Giugno 15th, 2013 Riccardo Fucile
I “FURBI” CHE SI FACEVANO TOGLIERE LE CONTRAVVENZIONI DA VIGILI URBANI COMPIACENTI…POLITICI LOCALI, DEPUTATI E IMPRENDITORI TRA I 1.500 NOMI SU CUI INDAGA LA PROCURA DI ROMA
C’è Francesco Storace, le auto intestate ad Alleanza nazionale, il Consiglio Regionale del Lazio e una nutrita schiera di pidiellini.
Tutti citati nella lista tenuta segreta per lungo tempo nei cassetti dell’ufficio contravvenzioni del Comune di Roma.
Sono 1500 nomi, molti eccellenti, che negli anni hanno avuto il privilegio di non pagare le multe prese mentre sfrecciavano con le loro auto nelle strade romane.
Quella lista però è finita agli atti dell’inchiesta della procura di Roma, che ha richiesto già il rinvio a giudizio per 4 vigili urbani ed un geometra accusati di concussione per la vicenda delle presunte mazzette chieste ai fratelli Bernabei, titolari di una enoteca a Trastevere, dietro la minaccia di una serie di controlli subordinati ad un abuso edilizio.
Il documento integrale che Il Fatto possiede riporta ben 1500 nomi di persone che hanno avuto il privilegio di non pagare le multe.
Amici di amici, politici, imprenditori, ma anche gente comune che approfittava non si sa in cambio di cosa.
Accanto ai nomi, nella lista, non è scritto l’importo esatto della contravvenzione, ma semplicemente “verbale improcedibile”. Teoricamente, spiegano gli inquirenti, le dichiarazioni di improcedibilità nascono dalla contestazione di cittadini, ma di quel carteggio non c’è più traccia. Di conseguenza, non c’è possibilità per i magistrati di agire contro i citati anche perchè chiunque potrebbe asserire che si tratti di un omonimo.
E così scorrendo la lista, spuntano nomi eccellenti.
Il primo è Francesco Storace, candidato leader de La Destra per le scorse elezioni per la presidenza della Regione Lazio, dove è uscito sconfitto da Nicola Zingaretti.
Addirittura Alleanza Nazionale ha fatto cestinare una multa presa da un auto intestata al partito. Stesso discorso per qualche dipendente del Consiglio regionale del Lazio, che ha approfittato del privilegio molte volte.
Sono quaranta le multe intestate ad auto del Consiglio regionale.
E ancora. Nella lista c’è anche Manuela Di Meglio, moglie di Alessandro Cochi delegato allo sport del comune di Roma, che si è fatta annullare quattro multe; Giovanni Serra, direttore del dipartimento mobilità e trasporti del comune di Roma; Monica Tagarelli, segretaria del delegato allo Sport, e Claudio Giuliani, ex consigliere VII Municipio per la lista civica di Rutelli.
Esce fuori anche una multa intestata a Nazzareno Cecinelli, segretario generale del consiglio regionale Lazio
Cecinelli è finito al centro delle cronache pochi mesi fa perchè la proroga della sua nomina in Regione sarebbe avvenuta in violazione delle disposizioni legislative sull’affidamento di incarichi dirigenziali a tempo determinato.
Proroga decisa dai membri dell’Ufficio di Presidenza della Regione Lazio, come Mario Abbruzzese, presidente, e Isabella Rauti — consigliere e moglie di Gianni Alemanno – che insieme ai colleghi è finita nel registro degli indagati per concorso in abuso d’ufficio.
Anche i membri del Pdl non disdegnavano la pratica che regnava sovrana all’ufficio contravvenzioni del comune.
Come l’onorevole Sestino Giacomoni appena rieletto nella circoscrizione di Lazio 1. A seguire Fabrizio Di Stefano, in passato consigliere comunale d’Abbruzzo, ex Pdl, poi passato a dicembre 2012 con Ignazio La Russa.
E Fabio Sabbatani Schiuma, uno degli esclusi eccellenti del centrodestra romana alle scorse elezioni.
E per concludere nella lista ci sono anche i nomi di Carlo Orichuia, dirigente Rai, di Maurizio Mattei, ex arbitro, oggi dirigente della Federazione italiana gioco calcio, Ludovico Maria Todini, imprenditore e padre di Luisa, membro del consiglio di amministrazione Rai.
E per finire, sono circa 42 le multe che farebbero riferimento a Forno Roscioli, della nota famiglia romana Roscioli.
I magistrati romani non sapranno mai l’importo delle multe, tantomeno il perchè stilare una lista, conservandola.
Durante la gestione Alemanno tutto questo era possibile.
Molti agivano indisturbati, altri ne approfittavano.
Le spese, con conseguenze danno erariale, sono finite sotto la lente della Corte dei conti che ha aperto un’indagine.
Valeria Pacelli
(da Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 15th, 2013 Riccardo Fucile
BOLLETTE MENO CARE, CREDITO AGEVOLATO PER LE AZIENDE PER L’ACQUISTO DI NUOVI MACCHINARI, IMPIGNORABILITA’ DELLA PRIMA CASA, RILANCIO DELL’AGENDA DIGITALE
“Tante misure concrete, per rilanciare l’economia”: è il premier Enrico Letta a chiarire il senso ed i punti chiave del “decreto fare”, approvato dal Cdm in serata dopo una riunione fiume, durata diverse ore.
I provvedimenti spaziano dal fisco, alle infrastrutture, all’edilizia, all’energia, la scuola e l’università e le semplificazionioni burocratiche: in tutto un’ottantina di articoli. Torna la mediazione civile obbligatoria che consentirà il taglio di un milione di processi in cinque anni. Sul tavolo ci sono anche bollette meno care, credito agevolato e semplificazioni per le aziende.
Giustizia.
Per la giustizia civile ci sarà lo smaltimento di 1 milione e 200mila pratiche arretrate
Pubblica amministrazione.
Nel decreto c’è “una norma rivoluzionaria per i cittadini italiani che potranno pretendere un indennizzo se la pubblica amministrazione non rispetta i tempi, previsti per una procedura”, rileva Letta.
Impignorabilità della prima casa.
Tra le novità , diverse riguardano Equitalia: il Cdm ha dato via libera alla norma che stabilisce l’impignorabilità della casa se risulta che il proprietario possiede solo quell’immobile.
Rate Equitalia.
E’ stata approvata una norma che stabilisce che il debitore che ha rateizzato il suo debito con Equitalia potrà continuare a beneficiare della rateizzazione fino ad un massimo di 8 rate non pagate, anche se consecutive. Oggi invece la legge prevede che il beneficio della rateizzazione decada dopo due rate consecutive non onorate.
Imprese, bonus per l’acquisto dei nuovi macchinari.
Si tratta di prestiti agevolati ad un tasso pari alla metà di quello di mercato, grazie a 5 miliardi della cassa depositi e prestiti messi a disposizione di quelle imprese che vogliono comprare nuovi macchinari, fino a 2 milioni di investimenti per ciascuna azienda. I finanziamenti verranno concessi entro il 2016.
Infrastrutture.
Il decreto, ha spiegato Letta, prevede lo sblocco di cantieri in tutto il Paese.
Lavori per un totale di circa 3 miliardi di euro in piccole, medie e grandi opere, con una ricaduta a livello occupazione di almeno 30mila nuovi posti di lavoro (20 mila diretti, 10 mila indiretti), continua il ministero delle Infrastrutture.
Risparmi sulle bollette.
“Sono state adottate misure che consentono di ridurre le bollette energetiche degli italiani di 550 milioni”, spiega il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato. Il risultato sarà ottenuto, ha aggiunto, “con l’utilizzo del biodisel e con la modifica del Cip6”.
100 milioni per edilizia scolastica.
Tra i provvedimenti approvati i sono anche norme sull’edilizia scolastica, “un problema enorme: grazie anche all’intervento dell’Inail, abbiamo la possibilità d’accordo di cominciare con 100 milioni di euro per la manuetenzione degli edifici scolastici”
Università .
Si ampliano, inoltre, le facoltà di assumere delle università e degli enti di ricerca per l’anno 2014, elevando dal 20 a 50 per cento il turn-over, ovvero il limite di spesa consentito a rispetto alle cessazioni dell’anno precedente. “Con questo provvedimento si libereranno posti per 1500 ordinari e 1500 nuovi ricercatori” di tipo B, aggiunge Carrozza. Sul fronte università scatta il finanziamento di borse di mobilità per studenti meritevoli e capaci che intendano iscriversi a corsi di laurea in regioni diverse da quelle di residenza.
Meno burocrazia per la cittadinanza.
“Sarà semplificato l’iter della cittadinanza. Saranno date soluzioni a errori burocratici che hanno impedito ai cittadini immigrati di ottenere la cittadinanza italiana”, chiarisce il ministro per l’Integrazione, Cècile Kyenge, presentando la parte del decreto che le compete.
Nautica, stop a tassa piccole imbarcazioni.
La tassa per le imbarcazioni rimane per le grandi barche, viene invece annullata per le piccole imbarcazioni, dimezzata per le imbarcazioni medie, sotto la soglia dei 18-20 metri, chiarisce ancora il ministro Lupi. Per dare aiuto ad “un settore in ginocchio, quello della nautica che era uno dei settori di eccellenza e che rischia di scomparire”.
Suolo.
Via libera anche il disegno di legge in materia di contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato. “L’intero governo ha voluto sottolineare che la tutela del suolo è soprattutto tutela del paesaggio, fondamentale per rilanciare il nostro turismo”, spiega il ministro della Cultura Massimo Bray.
Agenda digitale.
Novità anche per quanto riguarda l’agenda digitale. Il decreto riorganizza e rende più snella e operativa la governance. Saranno poi introdotti il domicilio digitale ed il fascicolo sanitario elettronico.
Liberalizzazione wi-fi Internet.
Il provvedimento varato oggi dal governo ha “liberalizzato completamente Internet” nel senso che nell’uso del “wifi non sarà richiesta più l’identificazione personale degli utilizzatori”.
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Giugno 15th, 2013 Riccardo Fucile
AL GRIDO DI “BUFFONE, VAI VIA” I MILITANTI DEL COMITATO “NO TERMO” ACCOLGONO IL SINDACO DI PARMA TRA FISCHI E SPINTONI… PINOCCHIO-PIZZAROTTI: “MAI DETTO CHE AVREI FERMATO L’IMPIANTO, DOVETE DISTINGUERE TRA PROTESTA E PROPOSTA”
“Buffone, buffone! Vai via!”. Il sindaco Federico Pizzarotti cerca il dialogo con la piazza che protesta contro l’inceneritore, ma viene cacciato dopo qualche minuto dalla folla che gli grida contro.
Il sindaco si era fatto dare la maglia con la scritta “No Inceneritore” e si era fatto strada in mezzo a centinaia di manifestanti per provare a confrontarsi con i rappresentanti dell’Assemblea permanente no inceneritore che da mesi chiedevano un segnale al sindaco.
Dopo i presidi davanti al forno di Ugozzolo e l’incursione in Provincia finita con lo scontro con il presidente Vincenzo Bernazzoli, il gruppo aveva fatto un blitz anche durante il consiglio comunale, prima di essere allontanati dalla polizia municipale.
In aula però Pizzarotti non c’era e il faccia faccia era stato di nuovo rimandato.
Fino a oggi, quando a Parma era in programma una manifestazione nazionale a cui hanno aderito centinaia di persone.
“Mantieni le tue promesse” hanno gridato gli attivisti al primo cittadino Cinque stelle, che senza perdere la calma ha cominciato a rispondere ai manifestanti, parlando con i rappresentanti accompagnato da un assessore e da un consigliere comunale.
“Non ho mai detto che avrei fermato l’inceneritore” ha risposto il sindaco “E comunque questo non è il modo di farlo. Non servono i proclami e le accuse, voi purtroppo non avete capito la distinzione tra protesta e proposta. Noi comunque siamo contro l’inceneritore e lo saremo sempre, solo che ognuno segue la propria strada e il proprio modo”.
Il sindaco ribatte, ma è un muro contro muro: “Avete strumentalizzato Grillo per vincere le elezioni e ora non mantenete le vostre promesse, siete diventati come gli altri”.
Poi ancora botta e risposta, fino a quando la folla comincia a gridare contro Pizzarotti. “Buffone! Buffone!” E il sindaco ritorna in Comune, tra i fischi e le urla dei manifestanti.
Pochi minuti dopo la piazza si svuota e i manifestanti da piazza Garibaldi, sotto il Comune, marciano fino alla sede della Provincia in piazzale Pace.
Una sfilata con presidio sotto gli enti ritenuti responsabili della costruzione di un impianto. La speranza di bloccare l’inceneritore a Parma non si ferma, nemmeno dopo l’avvio preliminare dell’impianto avvenuto nei mesi scorsi e nemmeno dopo che la Cassazione ha respinto definitivamente la richiesta di sequestro del cantiere.
Nella protesta ci sono persone arrivate da tutta Italia che condividono altre lotte, dalla Tav all’Ilva di Taranto. “Crediamo che l’inceneritore di Parma rappresenti la condizione di un Paese intero — spiega l’Assemblea — stretto nella morsa del ricatto tra lavoro e salute, tra profitto ed inquinamento, tra la vecchia e collusa politica d’interessi e il benessere collettivo”.
Silvia Bia
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 15th, 2013 Riccardo Fucile
DOPO IL KO ELETTORALE CRESCE IL MALESSERE NEL PDL…SILVIO PENSA A UN RIBALTONE CON UNA DONNA AL COMANDO
Dice il ministro: «Con Berlusconi non c’è nessun problema. Per noi è come un padre nobile, ci chiama, ci sta vicino, ci spinge a presentare più proposte possibile. E noi siamo una squadra unita».
Dice il parlamentare di lungo corso: «Nel Pdl è un disastro, il risultato delle elezioni amministrative è stato una catastrofe. In un altro partito sarebbero stati convocati gli organi dirigenti e il segretario si sarebbe presentato dimissionario. Da noi, zero».
Lunedì 10 giugno, mentre le dimensioni del crollo prendevano corpo, sedici a zero per il centrosinistra nei comuni capoluogo al voto, a partire dalla Roma che fu di Gianni Alemanno senza contare la Sicilia ex roccaforte berlusconiana, il Cavaliere ad Arcore riceveva il sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo, reggente dell’Anci, l’associazione dei comuni italiani, una delle poche fasce tricolori che ancora può vantare il partito azzurro.
Il sopravvissuto Cattaneo, 34 anni appena compiuti, ha il vantaggio di essere giovane, sindaco e aspirante rottamatore: tre caratteristiche che gli hanno garantito sui media negli ultimi mesi il soprannome di Renzi del centrodestra.
E pazienza se il carisma e la determinazione non sono esattamente gli stessi del collega di Firenze e se un anno fa, al primo rimprovero del segretario Angelino Alfano i rottamatori del Pdl, i formattatori in assemblea a Pavia si riallinearono nel giro di un pomeriggio.
Tanto basta per farlo partecipare al prossimo gioco di società del Pdl, per non morire di larghe intese.
Operazione Renzi, si potrebbe chiamare.
«Dobbiamo trovare un Renzi che ricostruisca il Pdl da capo, un ritorno alla Forza Italia delle origini», si entusiasma la bionda sottosegretaria Michaela Biancofiore, una delle poche a non deprimersi dopo il risultato dei ballottaggi dell’ultima settimana.
«Meglio ancora se donna: una Renzi».
Il Cavaliere, in realtà , avrebbe voluto assoldare l’originale. Non c’è solo il famoso pranzo di Arcore, ormai datato a due anni fa.
E neppure il piano Rosa tricolore, il progetto di rifondazione del partito ideato da Diego Volpe Pasini, l’imprenditore amico di Vittorio Sgarbi che ora figura tra i promotori del fantomatico Esercito di Silvio, l’organizzazione volontaria che dovrebbe difendere l’ex premier dai giudici di Milano, ma anche dai traditori interni: in quelle pagine si sognava che Renzi potesse diventare il capo dei moderati italiani.
Anche il faccendiere Luigi Bisignani nel suo libro racconta che «Berlusconi ha corteggiato Renzi in tutti i modi, nei sondaggi volava».
Ma ora che il sindaco di Firenze è saldamente sul fronte opposto, tra qualche mese potrebbe diventare leader del Pd con una struttura leggera, nel Pdl ci si interroga su chi potrebbe confrontarsi con lui.
Alfano è escluso. Mantiene l’incarico di segretario del Pdl, ma nel partito la sua popolarità è ai minimi storici.
«Macchè Renzi», sbotta un deputato. «Ci accontenteremmo di un Epifani: Alfano non è neppure quello».
Nella sua Sicilia il centrodestra ha perso il sindaco di Catania al primo turno ed è rimasto fuori dai ballottaggi nei capoluoghi di provincia, dopo aver perso nel 2012 nel giro di quattro mesi i comuni di Palermo e di Agrigento (città natale di Angelino) e la regione Sicilia.
Eppure Alfano nel partito e nel governo mantiene intatto un potere che in pochi hanno accumulato prima di lui, nella Prima e nella Seconda Repubblica.
La carta di diventare qualcosa di simile a un Renzi del Pdl è stata giocata quando prima del voto di febbraio il segretario si impuntò per fare le primarie nonostante la freddezza di Berlusconi. «Angelino, lascia perdere, andrai a schiantarti. E più tardi rinuncerai alle primarie, più ti farai del male», gli aveva consigliato bonariamente l’uomo forte del partito Denis Verdini.
È finita bene per l’ambizioso politico siciliano, al Viminale e vice a Palazzo Chigi avendo perso tutte le elezioni, chi meglio di lui?
Difficile però che si possa proporre come volto nuovo del centrodestra in caso di una crisi anticipata del governo Letta e di un nuovo scontro elettorale con il centrosinistra questa volta guidato da Renzi.
Verdini a travestirsi da rottamatore non ci pensa neppure, per fortuna.
Lui con Renzi ha in comune soltanto l’origine toscana. Però si sta intestando il piano più radicale di rottamazione del Pdl attuale. Scritto con Daniele e Daniela, ovvero Capezzone e Santanchè, prevede un vertice (con un presidente, indovinate chi?) e una struttura leggera, in grado di funzionare con poche risorse economiche, in vista di una riforma del finanziamento pubblico dei partiti.
Un mega-comitato elettorale, con un partito ancora più presidenziale di quanto non sia ora, per lasciar affondare i notabili ancora in attività , i Cicchitto e i Gasparri, diventati nel frattempo i più tenaci difensori del modello partito pesante: specularmente ai loro colleghi del Pd, i nemici di Renzi.
A guidarlo ci sarebbe la Santanchè, già nominata due mesi fa responsabile dell’organizzazione del partito, la più dura dopo il risultato negativo delle amministrative: «È la sconfitta di una classe dirigente che non mette un impegno, una dedizione, una passione e soprattutto la voglia di scegliere per il meglio», attacca: «Non so se nel Pdl ci siano falchi e colombe. Di certo io non sono un piccione».
È la Santanchè la Renzi al femminile invocata dalla Biancofiore?
La deputata di Cuneo ci crede: se Berlusconi dovesse fare un passo indietro (o essere impossibilitato a candidarsi per motivi giudiziari) lei sarebbe pronta a rappresentare l’ala movimentista del centrodestra.
Una prospettiva che fa tremare mezzo gruppo parlamentare e quasi tutta la delegazione ministeriale.
Anche perchè l’ascesa della Santanchè coincide con l’atteggiamento sempre più critico nei confronti del governo Letta.
La deputata bombarda sull’assenza di misure sull’economia, è impaziente di vedere i risultati almeno quanto lo è Renzi sul fronte opposto in concorrenza con l’amico-rivale premier Enrico. E la squadra di governo soffre il fuoco amico.
«Che devo dire? Noi lavoriamo, sentiamo l’incoraggiamento di Berlusconi, quello del partito proprio non c’è», ribadisce un altro ministro del Pdl. Anche tra i filo-governativi, però, c’è la convinzione che l’assetto del partito così com’è non basterà ad affrontare le prossime bufere quando arriveranno.
Avanzano altri nomi per la guida del partito: gli ex ministri Raffaele Fitto e Mariastella Gelmini, per esempio, benchè siano stati entrambi sconfitti in casa, in popolosi comuni della Puglia amministrati da anni dal Pdl e a Brescia, la città dell’ex ministro della Pubblica istruzione. Mentre al Sud, in controtendenza, il Pdl ha vinto nella provincia di Salerno (a Scafati, Pontecagnano e Campagna), commissariata da Mara Carfagna.
Nelle settimane tra il primo e il secondo turno l’ex ministro è stata richiestissima per la campagna elettorale anche fuori dalla sua regione, la Campania.
Tutto esaurito per lei a Santa Marinella, sul litorale laziale, e anche in quel caso vittoria nelle urne.
Un pezzo di Pdl guarda alla Carfagna come possibile nome nuovo, anche in virtù di un percorso che l’ha portata a 37 anni a essere donna di partito all’antica, sezioni, tesseramenti, candidature, voti da conquistare, la ruvida quotidianità della professionista della politica molto lontana dall’esordio glamour da copertina.
La stessa che la portò a raccogliere 55 mila preferenze alle ultime elezioni regionali in Campania. Era il 2010, la Carfagna era ministro, Berlusconi passava da un trionfo elettorale all’altro, secoli fa.
Oggi ancora una volta il berlusconismo è chiamato a reinventare se stesso, in vista di settimane infuocate: dopo la sconfitta alle elezioni, sono in arrivo le prime scelte scomode del governo Letta (alzare l’Iva di un punto?) e soprattutto due sentenze decisive (la Corte costituzionale sul processo sui diritti Mediaset, il Tribunale di Milano in primo grado sul processo Ruby), la possibile interdizione e dunque ineleggibilità del Cavaliere.
C’è chi dice che di fronte a una condanna Berlusconi potrebbe essere tentato di schierare in campo l’unica persona di cui si fida davvero per la successione, la figlia Marina, da sempre in prima linea nella difesa del padre dalle accuse giudiziarie.
Sarebbe lei la Renzi donna? Una rottamazione per via ereditaria, una bizzarria.
Ma, in fondo, un’operazione verità : chi sarà il Renzi di Arcore lo stabilirà Silvio.
Marco Damilano
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Giugno 15th, 2013 Riccardo Fucile
LO STRAPPO DI BERLUSCONI NEL PARTITO AGITA I MODERATI
L’abbandono del Pdl marcia spedito.
Ieri è stato firmato il contratto d’affitto della nuova sede, tremila metri quadrati a piazza San Lorenzo in Lucina, la stessa dove aveva lo studio Andreotti.
La sede l’hanno trovata Denis Verdini e Ignazio Abrignani, l’ha scelta Daniela Santanchè.
Il povero Angelino Alfano, che sarebbe il segretario del partito, l’ha potuta visitare soltanto ieri e ha fatto buon viso a cattivo gioco.
Non si trova insomma una Mafai azzurra che scriva «Via dell’Umiltà addio», nessuno versa una lacrima.
Si pensa soltanto ai conti: 720 mila euro di affitto invece di 2 milioni e ottocento mila.
Tanto basta
Ma l’abbandono del vecchio partito e il ritorno a Forza Italia, con Alfano che plaude al «rinascimento azzurro» e prova a intestarsi il cambiamento, nasconde una lacerazione sempre più forte che percorre il partito e i gruppi parlamentari.
Una divaricazione tra moderati e falchi, preludio di abbandoni se le cose dovessero precipitare.
Anzi, come dicono i pasdaran del Cavaliere, la divisione è tra «i traditori del teatro Olimpico» e «i veri berlusconiani ».
Le vecchie appartenenze sono saltate, tutto è in movimento.
Un ex colomba come Raffaele Fitto si trova, ad esempio, in prima fila insieme ai falchi. Alfano ha provato a blandirlo offrendogli di tutto, dall’incarico di vicesegretario a coordinatore, ma non c’è stato niente da fare.
Fitto ha pronta l’arma di una raccolta di firme tra i parlamentari se non gli dovessero dare soddisfazione nella richiesta di una riunione dei gruppi per – di fatto – mettere sotto accusa i ministri del suo partito.
Per capire l’aria che tira basta leggere gli strali sempre più pesanti che arrivano contro Gaetano Quagliariello, il parafulmine del risentimento contro «quelli che stanno al governo».
Ieri Sandro Bondi è arrivato alla minaccia: «Di questo passo Quagliariello finirà per irritare tutti inutilmente». Vecchie amicizie si incrinano.
Anche l’asse un tempo inossidabile tra Renato Schifani e Angelino Alfano ormai è un ricordo. I due non si fidano più l’uno dell’altro e Schifani, fiutata l’aria antigovernativa che ha iniziato a tirare ad Arcore, ha iniziato a indurire i suoi attacchi.
Di mezzo ci si mettono anche i processi del Cavaliere, preoccupato per la decisione della Consulta sul legittimo impedimento.
Berlusconi ritiene che Napolitano non stia facendo quanto in suo potere per influire sui giudici di nomina presidenziale.
Ed è sul punto di esplodere.
Al punto che anche lo scenario elettorale non è più da escludere.
«Un governo – osserva Daniela Santanchè, madrina del nuovo corso – si sostiene se fa le cose, a partire dallo stop di Iva e Imu, altrimenti che ci sta a fare?».
E all’obiezione che ormai si è chiusa la finestra elettorale risponde con un sorriso: «Nel paese che ha avuto due Papi in contemporanea tutto è possibile».
Già , ma come ci arriverà il partito ad eventuali elezioni anticipate?
Di certo il malumore contro l’ipotesi di affidare la futura Forza Italia a una serie di coordinatori- imprenditori (con obiettivi di budget) è grande.
È presto per parlare di scissioni, ma l’area del disagio è in crescita.
Ne fanno parte ex An come Maurizio Gasparri, che invita a «guardare avanti» senza tornare a Forza Italia, Gianni Alemanno, Andrea Augello, Andrea Ronchi.
Ma anche ex forzisti come Fabrizio Cicchitto e Maurizio Sacconi.
Oltre ovviamente ai ministri Pdl che si trovano sulla graticola tutti i giorni.
Pier Ferdinando Casini, apparentemente uscito dai radar, in realtà li aspetta al varco per creare una nuova casa comune che sia la sezione italiana del Ppe.
Agli amici “Pier” ha confidato che sono almeno una decina i senatori Pdl che gli hanno giurato di essere pronti a mollare.
Fuori, ad aspettare i transfughi, c’è anche la piccola casa di Meloni, La Russa e Crosetto.
Ieri La Russa, aprendo le giornate tricolori a Milano (oggi parlerà Tremonti), ha affondato il colpo contro il leader del centrodestra: «Berlusconi è sempre stato una risorsa, ma non è più sufficiente a battere la sinistra, come hanno dimostrato le ultime amministrative. Anche dove ha dato un colpo di reni eccezionale, come alle politiche, non abbiamo vinto ».
Per uno che pensa di fare a meno di Berlusconi ce n’è un’altra che lo vorrebbe persino clonare.
Al microfono di “Un giorno da pecora”, Laura Ravetto ha dato voce infatti a un gossip che sta tornando sulla bocca di tutti, quello della successione per eredità dinastica: «Se si cerca un’alternativa a lui, non la si trova. Se si cerca qualcuno che insieme a Berlusconi possa continuare il nostro progetto, probabilmente ci può essere una donna. Marina Berlusconi? Magari».
Francersco Bei
(da “La Repubblica“)
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Giugno 15th, 2013 Riccardo Fucile
UNA PAROLA CHIARA SU DATA, SEDE, RELAZIONI E LINEA POLITICA
Dove va il Pd? Ne sapremo di più al prossimo congresso provvisorio, che si terrà in campo neutro (in Svizzera o a San Marino) in un giorno di ottobre sul quale non c’è ancora un accordo: verrà probabilmente sorteggiato di fronte a un notaio.
In quella sede si cercherà di trovare un compromesso su dove celebrare il congresso effettivo e in quale data.
Le varie componenti del partito hanno in mente soluzioni diverse.
IL CONGRESSO
Sarà il ventiquattresimo congresso secondo i bersaniani, che contano anche i 20 del Pci e i successivi di Pds e Ds; l’ottavo congresso secondo i dalemiani, che contano solo i congressi, non importa di quale partito, ai quali ha partecipato D’Alema; il primo secondo Matteo Renzi, che considera i precedenti falsati dalla sua assenza; sicuramente l’ultimo secondo gli analisti politici più realistic
LA SEDE
Veltroni propone Indianapolis, nel cui magnifico Rodeo Center ha partecipato all’ultima convention democratica, rimanendo molto colpito dall’ingresso del senatore Brad Kennedy in groppa a un grosso bovino inferocito.
«La folla dei delegati era entusiasta — racconta — perchè ha subito riconosciuto nel senatore un autentico interprete dello spirito americano. E poi i soccorsi sono stati immediati».
Gli emissari di Veltroni assicurano comunque di essere disponibili anche a ripiegare su una sede italiana, purchè ci siano i palloncini.
Bersani considera del tutto inutile polemizzare sulla sede e in una lettera aperta a “Repubblica”, per dimostrare la sua neutralità sulla questione, propone «una qualunque cittadina lungo il corso del fiume Trebbia».
Napolitano, pur nel suo delicatissimo ruolo extrapartitico, ha discretamente fatto sapere che gli piacerebbe molto che il congresso del Pd si tenesse al Quirinale e che ai lavori partecipasse anche il Pdl, «nello spirito costruttivo, non disgiunto da una fattiva dimostrazione di maturità politica e di responsabilità istituzionale, che ha contraddistinto la fase delle larghe intese».
D’Alema ha chiesto come unica condizione che la sede prescelta abbia almeno un paio di botole segrete e ampi tendaggi dietro i quali nascondersi per parlottare; in alternativa, e in segno di distensione, chiede una Sala Trame dove complottare alla luce del sole.
LE RELAZIONI
Oltre alla relazione introduttiva del segretario Guglielmo Epifani, che avrà per titolo “La sfida del futuro: la sinistra alle porte del Duemila”, sono previsti molti interventi autorevoli. Pier Luigi Bersani, che non ne può più della maschera popolaresca che gli ha cucito addosso Maurizio Crozza, ha affidato al filosofo Emanuele Severino il compito di scrivergli una relazione dal titolo “Technè e Mimesis: l’uomo postmoderno sospeso tra la lacerazione nihilista e la comunità degli essenti”. D’Alema farà avere il suo intervento solo a pochi amici fidati, che avranno poi il compito di farlo circolare segretamente tra i congressisti.
I giovani turchi, guidati da Fassina, non prevedono interventi del loro leader per evitare i soliti equivoci con la stampa, che attribuisce a Fassino almeno la metà delle dichiarazioni di Fassina; poco probabile che intervengano al congresso gli altri componenti della corrente, che sono Finocchiara, Bersano e Veltrone.
I giovani dalmati (la corrente dei centouno che hanno impallinato Prodi) interverranno al congresso in forma anonima, a volto coperto, e presenteranno un loro documento politico, votandogli contro.
LA LINEA POLITICA
Tra i pochi, nel Pd, che considerano necessario averne una, fa spicco il segretario Epifani, che insiste nel considerare prioritaria la lotta per le otto ore delle mondine. Napolitano, con grande discrezione, «e senza voler interferire — si legge in una nota — nel sereno dispiegarsi delle diverse opinioni e nella fervida dialettica delle attività congressuali», chiede che non si proceda alla nomina del nuovo segretario del Pd senza avere consultato anche Berlusconi.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 15th, 2013 Riccardo Fucile
“METTANO UN CARTELLO COME SUI BUS: NON PARLATE AL DISSIDENTE”
Civati di qua, Civati di là . Il suo nome, negli ultimi tre mesi, lo abbiamo sentito tante volte. Sempre affiancato alle parole “pontiere” e “grillino”.
Naturale, dunque, pensare a lui appena il capogruppo Cinque Stelle Riccardo Nuti denuncia una “compravendita” a danno dei suoi parlamentari.
Civati, ce l’hanno con lei
Io non ho mai pagato nemmeno un caffè.
Eppure la frase di Nuti è chiarissima: “È in atto una compravendita morale e politica ad opera di persone esterne al MoVimento”.
Devono stare attenti a usare certe parole. Non perchè io li quereli, figuriamoci. Ma magari a un magistrato può venire in mente di indagare. Siamo tutti giovani e ingenui, ma siamo pur sempre parlamentari della Repubblica.
Parlano di infiltrati e di un piano contro il governo.
Nascondono con questi toni da spionaggio e guerra fredda un problema politico molto banale. Nessuno ha suggerito alla Gambaro o a Currò o a Zaccagnini cosa dire. Lo possono confermare anche loro. Sono semplicemente persone che hanno dignità ed opinioni.
E parlano con lei.
Sì, certo, e sono uno dei pochi. Ma non ho mai dato consigli, figuriamoci ai senatori. Li ho conosciuti ai tempi di Rodotà , quando si discuteva dell’elezione del capo dello Stato.
Dice ancora Nuti: “Presto faremo i nomi dei parlamentari che sono in contatto costante con i nostri”.
Faccio io una domanda ai Cinque Stelle: potete emanare una norma di regolamento spiegandoci con chi possiamo parlare? Alcuni vanno perfino in televisione, adesso: quelli che non ci vanno non possono parlare con nessuno? Mettano un cartello in Parlamento, come sull’autobus: “Non parlare al dissidente”.
Le viene da ridere?
Vorrei che questa storia rientrasse nel buon senso. Qui basta fare una riflessione per finire nel girone degli antipatici, per non dire peggio. Almeno i parlamentari degli altri gruppi potrebbero lasciarli stare.
Di lei Grillo ha detto: “Civati? Lo vorresti adottare o, in alternativa, lanciargli un bastone da riporto”. Quelli come lei sono “maestrini che vedono la pagliuzza negli occhi del M5S” e “non hanno coscienza della trave su cui sono appoggiati”.
In quello stesso post attaccava anche Rodotà e la Gabanelli, mi sento in buona compagnia. Ma da quel giorno, devo ammettere, nei miei confronti noto sguardi piuttosto tesi tra i deputati più ortodossi.
L’accusa è semplice: ci sarebbe stata una cena in cui i dissidenti grillini vi avrebbero chiesto informazioni su come formare un gruppo autonomo. Lei c’era?
No. E poi secondo lei usano il Pd come un centro servizi? Il problema è politico: non è a chi si chiede come si fa un gruppo, il problema è che qualcuno lo chieda.
Un membro dello staff di comunicazione del Senato, Daniele Martinelli, l’ha definita uno “scilipotatore”, una “esca di quel sistema che se la fa sotto per il Movimento”.
Guardi, voglio capire dove vogliono andare a parare. Mi permetta un consiglio a mezzo stampa: vi rendete conto che vi siete autoesclusi dal dibattito?
Forse è quello che vogliono.
Allora stanno minacciando fantasmi.
Li sentirà ancora?
Se il confronto si può aprire in maniera un po’ meno brutale io sono qua. E a quel punto ci sarebbero anche tanti altri del centrosinistra.
Paola Zanca
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Giugno 15th, 2013 Riccardo Fucile
“IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO E’ ANCORA UNA PROSPETTIVA POSSIBILE”… “NON SO SE RENZI SIA STATO LEALE, ASSURDO ACCUSARCI SULLE REGOLE”
Stanzetta al secondo piano, molto più piccola di quella del segretario. Due bersaniani che non hanno voltato gabbana: Stefano Di Traglia e Chiara Geloni.
Lui è alla scrivania, camicia senza cravatta, sigaro.
Pier Luigi Bersani, quattro mesi fa lei pareva a un passo da Palazzo Chigi. Cos’è successo?
«È successo che abbiamo perso 5 punti, un milione e 700 mila voti, a favore di Grillo. Un milione, forse più, erano gli arrabbiati. Gli altri pensavano che avremmo vinto lo stesso».
Invece avete continuato a perdere. Almeno il tentativo di fare il governo di cambiamento con i grillini è stato sincero? O metà partito si stava già mettendo d’accordo con Berlusconi?
«Parlare di sconfitta quando abbiamo un presidente del Consiglio è piuttosto curioso. Ma lasciamo perdere… Il mio è stato un tentativo convinto, e anche ragionevole: non prendi il 25% senza ingaggiarti. Puoi metterci un mese a capirlo, forse due; ma devi capirlo. Era solo questione di tempo. Infatti è proprio quello che sta accadendo».
Sta dicendo che il governo di cambiamento è ancora possibile?
«La mia idea è pragmatica e realistica: i governi di coalizione puoi doverli fare, ma non sono governi di scossa. Evitano un rischio, ma non sono motori di cambiamento. Le consultazioni in streaming non sono state inutili. Ora se le ricordano».
Renzi disse che lei si fece umiliare.
«Invece avevo la testa alta e rivolta in avanti, con l’idea di far ragionare un mondo. Oggi abbiamo un governo di servizio. Lo sosteniamo e lo sosterremo. Vi abbiamo impegnato i nostri migliori esponenti. Ma è compito di tutti noi tenere viva la prospettiva di un governo di cambiamento».
Lo smottamento in corso tra i grillini può far nascere un’altra maggioranza?
«Lo ripeto quattro volte con la massima chiarezza: io sostengo Letta, persona intelligente, capace e leale. Ma Berlusconi non pensi di avere in mano le chiavi del futuro. Ci pensi bene. Stavolta staccare la spina al governo non comporta automaticamente andare a votare. Gliel’ha detto persino Cicchitto».
Lei dopo il voto tentò di parlare con Grillo?
«Sì. Ma non è stato possibile».
Perchè però non avete colto il primo segnale di apertura e non avete votato Rodotà ?
«L’elezione del capo dello Stato implica la ricerca di una soluzione il più possibile condivisa. Ritirato Marini, abbiamo indicato Prodi, che compariva tra i candidati di Grillo. E se nelle file del Pd non ha avuto abbastanza voti il fondatore del partito, non credo proprio che li avrebbe avuti Rodotà ».
La accusano di non aver preparato bene la candidatura di Prodi. Non era meglio metterla prima ai voti dentro il partito?
«Io ho chiesto di votare a scrutinio segreto. Ma la reazione al nome di Prodi è stata un’ovazione unanime. Allora ho chiesto di votare per alzata di mano. Tutti hanno alzato la mano. Adesso tutti mi chiedono chi sono i 101. Io rispondo: parliamo prima dei 200 per Marini».
Ma molti dei 200 avevano espresso prima il loro dissenso.
«Non è così che si sta in un partito. Vorrei un partito in cui si dialoga con la base su facebook e su twitter, ma si ha il coraggio di seguire e difendere le scelte collettive».
Marini significava larghe intese. Con Berlusconi.
«Contesto in radice questa affermazione. Il nuovo capo dello Stato sarebbe stato nella pienezza dei suoi poteri, dall’assegnazione dell’incarico allo scioglimento delle Camere. E poi con Berlusconi abbiamo eletto Ciampi, in un momento in cui eravamo noi al governo e la conflittualità con la destra era da guerra mondiale. In ogni caso, alla fine non restava che chiedere a Napolitano il sacrificio di cui dobbiamo essergli grati».
Potesse tornare indietro si dimetterebbe ancora?
«Io non mi sono dimesso per ragioni personali, o per dispetto, sentimento che non conosco nella mia anima. Mi sono dimesso per fissare un punto: al prossimo congresso ragioniamo su cos’è un partito, cos’è una democrazia. Questo Paese è inchiodato, non cresce, non riesce a fare riforme, non ha un’idea del futuro, perchè è tarato su modelli personalistici o padronali o trasformisti o plebiscitari».
In tutte le democrazie ci sono i leader.
«Certo. Ma mentre le altre democrazie possono contare sulla stabilità che danno le formazioni politiche, da noi si alzano comete che durano molto o poco ma finiscono, e aprono vuoti d’aria di sfiducia. Cosa c’è dopo Berlusconi? Dopo Monti? Dopo Bossi? Dopo Grillo? Dopo Di Pietro? Grillo ora perde voti: qualcosa torna da noi; ma il resto va in sfiducia ulteriore».
Nel Pd dopo di lei potrebbe toccare a Renzi. Che cosa pensa davvero di lui?
«È un ragazzo sveglissimo, intelligente, fresco, pieno di energia. Può essere di enorme utilità per il Pd. Mi va bene tutto, ma non il vittimismo. Renzi non può dire che ora noi vogliamo cambiare le regole per danneggiarlo, dopo che io ho cambiato le regole per farlo partecipare alle primarie, separando il ruolo da segretario da quello di candidato premier. Possiamo decidere di tornare indietro, ma sarebbe davvero strano. A maggior ragione adesso, che il premier è un dirigente del Pd».
Renzi è stato leale con lei?
«Non lo so. Non ho cose da lamentare, se non lo scarso affetto per il collettivo. Voglio un partito che sia uno strumento al servizio della società civile, non uno spazio dove agiscono miniformazioni personalizzate. Magari fossero correnti; rischiano di essere filiere al servizio di una persona».
Quindi lei è per un segretario diverso dal candidato premier, eletto solo dagli iscritti?
«Nessuno può accusare di voler restringere il campo proprio me, che ho fatto due volte le primarie, e le ho vinte. E non si dica che l’esito è stato deciso da qualche burocrate; hanno votato milioni di persone. Ora Epifani propone: sganciamo i congressi di circolo e di federazione dal congresso nazionale. Sono d’accordo. Diamo tutto il tempo possibile e con il massimo di apertura a chi vuole iscriversi, anche a titolo speciale. Ma è il Pd che sceglie il suo segretario. Quando sarà il momento, discuteremo del candidato premier».
Se il Pd diventa un partito personale, magari spostato al centro, c’è il rischio di una scissione a sinistra?
«Sono radicalmente contrario. Non è accettabile il solo pensarci. Ma il rischio che tornino le vecchie faglie, Ds e Margherita, può prendere la mano. E il rischio si evita costruendo un grande partito europeo».
Perchè D’Alema ce l’ha tanto con lei?
«Ce l’hanno tutti con me? Pensi che invece io non ce l’ho con nessuno».
Neppure con la Moretti, che lei scelse come portavoce e non votò Marini?
«Con nessuno. Sono fiero di aver aperto il partito alle nuove generazioni. Che però devono maturare, devono capire che noi siamo un salmone controcorrente. Ci faccia caso: il Pd è l’unico a chiamarsi “partito”. Tutti gli altri, compreso Vendola, rifiutano quella parola. Berlusconi vuole trasformare il Pdl in un’azienda di soli managers. Noi dobbiamo tutti essere consapevoli della drammaticità della scelta di chiamarci partito democratico».
Quanto dura il governo Letta?
«Il governo non deve legare la sua vita solo al compimento delle riforme istituzionali. Deve durare fino a quando la democrazia non si prende un presidio, fino a quando non si vedano risultati di una riforma della politica e dei partiti di cui il Pd con il suo congresso deve essere il battistrada».
Secondo lei è davvero impossibile evitare l’aumento dell’Iva?
«La penso come Fassina: non possiamo togliere l’Imu a zio Paperone e scaricare l’aumento dell’Iva sul piccolo commerciante e sul consumatore. Noi dobbiamo rendere visibile il nostro punto di vista. Sta al governo trovare la mediazione. La priorità è il lavoro. L’Italia deve chiarire di essere disposta a stringere ancora di più il controllo politico sui bilanci, per superare le perplessità tedesche, in cambio di investimenti sul lavoro, subito. I benefici della fine della procedura di infrazione devono arrivare adesso, non a babbo morto. Aggiungerei anche il tema dei diritti, come le unioni civili, la cittadinanza. Trovo sconvolgenti le parole rivolte al ministro Kyenge. Mi aspetto che su un fatto del genere si faccia giustizia».
Perchè lei è contrario all’elezione diretta del capo dello Stato?
«Io non sono pregiudizialmente contrario al semipresidenzialismo. La mia preoccupazione è evitare derive plebiscitarie, che però esistono anche nell’altra ipotesi di riforma, il cancellierato. Discutiamo di entrambe, ma partendo dai contrappesi».
Aldo Cazzullo
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 15th, 2013 Riccardo Fucile
SONO TRENTA QUELLI PRONTI A DIRE NO AL LEADER: “PRENDERE IL CONTROLLO DEL GRUPPO”… GRILLO RINUNCIA ALLA TRASFERTA A ROMA: TROPPO ALTO IL RISCHIO CHE FINISCA IN RISSA
La trappola contro i dissidenti è pronta.
È stata piazzata su esplicito ordine di Beppe Grillo e scatterà contro i parlamentari che lunedì oseranno votare contro il diktat del quartier generale con l’obiettivo di salvare Adele Gambaro.
«Chi la difenderà , si metterà fuori da solo», è l’avvertimento lanciato dal duo Grillo-Casaleggio.
Insomma, i ribelli che non toglieranno immediatamente il disturbo rischieranno l’espulsione. Proposta magari dal collega di scranno parlamentare per semplice alzata di mano.
Per questo, l’ala critica prepara le contromosse.
Il tentativo sarà quello di mettere già lunedì in minoranza il capogruppo Nicola Morra, espressione dei “duri” del movimento.
Ma un manipolo di senatori e alcuni deputati sono comunque pronti a cambiare gruppo.
Il dato più sorprendente è che Vito Crimi, braccio politico del Fondatore e amico personale di Gianroberto Casaleggio, non si tira indietro e illustra senza giri di parole il piano degli ortodossi: «Chi lunedì vota contro la proposta di affidare alla Rete l’espulsione, viola un principio fondamentale del movimento. Più che mettersi fuori dal movimento, è più giusto dire che ne dovrà trarre le conseguenze».
Di fatto, è l’annuncio di una campagna di epurazione del dissenso interno che rende quasi superfluo il passaggio assembleare.
Crimi lo argomenta così: «Il motivo è chiaro: chi vota contro dimostra di volersi sottrarre al giudizio della Rete. E quindi sceglie di non essere portavoce di chi ci ha individuati come candidati, cioè la Rete»
È l’ultima trincea scelta dal board dei grillini e teorizzata ancora in queste ore dal leader, che ha in tasca nome e simbolo del movimento.
È la chiarezza che Grillo esige e per la quale è pronto a sacrificare «anche venti parlamentari ».
Quando da Roma gli fanno notare che tira una brutta aria, lui non si scompone.
Visti i rapporti di forza fra i deputati, il rischio di essere messo in minoranza è considerato minimo e comunque non giustifica ipotesi di mediazione: «Non c’è problema, se decidono diversamente prendo il simbolo e me ne vado».
Lo seguirebbero i fedelissimi, che popolano soprattutto il gruppo della Camera.
Una volta raggiunto l’equilibrio interno e allontanati i dissidenti, comunque, i grillini passeranno al contrattacco.
E già si valutano iniziative eclatanti per uscire dall’angolo, come ad esempio una nuova occupazione delle aule parlamentari.
Se a Montecitorio il capogruppo Riccardo Nuti serra i ranghi in vista dell’assemblea, a Palazzo Madama i volti stravolti dei senatori raccontano il dramma politico in atto.
Il summit di ieri si è trasformato in un surreale processo al dissenso.
Perchè la maggioranza dei senatori, impegnata in uno scontro durissimo, ha cercato fino all’ultimo di azzerare il timer della resa dei conti, cancellando l’assemblea del lunedì per permettere al gruppo di lavorare alla soluzione del caso Gambaro.
Si sarebbe trattato di un’implicita sfiducia al capogruppo in carica.
Non sono però riusciti a sfondare. Morra e Crimi, aggrappandosi al regolamento e facendo infuriare molti dei presenti, hanno richiamato tutti a rispettare lo statuto.
I ribelli, però, sono pronti a tentare un nuovo assalto lunedì.
Il piano, al quale stanno lavorando già da ieri pomeriggio, è quello di chiedere un nuovo voto.
L’obiettivo è sfiduciare Morra. È un progetto difficile da realizzare, ma nessuno può azzardare previsioni certe su un gruppo ormai lacerato.
I dissidenti hanno anche minacciato di disertare lariunione congiunta.
Un atto di guerra contro i colleghi della Camera con i quali, ormai, i rapporti sono compromessi.
In tutto i senatori eterodossi sono trenta, divisi tra chi è pronto a votare contro la cacciata e chi invece sceglierà di non partecipare al voto.
Sono gli stessi che già ieri hanno annunciato di voler salvare la collega.
Accanto alla guerriglia interna, però, corre sotterranea l’exit strategy dei dissidenti. Battista e una decina di senatori — alcuni siciliani e una fetta della pattuglia tosco-emiliana — attendono solo l’incontro decisivo prima di mollare gli ormeggi.
Già si ragiona di nome e simbolo.
Gambaro, assente anche ieri alla riunione, è in costante contatto con loro.
E l’area dell’insofferenza potrebbe portare nei prossimi mesi un’altra decina di senatori a lasciare.
Alla Camera, intanto, i ribelli sanno di essere a un passo dallo snodo decisivo.
Pippo Civati, attaccato da Nuti per i rapporti coltivati con alcuni grillini a disagio, osserva sconsolato la deriva: «Sono accuse ridicole. Non posso neanche parlare con altri parlamentari? Facessero un regolamento per dire chi può parlare con chi…».
Un peso decisivo nella battaglia di lunedì avrebbe potuto assumerlo un’eventuale trasferta romana di Grillo.
La macchina organizzativa della Camera è stata preallertata, ma i falchi hanno consigliato al leader di non affacciarsi.
Troppo alto il rischio che la situazione precipiti, troppo forte il timore che la presenza del comico accenda ulteriormente gli animi.
Meglio sbrigarsela senza compromettere troppo il Fondatore.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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