Febbraio 4th, 2011 Riccardo Fucile
COME AVEVAMO PREVISTO, IL CAPO DELLO STATO HA BOCCIATO LA PROCEDURA DA PATACCARI DEL DUO BE-BO…C’ERA L’OBBLIGO DI “RENDERE COMUNICAZIONE ALLE CAMERE PRIMA DI APPROVARE IL DECRETO IN DIFFORMITA’ DEGLI ORIENTAMENTI DEL PARLAMENTO”… BOSSI HA FORZATO ED E’ CADUTO NELLA TRAPPOLA DI BERLUSCONI, ORA LE ELEZIONI SONO PIU’ LONTANE
Un «non possumus» affidato ad una lettera di poche righe: il Quirinale boccia il decreto sul federalismo municipale varato in fretta e furia ier dal consiglio dei ministri.
Di più: fa sapere di non poterlo emanare.
Ancora di più: il decreto è irricevibile.
Eppure ancora poche ore fa, sbarcando a Bruxelles per il Consiglio Europeo, Silvio Berlusconi aveva risposto ad una domanda sui dubbi del Colle: «Spero di non aver problemi con Napolitano».
La replica è arrivata in tarda mattinata, affidata ad un comunicato: «Il Presidente della Repubblica ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio in cui rileva che non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta emanazione, non essendosi con tutta evidenza perfezionato il procedimento per l’esercizio della delega previsto dai commi 3 e 4 dall’art. 2 della legge n. 42 del 2009 che sanciscono l’obbligo di rendere comunicazioni alle Camere prima di una possibile approvazione definitiva del decreto in difformità dagli orientamenti parlamentari. Pertanto, il Capo dello Stato ha comunicato al Presidente del Consiglio di non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza, il decreto approvato ieri dal Governo».
Una lunga ed articolata spiegazione, in punta di diritto, per dire che non si può liquidare come una formalità il no della bicameralina di ieri mattina, che il Parlamento è e resta centrale nell’ordinamento costituzionale, che il Presidente della Repubblica si rifà alla Carta e, in questo caso, all’articolo 87.
Dal Colle per tutta la mattina hanno giurato e stragiurato che ci sarebbe voluto tempo, che il decreto non era ancora stato inoltrato, che addirittura, nel caso della promulgazione delle leggi, si possono attendere anche 30 giorni. Invece sono bastate, per l’esattezza, 19 ore.
Senza che nemmeno il decreto arrivasse a destinazione.
Esultano le opposizioni. Dario Franceschini: «in modo come sempre ineccepibile, determinato e imparziale, Napolitano ha bloccato un procedimento illeggittimo, che ora non esiste più».
La Lega si affida ad un comunicato, che informa di una telefonata tra Umberto Bossi e il Capo dello Stato, ed aggiunge: i leghisti «si recheranno nelle aule parlamentari a dare comunicazioni sul decreto sul federalismo fiscale municipale».
Ma in fondo esulta anche Berlusconi che ha attirato Bossi in un tranello.
Ieri sera infatti, visto che Bossi aveva promesso di staccare la spina in caso di bocciatura del federalismo, lo ha convinto a dire sì al decreto.
Una rottura istituzionale calcolata da parte del Cavaliere per far ricadere sul Quirinale la responsabilità di aver bocciato la legge bandiera del Carroccio. Tra i militanti e i funzionari leghisti il malumore è fortissimo.
Ora la situazione è sempre più confusa: se non si va a elezioni, l’altra possibilità è che l’esecutivo torni indietro e rispetti l’iter previsto dal regolamento della Bicamerale.
In questo modo, per la gioia del premier, trascorrerebbero almeno due mesi. E di voto si riparlerebbe eventualmente in autunno.
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Febbraio 4th, 2011 Riccardo Fucile
BOSSI HA IMPOSTO IL DECRETO: “NON RIESCO PIU’ A GESTIRE IL MALCONTENTO DELLA BASE, MI SERVE PER TACITARLA”… BERLUSCONI SI ARRENDE MA DAL COLLE ARRIVANO SEGNALI NEGATIVI
“Andiamo a fare il golpe…». Sono le 19,30.
Il ministro ha appena finito di votare contro la richiesta dei Pm milanesi di perquisire gli uffici di Giuseppe Spinelli, il tesoriere di Berlusconi.
Scherza e sorride amaro il ministro mentre esce dalla Camera e si avvia verso Palazzo Chigi dove sta per iniziare il Cdm.
Sa che verrà varato il decreto legislativo sul federalismo municipale, scatenando l’ira dell’opposizione, dopo il voto di parità espresso dalla bicamerale.
Sa che questo provvedimento non piacerà al Quirinale, che il capo dello Stato avrà un problema a controfirmarlo.
In effetti il malumore del Colle è forte.
Il federalismo fiscale doveva essere un evento politico bipartisan e il ministro Calderoli aveva lavorato a questo obiettivo.
E dire che fino a ieri tutti a parole avevano apprezzato l’ennesimo appello di Napolitano ad uscire dalla «spirale insostenibile di contrapposizioni».
Ora il presidente della Repubblica aspetta di vedere il testo del decreto legislativo, e i suoi collaboratori spiegano che c’è un problema di metodo e di procedure.
C’è una questione non irrilevante e riguarda la valutazione del voto della bicamerale: è un voto negativo o non espresso?
Il timore è che il decreto si configuri come un schiaffo al Parlamento.
Ma come andare avanti? «Senza il federalismo fiscale si va a votare”, ha tuonato Bossi.
Bisogna escogitare una soluzione, altrimenti qui salta tutto. Si è quindi pensato al decreto legislativo. Berlusconi d’accordo. Calderoli, Maroni, Tremonti pure.
Ha frenato Gianni Letta che aveva ricevuto una telefonata preoccupata dal Quirinale. Così il sottosegretario ha fatto presente il problema.
Ma Bossi e i leghisti non sentono ragione.
Berlusconi è infuriato con la composizione di questa bicameralina che era partita come bipartisan ma con l’esponente in quota Fini, cioè Baldassarri, che allora faceva parte della maggioranza. Poi però c’è stata la scissione del Pdl e Baldassarri è passato con il Fli.
Hanno fatto di tutto per convincere Baldassarri a votare a favore del testo sul federalismo municipale.
Si era incontrato con Berlusconi e Calderoli e gli sarebbe stato concesso un miliardo per sgravi agli inquilini e le famiglie nella cedolare secca.
Ma poi è stato chiamato da Fini: o con me o con il Cavaliere.
Si era mosso pure Bossi per convincere il presidente della Camera.
Fini gli avrebbe risposto picche: «Prima togli di mezzo Berlusconi”
Ma il Senatur ha osservato che il federalismo è la bandiera della Lega.
E’ vero che ci sono problemi per via della vicenda giudiziaria del premier: per il momento Bossi rimane fermo in attesa di eventuali nuove rivelazioni dai Pm milanesi.
Certamente la Lega non si farà trascinare nel gorgo, se le cose si mettessero male, avendo nella manica la carta Tremonti o Maroni da giocare al momento opportuno. Intanto si va avanti: da qui il diktat del decreto legislativo.
E non è finita se è vero che al megavertice di ieri si sarebbe discusso di rimettere mano alla composizione della bicamerale in vista del federalismo regionale. Un “riequilibrio” a favore della maggioranza.
Ma questo significa che il presidente del Senato Schifani dovrebbe togliere Baldassarri e metterci uno del Pdl.
A quel punto il presidente della Camera Fini potrebbe dire: manca un rappresentante del Fli e ce ne metto uno mio scelto tra i deputati.
Roba da far perdere la pazienza a Napolitano.
Ancora una volta.
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa“)
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Febbraio 4th, 2011 Riccardo Fucile
LE MAESTRE SI PRIVANO A TURNO DI UN PRANZO ALLA SETTIMANA PER UN BIMBA AFRICANA A TEMPO PIENO…IL SINDACO LEGHISTA DI FOSSALTA DI PIAVE DICE “NO, SAREBBE UN DANNO ERARIALE PER IL COMUNE”… PER LA LEGA “CRISTIANA” LA BIMBA DOVREBBE MORIRE DI FAME… INSORGE LA POPOLAZIONE CONTRO IL SINDACO RAZZISTA
In fondo la storia è molto semplice: una bambina di quattro anni lasciata senza pasto, nella mensa del suo asilo, e rimandata a casa per volontà di un sindaco.
In fondo questa è una nuova, piccola, storia feroce, una storia di uomini coraggiosi che si mettono a fare la guerra ai bambini.
Ed è una di quelle facili guerre con cui alcuni amministratori della Lega provano a stravolgere la faccia bella del nord e a macchiare la generosità dei veneti con il pretesto della buona amministrazione.
Sarebbe forse una “Nuova Adro” – questa storia – se a Fossalta di Piave la solidarietà dei genitori (che sono andati a protestare in istituto), delle insegnanti e dei collaboratori scolastici non si fosse opposta alle decisioni del sindaco e della direttrice scolastica.
E sarebbe una storia sicuramente incredibile se a raccontarla non fossero le testimonianze dei genitori, le carte bollate e persino le parole dei diretti interessati.
Ecco che cosa è successo.
Nella Scuola dell’Infanzia “Il Flauto Magico” di Fossalta di Piave (che fa parte dell’Istituto comprensivo di Meolo) — una deliziosa scuola con i giochi fuori e cinque maestre bravissime – c’è una bambina di origine africana (la chiameremo Speranza, anche se questo non è il suo nome).
Speranza ha una famiglia povera ma felice.
Il padre operaio, la madre che si prende cura dei figli: lui lavora nelle industrie della zona, il pane non manca.
Speranza ha quattro fratellini: due più piccoli di lei, due più grandi, già alle elementari.
Quando entra in età scolare non riesce a iscriversi a scuola, perchè non trova posto: l’istituto può accogliere solo cinquanta bambini.
Quest’anno la mamma di Speranza (che chiameremo Maria, anche se questo non è il suo nome) fa in tempo a ricevere una buona notizia e un colpo durissimo.
La buona notizia è che Speranza potrà finalmente entrare a scuola perchè c’è posto per lei.
Accede al tempo pieno, impara subito l’Italiano, si integra, aiuta la propria famiglia — e la madre che si esprime con pochissimi vocaboli e i verbi all’infinito – a inserirsi nella comunità fossaltina.
Ma poi arriva anche il colpo: il papà di Speranza, dopo aver perso il suo lavoro e non essere riuscito a trovarne uno nuovo, sceglie di emigrare in Belgio, dove gli hanno promesso un impiego certo.
Lo fa, e la piccola famiglia straniera inizia a vacillare. Era lui che si esprimeva in un italiano corrente, lui che teneva i rapporti con gli altri genitori.
Maria resta sola: i soldi che arrivano dal Belgio sono pochissimi rispetto alle necessità di cinque bambini.
I bimbi delle elementari hanno la refezione e il tempo pieno, ma Speranza, nella sua nuova classe, (anche se con la tariffa agevolata) deve pagare comunque cinquanta euro al mese.
Se devi stringere la cinghia sono comunque tanti soldi.
E così Maria si rivolge ai servizi sociali del comune, che le rispondono di non poter intervenire per aiutarla.
Nel frattempo (solo una settimana fa), le maestre della scuola escogitano una soluzione: ognuna di loro rinuncerà una volta a settimana al pranzo a cui ha diritto (sul posto di lavoro) e lo cederà alla bambina.
E’ un gesto di solidarietà pragmatico, discreto.
Aderiscono anche le due collaboratrici scolastiche, è d’accordo l’insegnante di religione che viene una volta a settimana.
In un istituto in cui si servono 60 pasti e in cui mangiano 50 bambini, in realtà , le pietanze che ogni giorno avanzano basterebbero (e avanzerebbero) per tutti.
Ma le maestre vogliono che non ci siano irregolarità e così si arrangiano: un giorno una di loro torna prima, un giorno un’altra si porta un panino, un altro ancora un’altra salta il pasto e dice scherzando che le farà bene alla linea.
Ma qui finisce il lato bello della storia e inizia la commedia surreale e grottesca.
Il sindaco leghista Massimo Sensini (che è stato informato dai servizi sociali e dalla direttrice) viene a sapere della soluzione che è stata trovata e va su tutte le furie.
Convoca la direttrice del comprensorio, Simonetta Murri e le spiega che “è responsabile di una gravissima irregolarità ”.
Prende carta e penna e scrive di suo pugno una lettera in cui si leggono frasi come questa: “Si sottolinea che il personale (della scuola, ndr.) non può cedere il proprio pasto senza incorrere in un danno erariale per il comune di Fossalta di Piave”.
Insomma, per l’amministratore Sensini, le maestre che si privano del pasto per far mangiare una bambina di quattro anni, sono paragonabili a dei ladri che sottraggono al Comune beni di pubblica utilità .
La direttrice sottoscrive la decisione, e a sua volta stila un ordine di servizio il cui senso è: “Se questo atteggiamento si ripeterà le responsabili saranno denunciate al provveditorato”.
Con questa procedura le maestre rischiano provvedimenti disciplinari e la sospensione dall’insegnamento. E infatti non vogliono parlare.
Maria viene informata che deve presentarsi a prendere Speranza alle 12.00 e non più alle 16.00. La bimba è costretta a saltare il tempo pieno e a separarsi dai suoi compagni di scuola.
Maria fa quel che le è stato detto e, due giorni fa, la bimba scoppia a piangere in classe quando la madre la prende per portarla a casa.
Ieri i genitori hanno chiesto un incontro alla direttrice dell’istituto per pregarla di risolvere la situazione.
Ma l’interessata spiega: “Purtroppo condivido il richiamo che ci ha fatto il sindaco”.
Le domandi come giudichi la sua lettera e lei ti risponde: “L’ho trovata ironica. E utile”. Ma in che senso? La Murri fa un esempio: “Se lei ha una casa del comune non la può subaffittare a dei terzi, capisce? E’ un reato. Se lei ha diritto ad un pasto della mensa non lo può dare a chi passa”.
Provi a suggerire alla direttrice che la bambina non è una persona “che passa”.
La Murri non accetta l’idea: “Ma vede, questo è un principio: quella soluzione era grave e dannosa. Se tutti volessero il pasto gratis noi cosa potremmo fare?”.
Le chiedi se abbia ricevuto altre richieste: “Per ora no. Ma non potrebbero arrivare in tanti, siamo in tempi di crisi”.
Provi a domandare se pensa che il fatto che la bimba sia extracomunitaria abbia prodotto la decisione dell’amministratore: “Penso proprio di no. Anzi, questa vicenda è la migliore garanzia della buona fede del sindaco: la bimba viene trattata come verrebbe trattato qualsiasi italiano”.
Resti ancora incredulo, e cerchi il sindaco Sensini, classe 1951.
Lo cerchi quattro volte, in comune, ti dicono che arriva alle 17.00.
Ma lui non risponde e non richiama. Peccato.
In fondo, questa è una storia semplice, una piccola storia di ordinaria ferocia. Ma la parola fine — per fortuna – non è stata ancora scritta.
Luca Telese
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 4th, 2011 Riccardo Fucile
I RISVOLTI COMICI DELLA SEDUTA ALLA CAMERA IN CUI IL DEPUTATO PDL MAURIZIO PANIZ TENTA DI GIUSTIFICARE LA TELEFONATA DI SILVIO IN QUESTURA PER “TUTELARE IL PRESTIGIO INTERNAZIONALE DELL’ITALIA”… SE MUBARAK FOSSE ARRESTATO, SILVIO TELEFONERA’ ALLA QUESTURA DEL CAIRO: “LIBERATELO, E’ LO ZIO DI RUBY”
Pur avendone viste e fatte tante, mai il Parlamento italiano si era umiliato come ieri votando un testo talmente comico che nessuno oserebbe mai ripeterlo a voce alta senza scoppiare a ridere.
Com’è noto, la Camera doveva approvare la proposta della giunta per le autorizzazioni a procedere di restituire alla Procura di Milano la richiesta di consentire la perquisizione degli uffici del rag. Giuseppe Spinelli, contabile di Berlusconi e amministratore di varie società Fininvest, sulla sua porta campeggia la scritta: “Segreteria on. Silvio Berlusconi”.
Dunque Spinelli beneficia di una sorta di “immunità contagiosa” che gli deriva dallo sfiorare ogni tanto la sacra persona di Berlusconi, non a caso ribattezzato “lo Spirito Santo” dall’amica mignotta Michelle al telefono con la Minetti.
Invece di dire sì o no alla Procura,il Pdl ha rispedito gli atti su Spinelli al mittente perchè il reato contestato a Berlusconi sarebbe di competenza del Tribunale dei ministri e non di quello ordinario.
Cioè: la Procura chiede “che ora è?” e la Camera risponde “piove”.
Le motivazioni le ha illustrate in giunta il 27 gennaio l’on. Maurizio Paniz, uomo dal proverbiale autocontrollo visto che è riuscito a pronunciare queste parole senza cadere in preda alla ridarola: “Nel contattare la Questura di Milano, il Presidente del Consiglio ha voluto tutelare il prestigio internazionale dell’Italia, giacchè presso la medesima questura era detenuta, a quanto poteva legittimamente risultargli, la nipote di un Capo di Stato estero. È del tutto evidente che il Presidente del Consiglio si è preoccupato di tutelare le relazioni internazionali del nostro Paese. Non gli si può negare credito per aver creduto alle affermazioni della giovane… È quindi evidente che il reato dovrebbe essere conosciuto dal Collegio per i ministri… Per questi motivi è pregiudiziale il profilo della competenza funzionale… con restituzione degli atti per incompetenza dell’autorità procedente”.
Traduzione: Berlusconi agì nelle funzioni di premier per scongiurare la crisi internazionale con l’Egitto che sarebbe seguita all’arresto della nipote di Mubarak.
Cioè “Ruby”, prostituta minorenne nata in Marocco, fermata per furto senza documenti nè fissa dimora.
Queste baggianate il buontempone ha ripetuto ieri in aula, con esercizi maxillofacciali davvero rimarchevoli, visto che non gli è sfuggita nemmeno una risata.
Nella fretta, Paniz non ha spiegato perchè, alla notizia che la nipote di Mubarak era agli arresti, Berlusconi non chiamò Frattini (che non sembra, ma è il ministro degli Esteri) nè l’ambasciata al Cairo per avvertire Mubarak dello scampato pericolo per la nipotina e/o per capire come sia mai potuto accadere che il presidente egiziano abbia una nipote marocchina.
Paniz trascura pure un altro mistero: perchè Berlusconi, strappata la nipote di Mubarak dalle grinfie della Polizia,non raccomandò alla Minetti di tenerla con sè, anzi non le disse nemmeno di quell’altolocata parentela, tant’è che la Nicole appena uscì dalla Questura la scaricò sul marciapiede, lasciando che tornasse ad abitare con la collega Michelle e a esercitare il mestiere più antico del mondo, mettendo di nuovo in pericolo i rapporti fra il Cairo e Milano2?
Ma soprattutto Paniz non spiega dov’è scritto che, tra le funzioni del premier, rientrino i rapporti internazionali, che spettano al ministro degli Esteri (l’art. 95 della Costituzione e la legge 400/1988, che regolano le funzioni del capo del governo, non vi fanno alcun cenno).
Eppure i delirii di Paniz hanno avuto la maggioranza: si son trovati 315 deputati disposti a dichiarare che Berlusconi telefonò in questura per scongiurare una crisi con l’Egitto.
Chissà le risate ieri sera, quando sono rientrati a casa e han raccontato la loro ultima impresa a mogli e figli.
Che s’ha da fare per campare. Anzi, per fargliela scampare.
Mubarak comunque è in una botte di ferro.
Casomai i rivoltosi lo arrestassero, Berlusconi chiamerà la questura del Cairo: “È lo zio di Ruby, liberatelo”.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 4th, 2011 Riccardo Fucile
DAL “FEDERALISMO O MORTE” ALLA MORTE DEL FEDERALISMO: ANCHE IL CARROCCIO TIENE FAMIGLIA…IL POTERE ESECUTIVO CANCELLA QUELLO LEGISLATIVO…LA STRATEGIA LEGHISTA CONFUSA E SBIADITA, IL MITO DI BOSSI NE ESCE INTACCATO: RITRATTA, SUBISCE E PATISCE CON UN VECCHIO DOROTEO… DALLA TERRA PROMESSA ALLA PALUDE BERLUSCONIANA
“Federalismo o morte”, grida da mesi Umberto Bossi, brandendo la spada di Alberto da Giussano.
Ma adesso che il federalismo muore, il leader della Lega rincula, ripiega.
E balbetta, come l’arcitaliano di Mino Maccari: “O Roma o Orte”.
Nel gorgo in cui sta affondando il Cavaliere, dunque, sembra risucchiato anche il Senatur.
Non solo il Carroccio non rompe, dopo il “pareggio” in Parlamento sul decreto federalista. Ma prova a tirare a campare, al fianco di un premier sempre più disperato.
E così, a sua volta, accetta il rischio di tirare le cuoia.
La giornata di ieri segna un altro passo verso il baratro.
C’è un baratro nel quale precipitano le regole democratiche. Sulla drammatica scena del crepuscolo berlusconiano accade un’altra cosa mai vista.
Un decreto, respinto da una Commissione bicamerale, viene riapprovato nella stessa formulazione dal Consiglio dei ministri.
Il potere esecutivo, con un suo atto d’imperio, annulla il potere legislativo. Siamo all’ennesima “lesione” ordinamentale, voluta da un centrodestra che supplisce alla debolezza aritmetica con la scelleratezza politica.
Davvero una “situazione senza precedenti”, per usare le parole di Gianfranco Fini. C’è un baratro che si avvicina per la maggioranza. Il “15 a 15” registrato nella “Bicameralina” è solo in apparenza un pareggio, ma in realtà è una sconfitta.
È una sconfitta tecnica, perchè quel testo, benchè riscritto da Tremonti e Calderoli, non soddisfa nè le opposizioni nè i sindaci.
Dall’Imu alle addizionali Irpef, dalle tasse di scopo a quelle di soggiorno: la presunta “riforma federale” nasconde in realtà una stangata epocale.
E nell’attesa messianica del secondo decreto, quello sul federalismo regionale, non si sa nulla del fondo di perequazione e dei costi standard delle prestazioni.
La sconfitta è anche politica.
La maggioranza può anche considerare una rivincita il voto successivo dell’aula di Montecitorio sul rinvio alla procura di Milano degli atti relativi allo scandalo Ruby.
Ma c’è poco da festeggiare.
L’operazione di allargamento non ha prodotto risultati.
Lo dice la matematica.
Il 14 dicembre la fiducia al governo è passata con 314 voti. Il 19 gennaio la relazione di Alfano sulla giustizia è passata con 303 voti.
Il 26 gennaio la mozione di sfiducia a Bondi è stata respinta con 314 voti.
Ieri il no ai pm è passato con 315 voti.
Nonostante la vergognosa compra-vendita tra lombardisti pentiti e futuristi delusi, la macchina da guerra Pdl-Lega non sfonda.
Con questi numeri non si governa.
Si può superare per miracolo la prova di una fiducia, con un governo “militarizzato” e presente in aula con tutti i suoi effettivi.
Ma basta un voto qualsiasi, per esempio sul decreto legge mille-proroghe presto all’esame di Montecitorio, e si perde.
Si può galleggiare per qualche settimana o qualche mese. Ma con la certezza di andare a fondo, prima o poi. Il voto della Commissione bicamerale lo dimostra: la maggioranza forzaleghista non ha i numeri per far passare il decreto federalista.
Se non al prezzo di un clamoroso colpo di mano, di un doloroso strappo ai principi della Costituzione e ai regolamenti parlamentari.
Ma c’è un baratro nel quale si sta ormai lasciando cadere soprattutto la Lega. Solo ieri notte Bossi usciva dal lungo vertice a Palazzo Grazioli rilanciando il suo grido di battaglia: se non passa il decreto sul federalismo si va a votare. È stato il “mantra” ripetuto ossessivamente, fin dal giorno della rottura di Futuro e Libertà .
È stato il patto che ha legato le sorti del Senatur a quelle del Cavaliere: la partecipazione al governo in cambio dell’attuazione del federalismo.
Non c’è il primo se non c’è il secondo: questo è il senso della strategia leghista di questi mesi.
Ora questa strategia sembra sbiadita, confusa, tradita. Il federalismo non c’è, ma Bossi abbozza e dice “si va avanti”.
In questo suo atteggiamento indulgente e “resistente” deve esserci sicuramente una profonda riconoscenza umana e personale nei confronti di Berlusconi.
Ma persino la politica, alla fine, esige una sua coerenza.
Il Carroccio sta pagando un costo sempre più alto, per puntellare un presidente del Consiglio sempre più debole.
Lo certificano i sondaggi, che da tre settimane non fotografano più una Lega con il vento nelle vele.
A parlare con i sindaci, ad ascoltare Radio Padania e a leggere la Padania, si percepisce uno smarrimento crescente.
I militanti manifestano una forte insofferenza per gli scandali privati del Cavaliere.
Ma avrebbero tollerato, di fronte alla contropartita pubblica del federalismo. Se adesso anche questa viene a mancare, al Carroccio non resta nulla da spartire in questa ennesima avventura a fianco del Sultano di Arcore.
Bossi, pur nel travaglio della malattia che lo colpito e fiaccato, non ha mai perso il profilo da combattente indomito e “rivoluzionario”.
Ha sempre incarnato il mito del capo di un movimento pre-politico, nato per il cambiamento e per l’affrancamento dal Palazzo.
Da ieri quel profilo è intaccato, e quel mito violato.
Il Senatur tratta e ritratta, subisce e patisce.
Come un doroteo qualsiasi.
Può accettare un simile snaturamento del suo partito, senza incassare neanche il dividendo pattuito e senza cominciare a guardare ad un orizzonte politico più ampio?
Può sventolare ancora il suo logoro vessillo federalista, senza poterlo concretamente piantare in una Padania non più immaginaria, ma finalmente reale?
Fino a che punto può seguirlo il suo “popolo”, che sognava la terra promessa e si ritrova nella palude berlusconiana?
Sono domande che un “animale politico” come lui non può eludere ancora a lungo.
A meno che Bossi il Padano, per eterna fedeltà all’amico Silvio, non abbia deciso di “morire democristiano”.
Massimo Giannini
( da “La Repubblica“)
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Febbraio 4th, 2011 Riccardo Fucile
E’ COMINCIATA LA RIFFA SULLE FOTO SENZA VELI DEL PREMIER DEL BUNGA BUNGA…AVVOCATI E AGENZIE PRONTI A VENDERE LO SCOOP: PER UNA FOTO CHIEDONO ANCHE UN MILIONE DI EURO… SONO STATE SCATTATE DALLE RAGAZZE CHE PARTECIPAVANO AI FESTINI
Le foto del bunga-bunga ci sono, sono sul mercato e valgono tantissimo. I
n almeno una di queste, Berlusconi è ritratto senza vestiti e circondato da alcune ragazze.
Il presidente del Consiglio sa dell’esistenza di queste immagini e trema.
È terrorizzato dalla possibilità che questi scatti decisamente compromettenti siano pubblicati.
Teme quasi di più le immagini che circolano, incontrollate, che non il processo.
Le foto sono state scattate, in più occasioni, nelle residenze del presidente del Consiglio dai cellulari delle sue tante ospiti.
In queste ore sono in corso trattative fra agenzie specializzate e alcuni settimanali per aggiudicarsi lo scoop che è forse destinato a cambiare la storia politica del Paese.
Un primo tentativo di piazzare sul mercato le foto c’è stato recentemente, ma è fallito.
Qualcuno si è presentato presso un’agenzia del settore per vendere pochi scatti, ma eloquenti, pretendendo oltre un milione di euro.
Era un intermediario che agiva per conto di una delle tantissime “papi girl” entrate in questi anni nelle residenze del premier.
In una delle foto che intendeva piazzare, Berlusconi appare senza vestiti, circondato da alcune ragazze, in un momento in cui non ci sono atti sessuali espliciti.
In altre foto che circolano in una sorta di asta sotterranea, il presidente del Consiglio è in compagnia anche di giovanissime.
Comunque, altro che tranquilli dopocena con karaoke e bibite analcoliche.
Altro che cene innocenti.
Con un termine un po’ all’antica, si può dire che nelle foto in circolazione sono ritratti festini “a luci rosse”.
Le foto confermerebbero i racconti che alcune testimoni fanno nelle intercettazioni e nelle deposizioni davanti ai magistrati di Milano.
T.M, amica di Nicole Minetti, fa una descrizione delle cene di Arcore lontana anni luce da quella fornita da Berlusconi e dalle indagini difensive di Niccolò Ghedini e Piero Longo. “Sembra di stare al Bagaglino ma è peggio. Un puttanaio.
Con Berlusconi che toccava i culi alle ragazze. Ora se quelle cose le fai in camera da letto, sono affari tuoi, ma così, davanti a tutti! Mi chiedo, il giorno dopo, come faccia a lavorare”.
Un’altra testimone, la danzatrice del ventre Maria Makdoum, racconta: “Quando la cena è terminata, il presidente più o meno testualmente disse: ‘E ora facciamo il bunga-bunga’. Scendemmo quindi in una sala non molto grande, che nè più e nè meno rappresentava una piccola discoteca, in mezzo c’era il palo della lapdance… e le due gemelle De Vivo, che erano in pratica in mutande e reggiseno, hanno cominciato a ballare in maniera hard, avvicinandosi al presidente, che le toccava e le ragazze toccavano il presidente nelle parti intime, e si avvicinavano anche a Emilio Fede, che analogamente le toccava il seno, altre parti intime”.
I festini sono stati organizzati per il presidente-sultano senza alcuna misura di sicurezza.
Bastava arrivare al seguito di Lele Mora o di Emilio Fede e si entrava a casa Berlusconi senza alcun controllo.
Nelle borsette, i cellulari che già in diversi casi si sono rivelati un’arma di ricatto.
Che alcune delle ospiti abbiano emulato la escort Patrizia D’Addario, che documentò con registrazioni i suoi incontri sessuali con Berlusconi, lo si evince anche da una conversazione registrata di Emilio Fede, che confida a Nicole Minetti di aver pagato 10 mila euro a una ragazza (di cui non fa il nome) per far sparire scatti ripresi da un telefonino, durante un festino ad Arcore.
L’episodio è documentato da un’intercettazione contenuta nell’invito a comparire per Berlusconi. Emilio Fede: “Io l’altroieri gli ho dato di tasca mia, senza farlo risultare a lui, diecimila euro! Va bene? Pe… perchè aveva delle fotografie scattate col telefonino”. Minetti: “Ma di quelle che c’erano ieri sera?”. Fede: “No no! Però ti posso dire… siccome io poi so tutto, perchè anche… qualcuna che viene con me, va bene?”.
Fuori dal palazzo di giustizia continua dunque il mercato di foto che potrebbero sgretolare, forse per sempre, l’immagine di Silvio Berlusconi.
Dentro il palazzo, intanto, persino il procuratore Edmondo Bruti Liberati, assediato dalle domande dei cronisti, ha dovuto ammettere che alcuni scatti sono contenuti anche nelle carte processuali.
Sostiene però che sarebbero ininfluenti: “Le foto che abbiamo visto al momento sono assolutamente irrilevanti ai fini dell’inchiesta”.
Dichiarazione comprensibile.
Il procuratore dice “al momento”, senza impegnarsi per il futuro.
E poi sembra riferirsi all’irrilevanza penale: anche foto in cui Berlusconi apparisse in situazioni imbarazzanti, ma con maggiorenni consenzienti, non sarebbero per lui prova di reato.
Altro è però l’impatto mediatico e politico che queste immagini potrebbero avere.
Gianni Barbacetto e Antonella Mascali
(da “Il Fatto Quotidiano“
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Febbraio 4th, 2011 Riccardo Fucile
IL “FRATELLO COLTELLO” MARONI HA CHIESTO UNA NOTA INFORMATIVA SUL COLLEGA BELSITO… QUEL BIGLIETTO TROVATO A CASA DI RUBY MANDA IN FIBRILLAZIONE LA CASTA DI VIA BELLERIO
“Un biglietto da visita riportante la dicitura ‘Presidenza del Consiglio dei ministri — dottor Francesco Belsito, sottosegretario alla semplificazione normativa’”.
È scritto nel verbale che elenca il materiale sequestrato dalla polizia a Ruby. Una riga in mezzo a un mare di oggetti: scarpe, vestiti, Rolex, carte di credito. Eppure quel breve accenno ha mandato in fibrillazione il sottobosco politico.
Belsito non è toccato dall’inchiesta milanese.
Un’eventuale conoscenza con Ruby sarebbe del tutto lecita.
Lui, il sottosegretario, si è però subito affrettato a gettare acqua sul fuoco: “Ruby non l’ho mai vista nè conosciuta. E non sono mai stato all’Albikokka, il locale che frequenta. Sono una persona riservata”.
Ma come mai Ruby aveva il suo biglietto da visita?
“Sono un uomo politico, vedo centinaia di persone e distribuisco i miei biglietti”.
Belsito, volto rotondo e appena quarant’anni, è uno degli astri nascenti del potere leghista.
Personaggio potente quanto poco noto, è l’uomo dei conti di Calderoli e Bossi.
Un politico dal curriculum atipico: i primi passi nelle discoteche genovesi, poi diventa autista e collaboratore di Alfredo Biondi e dopo quattro anni eccolo al governo.
Belsito oggi è, però, soprattutto uno dei nodi intorno ai quali si consuma il confronto sordo tra gli uomini del Senatùr e quelli del ministro dell’Interno, Roberto Maroni.
E proprio dal Viminale nei mesi scorsi è stata richiesta agli uffici interni un’informativa su Belsito.
Un’azione che sarebbe da collegare a episodi di cronaca di cui il neo-sottosegretario è stato protagonista.
Perfino a Genova, la sua città , pochissimi lo conoscono, almeno nelle aule della politica.
Il suo nome, fino a pochi anni fa, circolava piuttosto negli ambienti “notturni” perchè Belsito faceva l’organizzatore nella nota discoteca Cezanne.
Poi eccolo tentare la via dell’impresa: aveva tra l’altro partecipazioni in due società poste in liquidazione .
Infine è stato consigliere fino al 1999 di una cooperativa in fallimento dal 2000.
Ma Belsito lavora dietro le quinte, diventa collaboratore di Alfredo Biondi nel 2006: “Lo accompagnava in giro”.
Insomma, un po’ autista, un po’ segretario.
Chi avrebbe detto che dopo una manciata d’anni si sarebbe ritrovato al governo.
L’occasione arriva quando Belsito incontra Maurizio Balocchi, che a sua volta era l’uomo dei conti della Lega.
L’uomo che delle casse del Carroccio sapeva tutto.
Belsito gli diventa amico, si guadagna la sua fiducia fino a diventarne alla morte l’erede politico.
È così che conquista la Lega che gli garantisce tante occasioni (e poltrone): prima quella ambita di consigliere della Filse, la finanziaria della Regione Liguria che amministra miliardi.
Poi quella di vice-presidente di Fincantieri, carica nuova di zecca costruita su misura per lui (“Adesso mi sono autosospeso”, assicura Bel-sito).
Ma Belsito è soprattutto amministratore della Editoriale Nord che fa capo alla Lega.
Il colpaccio arriva nel febbraio 2010 quando, proprio sostituendo Balocchi, Belsito diventa addirittura sottosegretario alla Semplificazione Normativa. Quanta strada dalle piste da ballo del Cezanne.
Con l’incarico ecco, però, le prime rogne, le polemiche.
Qualcuno, andando a vedere il curriculum ufficiale del membro del governo, nota una frase: “Laureato in Scienze politiche”.
E scoppia il caso: nei documenti depositati al cda della Filse — scrisse Giovanni Mari sul Secolo XIX — lui aveva dichiarato di essere laureato in Scienze della Comunicazione.
Allora? Alle domande del cronista il neo-sottosegretario rispose:
“Le ho tutte e due”.
Ma dove le ha prese? A Malta e a Londra.
Alla segreteria dell’ateneo di Genova , dove dovrebbero essere passate le pratiche per il riconoscimento delle lauree all’estero, la carriera universitaria di Belsito risultò “annullata”.
Due mesi fa i sindacati di polizia insorgono scoprendo che la Porsche Cayenne posteggiata abitualmente negli spazi riservati alle auto di servizio della Questura di Genova altro non è che l’auto privata — anche se intestata a una società di noleggio di Roma — di Belsito.
Un tipo cortese che, però, sa tirare fuori i denti: “Alla polizia faccio solo un favore, almeno evito agli agenti di venirmi a prendere”.
Poi un attacco a Roberto Traverso, sindacalista: “Vada a lavorare”.
Adesso, però, ecco quel biglietto da visita.
E sotto la pelle il Carroccio è diviso: una parte ad augurarsi che quel dettaglio non porti grattacapi, un’altra fetta a sperare che il potente Belsito si bruci e gli uomini di Bossi debbano mostrare i loro conti.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Bossi, Costume, governo, LegaNord, Parlamento, Politica, radici e valori | Commenta »
Febbraio 4th, 2011 Riccardo Fucile
UN SONDAGGIO RIVELA CHE SONO SEMPRE PIU’ ACCETTATI: IL 52% DEGLI ITALIANI E’ FAVOREVOLE A CONCEDERGLI IL DIRITTO DI VOTO…IN ITALIA SI CREDE CHE SIANO IL 25% DELLA POPOLAZIONE, INVECE RAGGIUNGONO SOLO IL 7%
Un Paese senza immigrati?
Impossibile: oltre sette italiani su dieci ritengono i lavoratori stranieri indispensabili alla nostra economia.
Non solo.
Il 52% è favorevole a concedergli il diritto di voto amministrativo.
E i reati?
Oltre la metà degli italiani crede che anche l’immigrazione legale aumenti il numero di crimini commessi nel Paese.
A misurare gli orientamenti dell’opinione pubblica italiana è il terzo rapporto “Transatlantic Trends: Immigration” curato, tra gli altri, dal German Marshall Fund of the United States e dalla Compagnia di San Paolo.
La lunga indagine fotografa le opinioni dei cittadini di Stati Uniti, Canada e di alcuni Paesi europei (Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Spagna, Olanda) sulla questione immigrazione.
Cosa emerge?
Rispetto al 2009, cala in tutti i Paesi (con la sola eccezione del Canada) il numero delle persone che considera l’immigrazione più un problema che un’opportunità : il 52% negli Stati Uniti (nel 2009 era il 54%) e il 45% in Italia (l’anno prima era il 49%).
La percentuale sale tra chi si dichiara politicamente di destra.
E ancora: in tutti gli Stati monitorati, i cittadini sovrastimano il numero dei migranti residenti (gli italiani credono che siano il 25% della popolazione, ben lontani dal 7% del dato reale).
Per quanto riguarda il nostro Paese, anche quest’anno il rapporto mette in evidenza le molte contraddizioni del caso-Italia.
Il 56% degli italiani ritiene infatti che anche gli immigrati in regola contribuiscano a far crescere la criminalità (l’anno precedente tale percentuale si fermava a quota 34%).
Ciò detto, stupisce che ben il 52% degli intervistati (uno dei dati più alti tra i Paesi monitorati) è a favore del diritto di voto amministrativo agli immigrati regolari e il 69% (il dato record in Europa) non crede che i lavoratori stranieri tolgano lavoro agli italiani.
Di più: ben il 76% ritiene che gli immigrati coprano i posti con carenza cronica di manodopera.
Non è tutto. In base al sondaggio, il 37% degli italiani crede che i musulmani siano ben integrati.
E il 47% ritiene che l’immigrazione sia una questione da gestire a livello europeo e non più solo nazionale.
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Febbraio 4th, 2011 Riccardo Fucile
LONTANA DA RIFLETTORI E POLEMICHE, HA 44 ANNI E CON VARIE DECISIONI IMPORTANTI ALLE SPALLE: DALLE BESTIE DI SATANA A FORMIGONI, DA DON VERZE’ ALLE RONDE PADANE… NON SI PUO’ CERTO DARLE UNA COLLOCAZIONE POLITICA
Poco più di un anno fa si è trovata di fronte Massimo Tartaglia, il quarantenne con problemi psichici che aveva lanciato in faccia a Silvio Berlusconi una statuina del Duomo di Milano.
E come prima cosa, ha deciso di tenerlo in carcere, perchè fuori avrebbe potuto essere di nuovo pericoloso.
Poi lo ha rinviato a giudizio per lesioni gravi.
Ora la gip del tribunale di Milano Cristina Di Censo riceve sulla scrivania un’altra pratica che ha a che fare con il Cavaliere, questa volta in veste non di vittima, ma di indagato per concussione e prostituzione minorile.
Sarà lei a decidere, probabilmente entro martedì, se il presidente del consiglio dovrà essere processato o meno con rito immediato, come richiesto dalla Procura.
Un giudice donna, dunque, che ha lavorato in silenzio e senza esporsi su inchieste delicate, spesso con importanti risvolti politici.
Nata a Piombino (Livorno) 44 anni fa, prima di approdare all’ufficio gip di Milano Cristina Di Censo ha lavorato alla Procura di Busto Arsizio, in provincia di Varese, dove tra l’altro ha fatto parte del collegio di corte d’Assise che ha condannato le celebri «bestie di Satana», cinque giovani giudicati colpevoli di tre omicidi commessi per «frustrazione», secondo le motivazioni della sentenza.
Nella culla della Lega, nel 1998 ha invece assolto sette persone che a Saronno avevano dato vita a una «ronda padana» e avevano bloccato due ladri d’auto, beccandosi così un’accusa di usurpazione di funzione pubblica. L’anno dopo è don Luigi Verzè, fondatore dell’ospedale San Raffaele e grande amico di Berlusconi, a uscire indenne da un processo che lo vedeva imputato di ricoveri non autorizzati dalla Regione per la sperimentazione dell’Urod, un farmaco disintossicante antidroga.
Nel 2007, il trasferimento a Milano e il primo caso importante nel suo nuovo ufficio: il rinvio a giudizio per aggiotaggio del patron della Lazio Claudio Lotito e del costruttore capitolino Roberto Mezzaroma.
Sono diversi i potenti su cui la Di Censo si pronuncia, per i motivi più vari.
Nel 2008 archivia una querela di Fabrizio Del Noce contro Claudia Mori: sul “Corriere della Sera”, la cantante aveva accusato il direttore di Raiuno di fare un «uso privato della tv pubblica».
Niente più che un «intangibile diritto di critica», sentenzia il gip, per di più basato su «fatti precisi e pertinenti».
Anche Roberto Formigoni ha avuto modo di attendere con apprensione alle sue decisioni, che poi gli sono risultate favorevoli.
Nel 2010, infatti, il giudice Di Censo ha archiviato gli esposti dei Radicali che denunciavano irregolarità nella raccolta delle firme per la lista del neo-rieletto governatore.
Un caso politico-giudiziario incandescente, dove l’«eterno» Formigoni rischiava seriamente di dover tornare a casa.
Intanto, nell’ufficio della gip toscana passano i fascicoli di importanti fatti di cronaca.
Nel novembre 2010, Cristina Di Censo dà il via libera al sequestro di un grande cantiere in zona Bisceglie a Milano, 300 mila metri quadri di edilizia residenziale che stava venendo su, secondo la Procura, in un terreno inquinato da due milioni di metri cubi di rifiuti tossici mai bonificati.
E ancora, in veste di gup, è lei che condanna a 16 anni di reclusione Oscar Guerrero Herrera: nel febbraio 2010 aveva ucciso un giovane egiziano, scatenando una violenta rivolta «etnica» in viale Padova, nella periferia della città .
Proprio ieri sono state rese note le motivazioni della sentenza: quell’omicidio non è stato una scintilla di rabbia, ma il frutto di uno scontro tra bande di «cittadini extracomunitari», interessate a «marcare il territorio».
Difficile, insomma, affibbiare un’etichetta politica, e men che meno «rossa», al giudice che a giorni si pronuncerà sul presidente del consiglio.
Le cronache non riportano sue dichiarazioni, nè prese di posizione di alcun genere.
Il Gip Caterina Di Censo ha scelto il silenzio, anche quella mattina dell’agosto 2010 in cui scoprì che qualcuno, mai identificato, era penetrato nel suo ufficio e in quelli di altri colleghi alla ricerca di carte su un’indagine allora sconosciuta al pubblico: il «caso Ruby».
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