Febbraio 17th, 2011 Riccardo Fucile
FINI “E’ UN MOMENTO DIFFICILE, MA FLI RESTA: E’ IL POTERE FINANZIARIO DI BERLUSCONI CHE FA CRESCERE LA MAGGIORANZA”…”NOI PARLIAMO ALL’ITALIA, NON CI VENDIAMO, IL VOTO CI DIRA’ CHI HA VINTO”
“Sarebbe davvero inutile negare l’evidenza: il progetto di Futuro e Libertà vive un momento difficile, sta attraversando la fase più negativa da quando, con la manifestazione di Mirabello, ha mosso i primi passi”.
Gianfranco Fini non nega le tensioni che scuotono il suo partito.
E affida ad un articolo, che sarà pubblicato domani sul “Secolo d’Italia”, il suo ragionamento facendo capire che, fallita la spallata parlamentare del 14 dicembre, Fli guarda ormai alle elezioni e a rafforzarsi nel territorio.
“Le polemiche e le divisioni esplose dopo l’assemblea costituente hanno creato sconcerto in quella parte di pubblica opinione che ci aveva seguito con attenzione e ovviamente fanno gioire i sostenitori di Berlusconi, che già immaginano di allargare la fragile maggioranza di cui godono alla Camera”. Un’ipotesi che il presidente della Camera giudica “verosimile”, vista l’aria che tira nel Palazzo “e le tante armi seduttive di cui gode chi governa e dispone di un potere mediatico e finanziario che è prudente non avversare direttamente”.
Per il leader di Fli “la ritrovata baldanza dei gerarchi del Pdl sono fenomeni tutti interni al ceto politico, sentimenti di chi teme per il proprio status di ministro o di parlamentare o di chi aspira a divenire sindaco, assessore o per lo meno consigliere comunale”.
Per questo Fini chiede al suo partito “di parlare agli elettori più che agli eletti”. Fissando come orizzonte temporale le elezioni: “Solo quando si apriranno le urne, accada tra poche settimane o tra due anni, sapremo se avremo vinto la nostra battaglia”.
Avendo chiaro in testa l’ambito di riferimento politico: “Ci riconosciamo e intendiamo agire nell’ambito dei valori e della cultura politica del centrodestra, senza alcuna ambiguità nè tantomeno senza derive estremiste o sinistrorse”.
A lasciare il partito è sicuramente Pontone, mentre sta riflettendo sul da farsi Saia.
Da parte nostra esprimiamo un concetto che sosteniamo da tempo: nessuno li ha obbligati a lasciare il Pdl per aderire a Fli e Fli non ha affatto cambiato linea come loro sostengono.
Semplicemente Fini sta interpretando la base del partito che vuole vedere il traditore della destra italiana Silvio Berlusconi ricoverato a psichiatria o in fuga ad Antigua, in ogni caso in condizioni di non nuocere più a un mondo umano fatto di persone oneste.
Liberi loro di fare gli attempati gigolo o di ambire alla onoreficenza del “collare del gran puttaniere”: si vendono per poco, anche perchè valgono poco.
Andate in pace…
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Febbraio 17th, 2011 Riccardo Fucile
CHI HA LAVORATO PER SFALDARE IL GRUPPO FLI AL SENATO, SI RITROVERA’ UN GRUPPO UNICO DEL TERZO POLO CON VENTI SENATORI GUIDATO FORSE DA PISANU…FINI: “VADANO PURE, TANTO NON LI RICANDIDO NEMMENO”… L’ACCATTONE MOFFA PRENDE LA PORTA IN FACCIA PURE DAI RADICALI
Ieri è suonata forte la grancassa dei “culi flaccidi” alla notizia che “il gruppo di Futuro e Libertà al Senato si era sfaldato”: al momento della votazione del decreto milleproroghe infatti quattro senatori finiani hanno votato contro, uno si è astenuto, uno (Menardi) ha votato a favore, quattro sono risultati assenti.
In realtà , assenti giustificati a parte, il caso riguarda il senatore di Cuneo Guseppe Menardi, prossimo al ritorno al partito del bunga bunga, la cui defezione porterebbe al venir meno dei 10 componenti minimi richiesti per poter fare gruppo al Senato.
Da qui la irrefrenabile gioia del partito degli accattoni che ogni giorno lavora per comprarsi qualche parlamentare, con scarsi esiti peraltro, in modo da non perdere anzitempo le poltrone.
Ma vediamo la motivazione addotta da Menardi: “Non condivido un’alleanza di “tutti contro Berlusconi” che ci esclude dal campo del centrodestra”.
Menardi è inorridito al pensiero di una alleanza che intanto non esiste, ma che per lui deve essere un incubo notturno.
L’ipotesi, solo l’ipotesi, badate bene, di un fronte comune con la sinistra per liberarsi di questo governo, lo scandalizza.
Ma come mai non lo ha scandalizzato dividere per due anni la compagnia della Lega, l’unico partito antinazionale e xenofobo che dovrebbe essere quanto di più distante dalla sua solida cultura di destra?
Come mai altrettanta indignazione non l’ha mostrata quando i leghisti hanno usato il tricolore per pulirsi il culo?
Su, diccelo Menardi, esempio di corenza e di virtù.
O forse non è lo stesso Menardi che a Mirabello aveva detto: “La rottura con il Pdl è inevitabile, noi siamo per una destra repubblicana, sul modello gollista”.
Forse la stessa, caro Menardi, che in Francia ha rifiutato ogni rapporto con Le Pen, mentra qua il Pdl si fa ricattare ogni giorno da Bossi?
O vogliamo dimenticare cosa avevi dichiarato, caro Menardi, uscendo dal Pdl pochi mesi fa?
Non ricordi? Ti aiutiamo noi: “Il Pdl non ha dato seguito alla mission che era stata annunciata al momento della sua fondazione”
Per questo ci ritorni ora?
Per domostrare la tua coerenza?
Sistemato Menardi, passiamo al gruppo: non esiste alcun problema.
Si formerà e ci stanno già lavorando Fini e Casini, il gruppo del Terzo Polo con 9 senatori Fli, 4 Udc, 5 rutelliani e 2 Mpa.
Contatti in corso anche con Musso e la Poli Bortone.
Corre anche voce che il colpo a sorpresa potrebbe essere l’adesione di Pisanu in qualità di capogruppo.
Oltre venti senatori per la gioia dell’accattone Moffa che ieri mattina aveva annunciato l’adesione al governo dei sei radicali, salvo essere sputtanato in serata da Pannella con un gelido: “Noi non entriamo”.
L’unica cosa certa è che Fini non ha alzato nemmeno il telefono per cercare di conciliare con Urso, Viespoli e Ronchi: “Quei tre, per quanto mi riguarda, vadano pure, tantro non li ricandido nemmeno”.
Chi l’ha avvicinato, ha definito Fini determinato e “spietato”, deciso a dar un segno di cambiamento al partito e a porsi come riferimento di una nuova destra, anche nel metodo.
Finito il tempo dei colonnelli e dei ricatti, ormai si guarda avanti.
E, come ha sottolineato Granata, il Sel Vendola non ha rappresentanti in Parlamento, ma viene accreditato di un 9% di consensi, quindi il problema non si pone.
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Febbraio 17th, 2011 Riccardo Fucile
COSI’ LA POLIZIA HA RESISTITO ALLE PRESSIONI DEL PREMIER: “MA CHE CAZZO CREDONO CHE SIAMO? UN CIRCO BARNUM O UN TEATRINO DA AVANSPETTACOLO?”…”RISCHIAMO OGNI GIORNO LA VITA E DOVREMMO GIOCARCI LA CARRIERA PER LA NIPOTE DI MUBARAK? MA STIAMO SCHERZANDO?”
“Spero che adesso la gente capisca che può fidarsi della polizia. Abbiamo dimostrato che tanti di noi non si piegano e obbediscono solo alla legge. Sono fiero che i pm abbiano affidato a noi le indagini come segno di fiducia. Noi li abbiamo ripagati e le prove che abbiamo raccolto sono state definite evidenti. Oggi sono di nuovo fiero della mia divisa”.
Parlare con gli agenti che erano in Questura l’ormai famosa notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 è un’impresa: “Niente telefono, perchè abbiamo tutti un abbonamento stipulato dalla polizia e, chissà , potrebbero controllare i tabulati”.
Allora ci si può vedere di persona, ma dove?
“Lontano dalla Questura… anzi, da qualsiasi commissariato”.
Uno slalom, però vedi che vogliono raccontare, un po’ per se stessi, molto per la polizia.
Certo, sono stati mesi duri: “Non sapete quante volte ho maledetto il giorno che mi sono segnato di turno quella notte. Voi non avete idea di quante rogne abbiamo avuto: le indagini, i giornalisti, i superiori che non vogliono che parliamo con nessuno. Ma lo sa che ci sono colleghi così spaventati che non riesci nemmeno più a chiedergli come stanno”.
Sembra di essere piombati in mezzo a una storia di spionaggio, alla fine ci si ritrova nella saletta interna di un bar fuori mano: “È comprensibile, qui c’è di mezzo il premier e un’inchiesta della Procura”.
Non solo: “Bè… può immaginare, ci sono anche dei nostri pezzi grossi che compaiono negli atti, certo non sono indagati, ma la faccenda è complicata”. Nessun nome, nessun riferimento, d’accordo, allora Giorgio (lo chiameremo così) comincia a parlare.
E non si ferma più, come se da mesi aspettasse di sfogarsi: “Bè… all’inizio ‘sta storia di Ruby era come tante altre. A parte che lei era carina… insomma, una ragazza alta un metro e ottanta, vestita come se andasse al mare che ti piomba in Questura mentre stai facendo il turno di notte… bè, non te la dimentichi”, sorride Giorgio.
Poi si passa la mano sul viso, come per cancellare quell’espressione e non dare l’idea di prendere poco sul serio questa vicenda.
“Guardi, era tutto filato liscio per qualche ora. Alle 18,15 gli uomini della volante Monforte Bis avevano fermato Ruby, poi l’avevamo accompagnata in Questura e alle 19,13 la prima telefonata al pm del Tribunale dei minori Annamaria Fiorillo. Tutto ok, ma alle 21,38 è arrivata quella prima strana chiamata. Sul momento non ci avevamo fatto caso. Era Michelle Conceicao Dos Santos Oliveira che ha chiamato il 113 e ha chiesto notizie di Ruby… ma sa, di gente così ne gira parecchia. I guai, quelli veri sono venuti più tardi… verso mezzanotte è arrivata quella telefonata. Abbiamo visto la dottoressa Giorgia Iafrate sbiancare in volto. Era il capo di Gabinetto della Questura, Pietro Ostuni che le riferiva della telefonata di Berlusconi. A quel punto è successo il finimondo… Lo so, io difendo la polizia, ma mi rendo conto che ci sono tanti punti oscuri, mi fa male vedere la paura che tutti noi abbiamo a parlare di questa storia… ma provate a mettervi nei nostri panni: un funzionario di polizia come la dottoressa Iafrate riceve dodici, dico dodici, telefonate dal Capo di Gabinetto della Questura Pietro Ostuni che a sua volta era stato chiamato da Berlusconi. Non è facile resistere, anche se in qualche modo Iafrate ci ha provato… È stata una notte folle… davanti a noi avevamo quella ragazza, con quello sguardo insieme da donna consumata e da bambina, poi la sua amica brasiliana dal mestiere incerto che ci telefona”.
“: “Quindi le chiamate del Premier che tira fuori Mubarak… e alla fine ci mancava solo quella consigliera regionale vestita da pin up. Ecco, glielo devo dire, sono anni, tanti anni che lavoro in polizia. Lasciamo perdere i reati di Berlusconi, a quelli ci penserà eventualmente il giudice… e io non sono nè di destra, nè di sinistra… ma l’impressione è stata che ci abbiano trattati senza alcun riguardo. Ma che cazzo credono che siamo, un circo Barnum, un teatrino di avanspettacolo…? Vede, noi a fine mese ci portiamo a casa millecinquecento euro. E quando usciamo con le volanti non sappiamo mai a che cosa andiamo incontro… provate a immaginare la radio di servizio che vi chiama e vi ordina di andare dove c’è una rapina e stanno sparando. Noi non possiamo tirarci indietro. Questo è il nostro lavoro e poi ci tocca rischiare la carriera per la nipote di Mubarak. Ma scherziamo? Ecco, dopo aver visto certe cose ho pensato di mollare tutto. Ma poi è arrivata la decisione del gip, il processo immediato, e ho ritrovato fiducia: le indagini che abbiamo fatto noi poliziotti hanno retto all’esame del giudice. Io non spero che Berlusconi sia condannato, mi basta vedere che la legge è uguale per tutti. Anche grazie al nostro lavoro”.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 17th, 2011 Riccardo Fucile
“LA MINETTI HA SEMPRE SAPUTO CHE AVEVO MENO DI 18 ANNI”…I RICORDI DELLA RAGAZZA, VERBALIZZATI DAI PM, SONO ESPLICITI… RUBY AMMETTE DI AVER RICEVUTO DAL PREMIER 187.000 EURO
I documenti sono l’ossessione di Ruby.
Non ce li ha e seppure ce li avesse, che potrebbe farsene?
C’è quella maledetta data di nascita, l’1.11.1992, che la condanna ancora – siamo nel 2010 – alla minore età .
E chi si prende al lavoro o accanto o in casa o nel letto una minorenne?
La storia sembra cambiare quando Silvio Berlusconi si incapriccia della ragazza. Le dice di presentarsi in giro a Milano come “la nipote di Mubarak”. In realtà , il presidente del Consiglio dice di più, svela Karima El Mahrough nell’interrogatorio del 3 agosto.
Ascoltiamo Ruby.
Sono le 17.25 quando, dopo le prime quattro pagine raccolte in mattinata, il verbale si riapre per altre quattro: “Già vi ho riferito che a Berlusconi avevo detto falsamente di avere ventiquattro anni e di essere egiziana. Quando Silvio mi propone di intestarmi una casa, devo dirgli come stanno le cose. Gli dico la verità . Gli dico che sono minorenne e non ho i documenti. Già sapete che a quel punto Berlusconi mi consiglia di raccontare in giro che sono la nipote di Mubarak, così potrò giustificare il denaro che mi darà “.
“Non vi ho ancora detto però – prosegue Ruby – che Berlusconi aggiunse: “Non ti preoccupare dei documenti, me ne occuperò io…””.
La frase cade nel verbale d’interrogatorio con molta ambiguità .
Ruby non chiarisce se il Cavaliere si dichiara disponibile a procurarle documenti come se fosse egiziana e maggiorenne e nipote di Hosni Mubarak e quindi falsi.
O, più semplicemente, di metterle insieme i documenti autentici: il passaporto marocchino e magari la carta di soggiorno italiana che la ragazza venuta a Milano da Letojanni, Messina, non ha mai avuto.
Le indagini non hanno rintracciato tentativi di pressione del capo del governo sulla prefettura di Milano a favore di Ruby-Karima.
È tuttavia documentato che, almeno in un’altra occasione, il premier si dà da fare con il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, per venire incontro alle richieste di una sua giovane amica, Marystell Polanco.
Bisogna ritornare a Ruby.
Berlusconi apprende in marzo, almeno a quanto dice la ragazza ai pubblici ministeri, della sua minore età .
Ma gli altri del cerchio stretto quando hanno saputo?
Su Emilio Fede c’è persino un documento video. È stato il primo a “sapere” perchè è stato il primo a conoscerla a San’Alessio Siculo, al concorso “Una ragazza per il cinema”.
C’è traccia nelle telecamere accese per la serata. Fede lo si sente e lo si vede, nelle immagini raccolte durante la premiazione, il 6 settembre 2009. Invita Ruby, la concorrente numero 77, a farsi avanti.
E poi dice: “Sottolineo che c’è una ragazza di 13 anni, se non sbaglio egiziana: mi sono commosso, ho solidarizzato, ma non soltanto a parole perchè poi bisogna seguire con i fatti. Questa ragazza non ha più i suoi genitori, tenta una via (…) e allora mi sono impegnato per aiutarla”.
L’aiuta infatti spedendola da Lele Mora e accompagnandola personalmente ad Arcore la prima volta, il 14 febbraio.
Ma i pubblici ministeri vogliono capire comunque quali sono i rapporti di Ruby con Nicole Minetti.
E, nel pomeriggio del 3 agosto, Ruby ricorda: “Ho conosciuto Nicole Minetti e Michelle Coinceicao al ristorante Armani di via Manzoni, che frequentavo. Io a Milano giravo molto la notte. Oltre ad Armani ci si incontrava spesso tra ristoranti, bar alla moda e hotel di lusso, come il ristorante Marchesino, l’Open Cafè, il Diana, il Gattopardo Cafè, una chiesa sconsacrata, la discoteca Hollywood, il disco bar Loolapaloosa, l’Old fashion, il Just Cavalli, il Gasoline, il disco club Peter Pan. Nicole sapeva fin dall’inizio che ero minorenne. Era consapevole della mia minore età prima del mio ingresso ad Arcore, il giorno di San Valentino”.
Quindi il consigliere regionale non dice la verità quando, e lo ha ripetuto anche alla Cnn l’altro ieri, assicura: “Fu quella notte in questura che scoprii che Ruby era minorenne. Ci aveva detto che aveva 24 anni ed era facile crederle visto che dimostra più anni della sua vera età “.
Si comprende perchè la Minetti ha bisogno di cancellare ogni traccia della sua consapevolezza e ogni ricordo se vuole farla franca dall’accusa di aver favorito la prostituzione di Arcore.
Il racconto di Ruby è esplicito, infatti.
Frequenta un circuito notturno affollato di falene. Nicole deve intercettarle, valutarle, selezionarle, invitarle a Villa San Martino, offrirle al Sultano.
Come ha fatto Emilio Fede con Ruby.
Nell’ipotesi accusatoria dei pubblici ministeri che concluderanno le indagini nelle prossime ore, è il lavoro di Nicole.
Un “mandato”, un’incombenza che sembra esporre la privacy del presidente del Consiglio a ogni avventura o intrusione illecita.
I pubblici ministeri fanno una domanda esplicita: ci sono regole da rispettare quando si raggiunge Arcore?
Ecco la risposta di Ruby: “Un controllo, il primo e il solo, deriva dal fatto di essere invitati da Nicole o da Emilio Fede. La garanzia è che loro ti accompagnano o ti chiamano. Dopo non c’è alcun controllo. Dentro si può portare di tutto: senza problemi i telefoni cellulari. Ho sentito io stessa come due ragazze, Barbara Guerra e Marianne Puglia, fossero invidiose dei vantaggi di Nicole, della sua fortuna, della sua vicinanza al presidente. Barbara e Marianne si dicevano che, se fosse stato necessario, potevano sempre vendere al miglior offerente le immagini che avevano già scattato”. Dal racconto di Ruby si comprende che immagini imbarazzanti potevano essere raccolte in vari momenti della notte e forse sono state raccolte.
Le “scene più piccanti” possono essere quelle vissute nel sotterraneo del “bunga bunga”.
I ricordi di Ruby, affidati al verbale di interrogatorio, non lasciano spazio alla fantasia. Sono concreti fino alla pornografia.
Descrivono più o meno un sfrenato baccanale, gli strofinamenti tra ragazze (“petting”, dice Ruby), gli approcci saffici per incantare il Sultano.
Salta fuori qualche nome “importante” dallo sport alla politica, “omissato” nel verbale.
La soubrette di Como (Guerra) e la venezuelana (Puglia) sono solo due delle decine e decine di ragazze che entrano a Villa San Martino con i telefonini. Lo scenario descritto da Ruby impressiona i pubblici ministeri.
Possibile che il capo del governo non sia protetto da alcuna sicurezza? Possibile che una qualsiasi delle ragazze, magari “selezionata” la notte prima in una discoteca di Milano – e non si sa da dove viene, chi sia, chi frequenta (non è il caso di Ruby?) – possa muoversi indisturbata nelle stanze più private della residenza del presidente del Consiglio?
Dunque, possono esserci delle immagini che potenzialmente umiliano il premier.
I pubblici ministeri sono increduli e chiedono a Ruby: “Ma queste ragazze perchè non divulgano quello che vedono o sentono?”.
Ruby ha la chiave di lettura delle notti di Arcore.
Vale per tutte le altre e anche per lei: “Hanno il loro tornaconto come peraltro l’ho avuto anch’io. Nei tre mesi che ho frequentato Berlusconi ho ricevuto da lui, esclusi i regali e i gioielli, 187 mila euro. In parte li ho dati ai miei, in parte li ho spesi senza misura. Confermo parola per parola quello che vi ho detto questa mattina, perchè sono cosciente di aver vissuto questi fatti in prima persona”.
Era agosto 2010. Mesi e mesi d’indagine hanno confermato molto di più di quello che Ruby ha visto o ha potuto comprendere.
Piero Colaprico e Giuseppe D’Avanzo
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 17th, 2011 Riccardo Fucile
OTTOCENTO EURO AL MESE CHE, PAGATO L’AFFITTO, DIVENTANO 350… LA STORIA DI PIERO, UNO DEI TANTI: CUOCO IN PENSIONE COSTRETTO ALLA FILA ALLA DISTRIBUZIONE DI CIBO… PERCHE’ LA POLITICA A QUESTA ITALIA NON PENSA MAI?
“Di solito prendo frutta, verdura e a volte del vestiario” dice Piero.
“Oggi ho preso del pane, del cioccolato, una camicia e un paio di calzoni”. Intorno a lui rumeni, arabi, albanesi e qualche italiano.
Gli immigrati nascondono la faccia perchè non tutti hanno il permesso di soggiorno, gli italiani perchè si vergognano.
Piero invece parla senza problemi, quasi fosse il portavoce di quella povertà disciplinata che ogni mattina si mette in coda fra comitati di piccioni che si contendono le briciole di pane cadute dai sacchetti.
“Perchè dovrei vergognarmi…?, dice “io sono passato dal benessere alla povertà . Guadagnavo circa 2.500 euro e sono andato in pensione con un terzo dello stipendio e con quelli ci devo bere, mangiare, pagare l’affitto e le spese di condominio. Non ho vizi. Non fumo, non vado al bar e non compro neppure quotidiani. Leggo quelli gratuiti”.
Lo slogan “La crisi è alle nostre spalle” per Piero ha un significato letterale: alle sue spalle le vittime della crisi si moltiplicano di giorno in giorno.
“Dieci anni fa eravamo qualche centinaio, dice, oggi siamo oltre 1000, che diventano 4000 il sabato e la domenica. Se viene un fotografo o una telecamere tutti si nascondono”.
Nel senso che sono aumentati gli italiani…?.
“Sì, risponde. Soprattutto gli anziani”.
Gli chiedo quanto tempo resti da “Pane quotidiano”, mi dice “un’oretta volentieri” ma che le prime volte si vergognava “perchè molta gente mi conosceva. Anche se nessuno mi ha mai aiutato”.
Il monolocale di Piero dista meno di due chilometri dai banchi di “Pane quotidiano”.
Sulle pareti sono appese le foto di quando era un marito felice e un cuoco stimato con uno stipendio dignitoso mentre tre spade da samurai made in China alludono più a una sconfitta che a una battaglia.
Dopo la separazione, Piero ha lasciato la casa alla moglie e al figlio (che ormai è un adulto) ed è andato a vivere in affitto, cioè in uno spazio di 25 metri quadrati ma i suoi rapporti con i familiari evocano i racconti di Carver. Gli chiedo cosa dica sua moglie del fatto che vada alle distribuzioni di cibo. “Ognuno sta sulle sue”, risponde.
Non le ha mai detto vieni a mangiare da me…?.
“No”.
Ma non le dispiace della sua situazione…?.
“Non gliel’ho mai chiesto, dice Piero. Sa, quando sono andato in pensione mi ha detto: neanche un lavapiatti ha una pensione così”.
E suo figlio…?. “Non gliene frega niente. Lui fa la sua vita”…
Alle pareti sono appese alcune bacheche piene di nodi da marinaio, scorsoi come l’indigenza e indissolubili come il rimpianto.
E poi ci sono le foto di Marilyn Monroe e un’overdose di “vita spericolata” affidata a film e telefilm: tutti dvd gratuiti allegati ai giornali.
“Non ho abbastanza soldi per comprarli o noleggiarli. Non ho abbastanza soldi per andare al cinema o a teatro e ho rinunciato anche a bere un aperitivo con i vecchi amici. Pagavano sempre loro e quando arrivava il mio turno non potevo mai farlo”.
La povertà , a poco poco, ha rinchiuso la vita di Piero in una prigione di 25 metri quadrati.
“Tutta la mia vita è qui, dice, mi alterno fra il mangiare e il dormire”.
Quando la storia di Piero è stata trasmessa da Mattino 5, Massimo Verdi, un dirigente della Lavazza che sta al Cairo, mi ha telefonato.
“Stiamo cercando dei cuochi per un ristorante italiano che stiamo aprendo qui. La storia di Piero mi ha colpito e penso che qui potrebbe ritrovare il suo lavoro e un buon stipendio”.
“Troppo tardi, mi ha risposto Piero, sono troppo vecchio e un problema di salute mi impedisce di allontanarmi da Milano. Dieci anni fa sarei partito subito”.
Oggi Verdi è ancora al Cairo e Piero è ancora nel suo monolocale.
Su Internet trovo un vecchio articolo del Corriere della Sera che parla del ristorante “Da Pietro La Rena” segnalando “Una trattoria simpatica, semplice, cordiale. La cucina è tutta nelle mani di Piero Vinarozzi che del pesce è autentico maestro”.
L’articolo è stato scritto nel 1995, quando le code per il pane erano immagini dei paesi dell’Est…
Mimmo Lombezzi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 17th, 2011 Riccardo Fucile
IL CAPOGRUPPO ALLA REGIONE FRIULI E’ LO STESSO CHE VOLEVA FAR SPARIRE I RE MAGI PERCHE’ TROPPO NERI…LA LEGGE 223 DEL 1991 NON CONSENTE CERTO UNA SOLUZIONE RAZZISTA E ZAIA PRENDE LE DISTANZE: “IL LAVORO DEVE ESSERE ASSICURATO A TUTTI, NON SI PUO’ DISCRIMINARE”… ANCHE IL PDL SI DISSOCIA
Pordenone, così la Lega reagisce al taglio di 580 posti di lavoro della multinazionale svedese dei frigoriferi.
La proposta è di Danilo Narduzzi, capogruppo alla regione. Lo stesso che ha fatto sparire i Re Magi dal presepio del paese perchè troppo neri:
“Electrolux licenzi gli stranieri”.
E’ l’ennesima proposta di un amministratore leghista, che capovolge il mantra del “prima i veneti” invitando la multinazionale svedese a lasciare a casa prima i dipendenti stranieri.
L’idea, che si fa un baffo della legge 223 del 1991 che disciplina la materia ed è talmente balorda da costringere i vertici del Pdl friulano, il presidente leghista del Veneto Luca Zaia e buona parte della nomenclatura padana a prendere le distanze, viene dal “signor Basta” Danilo Narduzzi, capogruppo della Lega Nord in consiglio del Friuli.
Insegnante di Pordenone, 48 anni e una laurea in storia, Narduzzi è quello che ha fatto sparire i Re Magi dal presepio perchè erano troppo neri, quello che ha chiesto di inviare la Guardia di finanza nei campi rom per verificare l’origine delle loro finanze (e magari se fatturano o c’è del nero anche li).
E’ quello del “basta” alimentare associazioni che vivono di contributi pubblici, basta mediatori culturali (ha proposto di trasformarli in traduttori), quello che ha lottato per la proposta di legge che obbligava prima i medici e poi i presidi a denunciare i clandestini.
Ma stavolta “mister Basta” Narduzzi ha così abbassato l’asticella da spaccare la Lega e costringere i colleghi a un veloce dietrofront.
A cominciare da Zaia: “L’occupazione deve essere garantita a tutti i cittadini di un territorio, che siano originari o immigrati. Il lavoro deve essere assicurato a tutti questi cittadini, siano stranieri o italiani”.
Anche il Pdl regionale si dissocia: “E’ inaccettabile porre la questione in questi termini” taglia corto Isidoro Gottardo, coordinatore regionale, che aggiunge: “Non siamo una società in regressione che reagisce mandando via gli immigrati”.
Pure l’appello di Narduzzi a Giunta e sindacati è caduto nel vuoto.
Ma che succede a Pordenone, feudo della Lega friulana che si prepara alle elezioni comunali con un Carroccio spaccato e una maggioranza che litiga su tutto?
Succede che la multinazionale svedese Electrolux ha annunciato 580 esuberi nelle sedi di Susegana (Treviso) e Porcia (Pordenone), nel cuore del distretto del mobile al confine veneto-friulano.
Un piano che rischia di alimentare una disoccupazione già pesante (“Solo a gennaio a Treviso ci sono stati 1323 licenziamenti” dice Paolino Barbiero segretario generale Cgil Treviso) ma anche di svuotare l’intero indotto della Inox valley.
“Saremo tutti più poveri” dice un altro sindacalista: almeno un migliaio di aziende contoterziste lavorano per il gruppo di Stoccolma, sbaragliato dalla concorrenza nelle lavatrici e nel settore del freddo da cinesi, coreani e turchi che hanno occupato il 20 per cento della quota vendite europea.
Ieri i sindacati hanno indetto uno sciopero di due ore davanti ai cancelli di Susegana, ma si annuncia uno scontro aspro e forse inutile.
“Manca un piano industriale del governo che stabilisca su quali produzioni investire per farle rimanere in Italia” spiega Barbiero.
Il piano comporta l’esubero di oltre 500 impieghi entro il 2014, dei quali 115 dal precedente accordo del 2008, altri 310 operai, 48 “indiretti” compresi dirigenti e 12 impiegati.
Ma il gigante del freddo che conta 44 stabilimenti nel mondo e oltre 9mila dipendenti in Italia, 1.700 finora a Susegana (oggi ante-tagli sono già scesi a 1.296) annuncia che è l’inizio di un nuovo modo di produrre.
“A Susegana abbiamo già tolto le pause, inserito i turni di notte, abbassato i tempi di produzione della catena di montaggio” dice Barbato.
Ora se per i siti del “bianco” il gruppo prevede di investire, per quelli dei frigoriferi ci sono poche speranze perchè è un mercato con costi di produzione troppo alti.
Si salveranno gli stabilimenti del gruppo che hanno sede a Solaro (lavastoviglie) Forli (forni e incasso) e Porcia (lavasciuga).
Quelli del freddo, Scandicci (frigo per alberghi) e Susegana (frigo free standing) potrebbero chiudere, anche se il piano disegna la chiusura del primo e l’ottimizzazione del secondo dove verranno investiti 15 milioni su una fabbrica dimezzata.
“La contrazione dei volumi dell’elettrodomestico bianco è del 40 per cento — spiega Barbiero — il frigorifero “libero” non a incasso in Italia non conviene produrlo più. Se si aggiunge la crisi dell’immobiliare e la facilità di trovare all’estero manodopera a basso costo, si capisce perchè anche Whirlpool e Merloni sono a rischio chiusura”.
Così Electrolux ha preso la decisione di spostare parte del prodotto free standing in Ungheria, dove i costi sono più bassi.
“La Lega e gli altri devono capire che si deve impostare una politica industriale territoriale — chiude Barbiero — cerchiamo di programmare attività industriali nuove da far crescere nel Trevigiano che rischia di svuotarsi dopo i tanti tagli agli impieghi. Il razzismo contro gli stranieri non serve a nessuno, è pura demagogia”.
Erminia della Frattina
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 17th, 2011 Riccardo Fucile
TELEGRAPH: “BERLUSCONI COME DON GIOVANNI, L’AMORE PER LE DONNE LO FARA’ CADERE”…NEW YORK TIMES: “GOVERNO BLOCCATO, SITUAZIONE INSOSTENIBILE”..EL PAIS: “DANNO PER LA DEMOCRAZIA ITALIANA, MA ANCHE PER L’IMMAGINE DELL’EUROPA NEL MONDO”
Il processo a Berlusconi è al centro dell’attenzione dei media di tutto il mondo: ieri era l’apertura di siti e telegiornali, stamattina è sulle prime pagine dei maggiori giornali stranieri.
“L’ultimo atto dell’opera buffa di Silvio” è il titolo di un editoriale del Daily Telegraph sul rinvio a giudizio del premier italiano.
“Il priapico Cavaliere è stato accusato molte altre volte di attività illecite, e quei processi avrebbero sicuramente messo fine alla carriera politica di qualsiasi altro leader”, afferma l’articolo nella pagina dei commenti del più diffuso quotidiano conservatore britannico di qualità .
“Ma questa volta Berlusconi sembra aver trovato pane per i suoi denti. Centinaia di migliaia di donne hanno manifestato contro di lui lo scorso fine settimana. Tre giudici donne condurranno il procedimento giudiziario contro di lui (per il Rubygate). Come Don Giovanni, il suo impenitente amore per le donne potrebbe rivelarsi la ragione della sua caduta. L’opera buffa che è stata la sua carriera è arrivata a quello che sembra l’ultimo atto”.
Il Telegraph pubblica anche una grande foto di Ruby in prima pagina, sotto il titolo “Le accuse contro Silvio Berlusconi”, e una pagina intera di servizi all’interno del giornale.
Nick Squires, in una corrispondenza da Roma, scrive che il processo infligge “un duro colpo” al premier in un momento in cui deve fare i conti con divisioni nella sua coalizione, un declino nei sondaggi, una serie di nuovi scandali sessuali e pressanti richieste di dimissioni.
Il quotidiano londinese nota che il Rubygate segna “la prima volta che Berlusconi è stato incriminato per la sua condotta nella sua vita privata”.
E ricorda che la scelta di tre donne come magistrati per il processo è stata fatta “da un computer”, per cui è “ironica” ma non sospetta di partigianeria.
Un altro quotidiano britannico, il progressista Guardian, dedica due pagine intere al caso Berlusconi, “mandato sotto processo per avere pagato per sesso con una minorenne”, afferma il titolone.
Un processo “senza precedenti nella storia moderna dell’Italia”, osserva il corrispondente da Roma John Hooper, e che sembra rendere “inevitabili le elezioni anticipate”.
Il Guardian nota che la Lega Nord ha inviato un primo segnale che potrebbe cambiare alleanze, pubblicando sul suo giornale un’intervista al leader del Pd Pierluigi Bersani che si dice pronto a sostenere il federalismo voluto dal partito di Bossi.
L’articolo aggiunge che la giornata di ieri ha portato un’altra “brutta notizia” per Berlusconi: la dichiarazione dell’avvicato di Nicole Minetti che la sua cliente “parlerà e parlerà chiaramente, anche a costo di rompere con Silvio Berlusconi”.
Il Guardian mette inoltre in rilievo che le azioni di Mediaset hanno perso l’1,7 per cento nel giorno dell’annuncio del processo contro Berlusconi.
L’ipotesi che la Lega Nord finirà per beneficiare dalla situazione viene sottolineata anche dal Financial Times, che dedica due ampi servizi, uno a tutta prima pagina, al rinvio a giudizio di Berlusconi.
Il primo afferma che la crisi politica italiana “si intensifica” e che la natura delle accuse del Rubygate “rischia di minare ancora di più un governo già debole.
Il secondo, un commento all’interno del quotidiano finanziario, firmato dal corrispondente da Roma Guy Dinmore, osserva che Giulio Tremonti, “il più credibile membro del governo”, appoggiato dalla comunità degli affari e da parte dell’opposizione, potrebbe diventare “un leader alternativo del centro-destra”.
In Spagna, El Pais sceglie di titolare sulla richiesta di dimissioni avanzata dall’opposizione.
Nella sua corrispondenza, Miguel Mora sottolinea come il rifiuto di Berlusconi di lasciare il potere “stia compromettendo non solo la credibilità della democrazia italiana, ma anche il profilo della Ue nel mondo”.
Anche negli Stati Uniti la stampa dà grande rilievo alla vicenda.
L’International Herald Tribune, edizione internazionale del New York Times, mette la notizia in prima pagina.
La corrispondente da Roma del quotidiano newyorchese, Rachel Donadio, scrive che la decisione di processare Berlusconi è “il più serio colpo alla sua leadership nei 17 anni in cui ha dominato la politica italiana”.
Il processo, soggiunge l’articolo, “rende quasi impossibile che il premier governi e quasi garantisce che ci saranno elezioni anticipate”.
Una situazione “insostenibile”, prevede il New York Times: Berlusconi potrà provare a resistere nel breve termine, ma nel giro di “qualche mese” non potrà più andare avanti.
Dello stesso parere il Wall Street Journal.
Per il grande quotidiano finanziario americano, è il “processo più dannoso” di tutti quelli affrontati da Berlusconi. E l’atmosfera nel Paese sta cambiando, dice al Journal il professor Duncan McDonnell, docente di scienze politiche all’università di Torino: “A livello di base c’è la sensazione che la gente ne abbia abbastanza”.
Sottinteso: di Berlusconi.
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Febbraio 17th, 2011 Riccardo Fucile
L’ANALISI DI SERGIO ROMANO SUL “CORRIERE DELLA SERA”: “IL PREMIER NON PUO’ RIFIUTARE IL GIUDIZIO SENZA IMPLICITAMENTE AUTORIZZARE I SUOI CONNAZIONALI A COMPORTARSI NELLO STESSO MODO”
Credo che Berlusconi, dopo la decisione del giudice per le indagini preliminari, debba calcolare attentamente i possibili effetti delle sue parole e iniziative.
Può criticare alcuni magistrati, ma non può attaccare la magistratura.
Può persino spingersi sino a denunciare l’esistenza di un disegno malevolo nei suoi confronti, ma non può rifiutare procedure che appartengono ai compiti e alle funzioni dell’ordine giudiziario.
Non potrebbe farlo un cittadino senza assumere implicitamente un atteggiamento eversivo.
Non può farlo, a maggiore ragione, un presidente del Consiglio perchè il suo atteggiamento verrebbe percepito come un atto di guerra e l’inizio di un insanabile conflitto istituzionale.
In tribunale i suoi avvocati possono sollevare eccezioni (compresa quella dell’incompetenza della sede di Milano) e servirsi di tutti gli strumenti che la giustizia garantisce a un cittadino.
Ma l’imputato, quando è capo dell’esecutivo, non può rifiutare il giudizio senza esprimere contemporaneamente un voto di sfiducia contro l’intera magistratura e autorizzare obiettivamente i suoi connazionali a comportarsi nello stesso modo.
È possibile d’altro canto che l’accettazione del giudizio gli assicuri qualche punto di vantaggio. Darà una prova di coraggio. Avrà l’occasione di fare valere le sue ragioni. Eviterà di offrire ai suoi critici argomenti polemici a cui non sarebbe facile replicare.
Forse farà persino nascere qualche dubbio nella mente di coloro che già lo considerano colpevole.
Non è necessario essere berlusconiano o elettore del Pdl per assistere con disagio a certe iniziative della magistratura inquirente.
A nessun italiano può piacere che il presidente del Consiglio si serva della sua autorità per scavalcare tutti i passaggi intermedi e mettere in imbarazzo un funzionario di questura con richieste telefoniche a cui è difficile per un sottoposto non aderire.
Ma questa è anzitutto una colpa politica e per di più una delle più diffuse e frequenti in un sistema in cui non sono molti gli uomini pubblici che si astengono dall’approfittare della propria posizione.
Si è detto frequentemente, negli scorsi giorni, che anche la magistratura degli Stati Uniti si sbarazzò di Al Capone imputandogli un reato minore.
Ma l’evasione fiscale non era un reato minore ed è stata sempre perseguita in America con particolare severità ; mentre la concussione imputata a Berlusconi è uno dei reati meno perseguiti della politica italiana.
Sarebbe giusto cominciare a farlo.
Ma oggi, in queste circostanze, dimostrerebbe che in Italia non esiste soltanto un caso Berlusconi.
Esiste anche un pericoloso cortocircuito tra politica e magistratura, un nodo che risale alla stagione di Mani pulite e che non siamo ancora riusciti a sciogliere.
Vi è un’altra ragione per cui Berlusconi deve accettare il giudizio.
Il presidente del Consiglio ha un interesse che è anche nazionale.
Deve evitare che questa legislatura finisca in un’aula di tribunale.
Il solo modo per impedire che questo accada è quello di governare accettando, giorno dopo giorno, il confronto con il Parlamento.
Se dimostra di avere una maggioranza, nessuno, se non una sentenza definitiva, può impedirgli di restare a Palazzo Chigi.
Se la maggioranza non è sufficiente occorre tornare alle urne.
In ambedue i casi avremo dimostrato che la politica non si fa nei palazzi di giustizia, ma nei parlamenti e nei seggi elettorali.
Sergio Romano
(da “Il Corriere della Sera”)
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