Giugno 20th, 2013 Riccardo Fucile
SILVIO, ECCO DOVE TROVARE I SOLDI PER ABOLIRE IMU E AUMENTO IVA: CHIEDILI A BOSSI E MARONI CHE HANNO PROTETTO PER ANNI DEGLI IMPOSTORI
Giornata pesante per l’Italia al cospetto di Bruxelles.
Oltre alla questione della gestione dei rifiuti in Campania, la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora, prima tappa della procedura d’infrazione Ue, esortandola a “recuperare ai produttori di latte, che tra il 1995 e il 2009 hanno superato le quote loro assegnate, multe per un totale stimato in almeno 1,42 miliardi di euro, in gran parte ancora non riscossi”.
Il riferimento è al sistema di quote – introdotto dal lontano 1984 – che assegna ai produttori di ogni Stato membro un quantitativo limite di produzione nazionale, ideato in teoria per combattere il problema della sovraproduzione cronca.
Se uno Stato membro supera la propria quota, i caseifici o i suoi singoli produttori sono tenuti a pagare un prelievo sulle eccedenze.
“Oggi la Commissione europea ha esortato l’Italia a porre rimedio alle carenze nelle azioni di recupero dei prelievi sulle eccedenze dovuti dai produttori lattiero-caseari che hanno superato le quote individuali negli anni in cui il paese ha superato le quote latte nazionali”, si legge nel comunicato della Commissione.
“Le autorità italiane, nonostante le ripetute richieste della Commissione, non hanno ancora adottato le opportune misure per recuperare i prelievi dovuti tra il 1995 e il 2009, che si stima corrispondano a un importo complessivo di almeno 1,42 miliardi di euro e che sono in gran parte ancora non riscossi. La Commissione ha sottolineato la necessità di rimborsare tale somma al bilancio dello Stato, per evitare che le conseguenze ricadano sui contribuenti italiani”, si aggiunge.
Il mancato recupero di questi prelievi, scrivono ancora a Bruxelles, “vanifica le azioni intraprese a livello europeo per stabilizzare il mercato dei prodotti lattiero-caseari, oltre a creare distorsioni della concorrenza con altri produttori europei e italiani che hanno rispettato le quote di produzione o pagato i prelievi sulle eccedenze in caso di superamento dei limiti”.
La Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora, concedendole un termine di due mesi entro il quale presentare eventuali osservazioni; dopo averle esaminate, potrà chiedere allo Stato italiano – con un “parere motivato” – di intraprendere le misure necessarie per conformarsi al regime delle quote entro un determinato intervallo di tempo.
(da La Repubblica”)
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Giugno 20th, 2013 Riccardo Fucile
INSOFFERENZA TRA I MILITANTI PER IL RISCHIO DI ESSERE “SBATTUTI FUORI” PER OPINIONI DISSONANTI…IL CASO DI “RIJI MAGO”, ATTIVISTA DELLA PRIMA ORA
Tra la base e gli attivisti del Movimento 5 stelle del Sud Milano c’è malumore, emerso nella riunione del 18 giugno, che ha chiamato a raccolta i Meet-up di San Giuliano Milanese, San Donato Milanese, Peschiera Borromeo e Melegnano.
Una fetta importante del popolo grillino lombardo, che fin dall’inizio s’era messa al fianco di Beppe Grillo per supportarlo — anche tecnicamente — nella sua “discesa in campo” politica e durante le sue apparizioni a Milano e provincia.
Non era raro vedere, in quelle occasioni, persone con pettorine con sopra scritto: “Amici di Beppe Grillo, Melegnano” occuparsi della security durante affollatissimi comizi.
Oggi i toni sembrano diversi.
“Cari ragazzi, io penso che noi del M5S siamo ad una svolta importante: siamo impantanati come una macchina in una strada piena di fango, con le ruote che girano a vuoto, e più girano più andiamo a fondo”.
Si legge a firma “Nicola A.” sul Meet-up del Sud Milano, a dimostrazione che la discussione interna è seria e non risparmia l’autocritica.
Il processo alla senatrice Adele Gambaro, colpevole di aver espresso pubblicamente il proprio disappunto nei confronti di Beppe Grillo e per questo espulsa dal gruppo parlamentare, ha certamente gettato benzina sul fuoco.
Non ancora del tutto archiviano quel caso, è esploso poi quello della deputata Paola Pinna, anche lei fino a ieri a rischio espulsione.
Situazioni al limite, che unite a vecchie diatribe a nome “Favia” e “Salsi” fanno scrivere ad alcuni attivisti del Sud Milano, che nel Movimento si è arrivati al punto che “prima di dire o fare qualsiasi cosa, bisogna pensare se quello che diciamo o facciamo andrà bene al Signor Grillo, perchè altrimenti ci sbatte fuori”.
I grillini lombardi sono chiamati a raccolta il prossimo 23 giugno per l’Assemblea regionale che si terrà a Cernusco sul Naviglio in provincia di Milano.
Tra gli attivisti Sud milanesi che con maggior trepidazioni attendono quell’appuntamento, c’è Riccardo Cazzola, nell’ambiente conosciuto col soprannome di Riki Mago, un esperto informatico e titolare di un laboratorio di riparazioni elettroniche prima che la crisi glielo portasse via.
“Quello che domanderò io in sede regionale — dice Cazzola — è maggior trasparenza nella gestione del Movimento”.
Cazzola parlerà in riferimento alla situazione generale, ma senza scordare alcune sue esperienze personali. Lui, che per il Meetup Milano1 curò le prime dirette streaming dei comizi di Grillo da Piazza del Duomo, ha spedito nei giorni scorsi il proprio curriculum alla direzione regionale del Movimento, per proporre la sua candidatura all’interno dello staff che cura la comunicazione. Non ne ha saputo più nulla.
E così, considerandosi non proprio l’ultimo arrivato, da buon fruitore del web ha creato una discussione su Facebook, per chiedere conto di quella mancata risposta e domandando che venisse spiegato come si sarebbero scelti quei collaboratori.
Qualcuno ha postato che visto l’alto numero di curriculum arrivati è “stato dato seguito solo ai candidati più rispondenti ai requisiti richiesti”.
Ma c’è stato anche chi ha risposto: “Trovo assurdo che per Riccardo non si sia trovato un ruolo, visto gli anni che ha dedicato a quello che non era ancora un movimento. In più sappiamo tutti benissimo il periodo difficile che sta passando. La gratitudine non è contemplata. Questo non mi piace”.
Cazzola è anche l’autore di una mozione, presentata ai nove consiglieri regionali lombardi del Movimento 5 stelle, per ampliare ad artigiani e piccoli imprenditori, il periodo proroga di 18 mesi del pagamento delle rate dei mutui, nel caso gli stessi attraversino un periodo di crisi e restino senza reddito. Un’altra battaglia che sente sulla sua pelle. Le banche, infatti, stanno per portargli via la casa. Per salvarla è stata pensata pure una donazione in rete.
“Ma per quanto riguarda la mozione anche lei s’è persa nei meandri della politica” dice Cazzola. “Vedremo — conclude — come ci risponderanno i nostri consiglieri regionali alla riunione del 23. E ne prevedo delle belle”.
Fabio Abati
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Giugno 20th, 2013 Riccardo Fucile
POI CANCELLA IL POST SU FACEBOOK, MA IL SEGRETARIO DEL PARTITO CHIEDE L’IMMEDIATA ESPULSIONE
Bufera sulle frasi scritte su Facebook da una consigliera di circoscrizione a Prato che è anche componente della segreteria provinciale Pd, Caterina Marini, 30 anni: “Extracomunitari ladri stronzi dovete morire subito”.
Dopo la diffusione del post, poi cancellato, il segretario pratese del Pd, Ilaria Bugetti, ha chiesto l’espulsione dell’iscritta: “Con quelle dichiarazioni – dice – è di fatto fuori dal Pd. Ho già chiesto l’apertura di un procedimento disciplinare”.
Il messaggio contro gli extracomunitari, rimosso qualche ora fa, è stato postato nei giorni scorsi, dopo un tentativo di furto subito dalla sorella della consigliera di circoscrizione: “Mentre andava in camera si è trovata faccia a faccia con un ladro. Che città di merda è questa. Extracomunitari ladri stronzi dovete morire subito”.
Nei commenti seguenti, rispondendo ad una amico che la interrogava sulla gravità delle sue affermazioni, Caterina Marini ha aggiunto: “Sconvolta. Era un magrebino. Agile come un gatto. E datemi di razzista non me ne frega. La gente ha solo discorsi”.
Immediata la reazione della rete.
Nel condannare il post, il segretario pratese del Pd Bugetti scrive che quelle dichiarazioni “violano chiaramente i nostri principi fondanti che da sempre si rispecchiano nell’anti-razzismo, nella non-violenza e nel rispetto della convivenza. Tali affermazioni hanno giustamente colpito la sensibilità delle forze politiche, associative e civili che tutti i giorni lavorano a quell’idea d’integrazione irrinunciabile in una moderna ed evoluta società “.
“Non spetta direttamente a me emettere delle sanzioni – conclude la segretaria cittadina del Pd – e ho già chiesto l’apertura di un procedimento disciplinare presso la commissione di garanzia. Tuttavia appare evidente la violazione del codice etico che Caterina Marini ha sottoscritto”.
(da la Repubblica“)
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Giugno 20th, 2013 Riccardo Fucile
SMENTITA DAI DATI UFFICIALI LA PALLE DEI RAZZISTI NOSTRANI: PER NUMERO DI PROFUGHI OSPITATI, SIAMO AL SESTO POSTO IN EUROPA, BEN LONTANI DA FRANCIA E GERMANIA
C’è una foto significativa nelle prime pagine del rapporto 2013 sui rifugiati curato dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite.
Ritrae la famiglia di una ragazzina fuggita dal Mali durante la guerra fra integralisti islamici e soldati governativi e accolta in un campo profughi in Burkina Faso.
Si chiama Aminata, è una madre giovanissima, e accanto a lei dorme un fagottino di due mesi, sua figlia Aichatou. Aminata indossa una maglietta nera un po’ sbiadita, su cui campeggia questa frase, in italiano: “La mamma non ti ha detto niente?”.
No, che non le aveva detto niente, quanto meno nulla che bastasse a evitare il destino della diseredata, sotto il sole, nella polvere, a dipendere dalla carità degli altri.
È una coincidenza curiosa che la frase sia in italiano, una lingua diventata ormai, nei codici globali, il simbolo dell’abbigliamento.
Chissà se nel sogno della ragazzina maliana senza tetto c’è anche un’idea del nostro Paese, che visto dall’Africa sembra la porta dell’Europa e dunque la strada principale per il benessere.
Fra le cose che la mamma non ha detto ad Aminata, c’è anche la paura italiana dell’invasione, l’allarme tsunami, come lo chiamarono pochi mesi fa i politici intenzionati a usarlo.
E invece la tendenza delineata dal rapporto dell’Unhcr è proprio in senso contrario.
Macchè invasione, altro che tsunami: le carrette dei mari stracariche di disperati e dirette a Lampedusa sono in calo netto, dice l’Alto commissariato.
Nel 2012 le domande di asilo presentate in Italia sono state 17.352, la metà rispetto all’anno precedente.
Nel nostro Paese a dicembre i rifugiati erano 64.779: una cifra sicuramente significativa ma ben lontana dalle immagini catastrofiche proposte negli anni scorsi.
In realtà l’Italia è al sesto posto fra gli Stati europei, ben lontana dalla Germania, che ha accolto 589.737 rifugiati, e dalla Francia, che ne ospita 217.865.
Anche il Regno Unito (con 149.765), la Svezia (92.872) e la piccola Olanda (74.598) hanno fatto di più, aprendo le porte a perseguitati e fuggiaschi.
Niente a che vedere, s’intende, con le emergenze che devono fronteggiare Paesi molto più deboli finanziariamente delle nazioni d’Europa: il Pakistan, per esempio, ha accolto 1,64 milioni di afgani, e la repubblica islamica d’Iran 862 mila.
A ridurre la corrente verso l’Italia, sostiene l’Unhcr, è stata la fine della fase più drammatica delle violenze in Nord Africa.
Ma se le rivolte della Primavera araba attraversano una fase meno convulsa e la guerra in Libia, al di là delle scosse di assestamento, è comunque finita, le tendenze globali sono preoccupanti. La cifra complessiva di rifugiati e sfollati ha raggiunto livelli che non erano sfiorati dal 1994. Secondo l’Alto commissariato, le persone coinvolte in migrazioni forzate alla fine del 2011 erano 42,5 milioni e nel 2012 hanno raggiunto quota 45,1 milioni.
Oltre 15 milioni erano rifugiati propriamente detti, quasi un milione i richiedenti asilo, e gli altri – circa 28,8 milioni – erano sfollati, persone costrette a lasciare la casa ma rimaste nel proprio Paese.
A provocare le migrazioni è soprattutto l’incubo della guerra. Lo dimostra il fatto che 55 rifugiati su cento vengono da cinque Paesi coinvolti nei conflitti: Afghanistan, Somalia, Iraq, Siria, Sudan. Altri flussi “importanti” sono quelli dei fuggiaschi dal Mali e dal Congo RDC.
Ma quello che spesso sfugge è la distribuzione dei fuggiaschi. Le tabelle dell’Onu parlano chiaro e smentiscono una volta per tutte i luoghi comuni.
Ben 81 rifugiati su cento sono ospitati da Paesi in via di sviluppo.
E persino i più poveri fanno la loro parte in maniera consistente: 2,5 milioni di rifugiati (cioè il 24 per cento del totale) vivono nei 49 Stati meno sviluppati del pianeta. Insomma, c’è solo la fuga dall’orrore e dalla morte, il presunto assedio alla cittadella dei ricchi è semplicemente una bugia.
Gianpaolo Cadalanu
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Giugno 20th, 2013 Riccardo Fucile
“RISCHIO DI CONCENTRAZIONI E DI RINCARI SUL MERCATO ELETTRICO”
«In molti settori dell’economia italiana si registra un livello di concorrenza non ancora soddisfacente e i prezzi pagati dai consumatori tendono irrimediabilmente a salire. In questa ipotesi sembra rientrare il mercato delle assicurazioni».
Non è certo la prima volta che l’Antitrust si occupa di Rc auto.
Solo quattro mesi fa l’Autorità garante per la concorrenza ha chiuso quell’indagine conoscitiva che ricordava come il «premio medio sia in Italia più del doppio di quello di quello pagato in Francia e in Portogallo, superi quello tedesco dell’80% e quello olandese di quasi il 70%».
Ma ieri il presidente Giovanni Pitruzzella ha ripetuto il suo appello per una «indispensabile» riforma del settore direttamente in Parlamento, dove ha presentato la relazione annuale.
Nello stesso giorno l’Ivass, l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, mette in fila altri numeri poco virtuosi.
Tra aprile 2012 e aprile 2013 la tariffa Rc auto è salita in particolare per le donne, con un picco del +12% per le neopatentate.
Mentre per i coetanei maschi si registra una flessione del 6,4%.
Un’apparente discriminazione al contrario che arriva dopo la sentenza della Corte di giustizia europea che ha bocciato le polizze agevolate per le donne, che pagavano meno perchè considerate più prudenti.
A fare i conti più in generale sono Adusbef e Federconsumatori: tra il 1994 e il 2012 il premio medio è passato da 391 a 1.350 euro.
Mentre il Codacons ricorda come, tra crisi e polizze care, le stime Aci parlano di 4 milioni di auto che circolano senza tagliando.
Non solo assicurazioni, naturalmente.
Nella sua relazione Pitruzzella ha toccato anche altri punti importanti. L’energia, dove tra consumi in calo e diffusione delle rinnovabili c’è il rischio che il «mercato torni a concentrarsi» con aumenti dei prezzi «assai probabili ».
La telefonia, con il «grande interesse» per la decisione di Telecom di scorporare la rete della società , un passaggio molto apprezzato dai competitor Vodafone e Wind.
Il settore bancario, che «costituisce una priorità di intervento » per la tutela dei consumatori.
E ancora Internet, che rappresenta una «grande opportunità di sviluppo » ma ha bisogno di regole per la «tutela dei diritti di chi produce contenuti», sul modello dell’accordo tra Google e gli editori francesi.
Nel settore dei trasporti Pitruzzella ha detto come «l’avvio dell’operatività dell’Autorità di settore non sia più rinviabile», incassando la promessa del ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi: «Spero che entro l’estate presenteremo la terna dei nomi per la sua costituzione ».
Di numeri e richiami ce ne sarebbero ancora, come le sanzioni per 182 milioni di euro distribuite negli ultimi 17 mesi.
Ma anche la cornice conta. E in linea con i tempi, il presidente dell’Antitrust ha scelto stavolta un taglio sociale: «Con la crisi – dice–la concorrenza diventa centrale non solo per la crescita ma anche perchè è una leva per ridurre le diseguaglianze».
Non a caso sulla prima pagina della relazione viene citato Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia che ha appoggiato Occupy Wall Street: «Ci sono due modi per arricchirsi: creare ricchezza o toglierla agli altri. Il primo aggiunge qualcosa alla società , il secondo di solito sottrae».
Lorenzo Salvia
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 20th, 2013 Riccardo Fucile
ABBATTUTO L’ECOMOSTRO DI SCALA DEI TURCHI: CI SONO VOLUTI 25 ANNI
Abbattuti, finalmente! Gli ecomostri che stupravano la splendida Scala dei Turchi non ci sono più.
Ma sotto le ruspe deve finire in macerie anche la proposta pidiellina di togliere alle Procure l’ultima parola sulle demolizioni.
Senza l’ultimatum dei giudici, infatti, quegli orrendi cadaveri cementizi agrigentini sarebbero ancora lì.
Un quarto di secolo dopo la denuncia dell’abuso.
Era il 1989, quando venne tirato su il primo di quei mostri ai piedi di quella parete rocciosa di un bianco sfolgorante a picco sul mare sulla costa di Realmonte, in provincia di Agrigento.
La rivolta studentesca di piazza Tienanmen era repressa coi carri armati, i sovietici si ritiravano dall’Afghanistan, Erich Honecker cercava barricarsi nella sua Germania Est comunista, a palazzo Chigi c’era Giulio Andreotti e lo scudetto andava all’Inter di Matthà¤us.
Insomma, era tanto tempo fa.
E quegli osceni edifici al di qua e al di là della Scala dei Turchi vennero costruiti, sotto il profilo formale, «quasi» lecitamente.
L’albergo fu inizialmente autorizzato dal municipio di Realmonte, pazzesco ma vero, nonostante fosse su terreno demaniale.
Le dieci ville sulla spiaggia (di cui tre sole costruite almeno in parte prima del blocco dei cantieri) ottennero il via nonostante lo strumento urbanistico fosse scaduto.
Di più: le concessioni, in violazione del vincolo paesaggistico, furono rilasciate a se stessi, a parenti, prestanome e amici da assessori, consiglieri e tecnici del comune di Realmonte.
Tutti i giochetti registrati più volte, negli ultimi decenni, soprattutto nel Mezzogiorno. E seguiti ogni volta da dispute processuali infinite e surreali: quale valore può avere una licenza concessa contro tutte le regole e tutti i piani paesaggistici da amministrazioni locali scellerate che magari, a volte, si sono pure vendute quelle autorizzazioni in cambio di mazzette?
Anche lì a Realmonte, dove erano plateali gli sfregi alla legge e alle bellezze naturali subito denunciati dagli ambientalisti e in testa a tutti da Legambiente e dal suo leader di allora Giuseppe Arnone, le cose si sono trascinate, di ricorso in ricorso, per oltre un paio di decenni.
A dispetto delle battaglie ambientaliste. Dei vincoli. Dei rifiuti alle pratiche di condono.
Dell’inchiesta aperta dall’attuale questore della Camera Stefano Dambruoso che era al primo incarico in magistratura e fece ammanettare un po’ di amministratori e tecnici.
Venti anni di ricorsi e contro-ricorsi, di perizie e contro-perizie, di fotocopie a quintali, di avvocati decisi ad attaccarsi al più minuscolo cavillo per tirarla in lungo.
E mai un’ordinanza comunale di demolizione.
Il paese è piccolo, pochi voti possono costare la rielezione, perchè mai un sindaco dovrebbe cercare rogne mettendosi contro un po’ di compaesani? E tutto ciò nonostante la richiesta all’Unesco, qualche tempo fa, di inserire la Scala dei Turchi tra i beni tutelati in quanto patrimonio dell’umanità ! Una pretesa che, con quegli osceni scheletri cementizi di mezzo, era surreale e suicida..
Finchè l’anno scorso, finalmente, dopo una cena dalle parti di Realmonte del procuratore Renato Di Natale, scandalizzato dalla scoperta («Nessuno in ventiquattro anni si era preoccupato di capire perchè gli ecomostri fossero ancora lì!») decise di muoversi la magistratura agrigentina.
Notificando a brutto muso al sindaco Piero Puccio, per mano del procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e del sostituto Antonella Gandolfi, un’ingiunzione a demolire immediatamente quei mostri di calcestruzzo.
«Immediatamente» coi tempi italiani, si capisce.
Fatto sta che dopo nuovi ricorsi al Tar (respinti) e al Consiglio di giustizia amministrativa (respinti) sono arrivate finalmente le ruspe.
Buttando giù giorni fa lo scheletro dell’albergo e tra ieri e oggi gli scheletri delle ville. Dopo di che, se non ci vorranno altri vent’anni per rimuovere le macerie, la Scala dei Turchi tornerà ad essere quella meraviglia naturale che i più giovani non hanno mai potuto vedere nella sua abbagliante bellezza.
Proprio il caso che abbiamo raccontato dimostra quanto siano faticose queste battaglie per la legalità .
E quanto sia insensato, quindi, il disegno di legge firmato dal senatore pidiellino campano Ciro Falanga che vorrebbe togliere alle Procure la competenza in materia di esecuzione delle demolizioni.
Proposta che arriva dopo 18 tentativi a partire dal 2010, tutti e 18 respinti, di far passare un nuovo condono edilizio almeno per la Campania, la regione storicamente più devastata dal cemento fuorilegge.
Si pensi a Ischia: 62.000 abitanti, 28.000 abusi.
Davanti alle proteste degli ambientalisti e di una parte della sinistra, che col presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza accusano Falanga di volere «legare le mani a chi, in un Paese devastato dal mattone illegale, ha provveduto fino a oggi alle demolizioni», il senatore berlusconiano ha risposto che si tratta solo di «dare ai cittadini, destinatari di tali provvedimenti, la possibilità di godere di tutte le garanzie del procedimento amministrativo».
E si è avventurato a sostenere che «chi s’oppone negando tale sistema di garanzie, si assume tutte le responsabilità di eventuali tragici accadimenti ed il rischio di vite umane».
Come se gli abusi fossero fatti solo da poveracci obbligati da chissà chi a violare le regole e costruirsi illegalmente la prima casa. Cosa che, come dimostrano il caso di Realmonte, quello dell’hotel Alimuri a Vico Equense e tanti altri, è assolutamente falsa.
Di più, spiega il dossier «Ecomafia 2013» di Legambiente sui comuni capoluoghi di provincia che «in un decennio, dal 2000 al 2011, il rapporto tra ordinanze e abbattimenti è solo del 10,6%».
E già c’è da leccarsi le dita rispetto al passato e ai piccoli paesi dove il rapporto fra le amministrazioni e i cittadini è più diretto ma anche più vischioso.
Basti dire negli anni 90 in Campania, Sicilia, Calabria e Puglia, che da sole coprono il 37% degli abusi, le ruspe entrarono in azione contro gli edifici abusivi «non sanabili» e colpiti da ordine di demolizione, soltanto nello 0,97% dei casi.
E vogliamo lasciare la responsabilità ai comuni? Ma dai…
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 20th, 2013 Riccardo Fucile
L’ILLUSIONE CHE LA QUESTIONE DEMOCRATICA SI RISOLVA TAGLIANDO IL NUMERO DEI DEPUTATI E CAMBIANDO LA FORMA DEL PARLAMENTO
La democrazia italiana sta male non solo perchè ci sono due Camere invece di una o perchè i parlamentari sono 1000 e non 500.
Ma perchè le si sono aperte dentro due immense voragini.
Una è quella che ormai separa le istituzioni rappresentative dalla cittadinanza concreta, l’altra è quella che si è creata tra il principio di maggioranza politica e il principio di competenza tecnica.
La prima scollatura ha determinato la crisi del rapporto tra i mondi vitali (interessi, speranze, volontà ) della gente qualunque e la rappresentanza collettiva che se ne ha nelle istituzioni.
L’altro vuoto, quello tra maggioranza elettorale e competenze, ha portato alle varie storture: la necessità di governi tecnici senza vere basi politiche, l’egemonia di una amministrazione pubblica autoreferenziale, la formazione di gruppi parlamentari “per caso”.
Alla radice di questi aspetti di dissesto democratico vi è la fine del partito politico di massa: collettore di bisogni, organizzatore sociale, promotore e animatore delle conoscenze tecniche intorno a progetti di progresso comunitario.
È accaduto che, ad un certo punto, l’andamento del mondo è stato più rapido della capacità culturale del partito politico, uscito dalla storia dell’800, di adeguarsi ai mutati orizzonti.
Rattrappito su se stesso, non ha più capito niente e si è fatto sommergere dalla società com’era diventata.
Il suo posto è stato preso da non-partiti, i partiti “personali”.
Oppure da qualcuno che si è appropriato dell’antico marchio come bene pubblicitario utilizzabile nel mercato elettorale.
In altri casi sono nati partiti elettorali programmati per “non essere partiti”.
In un unico caso — quello del Pd — è sopravvissuta la trama di un insieme a cui con straordinario sforzo di memoria e di fiducia ancora si reggono “militanti” in attesa di parole e tempi nuovi di ritrovamento.
Se così stanno le cose, il problema italiano di più difficile soluzione non è la nuova conformazione della rappresentanza istituzionale ma la ricostruzione della vertebratura della società rappresentata.
La validità di progetti istituzionali si deve misurare tutta sul loro grado di compatibilità con nuovi modi di essere e di esprimersi della comunità di riferimento, modi che devono essere “ordinati” per avere efficacia politica.
Come “inventare”, allora, un partito capace di ristrutturare la società ?
O, il che è lo stesso: come si può ristrutturare la società mediante l’opera di un partito?
Come un partito (“dopo” i partiti) può ora raccogliere, coordinare e riordinare le domande di una società complicata e senza idee unificanti?
E fare in modo che esse possano rivitalizzare, seguendo una linea di bisogni e di orientamenti reali e attuali, le istituzioni rappresentative?
La Costituzione usa parole forti per definire la funzione dei partiti politici (“concorrere a determinare la politica nazionale”, articolo 49). Ma non indicagli strumenti e le procedure.
Il problema è dare sostanza a quella formula, e non basta trincerarsi dietro alternative che non dicono niente: partito “leggero”/partito “pesante”.
In un documento che sta suscitando dibattiti, Fabrizio Barca tenta una risposta, convincente.
Per dare sostanza alla formula della Costituzione occorre fare del partito politico e dei suoi “quadri” i promotori – territorio per territorio e dal territorio locale al territorio nazionale — di nuovi modi di deliberazione democratica.
Che significa? Significa che la cittadinanza del “cittadino” qualunque non può esaurirsi, di tanto in tanto, e sempre più svogliatamente, nel momento elettorale.
Essere cittadino ogni giorno vuol dire farsi carico dei problemi concreti che quotidianamente lo coinvolgono e che le istituzioni rappresentative sempre più fanno fatica a risolvere, da sole.
Dalle minute questioni di prossimità (la scuola, la strada, il decoro urbano, la sicurezza del quartiere. ..) a quelle grandi della comunità più larga ( l’opera pubblica interregionale, il rapporto tra fabbrica e ambiente, la bioetica, persino: come nella Francia del dèbat public. ..).
Per risolvere questioni come queste non bastano neppure i referendum.
Lavarsene le mani con un sì o un no, darla vinta, senza motivazioni, sempre e in ogni caso ad una maggioranza, può essere, semplicemente “poco democratico”.
Questioni complesse hanno bisogno di una procedura ponderata: in cui le argomentazioni pro e quelle contro si misurino in condizioni di assoluta parità .
Il conflitto programmato è sempre meglio del divorzio (dalla politica).
Le istituzioni rappresentative, locali e nazionali, tireranno le somme finali del dibattito pubblico.
Ma è importante che questo dibattito, in ogni caso, avvenga secondo procedure “vere”, fissate in leggi e regolamenti (a cui già si dovrebbe cominciare a porre mano): che si avvalgono anche della Rete come strumento virtuale per arrivare a luoghi reali, e non come spugna assorbente e incontrollabile di ogni passaggio.
Dando impulso a questo metodo, il partito rientra, attraverso i problemi, nel tessuto sociale.
La scommessa è cercare di avvicinare, di porre su basi di legittimazione più larghe e continue, le istituzioni rappresentative.
Di far fruttare il capitale sociale di cui l’Italia è già così ricca (i volontari, le associazioni, i “saperi”) e di collegarlo al rarissimo capitale politico esistente.
Di diminuire i forti “costi di intermediazione” e di una burocrazia pubblica che spesso risponde solo a se stessa.
Un partito che si proponesse questa molecolare opera di rianimazione politica e culturale avrebbe già , di per sè, quel che si chiama un “programma”.
E anche un modo di essere.
Andrea Manzella
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Giugno 20th, 2013 Riccardo Fucile
GAMBARO: “HA VINTO LA CENSURA”…ZACCAGNINI: “I TALEBANI HANNO GETTATO FANGO SUI COLLEGHI PER SCREDITARCI, IO HO RISPETTATO LE REGOLE, LORO NO, ALTRO CHE COMPRAVENDITA: ORA SI SCUSINO PUBBLICAMENTE”
Il giorno dopo l’espulsione dal Movimento Cinque Stelle, la senatrice Adele Gambaro non nasconde l’amarezza per come sia andata a finire: “E’ accaduto tutto molto in fretta, in una settimana. Non ho ancora capito perchè sia prevalsa la linea della censura per una critica garbata che non aveva alcun intento divisivo”, ha commentato la senatrice dopo il responso arrivato dalla rete.
La senatrice passerà quasi certamente al gruppo misto. “Credo di sì, non ci ho ancora pensato”, dichiara a Radio Radicale. “Dopo l’espulsione credo di sì, almeno da quanto ho visto accadere al senatore Mastrangeli che è andato al misto”.
“Spero almeno che la mia espulsione sia servita a trovare strade più conciliative con i dissidenti”, ha aggiunto Gambaro, alludendo alle telefonate fatte ieri da Beppe Grillo a Tommaso Currò e Paola Pinna, i due deputati dissidenti e considerati tra le voci più critiche del Movimento.
I dissidenti del M5S si sono visti per un confronto in transatlantico, a Montecitorio, subito dopo i lavori dell’aula.
Presenti Tommaso Currò, Paola Pinna, Tancredi Turco, Adriano Zaccagnini, Cristian Iannuzzi nonchè un outsider, il senatore Roberto Cotti.
Poco dopo si uniscono Walter Rizzetto, Aris Prodani e Mara Mucci.
Al centro del confronto, le chiamate inattese che ieri hanno ricevuto Currò e Pinna, quest’ultima a un passo dall’espulsione.
A quanto si apprende, i malpancisti del Movimento hanno riflettuto sulla ‘tregua’ sancita ieri, con il giro di telefonate del leader finalizzate a placare i loro animi.
Ma alcuni, nel corso del confronto in transatlantico, hanno alzato la voce, indispettiti dai toni del ‘talebani’ del Movimento, accusati di essere “più realisti del Re”.
Mentre Tancredi Turco crede “fermamente che ora ci sarà una fase costruttiva” e lo “stop alle espulsioni” e Currò appare rasserenato, la mossa di Grillo viene così commentata dal deputato dissidente Adriano Zaccagnini: “Sono contento sia cambiato il clima, ma mi rendo conto che è successo solo perchè da Grillo c’è stata una marcia indietro prima della distruzione totale ingenerata dalla sequenza di espulsioni che si andava profilando”.
Ora, prosegue Zaccagnini, “sono necessarie le scuse di chi ha gettato fango e ha insultato, anche se non direttamente, altri colleghi parlamentari”.
Zaccagnini, in particolare, mostra disagio per le accuse di compravendita mosse da alcuni colleghi nei giorni scorsi.
“E’ grave che io abbia rispettato i patti non dichiarando per 10 giorni, se non su temi politici, mentre i ‘talebani’ hanno chiesto di scuotere l’albero e far cadere le mele marce, di rispettare le regole, ma le loro, di liberarsi degli elementi tossici. Senza che questa linea fosse mai stata concordata in assemblea”.
Una situazione che ha “ingenerato un clima di psico-polizia – accusa il deputato M5S – con l’accusa, tra l’altro, di una compravendita morale e politica a cui non è mai seguita una denuncia con nomi e cognomi. Una compravendita che reputo gravissima, se ci fosse, e che non può essere usata strumentalmente per intimidire le persone scomode e fino a ieri da eliminare”.
Il deputato stellato chiede “che la linea dell’assemblea venga portata fuori esclusivamente dal portavoce”, in questo momento Riccardo Nuti, “e che i talebani non parlino più a titolo personale e non abbiano più l’agilità politica come non l’ho più io da 10 giorni”.
(da “la Repubblica”)
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Giugno 20th, 2013 Riccardo Fucile
LA PASIONARIA DEL PDL NON SI DA’ PACE: “I MAGISTRATI HANNO FONDATO UN PARTITO POLITICO OLTRE OGNI MORALE”
Certifica che mercoledì «è venuto meno il principio cardine della democrazia, ovvero la leale collaborazione tra poteri» e anticipa che farà «ricorso personale, se il Presidente mi darà il via libera, alla Corte dei diritti e di giustizia europea affinchè possa avere un giusto processo».
È Michaela Biancofiore, la pasionaria di Silvio Berlusconi e Sottosegretario del governo Letta per la Pubblica Amministrazione, a commentare così a «Citofonare Adinolfì», su Radio Ies, il mancato accoglimento da parte della Consulta di un ricorso dell’ex premier sul legittimo impedimento.
LETTA STIA ATTENTO AL FUOCO AMICO
Il deputato aggiunge che «non è pensabile che i magistrati vengano nominati dalla politica, soprattutto quelli delle alte cariche, o che ci sia una magistratura rappresentata da correnti politiche».
In ogni caso questo non inciderà sul governo da parte del Pdl, ma «Letta non può dormire sonni tranquilli, e non per il centrodestra: è evidente che nell’alveo del centrosinistra, che già due mesi fa era convinto di aver vinto le elezioni, c’è un fuoco amico».
MAGISTRATI, POLITICI IMMORALI
Non solo: «C’è, indubbiamente, un reticolo di magistrati che di fatto hanno fondato un partito politico ideale, che è andato oltre ogni morale pubblica, e non a caso ci sono molti magistrati scesi in politica e che fanno della loro toga la loro forza».
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