base presidente di Fli, ma per il «senso di responsabilità che deriva dai concomitanti impegni istituzionali» – quella terza carica dello Stato alla quale, ribadirà dalla tribuna, non intende rinunciare – si autosospenderà .
Con buona pace degli avversari pdl che lo vorrebbero dimissionario da Montecitorio e di un paio di intellettuali amici, da Campi alla Ventura, che inultimo gli avevano suggerito di lasciare lo scranno.
Non i suoi, però.
Che anche a poche ore dal lancio ufficiale di Futuro e libertà hanno blindato il sostegno al capo.
Se Bastia Umbra ha segnato la svolta dell’uscita dal governo, da Rho Gianfranco Fini potrebbe rilanciare la richiesta ufficiale di dimissioni del presidente del Consiglio, sulla scia degli ultimi scandali e della tempesta giudiziaria.
Dipenderà dal dibattito interno al congresso (e dagli eventi delle prossime ore) l’eventuale passaggio ulteriore: la presa d’atto della «emergenza democratica» e della necessità di un «patto repubblicano» tra le opposizioni per salvare il paese dal «tracollo berlusconiano», come molti dall’interno già suggeriscono.
Non senza eccezioni, da Ronchi a Viespoli.
Quel che è certo, spiega Italo Bocchino è che «Milano segnerà il battesimo di un partito che è già il dopo-Berlusconi, che incarnerà una destra moderna come ve ne sono in Inghilterra, in Francia, in Germania. Nascerà il partito più moderno del panorama politico italiano».
Rivoluzionario intanto sarà il criterio di elezione dei vertici.
I 7.320 che si sono iscritti finora al congresso potranno partecipare all’elezione di presidente e coordinamento.
E chi non potrà raggiungere Milano potrà esprimere la preferenza via web, tramite un codice personale.
Proprio l’utilizzo di internet è la svolta sulla quale punteranno i finiani.
«Lo strumento web non solo per la selezione della classe dirigente, ma anche nella gestione interna del partito, che d’ora innanzi avverrà on line – racconta Chiara Moroni, responsabile dell’organizzazione del congresso – Il modello sarà molto in stile Obama».
Sarà l’anti-Pdl, nella misura in cui il «Fli on line» giocherà tutto sull’apertura e sui contributi della base.
Che, tanto per cominciare, eleggerà appunto il presidente. Sebbene la candidatura sarà unica e scontata.
Tutto il dibattito di sabato, dopo l’apertura del primo giorno affidata appunto a Moroni, al coordinatore Urso, ai capigruppo Bocchino e Viespoli, sarà centrato sul terzo polo in cui il partito va a confluire in vista delle amministrative di maggio e delle eventuali politiche anticipate.
Intanto però partito e brand esistono in autonomia.
Prima disposizione di Fini: cancellazione del suo nome dal simbolo, sostituito dalla sigla Fli, che già campeggia sul sito.
Non ci saranno leader di altri partiti a Milano.
Neanche i confondatori del Nuovo polo perl’Italia, Casini, Rutellie Lombardo. Proprio perchè «è un congresso fondativo» spiegano.
Gli organizzatori contano di raggiungere durante i tre giorni quota 10 mila iscritti, dunque duemila oltre gli attuali registrati.
Mille saranno i giovani. Oltre trecento i giornalisti accreditati.
Evento paramondano della tre giorni, la cena da 964 coperti di stasera.
Fini padrone di casa, ma Gianfranco Vissani a sovrintendere ai fornelli.
L’ex chef ” dalemiano ” con i suoi otto cuochi curerà il catering dell’intero congresso.
Cena da grand gourmet (anche quella prenotabile via web) ma a prezzi popolari: 20 euro.
Sul sito Fli.com già campeggia il videospot dello chef registrato ad hoc per Fini e i suoi.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 11th, 2011 Riccardo Fucile
“PER RILANCIARE IL PAESE SERVE UN SALTO DI QUALITA’ E DI MENTALITA'”… “INVESTIRE IN INNOVAZIONE, RICERCA E CULTURA, CREDITI AGEVOLATI AI GIOVANI, MENO BUROCRAZIA E MENO TASSE, PIU’ OPPORTUNITA’ DI LAVORO E MENO PRECARIATO…OCCORRE IL CORAGGIO DI DECIDERE TUTTI INSIEME CHE FUTURO VOGLIAMO DISEGNARE PER IL NOSTRO PAESE”
Un grande statista europeo del dopoguerra, Konrad Adenauer, disse che i «partiti esistono non per se stessi, ma per il popolo».
Sembra un’affermazione scontata.
Ma risulta assai meno ovvia se applicata all’Italia di questo inizio di decennio. Da molto tempo la politica pare ripiegata su se stessa, mentre l’agenda degli interventi strutturali per far ripartire un’Italia immobile, stanca e sfiduciata continua a essere desolatamente vuota.
La lista dei meriti esibiti contiene solo interventi di emergenza: una volta sono i rifiuti campani, un’altra è il rischio default per i titoli pubblici.
“Andiamo avanti così, fino alla prossima emergenza”? È vero senso di responsabilità verso il Paese affermare “accontentiamoci, perchè potevamo finire come la Grecia”?
Può esserlo nella sola prospettiva del presente.
Sicuramente non lo è riguardo al futuro, anche prossimo.
Può essere realmente rassicurante (e coinvolgente) soltanto un discorso di questo tipo: “Proviamo a fare come la Germania, che ha tagliato tutte le spese meno quelle destinate alla ricerca e all’innovazione”.
Visto che siamo in tema, vale la pena ricordare un’amara verità : se c’è un Paese che gli investimenti destinati alle idee dovrebbe aumentarli anzichè diminuirli, questo Paese è proprio l’Italia.
Riserviamo alla ricerca circa la metà delle risorse mediamente impiegate a tale scopo dai Paesi dell’Ocse e siamo decisamente lontani dal livello minimo (3 per cento del Pil) stabilito da Obiettivo Europa 2020: la percentuale in Italia è infatti dell’1,13.
Questo significa che dovremo triplicare, nel giro di qualche anno, l’entità degli investimenti da destinare all’innovazione.
Al di là di quello che dicono le cifre, il punto vero e drammatico è che la politica italiana ha bisogno di un salto di qualità e di mentalità .
Deve passare dalle enunciazioni e dagli annunci ai fatti e all’operatività .
E deve compiere un simile passo nel più breve tempo possibile perchè il futuro è già cominciato nei Paesi dell’area più avanzata del mondo.
Quello delle scarse risorse per la ricerca non è il solo fattore di ritardo.
Ce ne sono purtroppo molti altri, che concorrono, tutti insieme, a tenere cronicamente inchiodata l’Italia a irrisori livelli di crescita economica.
Non può produrre nuova ricchezza un Paese dove l’imposizione fiscale è tra le più alte nel mondo, dove la giungla burocratica ostacola l’attività d’impresa e tiene lontani i capitali d’investimento esteri, dove il lavoro è peggio remunerato e meno produttivo che altrove, dove le infrastrutture (viarie, portuali e telematiche) sono insufficienti, dove non sono avvenute liberalizzazioni (se non nelle telecomunicazioni) ma solo privatizzazioni di monopoli pubblici per fare cassa e non per aprire il mercato dei servizi alla concorrenza, dove la mobilità sociale è in discesa, dove la natalità è tra le più basse d’Europa, dove i livelli di corruzione di politici e dirigenti pubblici sono preoccupanti, dove prospera una gigantesca economia in nero che non si traduce in ricchezza sociale, dove la criminalità organizzata esercita il suo potere di ricatto su vaste aree del Sud e inquina l’economia legale.
L’elenco sarebbe ancora lungo, ma è bene fermarsi qui perchè quanto detto è sufficiente a far capire che la ricreazione è finita e che non ci sono più scuse per la politica del giorno per giorno, del circo mediatico, della rissa permanente.
Una grande lezione è venuta recentemente dal caso Mirafiori, che ha dimostrato quanto le forze dell’economia e del lavoro siano comunque vive nel nostro Paese.
Però, chiunque pretendesse di strumentalizzare politicamente un simile risultato compirebbe un’operazione arbitraria.
Perchè la politica ha fatto assai poco per creare le condizioni generali — quindi non solo a Torino, ma in tante altre parti d’Italia — per rendere convenienti gli investimenti di capitale nel nostro territorio.
Occorre passare dalle enunciazioni ai fatti non in nome della ormai frustra retorica del “fare”, ma sulla base di una grande idea dell’Italia prossima ventura.
L’obiettivo deve essere un Progetto di Italia per il 2020, il progetto di realizzare riforme che cambino profondamente il volto del nostro Paese nel giro di qualche anno, liberando le energie della società e offrendo concrete opportunità di affermazione ai giovani, ai lavoratori, agli imprenditori. Poichè non ci saranno prove d’appello, occorre riscrivere subito l’agenda della politica e fissare gli appuntamenti chiave, quelli più urgenti.
Al primo posto dovranno comparire la crescita economica e il futuro dei giovani, insieme con le riforme istituzionali e la necessità di superare il divario tra Nord e Sud.
Essenziale, per quanto riguarda la crescita, è ridurre il carico fiscale su famiglie e imprese cominciando a lavorare per una riforma tributaria all’insegna della riduzione e della rimodulazione delle aliquote. Parallelamente, sarà necessario aumentare la competitività del sistema attraverso l’aumento della produttività del lavoro e dell’impresa, il sostegno all’internazionalizzazione delle aziende e all’innovazione dei processi produttivi, il disboscamento della giungla burocratica e la riforma del processo civile, l’accesso al credito per le piccole e medie imprese, l’incremento delle risorse da destinare alla ricerca, all’università e all’istruzione.
Tutto ciò mentre dovranno essere realizzati gli obiettivi, necessariamente a più lunga scadenza, dell’ammodernamento infrastrutturale, a partire dalla differenziazione delle fonti energetiche.
Per quanto invece riguarda i giovani, al netto dei benefici che potranno arrivare dagli auspicabili maggiori investimenti in istruzione e ricerca, bisognerà costruire un sistema di flessibilità positiva che combatta la vergogna della precarietà unita ai bassi salari e realizzare un collegamento più stretto tra scuola, università , e mondo del lavoro.
Occorre anche favorire l’intraprendenza dei giovani attraverso un fondo di garanzia pubblico per spingere le banche a finanziare i ragazzi che vogliano frequentare un master all’estero, aprire un’impresa, acquistare una casa.
Indipendentemente dalle misure che potranno essere varate nel concreto, il principio da affermare è che la questione- giovani è una delle questioni strategiche dell’Italia e che tra dieci anni — quando i ragazzi di oggi saranno adulti- dovranno poter vivere in una società che pone realmente il merito tra i suoi valori centrali.
È una rivoluzione etica e culturale molto più profonda e decisiva di quello che comunemente si pensa.
È bene a questo punto avvertire che sono poche le riforme a costo zero.
È quindi chiaro che occorrerà spostare risorse da un settore a un altro, tagliare rami di spesa improduttivi, mettere in discussione rendite consolidate. È anche chiaro che, quello riformatore, non sarà un processo indolore perchè ci sarà chi nell’immediato ci guadagnerà e chi nell’immediato ci perderà . Però deve essere altrettanto chiaro che i sacrifici di un Paese non si decidono sulla base di un criterio meramente ragionieristico ma eminentemente politico.
Criterio politico vuol dire trovare un accordo ampio e solido tra partiti, forze sociali, imprenditoriali, sindacali per stabilire gli obiettivi strategici, e cominciare subito a inserirli nell’agenda di Italia 2020 stabilendo le priorità necessarie con equità e giustizia.
Rimboccarsi le maniche?
Alcuni sicuramente diranno “ma chi ce lo fa fare?”, memori forse dei tempi in cui Andreotti diceva «tanto in Italia tutto s’aggiusta» e Craxi affermava «la nave va».
Mi dispiace per lorsignori, ma quei tempi non torneranno più, nel bene e nel male.
In conclusione: qual è il rischio di continuare a ripetere “tutto bene Madama la Marchesa”?
È quello di fare la fine della rana nella pentola.
Questa metafora, rilanciata in un recente pamphlet dallo scrittore Olivier Clerc, s’adatta assai bene all’Italia dominata da una politica minimalista e di corto respiro. «Una rana, immersa in una pentola d’acqua che si riscalda molto lentamente, all’inizio si trova bene, ma quando l’acqua comincia a scottare non ha più le forze per saltare fuori».
La morale della favola è semplice: non c’è alternativa a una politica ambiziosa e profondamente riformatrice.
Gianfranco Fini
(da “Charta Minuta“)
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Febbraio 11th, 2011 Riccardo Fucile
“IL PREMIER ITALIANO HA UMILIATO SE STESSO, SVALUTATO IL SUO UFFICIO E MESSO IN IMBARAZZO GLI ALLEATI DELL’ITALIA”…”LE SUE AZIONI TRADISCONO VENALITA’ E VANITA’, EGLI ABUSA DELL’UFFICIO POLITICO PER FINI PERSONALI: E’ ORA CHE QUESTA UMILIANTE FARSA FINISCA”
“Abuso di potere”.
Il Times di Londra non va per il sottile e dedica il suo editoriale di apertura al caso Ruby.
Il titolo è eloquente e il contenuto pesantemente critico nei confronti di Silvio Berlusconi.
La tesi è riassunta nel sommario: il premier “ha umiliato se stesso, ha svalutato il suo ufficio e ha messo in imbarazzo gli alleati dell’Italia”.
Aldilà delle ricadute giudiziarie, che pure per il quotidiano hanno una loro rilevanza, il Times sottolinea come le vicende emerse negli ultimi mesi non siano una questione “di carattere interno su cui gli amici dell’Italia debbano stare zitti”.
Berlusconi “ha screditato la diplomazia” scrive il giornale che poi elenca una serie di fatti: le frasi su Obama (“giovane, attraente e anche abbronzato”), l’incontro con Angela Merkel (lasciata in attesa per rispondere a una chiamata sul cellulare), l’invito alla finanza americana a investire nel Bel Paese perchè “ci sono belle segretarie”, il suo comportamento “rozzo” al ricevimento di Buckingham Palace, la conferenza stampa con Putin durante la quale “pretese di cacciare una giornalista russa che poneva domande severe”.
A tutto ciò, rileva il Times, si aggiungono le ultime notizie sull’inchiesta milanese.
“E’ facile insinuare che il Primo Ministro italiano è un pagliaccio le cui parole e azioni tradiscono vanità e venalità . Sfortunatamente la verità è persino peggiore. Il signor Berlusconi dimostra di non avere alcuna comprensione della distinzione fra ruolo pubblico e gratificazione personale. Abusa dell’ufficio politico per fini suoi e sfida chiunque tenti di fermarlo. E’ ora che questa umiliante e distruttiva farsa finisca”.
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Febbraio 11th, 2011 Riccardo Fucile
IL GIORNALE DEI VESCOVI, DI FRONTE AL CASO RUBY, PARLA DI “GIORNO DEL FURORE”: “SIAMO DI FRONTE A UN EPISODIO SENZA PRECEDENTI DI CONFLITTO TRA ORGANI ISTITUZIONALI”…E FAMIGLIA CRISTIANA ACCUSA: “TROPPO DEBOLE LA REAZIONE DEI CATTOLICI DI FRONTE A CERTI FATTI: INUTILE ANDARE A MESSA E POI ACCETTARE STILI DI VITA CHE NEGANO I VALORI CRISTIANI”
«È il momento che tutto sia posto, nei modi propri, nelle mani dei supremi garanti della legalità costituzionale».
È quanto chiede il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, di fronte al «punto di non ritorno» e al «disastro istituzionale incombente e possibile» cui si è giunti con il caso Ruby, dopo la richiesta di giudizio nei confronti del premier e la reazione «furente» di quest’ultimo.
«È arrivato il giorno del furore, quello dello scontro violento e totale, tra Silvio Berlusconi e i pm milanesi che hanno indagato il presidente del Consiglio per il cosiddetto “caso Ruby”», scrive Tarquinio in un commento di prima pagina intitolato «Nelle mani dei supremi garanti».
«E noi vorremmo provare a chiedere, senza troppa speranza – prosegue -, a tutti gli altri attori politici e polemici di sgombrare scena e piazze e di lasciare sola l’evidenza del disastro istituzionale incombente e possibile».
Secondo Tarquinio, «siamo a un disperante punto di non ritorno, con i magistrati che parlano di prova evidente della doppia colpa (concussione e prostituzione minorile) imputata al capo del governo e questi così certo di una manovra ordita ai suoi danni da voler denunciare lo Stato».
«Il male minore, a questo punto – conclude il direttore del giornale dei vescovi -, è che tutto si consumi presto e senza forzature. È il momento che tutto sia posto, nei modi propri, nelle mani dei supremi garanti della legalità costituzionale».
Da un sondaggio lanciato dal settimanale “Famiglia cristiana” emerge che la reazione dei cattolici credenti di fronte al caso Ruby è stata debole.
Secondo don Antonio Sciortino è un fatto che «dovrebbe fare riflettere davvero».
Il direttore è intervenuto ieri sera durante un incontro su “Fede e democrazia” organizzato dall’Istituto De Gasperi a Bologna.
«Nel sondaggio che abbiamo fatto sul caso Ruby, abbiamo chiesto ai lettori se la reazione dei cattolici era stata debole, forte o così così. Il 92% su 3.500 ha detto che c’è stata una reazione debole», ha detto il sacerdote.
Poi secondo un commentatore del settimanale, ha continuato il direttore, «i più critici erano i meno credenti, mentre la reazione più debole è stata di quelli che vanno a messa. Questo dovrebbe fare riflettere davvero».
E ha scandito: «Questo Paese che si dice tanto cristiano e si riempie la bocca di esserlo, poi vive con stili di vita totalmente paganizzanti e anticristiani», facendo scattare un applauso della platea.
Infine una battuta sui politici di oggi: «Quello che manca oggi è la formazione e la passione per la politica. Non abbiamo una classe politica all’altezza della gravità dei problemi del Paese».
Don Sciortino è poi tornato ad invocare stili di vita più sobri, anche in politica. «Se non mettiamo più etica nella politica – ha detto – si passa all’affare e alla spartizione degli affari, alla divisione degli interessi o al malaffare».
Poi ha criticato l’idea che i cattolici siano «cittadini di serie B, che devono stare nei loro recinti sacri e non disturbare il grande manovratore», invitando invece i credenti a «una maggiore vivacità » e senza aspettare che parlino solo i vertici ecclesiastici sui principali problemi del Paese.
«Vi hanno tolto la parola – ha continuato don Sciortino sempre rivolgendosi alla platea – ma è vero che in parte ve la siete lasciata togliere la parola. Bisogna tornare a rivendicare spazi di autonomia e informazione».
E ha concluso: «Abbiamo disertato la politica considerandola come qualcosa di sporco o in cui ci si sporca. Mentre la politica, ma non quella cui assistiamo tutti i giorni, è una politica alta, la più alta forma di servizio che si possa fare alla comunità diceva Paolo VI, per cui può essere via per farsi santi… certo, non quella a cui stiamo assistendo oggi, sia ben chiaro».
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