Giugno 18th, 2013 Riccardo Fucile
IL NUOVO PROGETTO VEDE COINVOLTI ECOLOGISTI DI AREA PD, ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE, POLITICI DI DESTRA COME FABIO GRANATA, LA VERDE EUROPEA FRASSONI E IMPRENDITORI DELLA GREEN ECONOMY
Un movimento politico green, per offrire una risposta diversa, radicalmente diversa dalle risposte che danno tutte le forze politiche, alla crisi sociale, economica, democratica che assedia l’Italia.
E’ questa l’ambizione, per noi un azzardo necessario, di “Green Italia” che nascerà il 28 giugno prossimo, in un incontro pubblico presso l’auditorium del museo Maxxi a Roma.
A promuovere “Green Italia” sono, siamo persone con storie diverse e anche lontane: ecologisti che provengono dal Pd, figure di punta delle principali associazioni ambientaliste, la presidente dei Verdi europei Monica Frassoni; esponenti politici con un “pedigree” squisitamente di destra come Fabio Granata, imprenditori della green economy.
In Italia l’ecologia, l’ambiente, l’economia verde sono trattati da quasi tutta la politica come temi minori.
Nessuno ne parla male, ma nel dibattito pubblico recitano la stessa parte dei pianisti nei film western: tra pallottole e cazzotti restavano sempre lì sullo sfondo imperterriti a suonare, mai colpiti e però mai protagonisti della scena.
Le ragioni di ciò sono più d’una, la principale è l’assenza dal nostro paesaggio politico e dal conseguente mercato elettorale di un’offerta credibile e solida — i Verdi italiani non lo sono stati mai — che si proponga di rappresentare i valori, i bisogni, gli interessi legati all’ambiente, e che come in ogni competizione costringa anche tutti gli altri a cimentarsi sul suo terreno.
Per capire che nasce da qui l’analfabetismo ambientale di buona parte delle classi dirigenti italiane e dei nostri politici in particolare, basta dare uno sguardo agli altri grandi paesi europei: è grazie alla forza competitiva dei Grà¼nen (10,7% alle politiche del 2009, il 15% nei sondaggi sul prossimo voto di settembre) se in Germania anche gli altri partiti considerano i temi ambientali come priorità ; e in Francia le politiche ambientali hanno cominciato a correre solo da quando destra e sinistra hanno dovuto fare i conti con “Europe Ecologie”, la federazione ecologista fondata da Daniel Cohn-Bendit che alle elezioni europee del 2009 ottenne oltre il 16% dei voti.
Chi scrive ha pensato che il Pd potesse essere, accanto a molto altro, anche la via italiana alla rappresentanza dei temi ambientali in politica: quella speranza ci sembra finita, sommersa da una deriva che ha progressivamente trasformato il Partito democratico nella somma litigiosissima e poco assortita di vecchie, decisamente datate appartenenze e di piccoli e grandi apparati.
Eppure una domanda di politica green ci sarebbe anche in Italia.
Oggi più forte che mai, nutrita com’è non soltanto di valori e modelli di consumo, ma anche di concreti interessi economici.
Molti segnali lo confermano: dal successo vistoso dei referendum su acqua pubblica e nucleare di un anno e mezzo fa, al peso non marginale che l’anima ecologica ha giocato nell’ascesa elettorale dei “grillini, fino alla crescita formidabile, malgrado la crisi, della green economy, migliaia di imprese (energia, chimica verde, riciclaggio dei rifiuti…) ignorate dalla politica (e dalla stessa Confindustria) che hanno fatto dell’innovazione ecologica il loro business principale.
Questa nuova economia già largamente in campo ma priva tuttora di rappresentanza politica, nel caso dell’Italia ha un’anima antica.
Se è “verde” l’economia che produce benessere e prosperità senza intaccare il capitale naturale, allora noi l’economia verde l’abbiamo inventata prima di tutti gli altri e la pratichiamo con successo da secoli.
Vi è insomma una green economy in salsa italiana che si fonda sulla bellezza, il paesaggio, i beni culturali, la creatività , la convivialità , il legame sociale e culturale tra economia e territorio: tutte materie prime immateriali e dunque ecologiche, tutti talenti dei quali abbondiamo (da cos’altro nasce la fortuna del made in Italy…?) e che oggi sono la nostra arma migliore, forse l’unica vera arma su cui possiamo contare, contro i rischi incombenti di declino.
In Europa, l’Italia è considerata per tanti aspetti un’anomalia: l’assoluta marginalità dell’ambiente nel dibattito pubblico e in particolare nel confronto politico è uno dei nostri gap più evidenti.
La scommessa, semplice e temeraria, di “Green Italia” è riuscire ad accorciarlo almeno un poco.
Roberto Della Seta e Francesco Ferrante
(da “Europa”)
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Giugno 18th, 2013 Riccardo Fucile
A CHI HA GIOVATO LA MONETA UNICA? …LA CONVIVENZA TRA CICALE E FORMICHE ALLA LUNGA NON REGGE
Uscire dall’euro? Di tanto in tanto qualche sprovveduto, come Grillo, o qualche semisprovveduto, come Berlusconi, lancia l’idea.
Pare che si sia posto il problema anche qualcuno che sprovveduto non è, come Tremonti. Proviamo dunque a fare, sul tema, qualche ragionamento.
È stato un errore adottare una moneta unica, cioè l’euro, per i paesi europei?
Forse sì: certo è che l’operazione è stata prematura. Dettata da nobili speranze.
Si sperava, con l’euro, di accelerare i tempi per la fondazione di una federazione europea.
Stati Uniti d’Europa: bellissimo obiettivo.
Ma l’operazione non ha funzionato: gli Stati Uniti d’Europa non si sono avvicinati, tutt’altro. Riusciremo mai a dargli vita? Per quel che mi riguarda, sono pessimista: non credo che siano possibili, per tante ragioni.
Ma non è questo, per ora, il nostro tema.
Torniamo all’euro, che invece è la realtà con la quale dobbiamo misurarci.
A chi ha giovato, la moneta unica? E chi ha danneggiato?
In un primo tempo è sembrato che danneggiasse i paesi ricchi, che giovasse invece ai paesi che arrancano, come il nostro.
Ci siamo detti, in Italia (e in Spagna, e in Grecia, e così via): che fortuna per noi, che i paesi ricchi (Germania in prima fila) siano disposti ad accollarsi, in parte, il nostro debito pubblico, enorme, spaventoso.
Che grande fortuna: la lira non può più fallire, non può più andare a rotoli, come andò a rotoli la moneta tedesca nella famosa Repubblica di Weimar, anni Venti, prima di Hitler.
Ma i colpi di fortuna vengono e vanno.
A un certo momento i paesi ricchi (Germania in prima fila) si sono stancati, e le parti si sono invertite.
Adesso, i paesi ricchi ci chiedono: volete stare nell’euro? E allora mettete la testa a partito, quadrate i conti. Altrimenti, fuori!
Così si spiega l’imposizione diuna politica finanziaria che fa, su questo non c’è dubbio, tante vittime, tanti danni.
Ma si capisce che le cicale (debito pubblico in libertà ) e le formiche (finanza pubblica sotto controllo) non possono convivere per sempre.
Come finirà ? Regna per il momento una strana quiete, instaurata soprattutto dalla Banca centrale europea: quel geniale Mario Draghi, il suo presidente, ha frenato gli speculatori, dicendo che la Banca, costi quel che costi, difenderà l’euro.
Ma le difese disperate, come quella promessa da Draghi, non possono continuare all’infinito.
I tedeschi, che essendo i più forti hanno in mano il pallino, discutono fra loro (riunioni di Karlsruhe fra banchieri e costituzionalisti) in attesa delle elezioni di settembre.
Poi dovranno prendere decisioni. Certo è che così come siamo non potremo andare avanti a lungo.
Gli Stati europei, a cominciare dai più importanti (Germania e Francia in primo luogo) dovranno prendere decisioni. Per adesso, la mancanza di una politica europea per risolvere i problemi di fondo, per rendere possibile in primo luogo la convivenza fra cicale e formiche, è irreale. L’Economist l’ha descritta in una copertina nella quale “i sonnambuli”, cioè i governanti europei, marciano sorridendo verso il precipizio.
In realtà , il precipizio si dovrà evitare. Si sono commessi errori, senza dubbio.
Ma le terapie, i cambiamenti di rotta, dovranno essere presi di comune accordo, dovranno coinvolgere tutta l’Europa.
Una sola cosa è certa, per l’Italia: uscire dall’euro nella situazione attuale, unilateralmente, come suggerisce uno sprovveduto (Beppe Grillo), o come lascia presagire un semisprovveduto (Silvio Berlusconi), è inconcepibile, è impossibile: e se fosse possibile sarebbe per noi un disastro immane, senza precedenti.
Piero Ottone
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Giugno 18th, 2013 Riccardo Fucile
IL NUOVO PROGETTO EDITORIALE POTREBBE COINVOLGERE ANCHE SGARBI CHE PERO’ PRECISA: “SE SARA’ UN GIORNALE PRO-BERLUSCONI NON MI INTERESSA, POLITICAMENTE LO RITENGO BOLLITO”
“Non escludo che mi chiamino presto per offrirmi la direzione de La Discussione. Sarei onorato di dirigere il giornale fondato da Alcide De Gasperi e lo farei anche gratis. La carta stampata è il mio grande amore”.
A sentire Emilio Fede è quasi fatta: presto sarà il direttore responsabile del quotidiano, destinato a trasformarsi in settimanale.
La testata ha smesso di stampare da quando sono stati chiusi i rubinetti dei finanziamenti all’editoria, tagli effettuati da Monti.
“Per questo motivo non siamo più in edicola” dice Giampiero Catone, direttore politico de La Discussione, ex sottosegretario all’Ambiente nel governo Berlusconi, già segretario della Democrazia cristiana per le autonomie, poi passato al Pdl, poi in Futuro e Libertà , infine ritornato al fianco del Cavaliere.
Catone racconta di un progetto ambizioso, cordate d’imprenditori intenzionate a investire, di contatti con giornalisti della carta stampata.
Sulla guida del giornale, però, Catone offre una versione diversa: “Ho contattato Emilio Fede, poi ci siamo incontrati casualmente ad una cena, ma non gli ho mai offerto la direzione del giornale. Possiamo giocarci quello che vuole, il direttore responsabile del giornale è e sarà Antonio Falconio. Io farò il vice”.
Esclude anche che siano stati chiusi accordi con altri giornalisti e chiarisce un punto: “Fede, come tanti altri giornalisti illustri, potranno collaborare con noi, ma a titolo volontario, sia chiaro”.
Gli sfugge il nome di Vittorio Sgarbi.
Ironico, Sgarbi risponde: “Accetteri l’offerta solo se il giorno del lancio, La Discussione uscisse con il Fatto Quotidiano: senza il Fatto non c’è Discussione”.
Ironia a parte, sul progetto editoriale dell’ex parlamentare, Sgarbi nutre molti dubbi: “Solo in caso di una proposta seria, valuterei”.
Ad ogni modo, domani s’incontreranno e ne discuteranno. Sgarbi detta le sue condizioni per guidare la testata: “Se Catone pensa di fare La Discussione per andare con Berlusconi, non ho nessuna intenzione di farne parte, politicamente lo ritengo bollito”.
I giochi sono quasi chiusi, la conferenza stampa per il ritorno in campo della creatura di Catone, che era stata fissata per il 24 giugno, è slittata al giorno dopo.
Perchè? Coinciderebbe con una delle sentenze a carico di Berlusconi.
Quella sul processo Ruby.
Loredana Di Cesare
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 18th, 2013 Riccardo Fucile
IN OCCASIONE DEL BIG MATCH CON IL BARCELLONA FURONO I VERTICI AD APPPROFITTARE DEL BENEFIT
Biglietti gratis per le partite del Milan, acquistati per clienti e manager da Milano Serravalle, la società autostradale controllata da Provincia e Comune di Milano.
Costo dell’operazione: 28 mila euro.
Nel frattempo l’Assemblea dei soci scarica l’attuale vice presidente in quota Lega, l’ingegner Paolo Besozzi, le cui divergenze di vedute col presidente, l’avvocato Marzio Agnoloni, non sono mai state un mistero.
Ma tornando alla questione dei biglietti, tutto è partito con un documento che il professor Gaetano Pecorella, il noto penalista membro dell’Organismo di vigilanza di Milano Serravalle, ha presentato lo scorso dicembre.
“È stata richiesta una valutazione — scrive infatti Pecorella — circa gli eventuali profili di rilevanza penale segnatamente all’utilizzo, per scopi privati e diversi di quelli a cui sono originariamente destinati, dei biglietti per assistere alle gare casalinghe del Milan, presso uno dei cosiddetti Skybox, ovvero una delle suite hospitality situate presso lo Stadio di San Siro riservata alla Milano Serravalle per motivi di rappresentanza”.
Quei posti, per 22 incontri dei rossoneri, tra Campionato e Champions league, prevedevano, a parte il prezzo del biglietto, anche l’accoglienza in albergo di lusso, per chi naturalmente lo richiedesse.
Sotto la lente della vigilanza sono finite 17 partite della stagione 2011/12.
Per esempio, per quanto riguarda il big match Milan-Barcellona, del 23 novembre 2011, i posti dello Skybox Serravalle erano occupati da Federico Giordano (l’allora Amministratore delegato di Milano Serravalle, in carica sino al novembre del 2011), da una persona in sua compagnia e da Besozzi, assieme a un’accompagnatrice di quest’ultimo.
“Non c’è nulla di cui mi si possa accusare — dice l’ingegner Besozzi — a quelle partite sono stato invitato da Serravalle. Cioè non ho occupato quei posti di mia iniziativa. La Segreteria dell’Amministratore delegato e del Direttore generale mi ha chiesto se desideravo servirmene. Mi sono comportato come nel caso del palco riservato che abbiamo alla Scala: lo usiamo su invito della Segreteria del presidente”.
Detta così un “errore” potrebbe essere stato commesso da chi ha formulato quell’invito a Besozzi, ipotizzando che i posti per la partita, a cui ha assistito l’allora vice presidente, fossero liberi e disponibili.
Pecorella spiega infatti che nessun reato si prefigura nel qual caso la società utilizzasse a propri fini biglietti di partite disertate da personalità — esterne a Serravalle — a cui precedentemente fossero stati proposti, al fine di “attività promozionale”.
Ecco un’altra particolarità : tra gli ospiti allo stadio di Milano Serravalle troviamo anche l’architetto Piergiorgio Rivolta e Filippo Nasotti, i due imprenditori già protagonisti di un crack finanziario negli anni ’90 ma che più di recente sono ricomparsi in cronaca, per la vicenda della villa acquisita da Berlusconi ad Antigua.
Ebbene loro hanno assistito, a spese di Serravalle, rispettivamente a Milan-Parma (partita del 26/10/2011) e a Milan Catania (6/11/2011).
Fabio Abati
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Giugno 18th, 2013 Riccardo Fucile
BOSSI REPLICA: “A CHI VUOLE CACCIARMI FACCIO UNA PERNACCHIA”
La crisi della Lega Nord è arrivata in una fase culminante, al punto da mettere in pericolo la sopravvivenza stessa del partito.
Che il clima sia rovente è ormai chiaro: domenica il segretario del Carroccio in Emilia, Fabio Ranieri, ha proposto l’espulsione di Bossi dopo l’attacco e l’accusa di tradimento rivolta a Maroni.
Sulla questione il segretario taglia corto: “Non mi interessa, non è questo il problema”.
E il ‘Senatur’ fa spallucce: “Sono superiore a queste beghe”, dice Bossi arrivando a Montecitorio e aggiunge: “L’espulsione non mi preoccupa” e se qualcuno dovesse chiederla lui risponderebbe “con una pernacchia”.
Gli elettori si ribellerebbero? “Non so, però mi ribellerei io”.
E a chi gli chiede se Maroni gli sembri un “figlio parricida”, risponde secco: “Per fortuna noi due non siamo padre e figlio”.
Poi pronuncia un monito: “Chi espelle ha paura, non è forte. Io non amo chi espelle, porta il suo Movimento alla rottura. Questo vale per tutti”.
Dopo la dèbà¢cle delle amministrative, lo scontro fra il segretario generale Roberto Maroni e il leader storico Umberto Bossi si è dunque fatto ancora più aperto.
Tanto da provocare la reazione dura del governatore lombardo: “Io sono il segretario, chi non è d’accordo si può accomodare fuori, il mondo è grande, la linea la scelgo io”.
Dipende a quale linea si riferisce ovviamente.
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Giugno 18th, 2013 Riccardo Fucile
IL GIORNALISTA DEL “FATTO” CRITICA I VERTICI 5 STELLE… I PARLAMENTARI GRILLINI PRIMA CONDIVIDONO IL SUO POST POI SI PENTONO
Scrive Andrea Scanzi su Facebook: “Il mio status critico sulla espulsione della Gambaro prima condiviso e poi cancellato da alcune senatrici M5S. Ad esempio Monica Casaletto”.
Ecco il post di Andrea Scanzi a cui si riferisce:
“Una cosa che fortunatamente è lontanissima da me: difendere a prescindere tutto quello che fa qualcuno o qualcosa per cui si “tifa”. Mai rinunciare al senso critico. Difendere sempre il M5S (o il Pd, o chi volete voi) non è politica: è bimbominkismo becero e infantile.
Il M5S fa ottime cose e cazzate tafazzesche. L’epurazione della Gambaro appartiene alla seconda categoria, e non perchè lei non abbia sbagliato o perchè solo il M5S “epuri” (il Pd lo fa sempre ma non frega nulla a nessuno): perchè espellerla è un assist gigantesco ai detrattori.
Bastava ignorarla e avreste fatto la parte dei democratici.
Invece vi siete dati la solita martellata sui cabasisi. Da soli. E Pd e Pdl godono.
È un movimento politico, non una pagina Facebook in cui si blocca chi ci pare perchè ha detto “brutto” all’admin.
Onestà intellettuale e autocritica, ragazzi, o non andate da nessuna parte e implodete in un amen.
I massimalisti han sempre inciso sulla storia come Selvaggi nell’Italia ’82.
Rimettere la Gambaro alle decisioni della Rete” era esattamente ciò che l’esercito dei detrattori di aspettava dal Movimento 5 Stelle.
L’Errore Sommo, che fa sembrare il M5S una setta.
Contenti voi, contenti tutti.
Anzi loro.
Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 18th, 2013 Riccardo Fucile
UNA DOZZINA PIAZZATI DA CASALEGGIO CON IL COMPITO DI CONTROLLARE GLI ALTRI… TRENTA SENATORI PROPENSI AD ALLEANZE… IL GRUPPO AMBIENTALISTA E QUEI 20 PRONTI A USCIRE
Sembrava già un arcipelago, chiaro, netto, definito nei confini e nei destini, dissidenti, ortodossi e pontieri. Et voilà , perfetto, anzi ottimo per tentare la famosa conta. Immaginare il rivoluzionario ribaltone.
In poche ore è tornato un magma abbastanza frantumato e con una precisa caratteristica: la poca, in ogni caso scarsa, progettualità politica.
Di certo, quello che rimane del Movimento Cinque stelle dopo cento giorni esatti di Parlamento (le Camere si sono insediate il 15 marzo) sono «pezzi» sempre più in guerra tra loro, sospettosi fino al dossieraggio reciproco, commissariati fino alla nausea dalla spectre dei responsabili comunicazioni, un piccolo esercito di una dozzina di persone tutte legate a triplo filo con la casamadre Casaleggio e associati, ognuno con più e svariati incarichi che ormai presidia il territorio (Transatlantico di Camera e Senato) e ogni angolo dove un parlamentare Cinquestelle intrattiene una conversazione con un giornalista.
Smania di controllo che se può essere sopportata da uno più giovane, diventa insopportabile per i più maturi, soprattutto dalle parti del Senato.
Il caso Gambaro ieri era atteso come il big-bang, il tana-libera-tutti, il momento del non ritorno e di chiarezza del Movimento Cinque stelle.
I grillini hanno preferito prendere tempo. Per due motivi: non hanno ben chiaro dove andare e a fare cosa.
Restano, al momento nella stessa abitazione. Sempre più un condominio dove «uno vale uno» è stata solo una bella bugia e dove, invece, si organizzano correnti e si studiano i momenti.
Le fratture sono di diversa natura.
Al Senato il problema si chiama soprattutto «democrazia interna» e «forte irritazione per certi metodi talebani».
Sarà che i 53 senatori sono uomini e donne con alle spalle storie che non sono solo i meet up a Cinque stelle, è qui che si sono intravisti i primi mal di pancia, fin dai tempi del voto a Grasso per la presidenza del Senato.
Battista, Buccarella, Fucksia, Campanella, Bencini, Cotti, Gambaro, Bocchino, Santangelo, Bertorotta, Pepe, Montevecchi, Nugnes: se uno scorre le loro dichiarazioni in questi tre mesi, coglie un minimo comun divisore, l’insofferenza per i capi comunicazione, per il tono di certi post, per le riunioni inutili, per il nulla di fatto di questi mesi.
Ai problemi di «democrazia interna» si è aggiunto nelle ultime settimane un problema più politico.
«C’è poco da fare, a molti di noi non è mai andato giù il fatto che otto milioni di italiani ci hanno votato per cambiare le cose e noi invece li abbiamo delusi sbarrando le porte all’offerta di Bersani» racconta un senatore che fa un po’ da guida in questa mappa grillina e che con imbarazzo chiede di restare anonimo «per quieto vivere».
Più esplicito un ex, uno già espulso perchè andava troppo in tv, il senatore Marino Mastrangeli: «Furono fatte due o tre riunioni in quelle lunghe settimane in cui Bersani non riusciva a fare il governo. Su 153 parlamentari, tra i 60 e i 70, nelle varie votazioni, volevano tentare l’accordo con la parte sana del Pd. Avremmo potuto trovare il modo di superare lo scoglio della fiducia. Di questi una ventina erano i senatori».
A questo punto occorre fissare uno spillo con una cifra: quella ventina di senatori che già all’epoca avevano il rimpianto di non aver tentato un governo con Bersani, adesso sono diventati una trentina perchè si sono aggiunti quelli che non ne possono più di veti, diktat e ordini dal web.
Vale la pena osservare, più per il futuro che per il presente, che 25 sono i voti che servirebbero al Senato a Pd-Sel-Scelta civica per creare una nuova maggioranza qualora Berlusconi decidesse di staccare la spina al tandem Letta-Alfano
Più frammentata perchè più politica la situazione alla Camera dove i grillini sono di più (109 ma due si sono già persi per strada, i tarantini Furnari e Labriola) e più giovani.
Certe arroganze delle prime settimane, dove si sentivano il centro del mondo, hanno lasciato spazio, non sempre, a facce spaesate, sguardi preoccupati, solitudini e imbarazzi.
Si può riconoscere sperando con questo di non fare nè torto nè danno ad alcuno un’anima che guarda più alla sinistra del Pd e che ha un capo corrente ideale in Tommaso Currò.
Memorabile uno schetch ieri mattina alla Camera (ore 11) quando il rottweiler Rocco Casalino (dello staff comunicazione) cercava di azzannare Currò il quale si è rivoltato dicendo: «Siete voi che avete cambiato le regole a gioco iniziato, io continuerò a parlare e a dire quello che penso». C’è un’anima più ambientalista che fa capo al giovane Adriano Zaccagnini.
Una via di mezzo tra le due è Alessio Tacconi.
Più a destra, talvolta anche a colloquio con Guido Crosetto, ci sono i nord-est Rizzetto e Prodani.
Dietro di loro, ciascuno di loro, si muove un’area di circa venti persone pronte a lasciare la casa madre, il Movimento, se dovesse radicalizzarsi troppo.
È per evitare questo rischio, che potrebbe per paradosso rafforzare i Cinque stelle, che nulla si è mosso finora.
E si è assistito a fughe in avanti e improvvisi ritorni.
Ma può essere un attimo passare dal troppo presto al troppo tardi e restare a mani vuote.
Claudia Fusani
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Giugno 18th, 2013 Riccardo Fucile
FRA I 270.000 INCARICHI PUBBLICI PAGATI NEL 2012 CI SONO ANCHE I PRETI CHE FANNO “ASSISTENZA RELIGIOSA” NEGLI OSPEDALI
Ci sono consulenze che, per paradosso e masochismo, non si possono definire inutili: ci fanno divertire, e non è mica poco.
La Regione Lombardia ha pagato un volenteroso con 1.000 euro per distribuire i buoni gelati per “l’evento lecca nella foresta”.
Lo spreco non ha misure rigide, ci sono banconote che sfuggono al controllo, si traducono in oltre 270.000 incarichi — liquidati nel 2012, relativi al 2011 come anticipato domenica dal Fatto — e diventano 1,3 miliardi di euro.
La fantasia può deviare la ragione e incentivare lo sperpero di denaro pubblico.
I sardi e la campionatura di suini e rondelle.
Quando aprite il frigorifero, anzi il congelatore, forse vi scatta quel desiderio inconfessabile di separare il tacchino dal vitello e il pollame dal maiale: per ordine maniacale, chissà .
La Regione Sardegna vi ha anticipato perchè ha assoldato un esperto per campionare la carne di suino e i salumi tradizionali per 14.715 euro.
E siccome le cose vanno messe nei posti giusti, la giunta sarda ha chiesto a un tecnico di campionare anche i tappi e le rondelle con lo sconto però, 930 euro.
Sappiamo persino che ancora la Regione Sardegna ha liquidato 5.500 euro per un imprecisato progetto per la ricotta.
Il territorio, ci dicono, è fondamentale . La burocrazia, ci ripetono, è fastidiosa. E le amministrazioni pubbliche, ci sussurrano, sono ingolfate.
Ecco, allora, che la Regione Molise si prende la briga di arruolare un docente per un rapido corso agli aspiranti “raccoglitori di tartufo”, 1.000 euro.
Un obolo rispetto al fortunato consulente di Trento (Provincia) che se n’è intascati 3.705 per “il progetto denominato evoluzione della pasticceria”.
Se volete un servizio completo, e preferite restare in zona, il Comune di Trento offre il “buffet”, costo 8.241 euro.
Per gli amanti del brivido, a Macherio (Milano) organizzano il “buffet al buio”, 400 euro a brindisi.
La comunità Valsugana e Tesino si concede bizzarri incontri culturali che richiedono l’ingaggio di raffinati “esperti” (non mancano mai): 13.000 euro per il progetto “libera-mente”; 1.600 euro “montagna selvaggia”; 1.321 euro per “amare troppo, amare male”.
La Valle d’Aosta e il vizio di catalogare tutto.
In Valle d’Aosta ci tengono a essere precisi: catalogano tanto e non badano a spese. Un giorno, la regione autonoma ha ordinato di rassettare l’archivio fotografico di arte contemporanea, 8.582 euro.
E un giorno successivo, non distante, ha deliberato la stessa operazione per “i beni culturali mobili”.
Non l’hanno deciso per noia, spiegano: si tratta di “attività propedeutica alla costituzione del museo”.
L’attività sarà pure “propedeutica”, ma è costata già 41.184 euro.
A Rocca Priora, provincia di Roma, non sapevano a chi far scegliere le immagini per i pannelli e opuscoli didattici, poi avranno trovato qualcuno davvero bravo e l’hanno ringraziato con 12.000 euro.
La rassegna stampa ligure per i tedeschi e gli inglesi.
La Regione Liguria è davvero stravagante e, in senso positivo, esterofila: spendono 3.134 euro per un “servizio di ritagli di stampa” per il mercato inglese e tedesco.
E poi monitorano i finanziamenti europei e dunque finanziano il monitoraggio con quasi 17.000 euro.
La Giunta ligure si è preoccupata anche di un “programma di visita a favore di un gruppo di giornalisti”, 2.200 euro.
Chi l’avrebbe mai detto che i sacerdoti rischiano di avere il doppio ruolo e il doppio stipendio? Le donazioni tramite l’otto per mille servono a sostenere la Chiesa, ma spesso un secondo aiutino non è rifiutato.
Gli ospedali sono laici, dovrebbero perlomeno, però le Asl o le Usl investono tanti denari per l’assistenza religiosa: insomma, pagano i preti. Ospedale di Brunico, 74.000 euro. Rovigo, 82.000 euro. Treviso, 105.000. Si toccano milioni di euro. Si tocca il paradiso.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 18th, 2013 Riccardo Fucile
L’ENERGIA ELETTRICA MENO CARA TANTO SBANDIERATA SI RIDUCE A UNA PRESA IN GIRO
Quattro-cinque euro annui in meno sulla bolletta della luce del 2013, il doppio l’anno prossimo.
Tanto dovrebbe valere per le famiglie italiane (che ogni anno pagano in media 511 euro di luce) la riduzione, pari a 550 milioni, del prezzo dell’energia elettrica, deliberata dal governo Letta nel decreto «Fare».
Il condizionale è d’obbligo, visto che ieri i tecnici dei ministeri competenti erano ancora al lavoro per «cifrare» il decreto e nelle ultime ore è circolata l’indiscrezione di 150 milioni di euro, di cui ora dispone l’Erario, provenienti dalla cosiddetta componente A2 della bolletta (oneri per la messa in sicurezza del nucleare), e che potrebbero essere destinati al taglio delle bollette.
Se queste risorse fossero risorse aggiuntive, genererebbero un ulteriore sconto quest’anno di due euro, ma potrebbero anche essere soltanto sostitutive di qualche altra voce.
Pericolo in vista.
Il piccolo risparmio, messo a punto dal governo, potrebbe però essere totalmente vanificato se l’esecutivo concederà , con un imminente provvedimento, gli sconti previsti dal governo Monti alle imprese energivore, che valgono esattamente 600 milioni e che ricadrebbero sulle bollette degli italiani.
La Robin tax.
Ma andiamo per ordine. Il decreto «Fare», nella versione entrata in Consiglio dei ministri sabato scorso, prevedeva un mix di misure per ridurre il prezzo dell’energia elettrica.
Si partiva dall’estensione della Robin tax dalle imprese che producono energia da fonti rinnovabili con ricavi superiori a 10 milioni di euro e un reddito imponibile a un milione di euro a quelle con ricavi superiori a 500 mila euro e un imponibile superiore a 80 mila euro.
Proprio questa norma sarebbe saltata perchè l’intento del governo sarebbe quello di fare una riflessione più ampia sul tema delle rinnovabili.
L’olio di palma.
Quello che invece nel decreto c’è ancora e produrrebbe risparmi per 300 milioni di euro è il blocco della maggiorazione dal 15% al 40% degli incentivi concessi agli impianti alimentati a bioliquidi (olio di palma).
Un aumento che era previsto dovesse scattare dal primo gennaio, ma per il quale l’ex ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, perplesso sulla misura, non aveva emanato il decreto ministeriale.
Tuttavia l’Autorità per l’Energia, tenendo presente il dettato legislativo, aveva già iniziato a computare sulla bolletta elettrica il costo della maggiorazione di quegli incentivi.
Il fatto che ora il decreto «Fare» la blocchi, non significa dunque un taglio della bolletta ma un mancato aumento.
Rinnovabili e assimilate.
L’altro capitolo su cui il governo è intervenuto è quello che passa sotto il nome di Cip6, il meccanismo, introdotto nel ’92, per incentivare la produzione di energia elettrica privata attraverso le fonti rinnovabili e le assimilate, cioè quelle derivanti da processi industriali come la chimica, la siderurgia, la raffinazione del petrolio.
Questa categoria ha assunto un peso in termini economici vieppiù crescente: l’onere in bolletta ha toccato gli 89 euro l’anno, di cui due terzi per le assimilate.
Gli impianti di rinnovabili e assimilati ricevono una remunerazione per chilowattora determinata dalla tecnologia e dai «costi evitati», cioè dal valore del quantitativo di gas la cui produzione è stata sostituita.
Questo valore si è calcolato per anni in base all’andamento del prezzo del gas dei contratti take or pay , più di recente essendo state limitate le quote di contratti di questo tipo, l’Autorità per l’Energia, guidata da Guido Bortoni, ha raccomandato di cambiare parametro e di adeguarsi ai prezzi di mercato. Un suggerimento inviato al governo Monti nel dicembre 2012 che non è stato seguito ma che oggi il governo Letta ha fatto proprio. Ma non da subito.
Le due fasi.
Il regime che si individua leggendo l’ultima versione del decreto circolata, distingue una fase di graduale adeguamento, che si svolgerà quest’anno, da una fase di pieno regime, nel 2014.
Ecco perchè il risparmio previsto nel 2013 non è di 500 milioni, ma della metà , con le conseguenze sulla bolletta annua che abbiamo detto: 4-5 euro, che raddoppieranno l’anno prossimo.
Si mantiene ancora sul vago, circa gli effetti del decreto, il presidente dell’Autorità per l’Energia, che ieri ha detto di voler aspettare a leggere il testo del decreto del governo ma ha sottolineato che, per quanto riguarda l’energia «si va nella direzione giusta. Come va nella direzione giusta l’intervento sul Cip6 perchè, come già segnalato da noi, è cambiato il prezzo del gas, quindi è giusto ridurre gli incentivi, ora dobbiamo vedere con che intensità »
Bortoni ha poi aggiunto che nel decreto ci dovrebbe essere una riduzione della componente A2 della bolletta per un minor prelievo per gli smantellamenti nucleari.
Gli energivori.
C’è infine un aumento in vista per le bollette che andrebbe evitato per evitare di vanificare i provvedimenti del decreto «Fare»: è quello legato alle agevolazioni alle imprese energivore, che costerebbe 600 milioni.
Bortoni ieri ha spiegato che sta collaborando con il governo per l’applicazione di queste agevolazioni: «Ora aspettiamo la discussione. Condividiamo le agevolazioni per le imprese che hanno un alto costo dell’energia, ma deve essere fatto in modo molto selettivo» ha raccomandato.
Antonella Baccaro
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