Giugno 6th, 2013 Riccardo Fucile
PRONTO SOCCORSO TRONCHETTI: PER GLI AMICI I SOLDI NON MANCANO MAI…IN PIENA STRETTA ALLE IMPRESE, C’E’ CHI ELARGISCE MILIONI
È una storia noiosa e opaca. Ma l’intervento con cui ieri Unicredit e Intesa, le due maggiori banche italiane, hanno stanziato 230 milioni per diventare azioniste di una società con 15 dipendenti, la Camfin, va studiato.
Solo così si potrà capire come i condottieri della finanza stiano spingendo l’economia nel burrone.
Marco Tronchetti Provera è un mago delle cosiddette scatole cinesi.
Tutti credono che sia padrone della Pirelli, invece ne controlla solo il 26 per cento, sufficiente al controllo grazie ad alleati come Mediobanca, Assicurazioni Generali, Fonsai (ex Ligresti oggi Unipol), Benetton.
Quel 26 per cento è custodito dentro la Camfin, una scatola quotata in Borsa, che ha solo 15 dipendenti, appunto, perchè la sua unica attività è il possesso delle azioni Pirelli, che valgono poco più di un miliardo di euro.
Tronchetti della Camfin ha solo il 42 per cento, e non ce l’ha tutto, perchè è custodito in un’ulteriore società , la Gpi, di cui ha il 57 per cento, che tiene in un’ultima società che ha il 71 per cento della Gpi, la Mtp partecipazioni.
Calcolando la demoltiplicazione delle quote si vede che Tronchetti realmente ha un 4 per cento abbondante di Pirelli, pari a un investimento di circa 200 milioni.
Con i quali comanda anche se gli altri azionisti mettono oltre 4 miliardi di euro.
Magia delle scatole cinesi.
Camfin è malmessa. Ha quasi 400 milioni di debiti, e Unicredit e Intesa sono le più esposte.
Poi c’è la controllata Prelios (ex Pirelli Real Estate) che ha oltre 500 milioni di debiti, e anche lì Unicredit e Intesa sono inguaiate.
Quando una società è indebitata e non sa come uscirne (Camfin a fronte di 380 miliardi di debito ha avuto nel 2012 come unica entrata 33 milioni di dividendo Pirelli) in un Paese normale si fa l’aumento di capitale.
Ciò che pensava l’industriale siderurgico Vittorio Malacalza (dotato di un miliardo di liquidità ) che tre anni fa, quando Tronchetti non aveva i soldi per una certa operazione, lo soccorse diventando socio della Gpi e della Camfin.
Il kamasutra di quote azionarie era tale per cui al primo bisogno di mezzi freschi — essendo Tronchetti in bolletta o renitente allo scucire euri, non si sa — Malacalza contava di estrarre il libretto degli assegni e sfilargli tutto.
Nel 2012 i nodi sono venuti al pettine, con tanto di avvocati e di veline ai giornali amici. Profilandosi la contesa, le azioni hanno cominciato a volare, quasi triplicando di prezzo nell’ultimo anno.
Malacalza vuole l’aumento di capitale, Tronchetti vuole fare debiti.
Anche le banche vogliono i debiti, sennò che ci stanno a fare?
Dovendo scegliere tra uno che le voleva ripagare e uno specialista del debito, hanno scelto il secondo e lo hanno soccorso.
Ieri il gran finale.
Siccome il controllo di Tronchetti sulla Pirelli è un dogma del sistema di potere finanziario, Tommaso Cucchiani di Intesa Sanpaolo e Federico Ghizzoni di Unicredit hanno messo sirena e lampeggiante e fatto tutti contenti.
Perchè i soldi per tenere in vita le imprese e i posti di lavoro, come è noto, le banche non li hanno.
Quelli per fare contenti gli amici invece non finiscono mai.
Intesa e Unicredit hanno chiamato il Fondo Clessidra di Claudio Sposito (ex Fininvest), quello a cui Mediobanca (di cui Unicredit è primo azionista) e Intesa, come azionisti di Telecom, volevano fortissimamente consegnare La7, e combinato l’affare.
Malacalza, che aveva dato a Tronchetti 88 milioni per diventarne socio, ne avrà indietro 160, con un guadagno dell’88 per cento.
Per sdebitarsi del trattamento sontuoso compra il 7 per cento di Pirelli da Allianz e Fonsai, due soci stufi di Tronchetti e da tempo in cerca di un compratore gradito al “sistema”.
Unicredit e Intesa, già creditori disperati, diventeranno anche azionisti di Camfin. Non solo, finanzieranno anche un’offerta pubblica di acquisto (Opa) su tutte le azioni per togliere la società dalla Borsa.
Ed ecco il capolavoro finale: Clessidra ci mette 150 milioni, Intesa e Unicredit 115 a testa, ma a fronte di questa spesa di 380 milioni totali è stato messo nero su bianco che Tronchetti continuerà a comandare lui, da solo.
Il presidente di Intesa Giovanni Bazoli e l’ex presidente di Mediobanca Cesare Geronzi, profeti di questa sorte di bisca magniloquente, chiamerebbero il soccorso a Tronchetti “operazione di sistema”, come tutte le volte che le banche sono corse a salvare i debitori (se sono amici o amici degli amici), e ne sono anche diventate socie, per condividere fraternamente il dolore.
In Pirelli, Prelios e Camfin come in Rcs, in Fonsai (ex Ligresti ora Unipol) come in Risanamento, in Ntv (il treno Italo di Montezemolo) come nella Carlo Tassara dell’amico più amico, Romain Zaleski.
La lista potrebbe continuare, ma c’è un ultimo dato da registrare: in Borsa negli ultimi due giorni i furbetti bene informati hanno fatto, come si dice in gergo finanziario, carne di porco.
Martedì sera il titolo Camfin aveva chiuso a 85 centesimi. Ieri mattina ha perso di colpo il 7 per cento perchè gli amici degli amici hanno saputo che l’Opa sarebbe stata al prezzo di 80 centesimi.
Quando il titolo è planato a 80 centesimi le autorità lo hanno sospeso, solo un attimo prima che uscisse il comunicato con i dati dell’operazione.
Gestione a dir poco geniale.
La Consob stavolta non può far finta di niente e sta già indagando.
Giorgio Meletti
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Giugno 6th, 2013 Riccardo Fucile
SIMONE MAZZATA, SEGRETARIO DELLA COGEME, LICENZIATO CAUSA ELEZIONI: LA LEGA DOVEVA TROVARE UN POSTO AD ALESSANDRA TABACCO, EX ASSESSORE DI CANTU’ E CANDIDATA NON ELETTA ALLA CAMERA
E ora lo spoil system in salsa padana arriva a colpire anche i lavoratori dipendenti. Questa è l’accusa di Simone Mazzata, fino a due mesi fa segretario generale di una fondazione legata alla Cogeme, una multiutility partecipata da 70 comuni delle province di Bergamo e Brescia.
Fino a due mesi fa, appunto.
Perchè in seguito alle elezioni amministrative dell’anno scorso sono mutati gli equilibri politici della zona e i vertici di multiutility e fondazione sono finiti in mano alla Lega. Mentre a Mazzata è stato dato il benservito: “Da un momento all’altro sono rimasto senza occupazione”, spiega.
Mentre per il suo vecchio ruolo è stata scelta una esponente leghista.
Mazzata ha così deciso di fare causa alla Cogeme spa e alla Fondazione Cogeme, una onlus che si occupa di promuovere sul territorio progetti di carattere sociale e di sostenibilità ambientale.
Di “discriminazione per ragioni di convinzioni personali” parlano Alberto Guariso e Mara Marzolla, i legali che hanno presentato il ricorso al tribunale del lavoro di Brescia. Dopo avere lavorato in diverse società del gruppo dal 1995, Mazzata nel 2010 viene assunto da Cogeme come quadro e gli viene affidata la mansione di segretario generale della fondazione che fa riferimento alla multiutility, con incarichi di tipo gestionale e organizzativo.
A giugno 2012 cambiano i vertici: alla presidenza del consiglio di amministrazione di Cogeme sale Dario Remo Fogazzi, di area leghista.
Con il nuovo corso viene cambiato lo statuto della fondazione e a marzo 2013 anche il cda: presidente diventa il vice capogruppo della Lega al Senato, Raffaele Volpi, che in passato ha avuto tra i suoi collaboratori proprio Fogazzi.
Per Mazzata la doccia fredda arriva due mesi fa, quando viene convocato da Volpi e Fogazzi, che gli comunicano che d’ora in poi non sarà più il segretario generale della fondazione.
Nemmeno il tempo di assorbire la botta, che il giorno stesso il nuovo cda nomina al suo posto Alessandra Tabacco, che per il Carroccio è stata consigliere comunale a Sesto San Giovanni (Milano), assessore a Cantù (Como) e anche candidata alla Camera. Mazzata non ci sta e decide di andare in tribunale.
Sostiene di essere stato vittima di una discriminazione legata a opinioni politiche. Racconta che nè Volpi nè Fogazzi hanno criticato il lavoro da lui svolto in precedenza. Per motivare la scelta, Fogazzi gli avrebbe spiegato che “ci sono certe caselle da sistemare” e certe situazioni da “bilanciare”.
“E’ una ragione di indirizzo fiduciario — gli avrebbe invece detto Volpi — ma non è assolutamente legata alla persona”.
Il senatore, dal canto suo, conferma: “Non ho detto che Mazzata ha lavorato male, ma preferisco un’altra persona”.
La nuova incaricata, aggiunge, “ha determinate competenze rispetto a determinate cose che sto cercando di fare nella fondazione. Uno potrà pur decidere con chi lavorare”.
Al fianco di Mazzata si è schierata anche la Cgil, secondo cui è stata messa in atto un’inedita forma di spoil system che non si limita a intervenire su incarichi di tipo politico: “E’ particolarmente grave — accusa il segretario della Camera del lavoro di Brescia Damiano Galletti — che i partiti, oltre a lottizzare i cda, si allarghino in modo tale da mettere in discussione addirittura i rapporti di lavoro dei dipendenti”.
E’ il nuovo corso sociale della Lega maroniana: creare nuovi posti di lavoro (per le amiche).
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Giugno 6th, 2013 Riccardo Fucile
“AI PARTITI DELLE RIFORME ISTITUZIONALI NON INTERESSA NULLA”…”CON SEI, SETTE RITOCCHI AVREBBERO POTUTO FAR BENE, COSI’ NON SE NE FARA’ NIENTE”
Professor Sartori, ha fiducia nei trentacinque saggi?
«Sono troppi, non combineranno nulla. Trentacinque persone sono già un parlamentino e infatti questi trentacinque saggi sono stati scelti in rappresentanza dei partiti e dei loro interessi».
Bisogna presupporre che sia interesse dei partiti fare le riforme.
«No, guardi, ai partiti delle riforme costituzionali interessa poco o nulla, tanto è vero che potevano cominciare con la legge elettorale e non l’hanno fatto».
Sostengono che la legge elettorale va rivista in base a come è stata riformata la Costituzione.
«Questa è una stupidaggine alla grande. Che c’entra il tipo di assetto istituzionale che ti dà i con la legge elettorale che scegli? Io, lo sanno tutti, l’ho scritto mille volte, sono per il doppio turno alla francese, e anche per il semipresidenzialismo. Ma le due cose sono disgiunte. A proposito, vorrei dire una cosa su Gustavo Zagrebelsky».
Il quale, al Corriere, ha detto che il presidenzialismo ha fatto danni alle democrazie immature, e che succederà anche in Italia.
«Per la precisione ha detto che il presidenzialismo e il semipresidenzialismo in America latina hanno favorito l’ascesa dei colonnelli. Ma il semipresidenzialismo non esiste nel Sud America. Che c’entra con Augusto Pinochet o con Jorge Videla? Possibile che non sappia distinguere tra le due cose? Zagrebelsky fa anche il caso della Russia ma, come ho scritto nel mio libro sulla ingegneria costituzionale, la Russia ha una legge elettorale di facciata ma falsa nella sostanza. Il problema è molto semplice: prendi il doppio turno francese, applicalo in Italia e funzionerà come funziona in Francia»
Sono in molti a pensarla come Zagrebelsky.
«Purtroppo. Ma i nostri giuristi spesso conoscono soltanto il diritto italiano. E questo argomento è il modo migliore per non fare nulla e tenersi il porcellum».
Vede anche questo rischio?
«Ma certo. Questo parlamentino non concluderà nulla. Non mi stupirei se tornassimo a votare col porcellum. Scusate, ma la Costituzione non c’entra con i partiti. Che senso ha riunire trentacinque saggi in rappresentanza dei partiti e delle loro interessate aspirazioni? E poi c’è la presenza dei berlusconiani che è deformante».
Addirittura.
«Sì perchè i berlusconiani sono alla ricerca di una soluzione che garantisca un salvacondotto a Berlusconi: per esempio mandarlo al Quirinale. Su queste premesse non si va da nessuna parte o si va verso una pessima Costituzione».
Che alternativa propone?
«La riforma della Costituzione francese l’ha scritta uno solo, Michel Debrè. E anche la Costituzione di Weimar, che fu spazzata via dalla grande crisi economica del 1929, ma nonostante questo era un’ottima Costituzione, è opera di Hugo Preuss…».
Però la nostra Costituzione del 1948 è figlia di un’Assemblea ampia.
«Ma la nostra era una situazione assolutamente eccezionale, si usciva dalla guerra e da vent’anni di fascismo e c’era non soltanto l’esigenza ma anche il desiderio di ricostruire il Paese, il che andava fatto col coinvolgimento di tutte le forze. Ne nacque una Carta basata sulla preoccupazione che uno dei due grandi blocchi, quello democristiano o quello comunista, conquistasse tutto il potere. Ne risultò una costituzione forse troppo garantista, piena di contrappesi. Ma è una Costituzione che, con qualche ritocco, andrebbe bene anche oggi».
Se si fosse deciso di volare basso?
«Direi che se si fosse scelta una via minimalista, limitata a sei o sette ritocchi, allora la commissione avrebbe potuto fare bene».
Il ritocco più urgente?
«Dare più poteri al premier, per esempio quello di sostituire i ministri e il voto, come in Germania, di sfiducia costruttiva».
Professore, se l’avessero chiamata a far parte dei Trentacinque, avrebbe accettato?
«Non credo, sono troppo vecchio e stanco per contribuire a un’impresa che oltretutto mi pare disperata. Comunque nessuno, proprio mi ha interpellato. Una bella fortuna».
Mattia Feltri
(da “La Stampa“)
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Giugno 6th, 2013 Riccardo Fucile
“RENZI E’ UNA PERSONA INTELLIGENTE, NON FAREBBE MAI CADERE IL GOVERNO”
«Berlusconi dovrebbe garantire una stabilità di due anni al governo, solo così si potranno varare le riforme» e bisogna evitare di «trasformare il presidenzialismo in una bandiera, altrimenti non si va lontano».
Piuttosto la cosa urgente è cambiare la legge elettorale per evitare di «ritrovarci col porcellum se le cose dovessero precipitare».
Guglielmo Epifani non crede che gli scossoni alla stabilità possano derivare dal suo partito, anche se venisse eletto segretario Matteo Renzi «di sicuro non farebbe mai cadere il governo, anzi»; e il Pd ritroverà una «identità forte» con un congresso costruito in modo da far tramontare «l’eccessivo peso che hanno avuto fin qui le correnti».
Quanto durerà il governo se l’Europa non allenterà i vincoli di bilancio?
«Certo, l’andamento economico è ancora negativo, non c’è una ripresa, a fine anno avremo ancora 120 mila disoccupati e ciò rafforzerebbe il bisogno di un governo stabile. Dall’altro lato, è chiaro che si amplia la forbice tra i bisogni di giovani, imprese e famiglie e la possibilità di fare manovre di sostegno agli investimenti. E qui sta il rischio per il governo, connesso pure a qualche rischio sociale, non ho mai visto una cosa come quella accaduta ieri a Terni. Ma è chiaro che il Consiglio europeo di giugno è un passaggio cruciale per poter incentivare l’occupazione».
In tutto ciò, Berlusconi benedice il presidenzialismo, ma lei frena su tutto il percorso. Paura di contraccolpi a sinistra?
«No, il problema è che bisogna fare le cose per bene. Questa discussione sul semipresidenzialismo sta diventando una bandiera per tifoserie. Non si affrontano così problemi delicati. Io invito a fare le cose coi tempi giusti perchè voglio portare a termine le riforme e invece temo che questa accelerazione ideologica sia un modo per non farle. Dobbiamo procedere per gradi, far istruire bene tutto il dossier partendo dall’inizio: superare il bicameralismo, ridurre il numero dei parlamentari e varare il Senato delle regioni. Con una verifica attenta del rapporto tra poteri centrali e poteri regionali. E solo poi si arriva alla forma di governo».
E la sua preferenza a quale soluzione va, cancellierato o semipresidenzialismo?
«Ci può essere una soluzione nel solco della tradizione italiana, accentuando i poteri del capo del governo, oppure virare su una forma di semipresidenzialismo, più innovativa, ma che richiede un numero di interventi amplissimo su oltre trenta articoli della Costituzione. Se si antepone a tutto una soluzione del problema, non si costruisce nulla. E se questo tema delle riforme viene vissuto in maniera astratta, non viene capito dalle persone: bisogna collegarle alla condizione sociale del paese, per non farle sembrare una cosa molto lontana dai bisogni reali più immediati. Quindi la soluzione finale non va ideologizzata, ma va ben costruita per farne capire il senso».
Forse pensa che una rivoluzione copernicana come questa non si possa varare con Berlusconi ancora in campo?
«La mia preoccupazione non è legata alla persona, ma al fatto se il centrodestra intenda continuare o no con una politica di servizio per il Paese. Un percorso istituzionale come questo ha bisogno di una promessa di stabilità di due anni. Se sul Parlamento si dovessero scaricare le tensioni che una parte della maggioranza trasferisce sul governo, ciò finirebbe per riflettersi sul percorso delle riforme. Berlusconi dice oggi che il governo è stabile, poi magari domani qualcuno dei suoi dice l’opposto, ma sono i fatti che contano. E siccome sono vent’anni che ci si prova senza riuscirci, se dovessimo fallire anche stavolta si amplierebbe il solco tra politica e Paese. Nelle prossime settimane potremmo cominciare a capire le tensioni che possono provenire sul governo dal fronte giudiziario».
Quando lei dice «teniamoci pronti a tutto», intende che va cambiata subito la legge elettorale?
«Intendo dire che quando sarà , tra un giorno o tra cinque anni, non potremmo tornare a votare con questa legge, quindi dobbiamo predisporci ad avere un sistema elettorale che risponda a due requisiti: assicurare governabilità , quindi indicazione di maggioranze e minoranze e libertà di scelta dei candidati. Ma non faremo un referendum sugli iscritti con un sì o un no, coinvolgeremo nella discussione anche il popolo delle primarie, nei nostri circoli».
Lei accusa il Pdl di minare la vita del governo, ma anche il Pd non scherza. Che succederebbe se venisse eletto segretario Renzi?
«Siccome è una persona molto intelligente, come potrebbe far cadere un governo di cui è premier un esponente del suo partito? Il Pd gli si rivolterebbe contro. Escluderei questo rischio».
Lei lo voterebbe se si candidasse segretario?
«Intanto stiamo parlando di un’ipotesi di terzo tipo, dipenderebbe comunque dal contesto e dal programma. Lui appartiene a questa comunità ed è una persona di grande rilievo, non c’è alcun dubbio».
Si è pentito di aver accettato di portare la croce del Pd? O ci sta prendendo gusto?
«Il primo mese è stato durissimo, vissuto spesso in solitudine, ma ora le cose stanno migliorando, anche i ballottaggi andranno bene, addirittura i sondaggi ci danno in risalita: si sta stemperando il confronto interno e non c’è stato alcun braccio di ferro con Renzi sui ruoli della segreteria. Ma il problema è un altro: ho trovato una situazione piena di spifferi, con un ruolo eccessivo delle correnti che non possono diventare centri di potere, per scegliere non i migliori ma i più fedeli. Questa situazione va modificata, il congresso deve rimotivare e appassionare. E per questo, le candidature devono arrivare alla fine di un percorso, altrimenti la discussione è solo sul chi, mai sul cosa. Alla fine forse potrei svolgere positivamente la mia funzione di traghettamento». “Io invito a fare le cose coi tempi giusti perchè voglio fare le riforme e invece temo che questa accelerazione ideologica sia un modo per non farle. Nel caso in cui Renzi diventasse segretario, escludo il rischio che possa far cadere un governo di cui è premier un esponente del suo partito”
Carlo Bertini
(da “La Stampa“)
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Giugno 6th, 2013 Riccardo Fucile
“I SAGGI? LA POLITICA FA COSI’ QUANDO NON VUOLE RISOLVERE LE COSE”
Matteo Renzi fatica a camminare tra la stazione e la metropolitana di Brescia, tutti tentano di fermarlo, qualcuno ha scritto a mano su foglietti di carta: «Renzi segretario».
«È così dappertutto. Sono stato in posti dove non è andato nessuno: prima in Friuli per la Serracchiani, poi a Treviso, Vicenza, San Donà di Piave, Villafranca. Visti i risultati dei nostri candidati sindaci, mi sono convinto che il Pd può vincere ovunque, anche in Veneto, anche qui in Lombardia. La nostra gente ci chiede soprattutto questo: stavolta fateci vincere davvero. Perchè noi non abbiamo mai davvero vinto: nel ’96 facemmo la desistenza che provocò poi la caduta di Prodi; nel 2006 arrivammo primi con 24 mila voti mettendo insieme Turigliatto e Mastella, Luxuria e Lamberto Dini; stavolta abbiamo mancato un gol a porta vuota. Noi dobbiamo dare una risposta alla nostra gente, agli emiliani che sono stati i primi a dire no a Marini, ai bersaniani che in queste ore mi chiedono: Matteo ora basta, ci stai o no?».
Appunto: ci sta o no? Si candiderà alle primarie per la segreteria del Pd?
«Dipende dal Pd, non da me. Se riusciamo a uscire dalla palude, a imporre i nostri temi, la nostra gente capirà il governo con il Pdl. Se tiriamo a campare, se ci facciamo dettare l’agenda da Berlusconi, se non riusciamo a fare le riforme, allora…».
Le pare che le riforme siano partite bene?
«La prima cosa dovrebbe essere la legge elettorale. Invece vedo che la si vuol mettere per ultima. È sbagliato. È l’idea che “il problema è ben un altro” che porta a non far niente. Se non si trova un accordo sul sistema elettorale, mi pare difficile che lo si trovi su tutta la riforma dello Stato».
La vedo scettico.
«Sento che si parla di saggi, di commissioni. Ma non occorre un saggio per dire ad esempio che la burocrazia italiana è da rifare; te lo dice anche uno scemo. Quando la politica non vuole risolvere le cose, fa una commissione. Invece bisognerebbe chiudersi in una stanza e decidere».
Quindi lei è a un passo dalla candidatura.
«Io mi sono stancato di passare per il monello in cerca di un posto, il ragazzo tarantolato con la passione del potere. Sono l’unico che non si è seduto su nessuna poltrona ed è rimasto dov’era prima. Se c’è bisogno di me, me lo diranno i sindaci, i militanti. Persone che stimo molto, mi consigliavano di non farlo; ora però si vanno convincendo anche loro. Di sicuro, se succede, non sarà come l’altra volta una campagna improvvisata, per quanto bella. C’è bisogno di una squadra ben definita».
A quali nomi pensa?
«I migliori in ogni campo: energia, scuola, innovazione tecnologica. Di solito ai politici interessa il loro futuro personale. Io non ho ancora le idee chiare sul mio futuro, ma le ho chiarissime sul Pd e sull’Italia. Noi tra dieci anni possiamo essere la locomotiva d’Europa. Ma dobbiamo cambiare. Dobbiamo aiutare gli imprenditori invece di ostacolarli. Dobbiamo abbassare il costo dell’energia. Dobbiamo avere il coraggio di dire al Sulcis che non ha senso andare avanti con il carbone di Mussolini pagato dallo Stato».
Perchè non può farle il governo Letta queste cose?
«Io spero che Letta abbia successo. Lo stimo, abbiamo un bel rapporto. Apprezzo il suo equilibrio; mi convincerà meno se cercherà l’equilibrismo. Non so fino a quando potremo governare con Schifani e Brunetta, i loro capigruppo. Il governo dura se fa le cose. È come andare in bicicletta: se non pedali, cadi. Io posso anche uscire a cena con gente che non sopporto, ma solo se il cibo è buono, la conversazione decolla e dopo si va a vedere un bel film. Se invece si resta in silenzio, meglio alzarsi e andarsene».
A leggere il suo libro, sembra quasi che le abbiano fatto intravedere Palazzo Chigi mentre c’era già un accordo alle sue spalle…
«Non credo sia così. La verità è che non era il mio turno. A Palazzo Chigi io andrei per smontare tutto e ricostruire daccapo: il fisco, la burocrazia. Per fare questo occorre un mandato forte. Letta dice che ci vuole il cacciavite. Io userei il trapano».
Non crede che se lei fosse eletto segretario il governo rischierebbe di cadere in pochi mesi, come Prodi quando divenne segretario Veltroni?
«Il rischio c’è. Anche più grave di quello del 2007: allora c’era un governo di centrosinistra, questo è un governo che vede sinistra e destra insieme. Ma sarebbe ancora peggio vivacchiare senza risolvere nulla, perdere un altro giro».
Dovrà scegliere tra segretario del Pd e sindaco di Firenze?
«Il problema non si pone, almeno non si pone adesso. Non c’è incompatibilità . Avere una funzione nazionale sinora ha aiutato a fare meglio il sindaco, ad esempio a trovare i fondi per salvare il Maggio fiorentino. Ora poi l’Europa finanzierà direttamente i Comuni e non solo le Regioni. Con la riforma del titolo V della Costituzione abbiamo fatto un grosso errore: alla burocrazia statale si è aggiunta la burocrazia regionale».
Berlusconi chiede il presidenzialismo, lei frena. Ma non era presidenzialista pure lei?
«Non ho in mente una soluzione piuttosto di un’altra. Si può pensare all’elezione diretta del premier, che rafforza il governo, o del presidente della Repubblica, che però a questo punto non potrebbe più essere una figura di garanzia, dovrebbe essere un capo. L’importante è che ci sia qualcuno che si assuma la responsabilità , a cui dire grazie se ha successo o dare la colpa se fallisce».
Ma lei si vedrebbe al Quirinale?
«Le ho già detto che la mia preoccupazione non è il mio futuro politico. Ho 38 anni. Sa quali sono le due cose che mi danno più fastidio?».
Dica.
«La prima è quando mi descrivono roso dall’invidia, come se il mio treno fosse passato. Quando attribuiscono a me trame contro Letta, tipo la mozione di Giachetti per il ritorno ai collegi uninominali. Ora, se c’è uno che ha diritto di parlare di legge elettorale è Giachetti, ha fatto pure lo sciopero della fame, io non lo farei neppure se mi pagassero, ma rispetto le battaglie dei radicali. Nel merito sono d’accordo con lui; ma non ne sapevo nulla. Paradossalmente, sono proprio gli ex democristiani a dipingermi come un piantagrane. Tentano di logorarmi».
E la seconda?
«Quando mi dicono che non sono di sinistra. A me, il primo sindaco ad aver fatto un piano a volumi zero che ferma la cementificazione, con l’obbligo di aprire un giardino a dieci minuti di passeggiata da ogni casa, con le chiavi affidate alle mamme. Ora ho pedonalizzato un’altra parte del centro, dietro Palazzo Vecchio. Ma di questo non parla nessuno. Si parla solo del pranzo con Briatore».
Anche lei, però…
«Mi hanno dipinto come un’olgettina perchè sono andato ad Arcore da Berlusconi, e ora con Berlusconi hanno fatto un governo. Mi hanno attaccato perchè sono andato dalla De Filippi; dopo di me sono andati don Ciotti e Gino Strada e nessuno ha detto niente. Mi prendono in giro per il giubbotto di pelle, e non sanno che la pelletteria è un settore che tira, in dieci anni ha raddoppiato l’export. Ora mi attaccano perchè ho incontrato Briatore. Io non la penso come lui. L’imprenditore cuneese con cui sono più in sintonia è Oscar Farinetti. Però sono curioso. Non voglio chiudermi nel mio steccato. Penso di poter imparare qualcosa da qualsiasi persona; a maggior ragione se è diversa da me, se ha avuto successo in quello che ha fatto, nello sport e nel lusso, se crea posti di lavoro».
Con il Billionaire?
«Non vado al Billionaire, non ho il fisico. Ma questo moralismo senza morale lo trovo insopportabile, questa saccenteria, questa pretesa di superiorità etica è la maledizione della sinistra. Per me la politica è una prateria, non una riserva indiana. Tra poco faccio il comizio. Sa qual è il passaggio su cui prenderò più applausi? Quando dirò che bisogna andare a cercare i voti della destra. Berlusconi vinse nel ’94 con il milione di posti di lavoro e il nuovo miracolo italiano, nel 2001 con “meno tasse per tutti”, e noi ironizzammo su questo. Fu un errore. Il Paese ha bisogno di speranza, sogni, fiducia. Berlusconi ha illuso gli italiani. Poi è seguita la disillusione. Ora è il tempo delle decisioni».
Lei ha preso l’abitudine di vedere pure D’Alema.
«Ma quale abitudine! Solo perchè adesso ci parliamo… Ammiro il suo humour. Alla direzione Pd è andato da Matteo Orfini e gli ha detto: “Vedo che finalmente ci sono giovani turchi che fanno qualcosa di interessante. Peccato che siano a Istanbul».
Con D’Alema avete un patto?
«No. Con D’Alema è interessante discutere. Come con Veltroni. Io non rinnego la battaglia per la rottamazione. La rifarei; anche se rinunciare a D’Alema e tenersi Fioroni non è stato un affare. Però un partito ha bisogno di molte intelligenze e voglio ripartire dalle giovani leve, anche chi ha votato per Bersani. Voglio un partito vivo, in cui vengo fatto fuori e faccio fuori, ma in modo aperto, trasparente. Non chiedo fedeltà . Chiedo lealtà ».
Non ha paura, da segretario di partito, di non avere più l’appeal sull’opinione pubblica che ha ora? Di non essere più Renzi?
«Io funziono solo se sono Renzi. Non sarò mai la copia di un funzionario di partito. La questione è un’altra: rimettere l’Italia in gioco, recuperare un pensiero lungo, passare dal Paese del piagnisteo al Paese dell’opportunità ».
Il decreto sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti la convince?
«Ho fatto voto di non parlare male del governo; quindi taccio».
Non può cavarsela così.
«Mi pare la logica dell'”adelante con juicio”. Si poteva avere più coraggio. Spero che il Parlamento lo migliori. E che venga abolito il Senato, trasformandolo in camera delle autonomie: 315 parlamentari in meno significano meno costi e più efficienza. Ma l’importante oggi non è dire; è fare. Subito. Non le sembra che a Roma abbiano già perso troppo tempo?».
Aldo Cazzullo
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 6th, 2013 Riccardo Fucile
“DOPO QUATTRO MESI A FARE CASINO SULL’INELEGGIBILITA’ DI BERLUSCONI, IL CAPOGRUPPO NON SI PRESENTA AL VOTO?”… L’INCREDIBILE AUTODIFESA DI CRIMI: “MI SONO PERSO, NON TROVAVO IL PALAZZO”
«Mi sono perso, non trovavo il palazzo». È di nuovo bufera sul Cinque Stelle Vito Crimi, capogruppo al Senato, che ha fatto infuriare il collega Michele Giarrusso.
Che si autosospende dai Cinque Stelle al Senato e spiega «Ci sono delle mele marce che se ne devono andare anche nel Movimento 5 Stelle», ha chiosato Giarrusso. «Dopo quattro mesi trascorsi a fare un casino per l’ineleggibilità di Berlusconi, il capogruppo non si presenta al voto?», ha aggiunto il senatore.
INELEGGIBILITA’ BERLUSCONI
Nel mirino di Giarrusso c’è il collega e capogruppo al Senato, Vito Crimi, arrivato in ritardo al voto.
«Ci sono delle mele marce che se ne devono andare anche nel Movimento 5 Stelle», ha chiosato Giarrusso.
«Dopo quattro mesi trascorsi a fare un casino per l’ineleggibilità di Berlusconi, il capogruppo non si presenta al voto?», ha aggiunto il senatore.
Era la prima riunione della giunta per le elezioni del Senato. Quella in cui il Movimento Cinque Stelle voleva dichiarare ineleggibile Silvio Berlusconi.
Ma il capogruppo dei grillini non si presenta.
Il primo a protestare per l’assenza è stato il senatore Cinque Stelle Michele Giarrusso. «Dov’è il mio capogruppo Vito Crimi? Chiedetevi perchè non c’era alla riunione», tuona, rivolto ai giornalisti, lasciando l’aula di Sant’Ivo alla Sapienza, come spiega l’agenzia Dire, che mostra anche le immagini video.
NO AD ACCORDI
A fare infuriare Giarrusso il risultato della riunione. La giunta ha infatti eletto come presidente, Dario Stefano di Sel. C’erano tutti e 23 i membri. Tranne Crimi.
I Cinque Stelle erano invece decisi rifiutare in blocco gli «accordi sotto banco tra maggioranza e finte opposizioni», come aveva spiegato.
Per questo avevano deciso di far convergere tutti e quattro i loro voti su Mario Michele Giarrusso. Ma alla fine i voti sono stati solo tre: quelli di Serenella Fucksia, di Maurizio Buccarella e dello stesso Michele Giarrusso.
Mancava il voto del senatore più rappresentativo: il capogruppo Vito Crimi.
Quando Giarrusso esce dalla giunta e affronta i giornalisti, il suo presidente non si è ancora neppure affacciato a Sant’Ivo.
«NON TROVAVO IL PALAZZO»
Come spiega ancora la Dire, Giarrusso allarga le braccia sconfortato, quando i cronisti gli chiedono se per caso Crimi, dopo aver incassato dalla maggioranza l’elezione di Roberto Fico alla Vigilanza Rai, non abbia voluto contraccambiare con quello che in gergo si chiama segnale di buona volontà « delle opposizioni nei confronti delle rispettive maggioranza.
«Chiedetelo a lui», replica Giarrusso sottraendosi alle domande. Poi scappa infuriato. Mentre esce dal palazzo, arriva trafelato Crimi.
Il capogruppo sorridente, va per abbracciare il compagno di partito, ma Giarrusso lo scansa da sè. E gli intima: «Vai, vai».
Ma ormai è troppo tardi.
Poi arriva la spiegazione dello stesso Crimi: «Mi dispiace per Mario. Ma è stata una giornata intensa, e poi ci sono le incombenze amministrative in ufficio che non mancano mai durante la giornata. E poi di fatto, trovare il luogo, non è stato facile. È la prima volta che veniamo qui…».
Al termine della riunione Crimi torna sull’argomento: «Non si inventino scuse, la calendarizzazione della ineleggibilità di Silvio Berlusconi dipende dal presidente. Vedremo se metterà l’argomento a breve in calendario. Noi lo chiederemo alla prima seduta».
Se qualcuno non gli suggerirà di perdersi per strada ovviamente.
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Giugno 6th, 2013 Riccardo Fucile
DALL’INCHIESTA VALTUR EMERGONO LE VACANZE REGALATE AI POLITICI, DA SCHIFANI A TOTO’ CUFFARO, DA OSVALDO NAPOLI AD ALFANO… CAPODANNI ALLE MALDIVE, PASQUE SUL MAR ROSSO, FERRAGOSTI IN SARDEGNA A COSTO ZERO O CON SCONTI MASSICCI… TUTTO GRAZIE A CARMELO PATTI, PATRON DELLA VALTUR, ACCUSATO DI ESSERE PRESTANOME DI MATTEO MESSINA DENARO, IL SUPERLATITANTE DI COSA NOSTRA
I magistrati stanno cercando di ricostruire le relazioni che hanno favorito il suo successo.
E “l’Espresso” nel numero in edicola domani ha esaminato una serie di documenti sugli omaggi concessi da Patti a politici di primo piano.
Ad esempio Renato Schifani con signora hanno salutato l’arrivo del 2008 sul bianco arenile delle Maldive: per il soggiorno nel villaggio di Kihaad hanno avuto uno sconto di 6.074 euro.
Per una settimana di soggiorno in villaggio con camera matrimoniale comfort vista mare, aerei, idrovolante in altissima stagione Schifani ha saldato un conto finale di soli 3.434 euro.
Più movimentata la comitiva che si riunisce negli ultimi giorni di agosto 2009 a Favignana.
Carmelo Patti ospita una compagnia di 24 persone. L’imprenditore è con moglie, figlia e nipote.
Il presidente del Senato Schifani è insieme a consorte, figlio e fidanzata.
Con loro il senatore Udc Salvatore Cuffaro e la senatrice Pdl Simona Vicari, attuale sottosegretario allo Sviluppo Economico, insieme ai coniugi.
Completano la squadra, fra gli altri, Basilio Germanà , ex parlamentare di Forza Italia per quattro legislature e Concetta Spataro, allora assessore Pdl al Turismo del Comune di Trapani.
Tutti elencati in un’unica fattura che sfiora i 20mila euro, ma che viene azzerata da uno sconto dello stesso importo.
Invece per la pasqua 2009 al Sinai Grand Village Resort di Sharm el Sheik si ritrovano ancora Patti, il presidente Schifani, i senatori Vicari e Cuffaro.
Tutti in compagnia dei coniugi e sempre a costo zero, grazie a un gentile pensiero offerto dall’ex proprietà di Valtur: un buono del valore di 1.120 euro a coppia.
In particolare Cuffaro sembra essere un vero habituè della Valtur: ha viaggiato gratis per 50 giorni in località che vanno dalla Sicilia alla Sardegna, dall’Egitto alle Maldive. Una passione che comincia nel 2001, quando viene eletto al vertice della Regione Sicilia.
Ad agosto trascorre due settimane nel villaggio Baia di Conte ad Alghero con moglie e figlie. Costo: zero.
E per il Capodanno 2007, senza toccare il portafoglio, si riposa alle Maldive in una villa “over water”, sospesa sul mare.
Il totale elencato nelle fatture sarebbe stato di 15.388 euro, azzerato dalla generosità del patron di Valtur.
A viaggiare a tariffa speciale c’è anche il vicepremier e ministro dell’Interno Angelino Alfano.
Il suo caso è diverso: ha sempre pagato, limitandosi ad uno sconto significativo.
A nome di Alfano ci sono tre fatture per resort da sogno.
La prima è relativa a Capodanno 2009 sull’isola di Mauritius: al villaggio Valtur Le Flamboyant arriva con aereo in business class e soggiorna una settimana con moglie e figli in una suite vista oceano.
Paga 18.748 euro usufruendo di uno sconto di 3.600 euro.
L’anno successivo festeggia il primo di gennaio alle Maldive, nel Valtur Gioia Resort di Kihaad, dove resta una settimana con famiglia in una matrimoniale Deluxe fronte mare.
Il tutto per 12mila euro, pagati, con uno sconto di circa 4.800 euro.
L’ultimo soggiorno, stando ai documenti esaminati da “l’Espresso”, è nell’agosto 2011, pochi giorni prima del commissariamento di Valtur.
Alfano si concede una settimana in Grecia con moglie e figli, la famiglia di Fabio Bartolomeo, direttore generale di statistica del Ministero della Giustizia, e altri amici. La fattura, di 13.122 euro, risulta scontata di quasi 3.500 euro: per Alfano e per Bartolomeo è segnato uno sconto del trenta per cento.
Dai documenti emerge che Ignazio Abrignani, deputato siciliano Pdl e capo della segreteria dell’allora ministro Claudio Scajola, nel 2009 ha portato l’intera famiglia nel villaggio di Golfo Aranci.
Infine a nome di Osvaldo Napoli, ex deputato Pdl ora sindaco di Valgioie, piccolo comune di 709 abitanti in provincia di Torino, esistono due fatture Valtur.
La prima risale al 2001, quando è rimasto una settimana, a cui poi si sono aggiunti tre giorni extra, a Golfo Aranci con l’ex compagna: lo sconto indicato è del 70 per cento ossia 1.245 euro invece di 3.842.
«Ho pagato quello che mi hanno chiesto» ha replicato Napoli, unico tra i parlamentari interpellati da “l’Espresso” a rilasciare commenti.
La seconda risale al febbraio 2011 quando, sempre da deputato, ha trascorso due notti a Sestriere, al Valtur Village Resort insieme a nove familiari, tutti ospiti dell’azienda che ha emesso una fattura a zero euro per un importo che sarebbe stato di oltre tremila euro.
«Abito a quaranta chilometri da lì e di sicuro la mia non è stata una vacanza, ma una situazione particolare, probabilmente di emergenza. Avrò sicuramente chiesto quanto dovevo saldare e mi avranno detto di lasciar stare. Sono abituato a pagare, e non mi sembra di aver commesso alcun reato».
Francesca Lombardi
L’inchiesta completa è su ‘L’Espresso’ in edicola da venerdì 7 giugno
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Giugno 6th, 2013 Riccardo Fucile
“ERA UNA MARCIA PACIFICA, REAZIONE SPROPOSITATA, UNA BRUTTA PAGINA PER LE ISTITUZIONI”
«Il mestiere di sindaco sta diventando pericoloso…». Prova a scherzarci su, Leopoldo Di Girolamo, 61 anni, del Pd, il sindaco di Terni.
Ieri mattina ha avuto la testa insanguinata e due punti di sutura dopo le cariche dei «celerini» alla stazione.
Colpito dall’ombrello di un manifestante, secondo la polizia.
«Ombrellata o manganellata, la questione è politica. I poliziotti per la prima volta hanno usato i manganelli contro i lavoratori e contro le istituzioni».
Ora Di Girolamo è tornato a casa dalla moglie Antonella, «che per fortuna è come me – dice il sindaco – e non si spaventa di nulla quando c’è da difendere i diritti dei lavoratori. Prenderemo altre manganellate, se servirà . Martedì prossimo, 11 giugno, si torna in piazza per il futuro dell’acciaieria».
Le ha chiesto scusa, il questore di Terni, per il suo bernoccolo?
«Sì, mi ha chiamato quando ero sull’ambulanza, mi ha detto che lui aveva avuto l’ordine di impedire irregolarità all’interno della stazione».
Da chi l’aveva avuto, l’ordine?
«Eh, non lo so. L’orario dei treni, evidentemente, è diventato più importante della sicurezza delle persone. Ma la reazione della polizia è stata davvero immotivata, spropositata. La nostra era una manifestazione pacifica, come mille altre nella storia degli operai ternani. Terni è una città democratica. L’occupazione del binario sarebbe stata solo simbolica, come sempre».
Invece i «celerini» hanno usato il manganello.
«Una rigidità incomprensibile. E una gestione dell’ordine pubblico burocratica. Al di là delle scuse, sarebbe servita una professionalità adeguata. Peccato, perchè Terni è una delle poche città in Italia dove i reati sono dati in diminuzione. Davvero una brutta pagina, per le istituzioni. Di sicuro, stavolta qualcuno ha sbagliato e spero che l’inchiesta del ministero l’appurerà . Affinchè non succeda di nuovo».
Intanto, a Terni, l’acciaieria è in pericolo. In attesa di un compratore, si rischia la paralisi produttiva, più di 5 mila lavoratori guardano con preoccupazione al futuro.
«Noi, un secolo e mezzo fa, siamo diventati una città grazie all’acciaio e vogliamo continuare ad esserlo, consci perfettamente che l’industria di Terni può dire ancora la sua a livello europeo e mondiale. Durante la guerra, i tedeschi in ritirata avrebbero voluto minarla e farla saltare prima dell’arrivo degli alleati. Ma trecento lavoratori la occuparono e riuscirono così ad impedirglielo. Terni ci tiene molto, alla sua fabbrica».
Fabrizio Caccia
(da “il Corriere della Sera”“)
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Giugno 6th, 2013 Riccardo Fucile
“AL MOMENTO OPPORTUNO SCRIVERO’ SU FB LE RAGIONI, CE NE SONO PIU’ DI UNA”
Vincenza Labriola parla con la collega Eleonora Bechis nel cortile di Montecitorio. Fuma una sigaretta, allontana chi le chiede se — davvero — sia pronta ad abbandonare il Movimento 5 stelle in Parlamento.
Davanti a domande più precise, però, davanti a chi le chiede se il suo progetto, come quello di Alessandro Furnari, sia di lasciare il gruppo spiegando la decisione con un post su Facebook giovedì o venerdì notte, confessa: «Può darsi che sulla mia pagina troverete un post analogo a quello di Alessandro».
Dipende dall’istinto: «Deciderò al momento opportuno. Ci sono volte in cui devi scegliere tra la persona che sei e un’idea che forse non esiste più».
Ha due figlie piccole, la deputata a 5 stelle.
Fa i salti mortali per riuscire a vederle, per non far sentire loro la mancanza della mamma. È di Taranto, molto sensibile al caso Ilva.
Allora è vero. Lei e il suo collega abbandonate il gruppo?
«Posso dire solo che sono una persona istintiva e che deciderò d’istinto, quando mi troverò davanti a un bivio».
Può almeno dirci qual è il motivo di questa “possibile” scelta.
«Non c’è un solo motivo».
È diventato difficile lavorare con il gruppo alla Camera. Si sono create dinamiche che non vi piacciono?
«Io lavoro benissimo con i miei colleghi della commissione Lavoro. Sono come una famiglia per me, stiamo a preparare leggi e mozioni tutto il giorno, da mattina a sera. Ci vediamo anche fuori».
Il problema è l’assemblea?
Non risponde
Ci sono delle pratiche burocratiche da fare per il passaggio al gruppo misto. Lei e il suo collega vi siete già informati.
«Una cosa è informarsi, un’altra decidere. Posso informarmi su come si ottiene il Telepass senza prenderlo mai, no?».
Pare che Grillo sarà a Taranto questo week end. Ci andrà ?
«Non so. Non ne sapevo nulla».
Come vive la vicenda dell’Ilva?
«Non voglio dire qual è la mia posizione politica. Non ancora almeno. È una discussione che stiamo facendo con la rete, una cosa in cui siamo tutti coinvolti. Da donna tarantina posso dirle che ho allattato le mie figlie e che mi sono sentita in colpa per questo. Perchè dopo si sono scoperte quantità eccessive di diossina nel latte materno. Perchè ho visto da vicino casi di tumore».
Quando se n’è parlato chiedeva che l’eccedenza della diaria si potesse donare liberamente. Pensava ai centri tumore?
«Pensavo a quelli, all’assistenza ai bambini malati di Sla, agli ultimi, ai deboli, a chi non riesce ad arrivare a fine mese».
Stasera (ieri, ndr) sarà all’assemblea dei deputati?
«No. Non ci andrò».
Annalisa Cuzzocrea
(da “la Repubblica“)
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