Giugno 19th, 2013 Riccardo Fucile
IL COMUNE: NON HA VERSATO L’ICI SULL’IMMOBILE… IL MARITO: “E’ STATO SOLO UNA DIMENTICANZA”….LEI IN SERATA: “MI ASSUMERO’ LE MIE RESPONSABILITA'”
È il ministro più tedesco che abbiamo, eppure sembra essersi adattata bene agli italici costumi.
Josefa Idem, l’imbattibile olimpionica con otto edizioni dei Giochi alle spalle, ha forse un tallone d’Achille: la casa.
In quel di Ravenna, ed esattamente a Santerno dove abita con il marito-allenatore Guglielmo Guerrini e i due figli, il ministro alle Pari Opportunità , Sport e Gioventù aveva in realtà un’altra residenza: una casa-palestra.
Una residenza fittizia giocata a scopi fiscali?
La grana è esplosa proprio il giorno in cui il premier Letta a Lough Erne, al termine del G8, dichiarava: «Il problema dell’Italia è soprattutto dare l’idea di uno Stato di diritto che funzioni, con una giustizia che dia risposte, senza che ci sia la possibilità facile di eludere il fisco, che trionfi la logica per cui se sei amico dell’amico puoi avere le scorciatoie».
A 1500 miglia di distanza, intanto, uno dei suoi ministri subiva un accertamento da parte degli uffici comunali.
Che stabiliva una cosa: negli anni dal 2008 al 2011 Josefa Idem e il marito non hanno versato un euro di Ici risultando, la prima, abitante in una palestra di sua proprietà in carraia Bezzi, il secondo, nella loro abitazione di via Argine Destro Lamone. Entrambe indicate come abitazione principale.
Una situazione «aggiustata» solo il 4 febbraio scorso quando, con una dichiarazione Imu, il ministro è «tornata in famiglia» in via Argine Destro Lamone, indicando la palestra come seconda casa.
E poi il 5 giugno, non subito ma comunque entro i termini di legge, con un ravvedimento operoso e il versamento della parte mancante dell’Imu.
Perchè solo adesso? Le chiavi di lettura sono due.
La prima è quella del marito del ministro, Guerrini, che in un’intervista ha parlato di un «errore» trascinato avanti negli anni e di cui ci si è accorti tempo dopo.
La famiglia ha abitato per quattro anni in carraia Bezzi 104.
Poi, quando ci si è trasferiti, ci si è «dimenticati» di spostare anche la residenza del ministro.
Oppure c’è un’altra lettura, più italica.
Tra il 2008 e il 2011 l’esenzione dall’Ici ha giocato la sua parte, ma poi è arrivata l’Imu che – a differenza della precedente tassa – obbliga i coniugi a dichiarare una stessa residenza a meno che non si dimostri diversamente.
L’Imu, introdotta da Berlusconi, doveva entrare in vigore dal 2014, ma un decreto Monti del dicembre 2011 l’ha anticipata al 2012.
Anche il ravvedimento operoso è boccone ghiotto per i maliziosi: operato il 5 giugno, a tre giorni dai primi dubbi mossi sulla stampa locale.
Il ministro, secondo quanto dichiarato dal suo addetto stampa, «non ha alcuna intenzione di commentare questa polemica locale».
Tuttavia gli accertamenti non sembrano terminati.
Oltre al fronte fiscale si è aperto quello edilizio: al Comune, infatti, non risulta esserci una palestra in quell’edificio, bensì un’abitazione e dunque bisognerà valutare la conformità della palestra.
Il ministro ha nominato un avvocato perchè si occupi della faccenda.
Luca Di Raimondo si è già recato a Ravenna per visionare le carte e dichiara: «Stiamo valutando la situazione, ma è ovvio che è in atto una speculazione, peraltro fisiologica nella dialettica politica, e della quale ciascuno si assumerà le sue responsabilità ».
Ma il rischio ora è che la «polemica locale» diventi la prima vera tegola sul governo Letta, un governo che ha fatto del rigore e delle regole uno dei suoi cavalli di battaglia.
In serata la Idem emette un comunicato: “Dalle prime verifiche fatte dal mio avvocato — si legge — sembrano emergere alcuni profili di irregolarità e, ovviamente, sono pronta come qualunque cittadina ad assumermi ogni responsabilità , versando le eventuali sanzioni amministrative conseguenti, se dovessero essere confermate, sulla base degli accertamenti disposti, delle irregolarità di tipo amministrativo per quanto riguarda il pagamento dell’Ici, o edilizio e urbanistico per quanto riguarda il cambio di destinazione d’uso della palestra che occupa una parte dell’immobile dove risiedo”.
“Anche in questo contesto, continuerò a ispirarmi a un principio fondamentale della mia esistenza che è il rispetto delle regole e l’assunzione di responsabilità in caso di loro violazione” conclude il ministro.
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Giugno 19th, 2013 Riccardo Fucile
UN MISERABILE POST DI ANNA GIULIA GIOVACCHINI, NON ELETTA PER POCHI VOTI IN CONSIGLIO COMUNALE A MONZA, SCATENA LA SOLITA BUFERA POLITICA
“Quindi le gabbie dei tonni non solo uccidono i poveri pesci, ma danneggiano direttamente anche gli italiani, vegetariani o onnivori! Un motivo in più per non mangiare tonno!”
Con questo post apparso sulla propria pagina Facebook la leghista Anna Giulia Giovacchini, a capo della commissione Tutela animali del Comune di Monza, ha commentato la tragedia nel Canale di Sicilia, dove alcuni migranti sono annegati tentavano di aggrapparsi a una gabbia per l’allevamento dei tonni.
Candidata del Carroccio per un posto in consiglio comunale, Giovacchini non era stata eletta per un pugno di voti.
A trasferire il caso dal web al dibattito politico è stato Paolo Piffer, consigliere comunale di CambiaMonza, che parla di “frase stupida e razzista” e commenta così il caso: “Sulla rete ognuno è libero di scrivere ciò che vuole, ma se ne assume tutte le responsabilità ; esattamente come accade nella vita”.
Il sindaco pd di Monza, Roberto Scanagatti, ha subito preso provvedimenti e sollevato dall’incarico la leghista: “Quando ho visto quello che c’era scritto sul post, non ho avuto il minimo dubbio. Una persona che esprime quei concetti non può ricoprire alcun incarico nell’amministrazione che rappresento”.
Quello di Giovacchini non è il primo caso in cui esponenti della Lega a Monza e circondario si lasciano andare ad atteggiamenti di questo genere.
Nel settembre del 2012 il segretario del Carroccio di Bovisio Masciago si rammaricava che non fossero morti cinesi nell’incendio scoppiato in una magazzino di Monza.
E nel novembre dello stesso anno una consigliera provinciale della Lega aveva incitato i vulcani del Sud Italia a spazzare via quella parte d’Italia.
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 19th, 2013 Riccardo Fucile
TRA MEDIOCRI GENDARMI E PARODIA DI DITTATORI
Grillo, aiutato dal mediocre gendarme Bugani (uno di quelli che ha tramato nell’ombra, colpito da invidia penis, per la mia espulsione) mi attacca evidentemente infastidito dalle verità che sto raccontando sulla gestione delirante del m5s.
Preciso che la scelta di dimissioni dal Consiglio Regionale è solo ed esclusivamente mia: Tavolazzi, Salsi, Pirini, ecc.. pur espulsi continuano, com’è normale che sia, a lavorare per i cittadini.
Io ho scelto (nonostante sia in regione con quasi 10.000 preferenze personali e 160.000 voti come presidente), come si deduce dalla notizia linkata da loro stessi, di lasciare il consiglio (avrei ancora due anni) una volta terminate le mie principali battaglie, dal nuovo piano rifiuti a quello regionale della mobilità .
Non regalerò a chi governa il piacere di fare inceneritori e nuove autostrade senza colpo ferire, specie dopo tre anni di attesa e di dura opposizione che si concluderanno con queste importanti leggi.
Ma ormai Grillo pare aver perso di vista il bene comune.
È vero che in alcune interviste ho fatto una stima dei tempi, ma sempre ribadendo che il nocciolo era la conclusione di leggi e battaglie in corso.
E come Grillo sa i tempi dipendono da presidenza d’assemblea e commissioni: non da me.
Chiedo al blog beppegrillo.it l’immediata pubblicazione di questa mia replica.
Visti anche i commenti che sto leggendo. Grillo deve finirla di diffamare senza contraddittorio le persone scomode.
In caso contrario farò scrivere dal mio avvocato affinchè venga reso un servizio di verità e completa informazione, parole che lui ormai non conosce più.
Detto questo:
1) Grillo è l’ultimo che può parlare di coerenza, dall’uno vale uno, al cerchio magico dei fedelissimi ed alle espulsioni.
2) Rivoluzione civile non era un partito, ma un comitato di scopo nato per le elezioni e privo del tempo necessario per organizzarsi democraticamente. Ora lo stiamo facendo, senza i partiti e da semplici cittadini. Il 22 a Roma avremo la nostra prima assemblea. Grillo potrà venire a prendere lezioni di democrazia se vorrà , lo invito.
3) Vera coerenza ed etica: sono nel movimento da prima del successo. Ho lanciato per primo l’autoriduzione dello stipendio, quando ancora non esisteva la regola. Autoriduzione che ancora oggi faccio esattamente come il mio collega Andrea Defranceschi.
4) Se avessi voluto un posto in Parlamento (le proposte non sono mancate), sarei andato con un partito robusto, non con una lista fuori dalle alleanze e con lo sbarramento del quorum. Lista che con tutte le critiche che gli si poteva riservare, aveva un programma completo, chiaro e per molti aspetti uguale a quello del m5s.
5) Vorrei un confronto tra il lavoro che svolge ogni giorno il sottoscritto e quello del gendarme Bugani. Sono certo che i cittadini sapranno discernere tra chi lavora per un brand e chi per loro.
6) Aspetto Bugani in assemblea, io non ho niente da nascondere, lui qualcosina si.
Cari ex amici, affilate le frecce quando volete colpire qualcuno e smettete di vedere complotti ovunque.
Fatevene una ragione, state facendo tutto da soli.
Giovanni Favia
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Giugno 19th, 2013 Riccardo Fucile
NELLA VOTAZIONE FARSA SUL BLOG VOTA PER CACCIARE LA GAMBARO SOLO IL 65,8% MA SI ESPRIME APPENA IL 40% DEGLI AVENTI DIRITTO, 19.790 PRESUNTI ISCRITTI SU 48.292 PRESUNTI AVENTI DIRITTO
Adele Gambaro è fuori dal Movimento Cinque Stelle, ma Grillo sta peggio di lei.
La prima è stata espulsa da quattro gatti: 13.029 iscritti al blog su 48.292 aventi diritto, in pratica ha votato solo il 40,1% dei presunti iscritti.
E all’interno di questa minoranza si sono così espressi : il 65,8% (pari a 13.029 Voti) ha votato per l’espulsione, il restante 34,2% (pari a 6.761 Voti) ha votato per il no.
Ovviamente “si presume” perchè il sito è gestito da Grillo e Casaleggio e non certo da ente esterno neutrale.
Voto che, allo stesso tempo, certifica la disaffezione della base, vito che il destino della senatrice è stato deciso da meno della metà degli aventi diritto a partecipare alla consultazione online.
Ma che stia peggio Grillo è certificato dal sondaggio Swg da cui emerge che la maggioranza degli attuali votanti del Movimento 5 Stelle (56%) si è dichiarata contraria all’espulsione della senatrice Adele Gambaro e solo il 36% è invece favorevole.
E per quanto riguarda le intenzioni di voto i Cinquestelle sono in caduta libera: dal 25,5% delle politiche sono crollati al 17,5% di oggi.
In pratica ha perso un elettore su tre in pochi mesi.
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Giugno 19th, 2013 Riccardo Fucile
LO SVELA IL SECOLO XIX: LEI SI SAREBBE DOVUTA DIMETTERE, POI TRA DUE-TRE MESI, A BUFERA PASSATA, L’IMPEGNO DI CRIMI, PER CONTO DI GRILLO, A RIACCOGLIERLA… MA LA GAMBARO CON DIGNITA’ HA RIFIUTATO L’INCIUCIO
Questa sera la senatrice Gambaro sarà espulsa dalle milizie talebane: per quel che vale il tarocco del voto on line di non si sa chi.
Decisione che qualsiasi giudice della Repubblica italiana (e non talebana) ci metterebbe un minuto a dichiarare nulla, tanto è illegittima, oltre che ridicola.
Lo Statuto grillino registrato prevede infatti che non esista vincolo di mandato tra eletto e partito, in sintonia con la Costituzione: se è quindi legittimo dissentire in aula, figuriamoci se non lo è esprimere critiche ai vertici per l’esito elettorale nefasto. §
E anche richiamarsi al regolamento interno del gruppo al Senato è un autogol: in primis perchè l’eventuale allontanamento prevede la metà più uno dei voti dei membri del gruppo (ovvero 81 parlamentari su 160) .
E hanno votato per l’espulsione solo in 79.
In subordine perchè dovevano votare solo i senatori e non i i deputati (nel qual caso non sarebbe neanche passata la proposta).
Ma per coloro che credevano che i talebani non fossero dei pataccari e degli ipocriti, ecco che il “Secolo XIX”, sempre ben informato sulle vicende grilline, svela un interessante retroscena.
L’incontro segreto tra Crimi, Morra e la Gambaro, nel corso del quale i vertici Cinquestelle avevano proposto una exit strategy: dimissioni immediate della Gambaro, per salvare la faccia a Grillo, e tra due-tre mesi, a bufera mediatica passata, sarebbe stata riaccolta.
La Gambaro ha ritenuto offensiva della sua dignità la proposta e l’ha respinta.
Questa è la coerenza dei vertici Cinquestelle, i duri e puri dell’inciucio.
Per chi non avesse ancora compreso con chi ha a che fare.
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Giugno 19th, 2013 Riccardo Fucile
NEI CINQUESTELLE EMERGE QUALCOSA DI PATOLOGICO: “RINNEGATO, TRADITORE, INFILTRATO”, CONCETTI CHE RASENTANO LA PARANOIA
“Se fosse, ormai, una mera questione di «menti eccessivamente infiammate»? L’espressione è di un grande storico, Richard Hofstadter, e apre un suo celebre saggio pubblicato nel 1964 con il titolo, invero sintomatico: «The Paranoid Style in American Politics».
Grillo era di là da venire, ma ciò che da qualche tempo sta avvenendo nel Movimento Cinquestelle — rabbie, gelosie, sospetti, paure, processi, espulsioni — rende gli argomenti del professore molto, ma davvero molto e forse perfino troppo interessanti.
Ora, sebbene sia di pubblico dominio sostenere che il sistema politico è impazzito, che parecchi suoi protagonisti sembrano matti, e altrettanti si rinfacciano la pazzia l’un l’altro e via dicendo, è sempre piuttosto rischioso interpretare la vita pubblica secondo i modelli degli psichiatri e magare sostituire l’analisi con la diagnosi — tanto più selvaggia, oltretutto, quanto più frutto di nozioni orecchiate.
Ciò detto, e con vana speranza di aver messo le mani avanti, quando l’altro giorno la deputata dissidente Pinna denuncia «un clima da psico-polizia»; oppure quando ieri alla buvette del Senato l’ormai recidiva squadretta nominata «gruppo di comunicazione » s’imbatte nella senatrice Gambaro a colloquio con l’ineffabile Razzi e ritiene normale immortalare la scena, beh, la faccenda non solo si complica, ma saldandosi con le fobie di contaminazione, i flaconcini di disinfettante, i timori sui micro-chip sottopelle, i fanta-video di Casaleggio, i troll e gli hacker «pagati», la gogna on line, il potere nefasto di Barbara D’Urso, alla fine qualcosina di patologico si percepisce.
Forse è da paranoici notarlo. O forse, come spiega saggiamente Hofstadter, «nulla impedisce che un programma valido sia sostenuto con uno stile paranoico». Aggressivo e megalomane, ma a tal punto ripiegato su di sè da perdersi ormai nell’indistinta autocombustione di una setta che vive per misurare la propria fedeltà .
E non c’entra tanto il culto di Grillo, l’Eletto, il totalmente Buono, il Salvatore perseguitato dal gigantesco e subdolo meccanismo di influenza, eppure certo del trionfo finale, completo e definitivo («Ne rimarrà solo uno»).
Casi del genere sono infatti documentabili nella Lega e in ambito berlusconiano.
È piuttosto il conflitto tra Bene assoluto e Male assoluto che oltrepassa la retorica tradizionale richiedendo il soccorso di testi di psicologia; l’apocalittica certezza per cui il Movimento vive costantemente a un punto di svolta, ora o mai più, il tempo sta sempre per scadere; e la formulazione di obiettivi disperatamente irrealistici, il cento per cento dei voti, il governo.
Il discorso paranoico è in qualche modo graduabile.
Ma là dove si riconosce meglio è nel modo con il quale affronta ciò che in politica è inevitabile e quindi il dissenso.
Ecco, qui non si scampa: le figure dominanti, nel senso che si riferiscono al passato al presente e al futuro, sono quelle del rinnegato, del traditore e dell’infiltrato.
Ma il punto è che il ritmo della loro individuazione va facendosi concitato, e che nessuno pensa più all’ipotesi che si possa essere in disaccordo per ragioni per cosìdire «politiche» — che peraltro sembra che sfuggano agli stessi dissidenti. Tutto finisce per ridursi a infedeltà o, dall’altra parte, a mobbing e stalking. Non molto sano.
D’altra parte non di rado il cervello è, come la politica, una brutta bestia.
E chi abbia cominciato a occuparsene ormai molti anni orsono è colpito dal fatto che sempre più efficacemente venga proprio dagli psichiatri la chiave per leggere le vicende dell’attualità .
Proprio su Repubblica, nei primissimi giorni di aprile, Massimo Recalcati ha scritto, ad esempio, sul M5S: «Lo stato mentale di un movimento si misura sempre dal modo in cui sa accogliere la dissidenza. Sa tenerne conto, valorizzarla, integrarla? O agisce solo tramite meccanismi espulsivi?».
Ecco, meglio non si poteva dire, o prevedere.
Recalcati ha formulato l’ipotesi secondo cui Grillo sta gestendo la sua cospicua forza mossa da un «fantasma di purezza», tipico degli adolescenti.
Grosso modo, si proclama la propria diversità e innocenza incontaminata contro l’Altro, gli altri.
Si fotografano i reprobi, si fuggono i giornalisti, si cercano i nemici tra le proprie fila. E’ molto stressante.
Ma purtroppo è anche la base di tutti i poteri totalitari — e se questi ultimi, poi, siano paranoici o meno, di solito si capisce quando è troppo tardi.
Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica”)
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Giugno 19th, 2013 Riccardo Fucile
ANDREA SCANSI: “GRILLO NON CAPISCE CHE NON DEVE RISPONDERE SOLO A 50.000 MILITANTI MA A 9 MILIONI DI ELETTORI: E QUESTI LO STANNO ABBANDONANDO”
La Rete è il futuro. La Rete è la risposta. La Rete è la nuova agorà .
Per Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, e dunque per il Movimento 5 Stelle, la Rete è prima utopia e poi medium.
Senza Rete non c’è democrazia. E senza Rete, rigorosamente maiuscolo, non ci sarebbe stato il M5S.
Nel web, Beppe Grillo ha sempre radicalizzato i giudizi.
Più ancora che nella piazza reale, in quella virtuale c’è chi lo idolatra e chi lo detesta. Il suo manicheismo esplode.
Per i meccanismi della Rete, refrattaria alla neutralità , l’approccio urlato di Grillo è sempre stato adattissimo. I suoi post non erano solo studiati in ogni dettaglio, errori apparenti compresi, ma servivano per cementare l’appartenenza e alimentare l’idea di un “noi buoni” e “loro cattivi”.
Niente sfumature, perchè in guerra non c’è sfumatura: questo era il messaggio.
Ora, con il caso Gambaro, qualcosa è cambiato.
La decisione di “rimettere alla Rete” la senatrice dissidente ha giustamente esaltato i detrattori del Movimento, che non aspettavano un assist migliore per rafforzare l’idea di un Movimento assolutista e prossimo alla setta.
Sui social network si sprecano i paragoni con la Corea del Nord, lo stalinismo e il cristologico “Volete Gesù o Barabba?”.
La critica, per nulla nuova, è: “Uno vale uno, ma Grillo vale più di tutti”.
C’è anche chi ironizza sul potere decisionale della Rete: “Non so se scegliere ciabatte o infradito, mi rimetterò alla Rete”.
Non è però una novità che gli errori del M5S esaltino chi odia Grillo.
La novità , percepibile anche in Rete, sin qui casa accogliente del Movimento, è l’effetto che l’epurazione Gambaro sta avendo sui simpatizzanti.
Addirittura sugli iscritti. La maggioranza di questi ultimi, gli stessi che hanno partecipato a Parlamentarie e Quirinarie, è concorde con la linea “talebana” (per citare la deputata Pinna, un’altra epurata in pectore) .
Ma il M5S non deve però rispondere solo ai suoi 50 mila iscritti o giù di lì, ma anche a quasi 9 milioni di italiani che li hanno votati nello scorso febbraio.
Molti di loro sono internauti e molti di questi non li rivoterebbero.
Lo si capisce anche da una veloce retrospettiva in Rete, a partire dal sito del Fatto, particolarmente frequentato dai simpatizzanti 5 Stelle.
Se la linea di Grillo ha la maggioranza tra la base storica, non così è tra i suoi elettori. Rete inclusa.
La fronda dei duri e puri c’è, non necessariamente protetta da anonimato.
Spesso nei loro avatar c’è il simbolo M5S o la maschera di V per Vendetta (l’iconografia dei due V-Day).
L’ultrà grillino, o il bimbominkia come il web ha ribattezzato l’approccio adorante a prescindere verso qualsivoglia mito, bolla la querelle-Gambaro (e Pinna) come “mero gossip da giornalai”.
Tra insulti e minacce, si esorta chi osa non essere d’accordo a “parlare di cose serie e fare le pulci a Pd e Pdl”, secondo il motto (involontariamente craxiano, più che mozartiano) del “così fan tutte”.
Talora si prova ad argomentare: “Personalmente non ci vedo nulla di sbagliato nel lasciare il verdetto alla rete, è perfettamente in linea con le idee del MoVimento, perciò non capisco in cosa consiste la polemica”.
Gli ortodossi gentili, o anche solo non verbalmente violenti, sostengono che questa fase è sgradevole ma necessaria per liberarsi degli Scilipoti.
Non manca l’ammissione, più o meno esplicita, che la strada intrapresa sembra portare a un ridimensionamento elettorale in qualche modo inseguito: una forza dichiaratamente di opposizione e identitaria.
Una sorta di “Radicali 2.0”, oscillante attorno al 10 per cento .
Quello che Grillo e Casaleggio fingono di non leggere, o forse leggono ma se ne fregano (e magari continuano a dare la colpa agli elettori ), è che delusione e disillusione ora serpeggiano.
Forse esplodono.
Le amministrative lo avevano certificato, la deificata Rete ne riverbera l’eco. “Avete buttato nel cesso 8 milioni di voti”; “Bastava ignorarla… far finta che non esiste… Se ne sarebbe andata via da sola. Adesso la Gambaro è diventata una martire e Beppe il capo dittatore”; “Vi state consegnando all’autodistruzione”.
Pensieri simili, in Rete, si leggono ovunque.
E non li scrivono i “pennivendoli” brutti e cattivi, al soldo di Renzi o Civati, ma coloro che avevano votato M5S per cambiare le cose (come molti parlamentari stanno provando a fare).
Non per sapere che a Crimi la Gambaro sta antipatica, o che Grillo è uno e trino.
Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 19th, 2013 Riccardo Fucile
IL SOLO CASO AL MONDO IN CUI LA PUBBLICA ACCUSA E’ PURE PARTE LESA, LEGISLATORE E CONSULENTE TECNICO
Prima il popolo della Rete era chiamato “solo” a partecipare alla composizione del potere legislativo, indicando candidati (tra quelli che Beppe Grillo aveva precedentemente scelto e vagliato e selezionato) che successivamente venivano messi in lista (e quindi eletti) secondo criteri noti solo a Grillo e Casaleggio.
Questo modello è stato definito «potere ai cittadini» in un virtualismo in cui uno vale apparentemente uno, ma non si sa chi siano questi vari uno che compongono il totale, dal momento che tutto si svolge sulla piattaforma di Grillo, predisposta da Casaleggio, e senza alcun controllo (anatema se qualcuno dei votanti osasse chiedere «che mi fate vedere i log?»).
Sarà questa la nuova democrazia del web?
Tutti ci auguriamo di no, soprattutto i fondatori di liquid feedback che le definirebbero un mix tra abominio e presa in giro.
Non contenti della delega legislativa, Grillo e Casaleggio improvvisano una delega giudiziaria, a metà tra il processo mediatico, la gogna pubblica, il ludibrio collettivo e il reality show. La rete stavolta è chiamata a “votare” una sentenza di tradimento, con pena di espulsione e pubblico bersagliamento conseguente.
Ci sarebbe da essere seri se non fosse una “sentenza già scritta”.
Se fosse una cosa seria, e non strumentale, dovremmo rifletterci e interrogarci sul grado di civiltà di una simile idea di decisione e di processo in finto-streaming in cui la “parte lesa” (parafrasando) è anche quella che scrive la procedura, che detta le regole e le leggi, che commina la sanzione e sceglie la giuria popolare, oltre a essere in sostanza pubblica accusa e consulente tecnico.
In realtà questo è solo un pezzo di un lungo processo di “ridimensionamento” sia della misura che delle pretese del Movimento 5 Stelle, di quello che è rispetto a quello che doveva essere nelle intenzioni del suo padrone/fondatore.
Ovvero una sorta di accondiscendente braccio esecutivo, in cui la democrazia è diventata populismo demagogico, la trasparenza ridotta a streaming voyeristico, e la rabbia delle persone strumento e leva per il proprio successo personale.
Più che “una decisione” da prendere sulle sorti di una parlamentare che ha espresso le sue valutazioni sulla campagna elettorale e sui toni dei post di Grillo, questo in realtà è un plebiscito annunciato su Grillo, sulla sua leadership e sulla possibilità o eventualità di dibattito e critica interna: un modo per risolvere la partita in un colpo solo come a dire «adesso basta mi sono rotto» (cit.) e proseguire con un «adesso chiunque non la pensa come me se ne vada direttamente, senza battere ciglio, pena il linciaggio (pre cacciata)».
Michele Di Salvo
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Giugno 19th, 2013 Riccardo Fucile
DELEGITTIMARE, ISOLARE, LIQUIDARE IL NEMICO: LA TECNICA MAFIOSA PER ECCELLENZA, SECONDO GIOVANNI FALCONE
Delegittimare, isolare, liquidare il nemico. La tecnica mafiosa per eccellenza, secondo Giovanni Falcone. Ma non solo mafiosa, anzi.
Una tecnica adottata da molti dittatori, l’esempio classico è quello delle purghe staliniane.
Delegittimare, isolare, liquidare.
E’ lo stesso schema utilizzato dai gruppi parlamentari grillini contro due “dissidenti” e che apre la strada a una epurazione più ampia. Così finalmente Grillo e Casaleggio avranno i loro “guerrieri” in Parlamento.
La foto che vedete riproduce un post apparso sulla pagina Facebook ufficiale del M5S della Camera. Un post rivolto contro una loro deputata, la cagliaritana Paola Pinna. Una cosa degna di Vyšinskij o di una mente mafiosa.
Prima la delegittimano, quasi negano di averla mai vista, lasciano intendere che è una che pensa solo ai soldi.
Poi la isoleranno (anzi, hanno già cominciato: “Paola Pinna chi?”) e infine lasceranno alla rete il compito di liquidarla, decretandone l’espulsione.
Così hanno fatto con la senatrice Adele Gambaro, insultata per giorni su Internet senza che il suo gruppo parlamentare sentisse l’esigenza di difenderla ufficialmente (lo hanno fatto alcuni suoi colleghi, ma è una cosa diversa).
Colpisce anche il linguaggio utilizzato.
Contro la senatrice emiliana si è scagliato Grillo in persona, modificando il suo “uno vale uno” in un eloquente e offensivo “vali niente”.
Contro la Pinna ci ha pensato invece il suo collega Manlio Di Stefano, che fatto proprio copiato e incollato su Facebook un commento del radiodrammaturgo Diego Cugia:
“Ma risparmiatemi questa Cosetta dei Miserabili dell’onorevole grillina Paola Pinna (laureata disoccupata che viveva con i genitori a Quartucciu, Cagliari, e con cento voti cento è diventata deputata al Parlamento) che invece di spargere petali di rosa dove Grillo cammina, sorge in difesa di una certa Gambaro, un’altra miracolata che si crede Che Guevara”.
Parole dalle quali trasuda un disprezzo antropologico e quasi di classe: da una parte il giovane ingegnere palermitano trapiantato a Milano che ha salito la scala sociale; dall’altra la disoccupata di Quartucciu che vive con i genitori.
Andrebbe forse aperta una parentesi sul fatto che Di Stefano non è minimamente sfiorato dal sospetto di essere anche lui un miracolato dal Porcellum, ma lasciamo perdere per carità di patria.
Colpisce, infine, il fatto che questo trattamento venga riservato a due donne.
Che non sono certo le uniche due “dissidenti” tra i parlamentari Cinquestelle ma vengono colpite con particolare durezza.
Un tratto di sessismo che ricorda quello con cui Beppe Grillo si scagliò contro la dissidente ante litteram Federica Salsi: “La tv è il vostro punto G”.
Il suo deve essere lo stalinismo. In salsa genovese.
Al pesto.
Riccardo Liguori
(da “Palazzo lontano“)
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