Giugno 21st, 2013 Riccardo Fucile
BEPPE RINNEGA LO STREAMING E PUNTA L’INDICE SU CRIMI E LA LOMBARDI: “SOLO NOI POTEVAMO FAR SEMBRARE LETTA UNO STATISTA”… E A RAGUSA SI ALLEA CON LISTE RIFERIBILI A SEL E A LA DESTRA
The end. Il film del Movimento Cinque Stelle entra nella parte finale.
Dopo il crollo nei sondaggi (Swg dà il M5S al 14 per cento), i dissidi interni e la grande fuga degli elttori alle ultime amministrative, arriva anche il grande esodo sul web.
Il Mar Rosso che aveva unito Beppe alla gloria politica sta per chiudersi e tra le acque tempestose affoga la truppa a Cinque Stelle.
La rete non sposa più il carisma del leader.
Circa 6.000 persone nelle ultime settimane hanno abbandonato la fan page di Grillo su Facebook. Un dato allarmante.
La rete è il bacino dove è nato il grillismo e se questa stessa volta le spalle al capo, allora è davvero l’inizio della fine.
La grande fuga dei fan è certificata da uno studio di Blogmeter, società che monitora i social media e le discussioni online, che ha misurato gli umori del popolo di Facebook arrivando a questa conclusione: dall’insediamento del governo Letta ad oggi i social network e le discussioni in rete registrano un calo del 40% dell’interesse degli utenti verso i temi politici.
Fine del web
Grillo e il Movimento 5 Stelle scontano più di altri questa tendenza con punte di oltre 6mila fan che vanno via da Facebook.
Si legge nello studio: “Sul fronte Facebook emerge un fenomeno inusuale — sottolinea Blogmeter -: una serie di persone hanno deciso addirittura di cancellare l’iscrizione alle pagine di Grillo e del M5S.
La prima perde ben 6.013 fan (in media 135 fan al giorno), la seconda 2.394, probabilmente a causa dell’alto livello di aspettative pre-elezioni”.
Già in occasione del voto online sull’espulsione di Adele Gambaro i Grillo-fan avevano mostrato delusione verso la linea del leader disertando le urne del web.
Su 52.000 iscritti hanno partecipato al voto sulla Gambaro solo in 19.000.
Ora arriva anche la batosta di Facebook. I grillini online sono lo zoccolo duro dell’elettorato M5S.
Ha girato tra tsunami tour e tutti a casa tour l’Italia intera, raccogliendo alle amministrative una batosta senza precedenti: 2 sindaci in due piccoli paesi e zero ballottaggi
Lombardi e Crimi incapaci
Beppe però non molla e torna in piazza a Ragusa, dove si vota per il ballottaggio per la poltrona di sindaco del capoluogo ibleo.
Da lì Beppe, microfono in mano, torna a fare il punto di questi ultimi tre mesi e tira bordate al veleno ai suoi, ormai ex, pupilli: Vito Crimi e Roberta Lombardi.
Non li nomina direttamente ma critica aspramente la diretta streaming per le consultazioni con il premier Enrico Letta.
Grillo analizza quella diretta, andata in onda lo scorso aprile e afferma: “Soltanto noi potevamo fare passare Letta come uno statista, è stato fantastico”.
La frecciata è ovviamente per i due ex capigruppo che secondo Beppe non sono stati all’altezza della situazione.
Dunque Grillo non sconfessa la diretta streaming, il mezzo, ma il messaggio. Crimi e Lombardi sono colpevoli di aver prestato il fianco a Letta.
Eppure quei capigruppo li aveva scelti lui. Ora è tempo di autocritica.
Ho sbagliato le liste
Lo fa anche su queste amministrative siciliane e ammette: “Ho sbagliato. Alle amministrative abbiamo fatto degli errori, ma abbiano capito dove abbiamo sbagliato e non lo faremo più. L’errore — spiega Grillo- è stato di fare 200 liste, 50 delle quali in Sicilia, e non dedicarci ai capoluoghi, come Messina e Catania, con liste raffazzonate, fatte anche di brave persone, che erano già distrutte al loro interno perchè erano entrate persone non compatibili con il Movimento. Abbiamo fatto un errore — riconosce — non lo rifaremo più”.
Strane alleanze
Ma l’ultimo errore lo farà proprio a Ragusa e quetso week end. Il candidato M5S Federico Piccitto parte dal 15,64% e va al ballottaggio con Giovanni Cosentini (Pd), che al primo turno è risultato il più votato con il 29,34%.
Cosentini avrà l’appoggio del Pdl, ma la sorpresa arriva dal grillino.
Il partito di Beppe Grillo ha ribadito che non fa apparentamenti o nè accordi con gli altri partiti. Ma c’è un ma.
Il M5S può contare su un’intesa con le lista civiche Movimento Città e Partecipiamo: queste potranno contare sul supporto di Sel e su quello della Destra di Storace.
Il M5S adesso è un partito politico non più un movimento.
Ignazio Stagno
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Giugno 21st, 2013 Riccardo Fucile
LA BOZZA CANCELLIERI: LIBERO ANCHE CHI HA PENE SOTTO I 4 ANNI
La bozza del decreto svuota carceri è già pronta.
La strada più breve è stata quella di riprendere in mano la legge Simeone-Saraceni, entrata in vigore il 14 giugno 1998 (all’epoca salvò Forlani, Citaristi, Pomicino, Sama e Bisignani) che risparmiava il carcere a chiunque debba scontare fino a tre anni.
Il decreto Cancellieri si limita in sostanza a due aspetti: concessione degli arresti domiciliari o pene alternative a coloro che abbiano compiuto i 70 anni, e ingresso in carcere impossibile alle persone condannate a 4 anni.
Restano esclusi i condannati per associazione di stampo mafioso, traffico di droga, terrorismo, sequestro di persona a scopo di estorsione.
Benefici “indispensabili per fronteggiare il sovraffollamento delle carceri” e che si aggiungono alla legge Gozzini, al rito abbreviato (che sconta già di un terzo la pena) e alla buona condotta, ossia 45 giorni di carcere in meno ogni anno al detenuto modello. Il punto è che la riforma, così come pensata dal governo, prevede tutti i benefici ottimi per la casta.
E confezionati per coloro che hanno spalle robuste, una casa in cui vivere, una famiglia che può aiutare il condannato, un ottimo avvocato e nessun precedente.
Tutti requisiti che gli stranieri clandestini o gli scippatori non possono avere. Uscirebbero dal carcere il giorno successivo i poliziotti condannati per l’omicidio Aldrovandi, mentre resterebbe in carcere il clandestino albanese arrestato due giorni fa e colpevole di non avere il permesso di soggiorno e per “false dichiarazioni a pubblico ufficiale”.
Altro punto fondamentale, che amplia ancora il raggio di azione della Simeone-Saraceni, riguarda la detenzione agli arresti domiciliari.
Prima il magistrato di sorveglianza doveva per legge concederla alle persone anche parzialmente inabili che avessero compiuto i 60 anni di età .
Adesso il parzialmente inabili sparirebbe e la detenzione a casa sarebbe concessa a tutti coloro che invece hanno compiuto 70 anni.
Un esempio pratico, Calisto Tanzi: tornerebbe a casa, e non per lo stato di salute, ma solo per problemi anagrafici.
Il governo è pronto a portarla a termine perchè è “l’Europa che ce lo chiede”.
Come scritto in calce si tratta di un decreto per “contrastare il sovraffollamento delle carceri e per adottare i rimedi imposti allo Stato italiano dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”.
Al momento si tratta di una bozza, ma la linea guida che ne segue è in realtà molto chiara e ha alle spalle un progetto politico.
Non riguarda direttamente i pubblici ministeri: questa volta il decreto è molto legato alla parte finale dell’esecuzione della pena e non entra più nel merito di quelli che sono i reati scoperti in flagranza.
In sostanza lo scippatore finisce in galera, successivamente godrà della liberazione anticipata.
L’ordine di custodia cautelare, invece , dovrà seguire attentamente le disposizioni che Letta e i suoi si preparano a varare.
Il documento, fino a oggi mai uscito e in mano al Fatto Quotidiano, non prevede variazioni capillari della Simeone-Saraceni.
I giuristi, quando venne varata la legge nel 1998, la definirono un “indulto permanente”.
Questa ne è la fotocopia, con una più ampia valutazione dei benefici.
Si tratta di otto pagine con le linee guida dove — chi ha steso la relazione — si sofferma anche sui soldi da trovare per fare in modo di adeguare e ristrutturare le carceri che esistono in Italia.
“In realtà ”, spiega al Fatto il procuratore aggiunto di Torino, Paolo Borgna, “sarebbe bene pensare a strutture carcerarie diverse. Oggi abbiamo tutti carceri di massima sicurezza, nati e costruiti soprattutto negli anni del terrorismo. Oggi le esigenze sono cambiate. Probabilmente sarebbe più agevole costruire strutture che hanno costi meno sostenuti, anche aperte, dove i detenuti possano avere la libertà di lavorare, e non pensare solo alle evasioni. Chi ha commesso due scippi non pensa a evadere, non è il pluriomicida. Come diceva Cesare Beccaria sarebbe il caso di addolcire la pena. Che sia immediata o comunque vicina al reato commesso, ma più dolce”.
Emiliano Liuzzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 21st, 2013 Riccardo Fucile
TUTTI PARLANO BENE DI MASSIMO MATTEI, L’ASSESSORE CHE, PUR NON INDAGATO, HA RASSEGNATO LE DIMISSIONI, SUBITO ACCOLTE DAL SINDACO… “A DIFFERENZA DI RENZI, LUI E’ STIMATO”
“Mi creda: io non sapevo nulla di quello che faceva Adriana, nè fuori nè tanto meno dentro quella casa che le avevo dato; per me era una amica in difficoltà che ho aiutato come ho fatto con molti altri”.
Massimo Mattei è costretto ad assistere allo scandalo delle escort che sta lambendo il comune di Firenze da un letto d’ospedale. Lo subisce.
Perchè, seppur non indagato, è l’unico politico, ormai ex assessore della giunta di Matteo Renzi, a essere finito nelle carte dell’inchiesta del pm Giuseppe Bianchi.
Le intercettazioni che lo riguardano sono state secretate e inserite in una nuova inchiesta che, a quanto si apprende da fonti giudiziarie, sarebbe ancora in corso e riguarda un filone interamente “politico”.
Mattei è finito nei faldoni del giro di escort, che vedono 14 persone indagate per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione (anche minorile), perchè si sentiva e frequentava Adriana, a cui aveva anche dato una casa della cooperativa sociale il Borro che lui presiedeva.
Ma a Firenze nessuno pensa che Mattei sia coinvolto.
Persino nemici storici dell’entourage renziano come Guido Sensi, consigliere provinciale del centrodestra, che ha avuto modo di conoscerlo (“e bene”) quando Renzi era presidente della Provincia fiorentina e Mattei guidava il consiglio provinciale.
“Ha sempre ricevuto tutti, fuori dal suo ufficio c’era la coda di gente che aveva bisogno d’aiuto, che fosse lavoro o una casa o qualsiasi altra cosa, il Mattei, una mano provava a dargliela”.
Prima in Provincia poi in Comune, all’assessorato mobilità . In città lo conoscono tutti, “il Mattei”.
E “a differenza di Renzi, lui è parecchio stimato”, ammette un usciere del Comune che controlla il flusso continuo di giapponesi e turisti che fotografano Palazzo Vecchio, la statua di David e quella di Ercole che abbatte Caco in piazza della Signoria.
A dieci metri il busto di Dante veglia l’ingresso degli Uffizi. Anche qui code infinite di turisti stranieri.
“A loro non gliene frega nulla e neanche a voi giornalisti, ma dia retta: Mattei non c’entra nulla”. E via così.
Al primo piano del palazzo comunale, lungo le scale e il corridoio che porta al gabinetto del sindaco e ad alcuni assessorati, se si chiede quale sia l’ufficio di Mattei la prima reazione è quella del dispiacere.
“Magari ci fosse”, si lascia sfuggire una signora bionda di mezz’età che poi si fa dubbiosa: “Ma lei chi è? Che vuole dal massimino?”.
Impossibile entrare invece negli uffici dell’assessorato alla mobilità di via Giotto, qui è stato sorpreso dalla donna delle pulizie L. R., funzionario del Comune, insieme alla regina delle escort, la rumena 42enne Adriana, ex modella (ha lavorato, tra gli altri, anche per Cavalli) e amica di Mattei.
Ed è intorno a questo anonimo dipendente del Comune, prima impiegato al-l’ambiente e poi trasferito in via Giotto, che ruota buona parte del nuovo filone dell’indagine.
E alle rivelazioni che, presumibilmente, secondo i più, potrebbe fare.
Perchè se dentro le mura di Palazzo Vecchio, “il Mattei” lo conoscevano tutti e lo difendono spesso quasi con affetto, fuori è un coacervo di veleni, accuse, rancori, bassezze umane da retrobottega che passano di bocca in bocca con un unico scopo: il tentativo di colpire Renzi.
“Che un errore in questa vicenda l’ha fatto ed è grosso come una casa: l’aver accettato immediatamente, se non addirittura avergliele chieste, le dimissioni di Mattei”.
La confidenza la fa un renziano che si definisce però “cioniano” cioè vicino a Graziano Cioni.
E si scopre così che tra i fedeli del rottamatore in città ci sono addirittura le correnti. “Si stupisce? Renzi è un cavallo in corsa che non può rallentare nè fermarsi e deve raggiungere il traguardo il prima possibile”.
Ma pare che l’arrivo sia vicino. “Per questo nessuno parla e dice nulla, perchè si spera di vincere con lui, facile”.
Il cinismo toscano è noto, ma il mix con il calcolo politico è da brividi.
Però l’aver sacrificato Mattei per tener lontane da Palazzo Vecchio le voci secondo alcuni è stato un clamoroso autogol.
Oltre alle tante persone che lo affermano nascondendosi dietro l’anonimato c’è chi, invece, è disposto a metterci il nome: “il solito Sensi”, ci ride pure su.
Poi si fa serio e spiega: “Senza i voti del Mattei, senza la storia e le possibilità del Mattei, senza la disponibilità verso gli altri del Mattei”, insomma senza il Mattei? “Col cavolo che Renzi diventava sindaco”.
Perchè Mattei è stato il portatore di preferenze.
Eppure come ha presentato le dimissioni per motivi di salute Renzi le ha accolte subito e l’ha sostituito in un giorno con Filippo Bonaccorsi, fidato presidente dell’Ataf, società che gestisce il trasporto pubblico cittadino.
“Avrebbe potuto tranquillamente congelarle, aspettare che Mattei facesse i controlli medici e temporeggiare; invece no; se non arriva presto al traguardo – ripete il renziano ciociano – il cavallo rischia di pagare cara anche questa”.
E già girano i nomi di altri assessori e dirigenti comunali finiti nel giro di escort del Franchino. “Corri, cavallo corri”
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 21st, 2013 Riccardo Fucile
DA BOCCIA A SPERANZA A RENZI, NESSUNO FA PIU’ RIFERIMENTO ALLA LEGGE DEL 1957
Diviso quasi su tutto, il Partito democratico si ricompatta su un argomento: Silvio Berlusconi non può essere ineleggibile.
A intervalli regolari, senatori e deputati del Pd si premurano di tranquillizzare l’alleato di governo: la giunta per le elezioni del Senato, chiamata a valutare la compatibilità del conflitto d’interessi di Berlusconi con la sua carica di senatore, non taglierà il Cavaliere fuori da Palazzo Madama.
Il voto, sul ricorso presentato dal Movimento 5 stelle, potrebbe arrivare già il 9 luglio.
Ma Berlusconi può restare sereno.
Lo ha chiarito a La Stampa il capogruppo del Pd alla Camera, Matteo Speranza.
Lo ha ripetuto, al Messaggero, il lettiano di ferro Francesco Boccia.
Lo ha fatto capire chiaramente anche Matteo Renzi.
E il premier Enrico Letta ha posto la pietra tombale sull’argomento, rispondendo a una domanda della stampa estera: “L’ineleggibilità ? Decideranno i parlamentari. Ma è una vicenda alla quale non darei grande importanza”.
La parola d’ordine, quasi un mantra, è la seguente: “Berlusconi si sconfigge nelle urne, non in giunta”.
Valutazione politica, ma nel merito dell’argomento giuridico i democratici preferiscono non avventurarsi.
La questione ormai è arcinota: si tratta della legge 361 del 1957, che dichiara ineleggibile chiunque goda di una concessione statale, in proprio o in qualità di amministratore.
L’unico rimasto nel Pd a ritenere che Berlusconi non soddisfi questi requisiti è il capogruppo al Senato, Luigi Zanda.
Sull’argomento, si è espresso senza mezzi termini e in tempi non sospetti, prima e dopo la nascita del governo: “Per la legge italiana, Berlusconi non è eleggibile”.
La sua idea sull’argomento non è cambiata, ma preferisce non parlarne più: “Ora tocca alla giunta, che sta per iniziare a lavorare. Ha le sue procedure e la sua indipendenza”.
Anche dalle dichiarazioni quotidiane dei colleghi di partito, che escludono l’ineleggibilità ? “Non ho letto le parole di Speranza e Boccia — risponde Zanda — ma conosco personalmente i senatori e sono sicuro che non si faranno influenzare”.
Tra di loro, i democratici che siedono in giunta, si respira un’insofferenza sempre maggiore per le pressioni esercitate dai colleghi di partito.
“Quello sull’ineleggibilità non è un dibattito politico — insiste il senatore Giorgio Pagliari — bisogna studiare le carte e decidere solo in base a quelle. Sul piano meramente politico l’ineleggibilità di Berlusconi è grande come una casa dal 1994”.
Il senatore Giuseppe Cucca: “La giunta non fa valutazioni politiche, applica la legge”.
Ancora più netta la senatrice Rosanna Filippin: “Le dichiarazioni dei compagni di partito? Non me ne frega niente”.
Dalla giunta, in ogni caso, è difficile aspettarsi sorprese.
Per Berlusconi il vero motivo d’angoscia è la sentenza della Cassazione sul caso Mediaset.
Se dovesse essere confermata la condanna e l’interdizione dai pubblici uffici, il Pd non dovrebbe fare sconti: “Le sentenze — promette il segretario Guglielmo Epifani ieri al Tg3 — si rispettano e si applicano e questa sarà la nostra linea guida. Mancano ancora sei mesi… ”.
Tommaso Rodano
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Giugno 21st, 2013 Riccardo Fucile
SI PARLA SEMPRE PIU’ DI AMNISTIA O INDULTO PER RIMEDIARE ALLA TRAGICA SITUAZIONE CARCERARIA, MA C’E’ CHI PENSA A RISOLVERE COSI’ I PROBLEMI DEL CAVALIERE
Fa il ministro tecnico della Giustizia Annamaria Cancellieri, ma per due volte in 48 ore fa sapere che la “strada maestra” per risolvere la vergogna delle carceri italiane è quella dell’amnistia o dell’indulto.
Un provvedimento che, se scritto con criteri esclusivamente umanitari, potrebbe anche essere utile, ma che per come è sempre stato fatto non ha mai risolto le condizioni terribili dei detenuti.
Ha “graziato”, però, molti colletti bianchi.
Il provvedimento deve essere approvato dai due terzi delle Camere e il Guardasigilli, inevitabilmente, passa la palla: “Spetta al Parlamento decidere, il problema è squisitamente politico e non mi appartiene”.
Ma intanto esprime il desiderio del governo che riaccende le speranze di farla franca del suo “azionista di maggioranza”, Silvio Berlusconi.
L’amnistia estingue, in casi precisi, i reati.
L’indulto, se passa uno dei disegni di legge depositati in Senato da Pd-Pdl, cancella oltre la pena (in parte) anche quella accessoria .
E Berlusconi, come si sa, è stato condannato pure a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici al processo Mediaset, giunto in Cassazione.
”L’amnistia potrebbe essere la soluzione maestra, che darebbe più respiro. Ma è il Parlamento che deve fare questa scelta” ha ribadito ieri la ministra davanti al Plenum del Csm.
Il sovraffollamento delle carceri “è una priorità assoluta per la quale avverto, come cittadina, l’urgenza anche morale di un efficace intervento”.
E ha annunciato “di portare quanto prima all’esame del Consiglio dei ministri una serie di misure tese proprio ad alleggerire l’ormai insostenibile sovraffollamento delle strutture”.
Mercoledì, alla Camera, per rafforzare la sua tesi della necessità di un “provvedimento di clemenza” aveva fornito alcuni dati drammatici: nelle 206 carceri italiane ci sono 65.886 detenuti (tra loro 23 mila stranieri e 24.342 in attesa di giudizio) a fronte di una capienza di 46.945 posti e il piano di edilizia penitenziaria garantirà solo quattromila posti in più a fine 2013.
Dunque che si fa? Amnistia o indulto.
Come nel 2006 quando si disse che doveva essere un caso eccezionale per affrontare alla radice la piaga delle carceri traboccanti di detenuti.
In Parlamento ci sono già disegni di legge Pd-Pdl su amnistia e indulto che prevedono il salvataggio di Berlusconi se dovesse essere condannato anche in Cassazione all’interdizione dai pubblici uffici.
Sono stati presentati al Senato e prevedono la cancellazione, per alcuni reati, delle pene accessorie .
C’è poi un ddl alla Camera a firma Sandro Gozi (Pd) ma non è disponibile il testo.
Un progetto è stato presentato dai senatori democratici Luigi Manconi (primo firmatario) Paolo Corsini, Mario Tronti e da Luigi Compagna, senatore del gruppo misto. Compagna, nella scorsa legislatura, come senatore del Pdl provò a inserire un emendamento “salva Silvio” alla già discutibile modifica del reato di concussione contenuta nella legge Severino.
Questo ddl su amnistia e indulto è stato presentato al Senato il 15 marzo, assegnato in Commissione l’11 giugno ma l’iter non è ancora iniziato).
Prevede l’amnistia per tutti “i reati commessi entro il 14 marzo 2013 per i quali è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni”.
Per quanto riguarda l’indulto “è concesso nella misura di tre anni in linea generale e di cinque per i soli detenuti in gravi condizioni di salute”.
Ed ecco la postilla “salva Silvio” che per motivi di età , ovviamente non andrà mai in carcere: “È concesso indulto, per intero, per le pene accessorie temporanee, conseguenti a condanne per le quali è applicato anche solo in parte l’indulto”.
In caso di condanna in Cassazione per il processo Mediaset, e in caso di indulto, i 5 anni di interdizione sparirebbero.
Della pena a 4 anni di carcere ne rimane uno.
Gli altri 3 sono cancellati già dal provvedimento del 2006.
Pene accessorie automaticamente indultate anche in un altro ddl firmato solo da Compagna e Manconi.
Antonella Mascali
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 21st, 2013 Riccardo Fucile
“SILVIO AVEVA AVUTO RASSICURAZIONI”
Berlusconi è “furioso con Napolitano, che non ha rispettato gli accordi”: la rabbia del Cavaliere, dopo che la Consulta ha dato ragione ai giudici milanesi nell’ambito del processo Mediaset, si concentra tutta sul presidente della Repubblica.
Lo racconta chi, mercoledì sera, ha raggiunto B. a Palazzo Grazioli per ascoltarne lo sfogo e decidere i destini del governissimo.
Il capo dello Stato, secondo quanto riporta l’Huffington Post, sarebbe stato apostrofato dal Cavaliere un “comunista che non rispetta i patti”: perchè — confida al giornale on line uno dei presenti — “non abbiamo chiesto a uno come Napolitano un decreto salva-Berlusconi, ma certo c’era uno schema condiviso. Che è stato sviluppato nel tempo. Per il Cavaliere è questo schema che Napolitano ha tradito”.
Ancora più esplicito l’ex capogruppo Pdl Maurizio Gasparri, tra i fedelissimi accorsi l’altroieri alla riunione, che dice al Fatto: “Il mito dell’asessuata neutralità della Corte costituzionale andate a raccontarlo a qualcun altro. Sono otto i giudici che rispondono a Napolitano: Berlusconi si aspettava che la Consulta prendesse atto del clima di collaborazione, anzi di pacificazione che c’è grazie a lui”.
Ma il no al legittimo impedimento — spiega ancora — significa che “Napolitano non è nella condizione di poter garantire la fine della guerra”.
Sono in molti, nel Pdl, a raccontare di una dialettica tra Berlusconi e il capo dello Stato, che l’avrebbe rassicurato a più riprese: le larghe intese sarebbero nate proprio in cambio di una tregua giudiziaria.
Di questo, almeno, era convinto Berlusconi: “Ma è più probabile che con Napolitano non ci sia stata una vera trattativa. Piuttosto, qualche allusione”, dice Vittorio Feltri, direttore editoriale de il Giornale. Ma, suggerisce Alessandro Sallusti, “il Cavaliere discuta con Napolitano di persona per vedere se il patto è ancora valido: basta con gli ambasciatori”.
Tutto è infatti cominciato il 12 marzo scorso, quando Angelino Alfano, allora semplice segretario del Pdl, e gli ex capigruppo Fabrizio Cicchitto e Gasparri vanno al Quirinale per “rappresentare preoccupazioni di carattere politico-istituzionale per i recenti sviluppi delle vicende giudiziarie riguardanti il loro leader”, si legge in una nota del Colle.
Sono i giorni della manifestazione Pdl davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, e mancano poche settimane alle consultazioni.
Il colloquio pare andare a buon fine: “Napolitano ha ascoltato con grande attenzione le nostre preoccupazioni”, dicono i fedelissimi di Berlusconi.
La parola d’ordine diventa “pacificazione”, quella che, spiega l’onorevole Daniela Santanchè, “evidentemente la sinistra non vuole”.
Per qualche settimana, però, il clima cambia.
A inizio maggio Berlusconi rivoluziona pure il team di legali che lo difende: in vista della Cassazione, all’avvocato Niccolò Ghedini viene affiancato il professore Franco Coppi, dal profilo più istituzionale. “Per abbassare i toni e svelenire il clima”, spiega il quotidiano Libero.
Messaggio ricevuto.
Tanto che qualche giorno fa, proprio alla vigilia della pronuncia della Consulta, il capo dello Stato invita i giudici a perseguire “imparzialità ” ed “equilibrio”, e lancia un ammonimento niente affatto casuale: “Occorre che ogni singolo magistrato sia pienamente consapevole della portata degli effetti, talora assai rilevanti, che un suo atto può produrre anche al di là delle parti processuali”.
Ma la Corte respinge il ricorso di Berlusconi e il governo delle larghe intese, anche se ufficialmente nulla è cambiato, adesso traballa.
E così Napolitano torna a essere “nemico politico”, come dice Santanchè.
Che però giura: “Lo è sempre stato, proprio come il Pd. Non c’era alcun patto, solo che noi cercavamo la pacificazione, loro no”.
Anche Marcello Dell’Utri, passato a salutare il Cavaliere dopo la sentenza della Consulta, sostiene che un accordo concreto non ci poteva essere: “In questo Paese nessuno è in grado di dare garanzie. L’unica strategia possibile è prendere tempo”.
Secondo rumors che arrivano dalla Cassazione, il nuovo presidente, Giorgio Santacroce — finito nelle polemiche per le sue frequentazioni con Cesare Previti — potrebbe assegnare il processo Mediaset alle sezioni unite: così i tempi potrebbero allungarsi fino a raggiungere la prescrizione, prevista l’estate prossima.
Tutti negano invece l’ipotesi più drastica, quella dell’amnistia.
Intanto, però, il processo va avanti: “Sono certo che anche Napolitano abbia preso male la sentenza: crea problemi a tutti”, sostiene Gasparri.
Se un accordo c’era, insomma, è finito male.
Beatrice Borromeo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 21st, 2013 Riccardo Fucile
IN ITALIA SONO SEMPRE E SOLO “DISATTENZIONI”: NESSUNO SI DIMETTE MAI….LA POCO RASSICURANTE CONTINUITA’ CON LA CLASSE POLITICA DELLA PRIMA REPUBBLICA
Nel 2010 Claudio Scajola, allora ministro dello Sviluppo economico del governo Berlusconi, scopre che a sua insaputa gli è stata generosamente comprata una bella casa a Roma, a due passi dal Colosseo.
Tre anni dopo, nel 2013, la ministra Josefa Idem viene ad apprendere di aver commesso delle irregolarità nel pagamento dell’Ici.
Nemmeno lei sapeva niente.
La titolare del dicastero dello Sport e delle Pari opportunità era troppo indaffarata per occuparsi di persona di certe noiosissime pratiche.
La canoa e le Olimpiadi l’hanno portata spesso e volentieri altrove, anche all’estero, e lei non aveva il modo di perdere tempo con scadenze, soldi, case, tasse e palestre.
Idem, però, appena è uscita la notizia, ha subito dichiarato con foga: «Mi assumerò le mie responsabilità ».
Qualche lettore ingenuo e poco avvezzo agli usi e costumi della classe dirigente nostrana ha letto quell’affermazione e ha capito male.
Ha pensato che l’esponente del governo Letta si fosse decisa a dare le dimissioni e a concludere la sua avventura nell’esecutivo.
Accade così in tanti altri Paesi: c’è chi se ne va perchè non ha pagato i contributi alla collaboratrice domestica e chi rinuncia alla carriera politica perchè è stato colto in flagranza di bugia.
Ma l’istituto delle dimissioni non si usa spesso e volentieri.
Anzi, per essere più precisi, si usa veramente poco.
Del resto, perchè uniformarsi alle altre nazioni occidentali?
Perchè imitare quei bacchettoni degli americani che gridano allo scandalo per una banale irregolarità o perchè un loro parlamentare ha detto il falso?
In fondo, c’è un modo molto più semplice per riparare a certe «distrazioni»: rilasciare qualche dichiarazione alla stampa, assicurare che, nel caso in cui un errore, si badi bene inconsapevole, sia stato commesso, si provvederà prontamente a pagare quel che non si è pagato a suo tempo.
E poco importa se quest’ultimo sia un atto obbligato per non incorrere in più gravi sanzioni, e che quindi non sia necessario annunciarlo con tutta questa enfasi, quel che conta veramente è che non si debba ricorrere all’atto, dovuto, delle dimissioni.
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 21st, 2013 Riccardo Fucile
ORA SI CAPIRA’ CHIARAMENTE IL RUOLO AMBIGUO DI GRILLO SUI GRANDI TEMI DEI DIRITTI CIVILI
I “nuovi italiani” trovano un alleato nel Movimento 5 Stelle.
Un disegno di legge, presentato alla Camera da due deputati M5S, mira infatti a introdurre lo ius soli temperato nel nostro Paese.
Un progetto di riforma, questo, che va a sommarsi agli altri testi (in tutto 20) depositati in parlamento dai vari partiti (ad eccezione della Lega Nord) per provare a riscrivere la legge sulla cittadinanza del 1992.
Ius soli e M5S.
La proposta di legge è stata presentata il 14 giugno scorso da due deputati, Fabiana Dadone e Giorgio Girgis Sorial.
Basta andare a consultare il sito della Camera dei deputati: “Proposta di legge SORIAL e DADONE: Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza per nascita e di acquisto della cittadinanza (1204)”.
Cosa c’è scritto?
È cittadino italiano chi nasce in Italia da genitori stranieri regolarmente residenti da almeno tre anni o che ha completato in Italia due cicli di studi.
Insomma nessun ius soli puro: non basta nascere sul territorio dello Stato per diventarne cittadino, ma si richiedono altri requisiti, tipo la residenza regolare dei genitori.
La posizione di Grillo.
Eppure, nel gennaio 2012 Beppe Grillo aveva pubblicato un post bollando lo ius soli come un’idea “priva di senso”, che serviva solo a “distrarre gli italiani dai problemi reali per trasformarli in tifosi. Da una parte i buonisti della sinistra senza se e senza ma, che lasciano agli italiani gli oneri dei loro deliri. Dall’altra i leghisti e i movimenti xenofobi che crescono nei consensi per paura della liberalizzazione delle nascite”. Nulla a tal proposito si leggeva nel programma elettorale del Movimento, se non la proposta “dell’insegnamento gratuito della lingua italiana per gli stranieri (obbligatorio in caso di richiesta di cittadinanza)”.
Ma la posizione dell’M5S era parsa fin dall’inizio più articolata.
Per Davide Barillari, al tempo candidato del M5S alla Regione Lazio, infatti “una persona che nasce in Italia dovrebbe essere in modo naturale già cittadino italiano”.
Dal referendum alla legge.
Nel maggio scorso Grillo è tornato sulla cittadinanza, scrivendo sul blog che “questa regola può naturalmente essere cambiata, ma solo attraverso un referendum nel quale si spiegano gli effetti di uno ius soli dalla nascita”.
Ora invece due suoi deputati scelgono la via parlamentare e depositano la loro proposta per uno ius soli temperato.
Vladimiro Polchi
(da “la Repubblica”)
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Giugno 21st, 2013 Riccardo Fucile
LA MELONI NON LO CARICA SULLA MINI, ALEMANNO ASPETTA LA LIQUIDAZIONE DA SILVIO… PASSERA’ IL TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO?
Roberto Menia, plenipotenziario di Fli, intervistato da IntelligoNews, è stufo di vedere bollata come “Cosa nera” la destra che, insieme ad altri esponenti della vecchia Alleanza nazionale, sta cercando di ricostruire.
Ma attenzione: «Nessuno deve, prima ancora di iniziare questo nuovo percorso, innalzarsi a “giusto” o a nucleo fondante».
Roberto Menia, cos’è questa “cosa nera”?
«Basta con queste brutte etichette, la stanno facendo nascere nel peggiore dei modi».
La “cosa tricolore” sarebbe meglio?
«Non mi piacciono a prescindere le banalizzazioni giornalistiche. Qui si tratta di capire qual è il percorso da compiere».
Qual è?
«Iniziare prendendo coscienza che in Italia serve una destra politica. Ma è giusto anche che le “anime che l’hanno animata” si rimettano insieme».
Con i “soliti” Colonnelli?
«Dovrà essere innovativa, rivoluzionaria e al passo con le richieste dei cittadini. Dobbiamo ricostruire quel che si è “rotto, vogliamo una nuova primavera per la destra italiana. Chi fino ad oggi ha avuto ruoli decisivi all’interno delle istituzioni dovrebbe mettersi a disposizione per “formare” la nuova classe dirigente».
Siete d’accordo nel ripartire dal nucleo di Fratelli d’Italia?
«Credo sia sbagliato partire, come sta facendo Giorgia Meloni, dal presupposto di essere l’unico ad aver ragione. L’importante, torno a ripetere, è che tutte le diverse anime si rimettano insieme. La leadership si dovrà trovare, ma in un secondo momento, dopo aver messo a punto il progetto».
Come mai Fli non era a Milano lo scorso venerdì?
«Perchè non andiamo dove non ci invitano».
Rapporti tesi con Fratelli d’Italia?
«Non si tratta di rapporti tesi. E’ solo che non credo in questo momento ci sia qualcuno legittimato a dare “patenti”. La Meloni ha fatto un percorso obiettivamente importante, ma lei votò in Aula a sostegno della tesi di Ruby nipote di Mubarak… qualcuno forse l’ha dimenticato».
Però sarete a Lecce dalla Poli Bortone il 28 e 29 giugno.
«E non solo: domani sarò a Frosinone, il prossimo mercoledì a Roma con la Fondazione Almirante e anche a Lecce. A parlare, appunto, di questo progetto che tutti insieme dobbiamo ricostruire; senza giudicare gli altri e senza presunzioni».
Quali sono le differenze tra l’iniziativa della Meloni e quelle alle quali parteciperà nei prossimi giorni?
«Non partirei dalle differenze, parlerei al contrario delle diverse realtà che si stanno incontrando per rimettersi insieme. Ci siamo “venduti” qualche anno fa quando An entrò nel Pdl, ora rimbocchiamoci le maniche e rimettiamoci insieme».
Tra qualche ora ci sarà un incontro al vertice Alemanno-Berlusconi: resa dei conti finale tra il Cavaliere e gli ex An?
«Alemanno in questo periodo è stato lasciato da solo, fossi in lui chiederei a Berlusconi le motivazioni di questo isolamento. Ma gli chiederei anche qualcosa in merito alla possibilità di rifare Forza Italia e mi farei due conti…».
Se il Cavaliere confermasse questa intenzione?
«Sarebbe logico pensare a una nuova Alleanza nazionale».
Stesso brand?
«Con lo stesso spirito: le riproposizioni non servono».
Alemanno, più della Meloni, sarebbe in grado di assumerne la leadership?
«Non voglio dare i voti a nessuno. Alemanno sarebbe una risorsa per la destra, ma non vorrei che questo bisogno di destra si traducesse in un nuovo movimento personalistico. Abbiamo già “dato” sciogliendoci nel partito imperiale di Berlusconi…».
Francesca Siciliano
(da “IntelligoNews“)
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