Giugno 29th, 2013 Riccardo Fucile
INDIGNAZIONE DELL’UNIONE EUROPEA: “GLI USA DIANO SUBITO SPIEGAZIONI”… IN UN DOCUMENTO TOP SECRET E’ DESCRITTO IL MODO PER SPIARE LA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICA UE A WASHINGTON
Nuovo ed eclatante colpo di scena nel Datagate, lo scandalo di spionaggio che coinvolge l’agenzia di intelligence del Pentagono, la Nsa: gli Usa spiano anche l’Unione europea.
Rivelazioni bomba, quelle pubblicate oggi dallo Spiegel online, che fanno andare su tutte le furie il presidente dell’Europarlamento: «È uno scandalo enorme», dice Martin Schulz, e Washington deve dare spiegazioni immediate.
Il settimanale tedesco scrive che gli 007 statunitensi spiavano i diplomatici europei a Washington e a New York, ma avrebbero anche intercettato i computer e i telefoni dell’Unione europea, forse anche quelli dei leader, a Bruxelles.
Le rivelazioni sono contenute in nuovi documenti di Edward Snowden – la “talpa” bloccata da giorni nell’aerea di transito dell’aeroporto di Mosca – e stanno irritando ancora di più i vertici dell’Ue, già di pessimo umore dopo le prime rivelazioni del Datagate, con milioni di telefonate intercettate in Europa e in tutto il mondo.
Der Spiegel cita un documento “top secret” della Nsa, nel quale l’Europa viene definita un «target» e in cui si spiega che erano finiti nel mirino degli 007 a stelle e strisce i telefoni e i computer dell’Ue a New York e a Washington, con accesso anche alle email e ai documenti in preparazione.
Inoltre, sempre secondo il settimanale tedesco, circa cinque anni fa i responsabili della sicurezza Ue, a causa di disturbi nelle telefonate, si sono accorti che alcune delle comunicazioni del Justus Lipsius, il palazzo che ospita il Consiglio Ue e i vertici dei leader europei, venivano intercettate a distanza.
Le ricerche avviate a quel momento hanno permesso di scoprire che le intercettazioni erano gestite da una delle aree schermate accanto al quartier generale della Nato, nella vicina Evere, dove la Nsa si era installata.
Nel Justus Lipsius, ogni singola delegazione europea dispone di spazi privati, con linee telefoniche e collegamenti internet.
Quindi potrebbero essere anche state registrate comunicazioni sensibili tra capi di Stato e di governo europei.
A Bruxelles, il primo a reagire è stato il vicepresidente italiano del Parlamento europeo, Gianni Pittella, che si è detto «allibito».
Poco dopo è stata la volta di Schulz. In una dichiarazione all’ANSA, il presidente del Pe ha detto: «Se è vero, è un enorme scandalo» sul quale «gli Usa devono dare immediate spiegazioni».
Fosse confermato lo spionaggio a danno dell’Ue, «incrinerebbe gravemente il rapporto con gli Usa ed avrebbe serie conseguenze su ogni tipo di relazione».
Se da un lato, come scrive The Guardian la nuova responsabile per la sicurezza della Casa Bianca, Susan Rice, diminuisce la portata delle rivelazioni di Snowden, dall’altro anche negli Stati Uniti la tensione sul caso rimane molto alta.
Lo conferma la telefonata tra il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden e il presidente dell’Ecuador Rafael Correa.
In una conferenza stampa ad Aromo, Correa ha riferito che Biden gli ha chiesto di «rifiutare la richiesta di asilo» di Snowden, che Quito si è detta pronta ad esaminare. Un altro hacker di primo piano ricercato dagli Stati Uniti, il numero uno di Wikileaks, Julian Assange, si trova da oltre un anno nell’ambasciata ecuadoriana a Londra.
Nella stessa conferenza stampa, Correa non ha risparmiato una `frecciata’ a Washington, definendo il Datagate «il più grande caso di spionaggio su ampia scala nella storia dell’umanità , all’interno e all’esterno degli Stati Uniti».
(da “la Stampa“)
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Giugno 29th, 2013 Riccardo Fucile
BATMAN PRESENTA UNA DENUNCIA IN PROCURA: “INDAGATE TUTTI I CONSIGLIERI REGIONALI DELLA VECCHIA LEGISLATURA”… “LA DESTRA RICEVETTE 266.000 EURO IN PIU’, LA POLVERINI ERA L’ORGANIZZATRICE AB ORIGINE”
“Io, guardi, non parlo da 4 mesi con nessuno… se vi volete ferma’ voi, io, se volete, vado avanti per sei ore…”, aveva detto un giorno, Franco Fiorito, ex capogruppo Pdl del Lazio, condannato a 3 anni e 4 mesi con l’accusa di peculato per aver sottratto oltre 1 milione di euro dai fondi del gruppo, durante l’interrogatorio con il pm della Procura regionale della Corte dei conti.
Il punto è che Batman, nei 4 mesi di carcere, s’è trasformato in “fine matematico” per svelare, agli inquirenti, “l’autentica truffa” dei rimborsi nella Regione Lazio. Dirompente. E disarmante: “Tanto so’ talmente abituato a non essere creduto, oramai…”.
Certo, difficile credere alla sua versione, per esempio, sulla vacanza nel resort in Sardegna, per due persone, costata 30mila euro, e pagata con i rimborsi del partito.
Un vero errore — dice Batman — che non riesce a perdonarsi: “ Vado in vacanza dopo la campagna elettorale … scelgo un albergo di lusso… parto da solo, non volevo sentire nessuno, nè avevo buoni rapporti con la mia ex fidanzata. Per una serie di casualità , mi ritelefona, cerca di raggiungermi e poi me la trovo che proprio è partita, e arriva in Sardegna”.
Di spiegazioni al limite dell’inverosimile, nei tanti verbali di Fiorito, se ne contano parecchie, come quella sul famoso Suv Bmw, acquistato con i soldi pubblici: “Se avessi evitato sarebbe stato opportuno … non è che avessi bisogno di andare in giro a fare lo scemo con il Suv degli altri”.
Poi aggiunge che anche il parco auto dell’opposizione, però, non s’ispirava esattamente a criteri di sobrietà : “Il Pd c’ha un’ Audi, l’Udc ha noleggiato una Delta, insomma, voglio dire, non so tutti con quali strumenti perchè non mi sono mai impicciato”.
Ecco: è da febbraio che Fiorito — attende la sentenza in appello a inizio luglio — punta a colpire i presunti filistei visto che lui, il Sansone della Regione Lazio, la sua punizione l’ha già ricevuta.
Assistito dal suo avvocato, Carlo Taormina, presenta alla procura di Roma un esposto e chiede che “si proceda, con la stessa determinazione manifestata nei suoi confronti”, anche nei riguardi di “tutti i consiglieri regionali della vecchia legislatura”.
L’obiettivo: “perseguire chi abbia consumato comportamenti penalmente illeciti”.
E per denunciare il sistema, Batman si trasforma così in abile matematico, proprio lui che i suoi calcoli, per acquistare consenso, li faceva pressappoco così: “Io non c’ho cene (…) perchè non l’ho mai utilizzato come strumento elettorale, è una perdita di soldi e tempo pagare 20/30/40 euro, a uno, per stare seduto, che poi magari viene solo per mangia’”.
E quindi — tra una moltiplicazione e una divisione — punta il dito sul leader de La Destra, Francesco Storace e il presidente della Regione, Renata Polverini, lasciando ombre sulla vecchia opposizione.
La parola chiave, come vedremo, è “surplus”.
“Non per essere un matematico senza fine…” dice, prima di sciorinare una tesi molto simile a quel famoso motto di Totò: è la somma che fa il totale. E in soldoni denuncia: fate i conti, partito per partito, e vedrete che la somma non torna mai, per nessuno.
I due tipi di contributi
“Esistono due tipi di contributi”. Il primo: “136mila per ciascun consigliere (100mila per attività politiche, 36mila per collaborazioni esterne)” per i quali sono necessarie “le pezze d’appoggio”.
Il secondo riguarda “tutte le erogazioni eccedenti i 136mila euro, su cui regna ogni oscurità …”.
È questo il “surplus” che Fiorito s’affanna a spiegare, calcolatrice alla mano e delibere sul tavolo, tra lo scetticismo degli inquirenti, che gli contestano: “Non ha alcun riferimento normativo”. E lui ribatte: era un “accordo tacito che premia i capigruppo”. E non solo loro.
L’accordo politico
“L’erogazione del surplus … ha un’origine ‘altamente politica’, da rinvenirsi in un’intesa, attuata all’inizio della legislatura, tra la Polverini e Storace”.
Il meccanismo è semplice, racconta Fiorito che, da capogruppo Pdl, nel 2011, guidava una truppa di 17 consiglieri.
In realtà , seguirlo, è un’impresa improba.
Ma tant’è: “Sommiamo 100mila euro per 17 componenti: arriviamo a 1,7 milioni l’anno”.
Poi aggiunge i 36mila euro — cadauno — per le collaborazioni esterne: “612mila euro all’anno”.
Risultato: il gruppo dovrebbe incassare 2,3 milioni di euro.
Il pagamento avviene in “quattro rate” e ogni trimestre, nelle casse del Pdl, arrivano circa 581mila euro.
A fine anno, però, la sua squadra incassa ben 2,8 milioni: circa 500mila euro in più. Questo “surplus” arriva perchè esistono delle “quote” destinate ad alcune cariche. Fiorito dice di intascare 100mila euro come componente della Commissione bilancio, 200mila come presidente della stessa Commissione, altri 200mila euro come capogruppo del Pdl.
“A fine anno, quando l’ultima rata viene pagata in due momenti, arriva il conguaglio, che supera la somma prestabilita”.
Storace ha preso 266mila euro in più
Lo stesso sistema, scrive Fiorito nell’esposto, vale per La Destra di Storace.
Il gruppo è costituito da due soli consiglieri e l’operazione — sostiene — è identica: 136mila euro, per due, fa 272mila euro.
Ma nel 2011 La Destra ne incassa 538mila: “266mila euro in più”.
Per quale motivo? “Per la carica di presidente del Gruppo”. E il presidente è proprio Storace.
E aggiunge: “I documenti che voi avete tratto dai funzionari, sono falsi, nel senso che vi danno soltanto una parziale copertura delle cifre effettivamente versate”.
La Polverini è l’organizzatrice ab origine
Poi passa in rassegna il gruppo della Polverini: “Ha ricevuto 335mila euro in più, nonostante la presidente Polverini — organizzatrice dell’operazione ab origine insieme a Storace — vada affermando di nulla aver mai saputo e percepito”.
Le accuse di Fiorito — emerse a sprazzi in questi mesi — sono sempre state respinte sia da Storace, sia da Polverini, che hanno annunciato di volerlo denunciare.
Ma è lo scenario politico, delineato nei verbali e nell’esposto, a risultare devastante per tutti. Opposizione inclusa.
Perchè sotto il profilo politico, la lievitazione dei rimborsi in Regione — da 1 a oltre 17 milioni di euro — con quote doppie e triple distribuite per i leader di ogni partito, sembra il frutto di una trattativa che nessuno ha mai contrastato.
Sforbiciando qua e là , un po’ dalle spese telefoniche, un po’ dal giardinaggio, sbucavano i soldi per i consiglieri.
“L’intesa fu portata alla valutazione dell’Ufficio di presidenza in cui sedevano, oltre al presidente del Consiglio Mario Abbruzzese (Pdl), Raffaele d’Ambrosio (Udc), Bruno Astorre (Pd), Gianfranco Gatti (Lista Polverini), Isabella Rauti (Pdl) e Claudio Bucci (Idv)”.
In quella sede “si deliberavano l’entità dei contributi da spartire, su input del presidente Polverini”.
Il giudice chiede: “Sono i cinque sei capi che fanno questa decisione o se la trovano”? “La ordina il presidente del consiglio — risponde — in genere con i gruppi più grandi. Però ne sono a conoscenza tutti i consiglieri che vengono a chiedere: “Quanto prendiamo quest’anno?”.
La trattativa della Polverini e il foglietto di Storace
Riferendosi alla Polverini Batman dice: “La verità l’ho detta, non ho mai trattato personalmente questo tipo di attività , ci fu una trattativa che fece Storace e tornò con il foglietto con scritte le quote… è indubbio che lei non potesse non sapere, anche perchè riceveva le stesse somme all’interno del proprio gruppo…”.
La trattativa con l’opposizione
Ed ecco come si blinda l’accordo. “Per confermare che c’era ‘sto accordo, l’opposizione — e anche qualche membro di maggioranza che non si fidava di Abbruzzese — pretendeva che noi votassimo il bilancio del Consiglio, prima di portare in aula quello generale.
Cioè: che cosa significa? Significa che noi, una volta che abbiamo stabilito le quote per i singoli consiglieri, e che verifichiamo che sono contenute all’interno del bilancio del consiglio, sappiamo che, se quei soldi vengono effettivamente versati, poi noi li avremo”.
Tre minuti
La manovra veniva votata in tre minuti da tutti: opposizione compresa. “Lei troverà discussioni sul bilancio del Consiglio pari a zero. Illustrazione del segretario generale, Nazareno Cecinelli, di tre minuti.
Votazione all’unanimità : perchè? Perchè quando si arrivava, già si sapeva che, se c’erano quelle quote, poi, era responsabilità del presidente”.
La versione di Fiorito è stata smentita da Cecinelli e da Maurizio Stracuzzi, responsabile del trattamento economico, che ha negato anche la prassi della tripla indennità .
La macchina fabbrica soldi
Chiede il pm: “Le delibere di aumento che trafila avevano?”.
Risponde Fiorito: “Guardi, su quello … eravamo tenuti completamente all’oscuro… perchè il presidente (Abbruzzese, ndr) diceva: ‘Io i soldi ce l’ho, ci penso io’. Noi non abbiamo mai saputo bene come facesse. A noi arrivavano i soldi”.
In un altro passaggio si legge: “All’inizio vengono stanziati solo 4 milioni di euro… e sembra, dal bilancio, che siano il totale da spendere per tutto l’anno.
Il segretario generale e il presidente del Consiglio, a noi, ci dicono: ‘No, noi abbiamo appostato 17 milioni e mezzo in altre spese’…
Di questi 17/18 milioni, 7 milioni andavano 100mila per consigliere, altri 3 milioni destinati alle quote doppie, tutto il resto veniva gestito direttamente dalla presidenza, che quindi aveva una media di 7/8 milioni di spese, che non venivano tracciate … ma pagate in diversa modalità … non c’era pubblicità , non c’era niente…”.
Le quotazioni
Fiorito spiega il meccanismo delle quote: “Il membro della commissione prendeva una quota in più — se era 100mila, ne prendeva altri 100mila — il presidente della Commissione prendeva una quota doppia”.
Stesso criterio, afferma Fiorito, era applicato al capogruppo dei partiti più grandi, ai componenti del Corecoco (Comitato regionale di controllo contabile) presieduto da Umberto Ponzo del Pd. “All’Ufficio di presidenza — continua — andava credo 200mila a ogni segretario, 400 ai vice presidenti e circa 1 milione al presidente”.
“Il suggerimento di Storace”
“Ho copiato lui”. Fiorito racconta d’essersi ispirato a Storace.
“Su suggerimento di Storace in alcuni casi — tra cui quello del sottoscritto, dei presidenti Idv, Sel e Udc — l’Ufficio di presidenza mandava il denaro al Gruppo, con l’intesa che quel surplus dovesse essere incamerato dal presidente (…)”.
Poi aggiunge: “Io ho chiesto di versarmeli in questa modalità — gli altri presentavano le fatture… — però c’ho il presidente del Consiglio, che è il mio nemico politico sul territorio… io non volevo far sapere al mio nemico … a chi li davo, o a chi non li davo …”.
Loredana Di Cesare
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 29th, 2013 Riccardo Fucile
“IL GOVERNO ADOTTI MISURE ENTRO SEI MESI”… ENTRO FEBBRAIO POI L’UNESCO DECIDERA’ COME REGOLARSI DI FRONTE ALLE NOSTRE INADEMPIENZE
“Il governo italiano ha tempo fino al 31 dicembre 2013 per adottare misure idonee per Pompei e l’ Unesco ha tempo fino al 1 febbraio 2014 per valutare ciò che farà il governo italiano e rinviare al prossimo Comitato Mondiale 2014 ogni decisione”. Lo dice il Presidente della Commissione Nazionale Italiana Unesco, Giovanni Puglisi.
“Come al solito – prosegue Puglisi – la fretta fa i gattini ciechi. Quindi l’iter è ben delineato”. “Una commissione Unesco ha presentato una relazione fatta in loco a Pompei nel gennaio scorso e che non è stata oggetto di discussione in Cambogia – ha tenuto a precisare Puglisi -. In questa relazione del gennaio 2013 – sottolinea – si mettono in evidenza, in maniera molto documentata, le carenze strutturali (infiltrazioni d’acqua, mancanza di canaline di drenaggio) e i danni apportati dalla luce (ad esempio alcuni mosaici andavano preservati dalla luce)”.
“Sono inoltre segnalate – sottolinea Puglisi – costruzioni improprie non previste dal precedente piano e la mancanza di personale. Inoltre entro il 1 febbraio del 2014, secondo tale relazione, bisogna delineare una nuova zona di rispetto poichè sono state rilevate intorno ai siti di Pompei e Ercolano delle costruzioni ulteriori, costruite spesso dagli stessi operatori dei siti, in modo che si riparino i siti stessi dagli abusivismi e da cose improprie”.
Già ieri Puglisi si era espresso con parole chiarissime. Sciopero e code a Pompei “sono un danno per il Paese”, aveva stigmatizzato, invocando l’intervento del presidente del consiglio Enrico Letta.
E sottolineando: “Ha detto che si sarebbe dimesso se ci fossero stati tagli alla cultura… beh, qui di fatto qualche taglio alla cultura c’è, seppure camuffato”.
Sul tema, aveva spiegato Puglisi, “la penso come il Ministro Bray: senza una precisa scelta strategica nessuno può ‘stampare cartamoneta’, men che meno il Ministro dei Beni Culturali.
E’ un problema serio e mi appello al senso di responsabilità di tutti, ma non certo al senso di responsabilità dei turisti che sono quelli che poi vanno là , chiedono un servizio e trovano invece le porte chiuse. Abbiamo messo Pompei tra i patrimoni dell’Umanità e l’umanità ne deve poter fruire”.
Puglisi aveva sottolineato di rivolgersi “in primis al Ministro dell’Economia e subito dopo al Presidente del Consiglio. In terzo luogo ai Sindacati: piuttosto che penalizzare i turisti dovrebbero forse trovare forme diverse di protesta e di collaborazione perchè i sindacati, oltre a essere i garanti dei lavoratori, credo che siano una parte sociale”.
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Giugno 29th, 2013 Riccardo Fucile
DOPO IL PASSO INDIETRO DI DI PIETRO DOMANI IL CONGRESSO ELEGGE IL NUOVO SEGRETARIO… FAVORITO IL PARLAMENTARE EUROPEO, L’OUTSIDER E’ MESSINA, VICINO A ORLANDO… CAMBIA ANCHE IL SIMBOLO
Partiti in cinque, poi rimasti in tre. Ma la linea del traguardo, per la volata finale, la taglieranno solo in due.
Perchè la sfida per raccogliere l’eredità di Antonio Di Pietro si è ridotta, alla fine, ad un testa a testa.
Chi la spunterà tra Ignazio Messina e Niccolò Rinaldi, lo deciderà il congresso dell’Italia dei Valori domani mattina.
Con il voto degli iscritti (si potrà partecipare anche online e dai seggi allestiti sul territorio) che inaugurerà la fase-2, quella del rinnovamento, aperta dalle dimissioni del leader storico nonchè fondatore Antonio Di Pietro.
Sulla carta, Rinaldi, eurodeputato, capo delegazione Idv a Strasburgo e vice presidente dell’Alde, resta il favorito.
D’altra parte, la sua mozione ha raccolto il consenso e la convergenza dei tre candidati che hanno deciso di ritirarsi: Matteo Castellarin, Antonio Borghesi (entrambi ieri) e Nicola Scalera (oggi).
« Il mio non è un passo indietro ma un passo in avanti verso l’unità del partito», ha spiegato Scalera motivando le ragioni del suo ritiro.
Ma anche Messina si giocherà le sue carte: proveniente dalla Rete, il movimento di Leoluca Orlando, già sindaco di Sciacca in Sicilia e responsabile Enti locali del partito, può contare su un peso considerevole sul territorio.
Anche se, proprio oggi, Rinaldi ha incassato la benedizione del collega a Strasburgo, Gianni Vattimo: «Ci sono scelte politiche in Italia che stanno condannando il centrosinistra e il Pd ad appiattirsi su Berlusconi e a pregarlo addirittura di non mollarci — ha spiegato —. Per l’amicizia e la stima che mi legano a lui, sostengo l’amico Niccolò Rinaldi per la segreteria nazionale».
Intanto, come annunciato ieri, dal simbolo dell’Italia dei valori sparirà il nome del fondatore Antonio Di Pietro.
«Saremo il primo partito che va oltre il suo fondatore. Vogliamo rinnovare il partito e anche il simbolo dovrà rappresentare la svolta. Per questo, la scelta spetterà direttamente a voi cittadini», ha ribadito l’ex magistrato di Mani Pulite lanciando un concorso creativo per il nuovo simbolo del partito.
«Chi vorrà partecipare all’iniziativa — ha aggiunto Di Pietro — potrà inviare le proprie proposte all’indirizzo concorsosimbolo@italiadeivalori.it».
Antonio Pitoni
(da “La Stampa”)
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Giugno 29th, 2013 Riccardo Fucile
CONTRIBUENTI E CONTI IN BANCA SCHEDATI FINO ALL’ULTIMO EURO, EPPURE IL FISCO RIPESCA SOLO IL 4% DEI SOLDI EVASI
Attilio Befera, “Artiglio” per chi gli rimprovera un supposto eccesso di severità nella gestione della macchina fiscale italiana, ha fatto un sogno.
Il grande capo dell’Agenzia delle entrate e di Equitalia, il suo braccio armato per la riscossione delle tasse, vorrebbe mettere le mani su Palantir, un software di analisi dei big data messo a punto tre anni fa negli Stati Uniti, sviluppato da un fondo di investimento della Cia e oggi adottato in Italia dai Carabinieri del Ros, il Raggruppamento operativo speciale.
Del misterioso Palantir, capace di incrociare una quantità illimitata di dati, utilizzando algoritmi di ultima generazione per scoprire relazioni invisibili, si parlò quando Osama Bin Laden registrò un video davanti a uno scorcio montagnoso sul quale una manciata di minuti dopo piombò una raffica di missili, che non lo centrò in pieno solo perchè nel frattempo si era spostato in tutta fretta.
Se con Palantir l’allora leader di Al Qaeda ha rischiato la pelle, gli evasori fiscali italiani potrebbero continuare a dormire tra due guanciali.
Non tanto perchè il sistema made in Usa non ha proprio le caratteristiche adatte per la caccia ai furbetti delle dichiarazioni dei redditi, come assicura chi ha avuto modo di prendere parte a una delle riservatissime presentazioni organizzate in Italia.
Quanto perchè l’evasione-monstre del nostro Paese, pur essendo una delle principali cause dei conti pubblici che non tornano mai, e di una pressione fiscale effettiva ormai schizzata per i contribuenti onesti a quota 53 per cento, oggi come ieri non è quasi mai stata affrontata davvero come un’emergenza nazionale.
Befera c’entra poco e niente: è un grand commis e non va dove lo porta il cuore, ma dove gli chiede il governo di turno.
Che non ha mai voglia di regalare alle forze di opposizione una formidabile quota di consenso elettorale.
E, come ebbe a ricordare quel galantuomo dell’allora numero uno della Confcommercio, Sergio Billè, prima di finire agli arresti domiciliari e poi beccarsi una condanna a tre anni per corruzione, il mondo del lavoro autonomo e della piccola impresa vale qualcosa come dieci o dodici milioni di voti.
Chi non ne intercetta almeno una fetta si può scordare di vincere le elezioni.
NEL BUNKER SOTTERRANEO
Palantir potrebbe rivelarsi insomma l’ennesima presa in giro.
Che la (mancata) lotta all’evasione sia un problema di volontà politica e non di strumenti operativi è più di un sospetto per chiunque abbia avuto l’opportunità di visitare, all’estrema periferia di Roma, dalle parti della via Laurentina, il blindatissimo quartier generale della Sogei, la società di informatica del fisco italiano, collegata a 300 diverse banche dati (dall’anagrafe tributaria al registro navale), a loro volta alimentate da qualcosa come diecimila enti pubblici.
Nove ettari, circondati da un muro grigio di cemento armato, dove lavorano 1.900 dipendenti, la metà ingegneri, fisici, matematici e biologi, alcuni dei quali dotati del nulla osta di segretezza, una sorta di certificato rilasciato dalle autorità e necessario a chi per lavoro maneggia informazioni particolarmente sensibili.
Sotto terra c’è un bunker di quattromila metri quadrati, al quale chi è autorizzato può accedere solo dopo la verifica delle impronte digitali.
Dentro non si incontra anima viva. In compenso ci sono, ben allineati, 1.500 server, con una potenza di fuoco di un milione di miliardi di byte, tenuti al fresco da un sistema di tubature sotterranee che convoglia acqua a sei gradi di temperatura.
Il tutto è a prova di attentato o di terremoto: un collegamento dedicato lungo cento chilometri trasferisce in tempo reale la massa di dati in un sito militarizzato che si trova poco fuori dai confini del Lazio, all’interno di una caserma della Guardia di Finanza.
SERPICO
Il riassunto delle informazioni di interesse fiscale di ciascun contribuente è contenuto in un sistema denominato Serpico, come il famoso poliziotto newyorkese interpretato da Al Pacino (in realtà è l’acronimo di Servizi per i contribuenti), in grado di processare 24.200 informazioni al secondo.
Basta digitare un codice fiscale e salta fuori tutto ciò che riguarda la persona e anche il suo nucleo familiare: quanto dichiara di guadagnare, qual è il suo patrimonio immobiliare, le bollette delle utenze domestiche, le macchine e le motociclette che tiene in garage, le polizze assicurative, le eventuali iscrizioni a palestre e centri sportivi e le spese sopra i 3 mila euro (3.600 con l’Iva).
Non solo.
Da lunedì 24 giugno ci saranno tutti i dati sui rapporti bancari e finanziari (entro il 31 ottobre aziende di credito e intermediari dovranno trasmettere quelli del 2011): saldi finali e iniziali e somma dei movimenti su conti correnti, conti di deposito, gestioni patrimoniali, fondi comuni, derivati, fondi pensione, gli estratti conto delle carte di credito e perfino gli accessi alle cassette di sicurezza.
Mettendosi davanti a un computer e analizzando questi flussi di denaro gli 007 del fisco potranno compilare delle liste di contribuenti a rischio, sui quali accendere un faro.
Lotta dura agli evasori, finalmente? Martedì 25 giugno, a “Porta a porta”, Befera c’è andato più che con i piedi di piombo.
Parlando di misura straordinaria. E addirittura auspicando un ritorno alla normalità .
In realtà , Serpico non ha neanche bisogno di essere interrogato: è lui stesso ad avvertire gli ispettori quando si imbatte in un contribuente che dichiara un reddito incompatibile con il suo tenore di vita.
Insomma, un vero Grande Fratello, cui non sfugge davvero nulla.
Eppure abbiamo un’evasione fiscale che nessuno sa davvero quanto sia grande, il che la dice lunga.
Ma che stime come quelle del britannico Richard Murphy, inserito da “International Tax Review” nell’elenco delle cinquanta persone più influenti al mondo in materia di fisco e fondatore di Tax Justice Network, collocano intorno a quota 180 miliardi di euro l’anno.
LA SOGEI COME LA NASA
Una cifra rispetto alla quale, secondo l’Agenzia delle entrate, nel 2011 sarebbero stati recuperati 12,7 miliardi.
Già così sarebbe un po’ poco. Ma non è neanche vero.
Perchè 5,5 miliardi vengono da dichiarazioni presentate, ma le cui imposte non sono state poi versate.
Il recupero di evasione attraverso accertamento si ferma a 7,2 miliardi e cioè al 4 per cento tondo del totale.
Briciole: secondo l’Ocse, su questo fronte facciamo peggio solo di Turchia e Messico. Equitalia, si è scoperto nei giorni scorsi, dovrebbe riscuotere 545 miliardi, che in parte risalgono addirittura al Duemila.
Una cifra virtuale, dato che molti dei contribuenti iscritti ai ruoli risulteranno oggi insolventi o addirittura già falliti.
Una macchina fiscale faraonica, all’avanguardia tecnologica, dunque, per un risultato davvero misero.
Delle due l’una: o la visita guidata che fa apparire la sede della Sogei come il quartier generale della Nasa è una sceneggiata ben costruita, oppure quando suona il campanello d’allarme di Serpico all’Agenzia delle entrate, alla quale vengono girate tutte le segnalazioni, si tappano per bene occhi e orecchie.
La storia che è montata negli ultimi mesi intorno alla revisione del cosiddetto redditometro suggerisce che sia senz’altro buona la seconda ipotesi.
Il nuovo strumento, come già il vecchio, è stato concepito per mettere a confronto entrate e uscite dei contribuenti, allo scopo di individuare quelli sospetti e dunque meritevoli di un approfondimento.
Nella nuova versione nella valutazione del tenore di vita sarebbero dovute entrare, oltre alle spese certe, come per esempio l’acquisto di un’automobile, anche quelle presunte, calcolate sulla base di griglie di dati Istat tarate sulle caratteristiche del contribuente (dalla professione alla composizione del nucleo familiare, fino alla dimensione del comune di residenza). Spese stimate, dunque, attribuite salvo prova contraria.
IL REDDITOMETRO
Befera ha annunciato che il nuovo redditometro era pronto proprio nel pieno della campagna elettorale per le ultime elezioni politiche.
Con ciò dimostrandosi molto ingenuo o molto furbo. Già , perchè non ci voleva un veggente per immaginare che sarebbe scoppiato il finimondo. Come infatti è regolarmente successo.
Monti, all’epoca premier, ha subito parlato di bomba a orologeria piazzata sotto palazzo Chigi dal suo predecessore.
Silvio Berlusconi si è affannato a negare ogni paternità del nuovo strumento di indagine fiscale, dal quale lesto ha preso le distanze.
Prontamente imitato dall’allora segretario del Pd, Pier Luigi Bersani.
Per non parlare di Beppe Grillo, che ha incitato le sue folle a dare direttamente fuoco a Equitalia.
Alla fine, il nuovo redditometro è stato di fatto neutralizzato.
Prima è arrivata una franchigia di 12 mila euro. Se lo scostamento tra dichiarazione e consumi è al di sotto di quella soglia, allora non se ne fa niente: mille euro tondi al mese di sospetta evasione passano in cavalleria.
Poi è stata introdotta una nuova barriera: perchè il redditometro possa entrare in funzione, lo scostamento tra entrate e uscite deve risultare superiore al 20 per cento (ma pare che agli ispettori sia stato chiesto di intervenire solo davanti a una forchetta ben più ampia di quella fissata ufficialmente).
Quindi è stata praticamente cancellata la novità delle griglie dell’Istat per pesare presuntivamente i consumi, che entrerebbero in ballo solo in un secondo tempo dell’eventuale accertamento e alle quali il contribuente potrebbe opporsi dimostrando di avere abitudini o caratteristiche particolari (e vai a sapere se chi porta a spasso, e non per scelta, una zucca pelata potrà contestare la spesa per il barbiere).
Infine, l’Agenzia delle entrate ha annunciato che il suo nuovo strumento di punta per la lotta all’evasione verrà utilizzato in non più di 35 mila casi.
Una scelta più che eloquente, se si pensa che lo scorso novembre Befera aveva parlato di 4,3 milioni di nuclei familiari, in pratica uno su cinque, che vive in un modo incompatibile con quanto dichiarato al fisco.
La caccia grossa punterebbe dunque su un po’ meno di un evasore per ogni cento sospettati (35.000 su 4.300.000 fa lo 0,8 per cento).
Una piroetta che non è sfuggita ai magistrati contabili: «Decisioni ondivaghe e contrastanti», hanno scritto a maggio gli uomini della corte dei Conti.
Anche perchè l’operazione di sabotaggio al redditometro è solo l’ultimo di una serie di favori elargiti a piene mani dalla politica al popolo degli evasori (vedere il box a pagina 32)
PRIMATO EUROPEO NEL LUSS
L’Italia non è un Paese povero, ma un povero Paese, per dirla con Charles De Gaulle. Abbiamo l’1 per cento della popolazione mondiale e il 5,7 per cento del totale della ricchezza netta planetaria.
Un recente studio della Bundesbank dice che il patrimonio medio delle famiglie italiane (163.900 euro) è più del triplo di quelle tedesche (51.400).
Secondo la Banca d’Italia, che ha valutato la ricchezza dei nuclei familiari a fine 2011 in 8.619 miliardi di euro, siamo nei primi 20 posti (su 200) nella graduatoria mondiale in termini di ricchezza netta pro capite.
Per gli analisti del Crèdit Suisse, gli italiani con oltre un milione di dollari (prima casa inclusa) sono un milione e 400 mila.
L’Associazione italiana private banking conta 606 mila nuclei familiari con oltre 500 mila euro (immobili esclusi).
E il mercato nazionale dei beni di lusso valeva, nel 2012, 15 miliardi. Risultando così, secondo l’Eurispes, il primo in Europa.
Però l’80 per cento (il 96 al Sud) di coloro che presentano la dichiarazione Isee per l’accesso a prestazioni o servizi sociali è pronto a giurare di non avere neanche un conto corrente o un libretto di risparmio.
Dev’essere proprio che i soldi li tengono sotto il materasso
Certo: una cosa è il patrimonio; un’altra il reddito. Un poveraccio può anche ereditare dalla nonna un comò stipato di sterline d’oro e diventare ricco d’improvviso.
Ma non capita poi così spesso.
Tra le due grandezze c’è una qualche relazione. I dati Ocse raccolti a palazzo Koch dicono che alla fine del 2011 in Italia la ricchezza nazionale media era pari a otto volte il reddito disponibile lordo delle famiglie. Strano: negli Stati Uniti, per esempio, il rapporto è 5,3. Qualcosa non torna
E quel qualcosa è proprio l’evasione fiscale.
Un fenomeno massiccio, ma dai contorni sfocati: a differenza che in Inghilterra, dove viene calcolata ogni anno fino all’ultimo penny, da noi non esistono dati ufficiali. Così, bisogna affidarsi alle elaborazioni dei centri studi. I numeri di Tax Research UK parlano chiaro.
Dicono che in Italia si registra un’evasione pari al 27 per cento del gettito complessivo (e che da sola vale più di un quinto del totale europeo), mentre la Germania sta a quota 16 per cento e la Francia al 15.
La Confcommercio stima il fenomeno in 154 miliardi; la Confindustria in 124,5. Difficile dire chi abbia ragione.
L’unica cosa certa è che siamo a livelli tali da consentire la realizzazione di un vero e proprio miracolo come quello del 2009 (ultimo dato disponibile), quando gli italiani hanno speso 918,6 miliardi dopo averne dichiarati 783,2 (lordi, per giunta). E chissà da dove è arrivata la differenza.
IL SEGRETO DI PULCINELLA
L’analisi delle dichiarazioni per classi di reddito fotografa un Paese di morti di fame. Il 27 per cento dei 41 milioni di contribuenti dichiara niente.
O talmente poco che al dunque, tra detrazioni e deduzioni, non versa al fisco un euro bucato.
Tra coloro che qualcosa pagano, la pattuglia più nutrita (oltre 6,5 milioni) è quella che si colloca tra i 15 e i 20 mila euro di reddito, seguita da quella di chi ne racimola tra i 20 e i 26 mila.
Nel Paese che rappresenta il sesto mercato al mondo per il consumo di champagne, solo 31.752 fortunati ammettono di riuscire a portare a casa più di 300 mila euro l’anno.
Dove si annidino, si fa per dire, gli evasori è il segreto di Pulcinella.
Se si mettono a confronto le dichiarazioni dei redditi con i dati di un’indagine campionaria a partecipazione anonima (e quindi presumibilmente veritiera) della Banca d’Italia, vengono fuori tassi di evasione pari all’83,7 per cento per i proprietari di immobili, al 56,3 per i lavoratori autonomi e gli imprenditori e al 44,6 per i dipendenti o pensionati che svolgono anche un’attività privata.
Il risultato è che nel 2011 il fisco, secondo un’elaborazione della Lef (l’Associazione per la legalità e l’equità fiscale), ha pesato per l’82 per cento su chi ha un impiego fisso e chi ha raggiunto l’età per starsene ai giardinetti.
Nel 2012 (per il 2011) i titolari dei negozi di abbigliamento e calzature hanno dichiarato in media 6.500 euro. Cioè un terzo dei loro commessi (la dichiarazione media dei dipendenti è di 20 mila euro).
E poco più della metà della soglia di povertà , fissata a 1.011 euro al mese per una famiglia di due persone.
La Guardia di Finanza quando fa i controlli potrebbe anche andare alla cieca.
Nei primi dieci mesi del 2012 a Palermo ha colto in castagna l’85,95 per cento dei commercianti cui ha fatto visita, scoprendo che si guardavano bene dal rilasciare scontrini o ricevute fiscali (a livello nazionale, tra gennaio e maggio 2013, le verifiche sono andate a segno nel 33 per cento dei casi).
Il fatto è che, nonostante un esercito di oltre 90 mila persone tra dipendenti dell’Agenzia e Guardia di Finanza (negli Usa sono centomila, ma il loro Pil è otto volte superiore al nostro) di controlli in Italia se ne fanno pochi.
Quelli veri sono non più di 250 mila, ha scritto la Corte dei Conti: uno ogni 20 potenziali evasori. Non basta.
Anche coloro che vengono stanati, se decidono di opporsi alle richieste del fisco, hanno ottime possibilità di farla franca: nel 2011 le commissioni tributarie regionali hanno dato loro ragione nel 43,4 per cento dei casi.
Risultato: il tasso di riscossione di Equitalia è sceso nel 2012 all’1,94.
E non ci sarebbe da sorprendersi se calasse ulteriormente, dopo che il governo di Enrico Letta ha pensato bene di spuntare ulteriormente le armi della società di riscossione (vedere il box a pagina 31)
L’ESEMPIO DELLA SVEZIA
Il 22 giugno del 2013 il professor Angelo Panebianco ha avuto un’alzata d’ingegno.
E ha scritto sul “Corriere della Sera”: «Per contrastare, come è doveroso fare, l’evasione fiscale, non basta, anche se è ovviamente necessario, usare gli strumenti repressivi: bisogna anche ridurre in modo cospicuo le tasse. Soltanto una riduzione della pressione fiscale, infatti, può spingere l’evasore, o il potenziale evasore, a rifare il calcolo delle proprie convenienze, a cambiare la propria valutazione dei vantaggi e dei rischi dell’evasione»
Non è così. Intanto, come annota il rapporto Eurispes 2013, «in Italia i livelli di tassazione sono sostanzialmente in linea con quelli dei più importanti Paesi industrializzati: per esempio, per un reddito di 45 mila euro l’imposizione media italiana ammonta al 29,8 per cento e quella tedesca al 30,4».
E poi: pensare che la via maestra per sconfiggere l’evasione sia il ribasso delle aliquote è semplicemente sbagliato.
Basta prendersi la briga di leggere quanto scrive uno studioso come Alessandro Santoro, professore di Scienza delle finanze e Politica economica a Milano Bicocca ed ex consulente tributario del ministero delle Finanze, nel saggio “L’evasione fiscale”, pubblicato dal Mulino: «Il confronto internazionale indica che Paesi dove il livello delle aliquote è da sempre più elevato del nostro sono invece caratterizzati da livelli di evasione molto più ridotti. Ad esempio, secondo i dati riportati in uno studio di qualche anno fa da Alberto Alesina e Mauro Marè, alla metà degli anni Novanta l’evasione in Norvegia o in Svezia era pari o di poco superiore al 10 per cento del Pil, un livello inferiore alla metà di quello italiano, a fronte di una pressione tributaria ben superiore».
Scrive ancora Santoro: «L’evasione non sembra un fenomeno recente in Italia: sempre Alesina e Marè ricordano che gli italiani evadevano molto anche quando le aliquote, e la pressione tributaria complessiva, erano ben al di sotto della media europea».
La controprova la fornisce una ricerca elaborata nel 2011 da Contribuenti.it: in Svezia il fisco si porta a casa il 56,4 per cento dei redditi dei contribuenti, ma l’evasione è ferma a quota 7,6 per cento.
Soprattutto in un Paese come l’Italia, dove la quota di lavoratori autonomi è altissima (sono il 24 per cento del totale, contro una media Ue del 13), c’è un solo modo di combattere davvero la piaga dell’evasione: il contribuente deve essere convinto che il fisco sa tutto di lui e che quindi se prova a barare sarà immediatamente scovato e ne pagherà le conseguenze.
«Il problema è la percezione del fattore di rischio», conferma Murphy a “l’Espresso”.
I partiti la pensano in un altro modo. Come lo ha spiegato senza troppi giri di parole Angelino Alfano, che non è un viandante ma il vice presidente del consiglio: «Noi non vogliamo inseguire gli evasori con i cani».
Ecco.
Livadiotti e Paravicini
(da ” l’Espresso)
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Giugno 29th, 2013 Riccardo Fucile
UNA GRAFFIANTE ANALISI DEL DECADIMENTO DEL DIBATTITO POLITICO E CULTURALE NEL NOSTRO PAESE
Va bene parlare di Grillo, dei processi a Berlusconi o delle micromanovre del governo. Ma sono altre le novità , sulle quali il Pd dovrebbe discutere: dalla tragedia siriana alle disuguaglianze nel mondo, ai fermenti in Turchia e Brasile
C’era una volta un Paese dove in un partito, quando era tempo di congresso, anche il più sprovveduto segretario della più scalcagnata sezione di campagna teneva il suo discorso introduttivo di circa due ore, iniziando dall’analisi sui conflitti mondiali in atto, sulla crisi e prospettive del sistema capitalistico, sui mondi futuri e desiderabili. E la discussione per il 90 per cento si agitava alle medesime altezze.
Angosciosi ricordi.
Siamo davvero definitivamente usciti da tali barbarie e entrati nell’età del disincanto. Non più chiacchiere de universo et quibusdam aliis, solo decisioni e programmi concreti.
Come dovranno svolgersi le primarie? Potrà votare senza giustificazione al secondo turno chi ha l’influenza al primo? Potranno liberamente votare per la segreteria del partito anche coloro che mai vi hanno fatto parte, mai lo faranno, e che quel partito mai hanno votato?
Dilemmi concretissimi, come si vede.
E ancora: potrà candidarsi al premierato chi neppure partecipa alle primarie per la segreteria? Qui si decide davvero — altro che i tempi in cui ci si divideva sull’invasione di Praga, come fosse stato in nostro potere di cambiare qualcosa!
Il nostro mondo si è fatto maturo — maturità è tutto, diceva un grande.
Marciume forse meno. Possibile davvero che la questione riguardi come riformulare l’Imu, quanto aumentare o non aumentare l’Iva e implorare la Mitteleuropa di guardare al Mediterraneo e alle miserie di noi Welsche con occhio meno severo?
Non nutro alcuna nostalgia per l’internazionalismo dei miei giovani anni (non vi partecipavo neanche allora), ma forse non è troppo igienico dimenticare che apparteniamo a un mondo che trascende di qualche spanna le contese Renzi-Letta-D’Alema, e anche quelle Pd-Pdl.
Forse sarebbe interessante che il congresso di un partito che retoricamente si richiama a “scuole di cultura politica” si interrogasse sulla crisi che oggi attraversa la forma democratica della rappresentanza, sulla rottura del “compromesso storico” tra democrazia e mercato, sulle ragioni dell’irresistibile crescita delle disuguaglianze in tutto l’Occidente.
Forse, si potrebbe anche manifestare qualche preoccupazione per alcune tragedie in corso nell’indifferenza generale, come quella siriana.
Forse, si dovrebbe anche cercare di comprendere la natura di quei movimenti che si accendono in tutto il mondo, che hanno determinato svolte epocali e tuttora dall’esito incerto in tanti Paesi mediterranei, che sono al centro del conflitto politico in un Paese assolutamente strategico come la Turchia, e ora anche in Brasile.
Che cosa li accomuna? Come si organizzano? Quali leadership esprimono?
Certo, non c’entrano nulla con la democrazia Web à la Grillo, non hanno leader da avanspettacolo, non mandano nei parlamenti chi prende dieci preferenze sulla mail. Ma neppure sono lontanamente parenti della forma-partito di un tempo, nè sembrano evolversi in quella direzione.
Tutti sintomi del nuovo Millennio, la cui analisi non sembra stare particolarmente a cuore ai duellanti democratici.
Chissà allora su cosa dovranno decidere le primarie. Età ? Abilità retorica? Bella presenza? Enfasi particolare nella ripetizione dei programmi e dei desideri che da vent’anni andiamo ascoltando (ottimi programmi,magari, e virtuosi desideri)?
Ma le vere novità sono quelle che ho prima ricordato; è da esse che sorgerà , bello o brutto, il mondo di domani.
E i leader di domani saranno quelli che le sanno interpretare e comprendere per tempo, e portarne l’acqua ai loro mulini.
Bene l’esame filologico quotidiano delle esternazioni di Grillo; ottimo attendere ansiosamente l’esito dei processi a Berlusconi; encomiabile discutere sulle sorti del governo in base a micro-manovre sull’Imu — ma forse esiste ancora una storia da narrare, fatta di grandi conflitti, di tragedie sociali e umane, e un fermento vitale di tracce, indizi, movimenti che stanno scardinando le casematte dove resistiamo arroccati.
Forse è preferibile abbandonarle o aprirle, prima che ci crollino addosso.
Massimo Cacciari
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Giugno 29th, 2013 Riccardo Fucile
L’EX IDV RACCONTA LE PROPOSTE PER TENERLO LEGATO AL PARTITO “PRIMA ANDAI DA GHEDINI, POI A PALAZZO GRAZIOLI E DA VERDINI”
Siamo tutti puttani, con la “i” finale, per parafrasare il patetico titolo della manifestazione flop di Giuliano Ferrara a sostegno di B. condannato per Ruby.
I puttani sono una categoria puramente politica, introdotta negli anni sessanta dal quotidiano napoletano Roma, quando una pattuglia di consiglieri monarchici tradì l’allora sindaco Achille Lauro.
Una categoria che torna d’attualità con l’inchiesta partenopea sulla compravendita di senatori che nel 2008 causò la caduta del premier Romano Prodi.
Tre i protagonisti sinora: l’ex dipietrista poi berlusconiano Sergio De Gregorio, il faccendiere Valter Lavitola, il Cavaliere.
Richiesta di rinvio a giudizio per corruzione.
De Gregorio ha chiesto di patteggiare e sta collaborando coi magistrati.
Il suo primo verbale è del 28 dicembre 2012, l’ultimo del 7 gennaio 2013.
Le sue rivelazioni potrebbero portare all’apertura di nuovi filoni.
Almeno due: i fondi neri di Mediaset in Cina (De Gregorio sostiene di essere stato il mediatore per bloccare la rogatoria internazionale chiesta dalla procura di Milano sui diritti tv del Biscione) e un’altra compravendita di parlamentari presunti puttani. Stavolta deputati, come ha raccontato nella sua intervista pubblicata ieri dal Fatto. L’ex senatore del Pdl (ai domiciliari fino a quattro giorni fa per un’altra inchiesta: truffa e bancarotta per i soldi pubblici all’Avanti) ha raccontato ai giudici di come Denis Verdini, plurinquisito coordinatore del Pdl, avrebbe “acquistato” un deputato finiano nella stagione 2010-11, quando nel centrodestra lo strappo di Gianfranco Fini venne arginato con transfughi di varia provenienza.
Compresi quelli che approdarono in Fli e poi ci ripensarono.
Nelle sue ricostruzioni, De Gregorio rivela anche altre promesse di denaro da parte del Cavaliere.
Non solo i tre milioni di euro ottenuti per gli Italiani nel mondo, il suo movimento politico. Uno “ufficiale” e gli altri due in nero, tramite Lavitola.
Nel maggio del 2012, De Gregorio va in treno a Padova, accompagnato da un componente della sua segreteria, un carabiniere.
Lì, a Padova, c’è lo studio di Niccolò Ghedini, l’avvocato-parlamentare stratega della difesa di B.
De Gregorio ha già in animo di lasciare la politica. Il suo amico e socio Lavitola è finito in manette e lui capisce di essere il prossimo candidato al “tritacarne”.
Ghedini riceve De Gregorio e gli fa un’offerta a nome del Cavaliere, secondo la versione dell’ex senatore: un milione e mezzo di euro e un posto blindato alle politiche del 2013.
De Gregorio ribatte che vuole farsi da parte e lasciare ai giovani del suo movimento.
I due si rivedono ancora. Stavolta a Roma, a Palazzo Grazioli, la residenza privata di B. nella capitale.
De Gregorio ha ormai maturato definitivamente la decisione di abbandonare il Parlamento e chiede un aiuto per ricostruirsi “una vita nuova al di fuori della politica”. Il suo sogno è fare un film per Mediaset.
Ghedini gli dice che B. è d’accordo.
Ma restano sul tavolo le richieste per candidare “uno o due giovani al mio posto” e i soldi per finanziare il movimento Italiani nel mondo, tra i “piccoli cofondatori” del Pdl.
A questo punto entra in scena Verdini. De Gregorio va a trovarlo nella sede nazionale del Pdl a Roma, in via dell’Umiltà .
Verdini, coinvolto in numerose inchieste (il fallimento della sua banca e la P3, tanto per citarne due), gli dà brutte notizie sul milione e mezzo promesso da Ghedini: “Sergio , qui Berlusconi non copre nemmeno più le fidejussioni per mantenere la sede e pagare i dipendenti”.ù
Da quel momento in poi, siamo a luglio, Ghedini e Verdini scompaiono.
Non si fanno più trovare da De Gregorio, che rilascia un’intervista al Fatto in agosto e poi scrive una lettera ai vertici del Pdl a settembre , invitando Berlusconi a fare un passo indietro come lui.
Così Verdini si rifà vivo, per conto di Berlusconi. Ma De Gregorio è infuriato con il Cavaliere. Una lunga serie di appuntamenti fissati e poi rinviati.
L’ultimo incontro con Verdini risale al 19 dicembre, raccontato nell’intervista di ieri.
L’offerta di una candidatura al Senato che però il coordinatore del Pdl smentisce con una lunga nota: “Non è vera la compravendita di deputati nel 2010. Non è vero che io o qualcuno del partito, men che meno il presidente Berlusconi, abbia mai offerto all’ex senatore un seggio parlamentare alle ultime politiche. È vero l’esatto contrario. A più riprese, egli insistette per incontrare il presidente Berlusconi, ma io opposi sempre un rifiuto e allora cominciò a insistere, anche in maniera sgradevole, per ottenere somme di denaro al di fuori di quelle ufficialmente concordate ed effettivamente elargite per garantire la legittima attività politica del suo movimento. Ogni volta che De Gregorio l’ha fatto è stato respinto con perdite. E più i suoi toni minacciosi e sgradevoli aumentavano, più duro è stato il rifiuto. Com’è evidente, questo mio comportamento, tenuto in nome e per conto del partito, dimostra il fatto che non abbiamo mai avuto nulla da nascondere o da temere”.
Il duello tra De Gregorio e Verdini ha avuto una coda anche in sede civile, quando l’ex senatore ha chiesto il rispetto degli accordi con B. sulle liste per le politiche del 2013.
In quel-l’occasione un altro parlamentare del Pdl, Ignazio Abrignani, scrisse di essere stato minacciato da De Gregorio.
L’impero berlusconiano vacilla e sembra iniziata una gigantesca resa dei conti.
Soldi e puttani.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 29th, 2013 Riccardo Fucile
“STIAMO DIVENTANDO LA REPUBBLICA FONDATA SUI LICENZIAMENTI”… “FUORI IL PROFITTO DALLA SANITA, NESSUN SOLDO PUBBLICO DEVE FINIRE NELLE MANI DEI PRIVATI”
Ascoltare Gino Strada, fondatore con la moglie Teresa Sarti di Emergency presieduta dalla figlia Cecilia, è come immergersi in un mondo smarrito in cui le parole riacquistano la loro umanità .
Con quell’aria apparentemente stanca, quasi assente, scapigliato, quando parla cattura l’attenzione perchè il suo dire è passione e pratica di vita.
Apostrofato dai giornali berlusconiani come “visionario, venditore di fumo, comunista”.
È amato da migliaia di volontarie e volontari e da quella sinistra in cerca di casa.
E indicato dal popolo web di Grillo come candidato per il Quirinale.
Strada è a Livorno per il XII Incontro di Emergency: “Diritti o Privilegi”.
Punto di domanda volutamente assente nel titolo?
Ovvio. Non dovremmo più chiamarci Repubblica italiana ma Paese privato. La messa in dubbio della sostenibilità della sanità , dell’acqua, della scuola pubblica. Ormai è al di fuori della politica. La Costituzione sta diventando la più grottesca del mondo, non siamo più una Repubblica fondata sul lavoro, ma sui licenziamenti.
Deluso da Grillo?
Il M5S è stato e resta un segnale forte per i “signori della politica”. Il problema non è M5S, ma questa nuova formazione bulgara che ci governa: la messa in pratica o meglio la conclusione di un processo che dura da decenni. Destra, sinistra, al di là del codice stradale vuol dire guerra o pace, pubblico o privato e tante altre cose. Quando una parola come la sinistra viene stuprata meglio cambiar parola.
Ne ha una nuova?
No, serve a poco. Non sono ottimista sul fatto che le cose cambieranno. Il che non significa che bisogna smettere di parlare di certi valori, di promuoverli, di fare delle cose giuste che cambiano la vita delle persone. Più delle coglionate dei politici. Se siamo in tanti ci troveremo in una società migliore. In questo sono ottimista.
Pentito di non aver accettato la candidatura al Colle proposta dal popolo di Grillo?
Era una proposta-provocazione, il Presidente lo eleggono i grandi elettori e siccome lì dentro ci sono condannati, papponi, pedofili…
Però il ministro della Sanità lo avrebbe fatto…
Intanto è il premier che forma il governo ma se uno qualsiasi, non importa chi, me lo chiedesse seriamente risponderei: il mio programma è questo: fuori il profitto dalla sanità , nessun soldo pubblico deve più finire nelle tasche del privato, via le convenzioni.
Emergency dal 2006 opera anche in Italia. Chi l’avrebbe mai detto?
Stiamo mettendo in piedi ambulatori mobili. Strutture di alta qualità e gratuite come da diritto costituzionale per chi, e sono tanti, non può più permettersi di essere curato. Stiamo costruendo una sanità non profit contro quella profit. Sanità che è stata rovinata con l’introduzione del concetto di azienda che risponde alla domanda: quanto bisogna spendere? Quanto serve, non un euro in più. Qualcuno ci dice che noi spendiamo 35 miliardi meno della Germania e della Francia ottenendo risultati migliori e che abbiamo tecnologie superiori ad altri Paesi ma non le usiamo? Però ci dicono che il sistema è in crisi. E il cittadino paga un ticket superiore a quello che pagherebbe in una struttura privata. Mi chiedo dov’è l’aggettivo pubblico? Cosa vuol dire ticket? Da quando in qua bisogna pagare i propri diritti? Il sistema resiste grazie alla volontà di tanti medici e infermieri che operano contro le politiche sanitarie.
Teoria ineccepibile. In pratica?
Basterebbe non firmare piu nessuna convenzione, riesaminare quelle esistenti e tagliare quelle senza senso ma non c’è la volontà politica perchè la casta ha profondi intrecci con la cricca del settore della sanità .
Perchè gli ospedali comperano lo stesso prodotto di Emergency e lo pagano 3,5,10 volte di più?
Perchè nel gonfiare i prezzi c’è spazio per le mazzette.
Secondo l’Oms il maggior determinante della salute è la giustizia sociale. La sanità non riguarda solo ospedali e ambulatori, ha a che fare con la difesa dell’ambiente. E vogliamo parlare delle malattie costruite a tavolino?
Parliamone.
Veicolazione della malattia vuol dire assicurarsi che vengano consumati sempre più farmaci da persone sane convinte di essere malate per fare soldi. Dicono che se hai la glicemia alta hai il diabete. Se il livello di normalità della glicemia prima era 125, la abbassano a 110. Uguale per il colesterolo, l’ipertensione… Parte una nuova campagna e si vendono i farmaci. Porcherie con il coinvolgimento dei medici.
Torniamo alla politica lei è molto critico però non vota da 35 anni.
Non voterò mai chi non mi garantisce che non mi porti in guerra, non ho bisogno dell’art 11 della Costituzione mi basta la mia coscienza civile. So che fino a che ci sarà questa casta politica non sarà possibile costruire un sistema etico, un sentire comune con regole certe. Invece di una società stiamo costruendo una grande giungla. Nello statuto dei diritti umani si dice che gli uomini debbono comportarsi in spirito di fratellanza, se siamo insieme il rispetto per gli altri è il rispetto per noi stessi, cioè un bene comune.
Sandra Amurri
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Giugno 29th, 2013 Riccardo Fucile
TEOREMI E “VERITA’ IN SE'” CHE NON HA BISOGNO DI ESSERE PROVATA…IN NESSUN PAESE A CHI AVESSE UN CURRICULUM GIUDIZIARIO COME BERLUSCONI SAREBBE PERMESSO DI GOVERNARE
I seguaci di Berlusconi sostengono da sempre che le accuse della magistratura al Cavaliere sono basate su “teoremi”, su un “accanimento giudiziario”.
E non si rendono conto di essere assisi a loro volta su un teorema o, peggio ancora, su un assioma: l’innocenza a priori di Berlusconi.
La differenza fra un teorema e un assioma è che il primo parte da una proposizione la cui verità deve essere dimostrata, l’assioma non ne ha bisogno, è, per dirla con Plotino, una “verità in sè”, talmente evidente da non aver bisogno di essere dimostrata.
E infatti l’assioma che Berlusconi è a priori innocente è indistruttibile.
Contro questa logica, priva di ogni logica, è impossibile competere.
Un altro antico mantra dei berluscones è che un uomo politico che ha ricevuto milioni di voti “non può essere eliminato per via giudiziaria”.
Il senso di questa affermazione, ammesso che ce l’abbia, qual è?
Che chi è stato eletto con un certo numero di voti è, per questo, autorizzato a commettere reati?
Che Berlusconi, se li salta il ticchio, può strangolare Veronica perchè ha il consenso popolare?
E che livello di consenso bisogna raggiungere per godere di questa particolare immunità ?
Ci vogliono 9 milioni di voti o ne bastano quattro o due?
Una new entry nella galleria dei nonsense, sostenuta soprattutto da Fabrizio Chicchitto, è che la condanna a Berlusconi per quello che impropriamente viene chiamato il “caso Ruby ” (in realtà è un caso di concussione, il reato di prostituzione minorile ha un’importanza minore, un anno di carcere rispetto ai sei per la “con — cussione per costrizione”) “mette a rischio la pacificazione nazionale”.
Il senso è che il sostegno del Pdl al governo va barattato con una sanatoria dei reati commessi dal Cavaliere.
Credo che nessun Paese, democratico o non, civile o incivile, a una persona che ha sul groppone due condanne, una in primo grado e una in appello, per una colossale e scientificamente organizzata evasione fiscale, una condanna per concussione e prostituzione di minore, che ha goduto di cinque prescrizioni (alla faccia dell’avvocato Ghedini oltre che di Bruno Vespa che sostengono che i processi del Cavaliere sono insolitamente rapidi), in due delle quali però la Cassazione ha accertato in via definitiva che i reati a lui ascritti Berlusconi li aveva effettivamente commessi anche se era scaduto il tempo per poterli sanzionare, che si trova nella singolare situazione di aver pagato 600 mila dollari all’avvocato Mills perchè rendesse falsa testimonianza in processi che lo riguardavano, Mills è stato condannato, ma il corruttore, cioè il Berlusca, no, mentre un altro suo avvocato, Cesare Previti (che a questo punto va considerato quasi una vittima) è stato pure condannato per aver corrotto il giudice Metta per avere una sentenza favorevole nel cosiddetto “Lodo Mondadori”, ma il mandante dell’operazione, cioè ancora il Berlusca, ha usufruito, a differenza di Previti, della prescrizione perchè la Cassazione gli ha riconosciuto con una singolare motivazione, le attenuanti poichè nel frattempo era diventato presidente del Consiglio (che avrebbe dovuto essere semmai un’aggravante), bene, a nessuna persona con questo straordinario curriculum, sarebbe concesso di determinare la politica nazionale.
Però questa è l’Italia.
Ma sì, diamogli, come vuole Cicchitto, un salvacondotto.
Per le Bermude.
Possibilmente nel Triangolo.
Massimo Fini
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