Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
PRESSING SULLA UE PER I CONTRIBUTI EUROPEI, COSI’ ESCE QUALCHE SOLDO PER IL LAVORO AI GIOVANI
La vera priorità è il pacchetto di misure per l’occupazione dei giovani.
Il governo avrebbe già individuato 3-400 milioni di risorse e conta di vararlo entro una decina di giorni, forse già la prossima settimana.
In ogni caso prima del 27-28 giugno, per consentire al premier, Enrico Letta, di andare al Consiglio Ue di Bruxelles e chiedere con maggior forza che anche l’Europa faccia la sua parte per fronteggiare gli effetti della crisi. In concreto, sbloccare subito i fondi del programma Youth (altri 400 milioni per l’Italia) e autorizzare l’uso dei fondi strutturali europei non utilizzati per sostenere l’occupazione.
Se l’operazione riuscisse (la ricognizione dei fondi inutilizzati è affidata al ministro Carlo Trigilia, che Letta ha visto venerdì sera) verrebbe fuori un pacchetto di qualche miliardo di euro.
Abbastanza importante da alleggerire il problema dell’aumento Iva, sul quale il governo continua a studiare, ma che costerebbe molto, anzi troppo, risolvere ora in modo definitivo.
Per scongiurare del tutto l’aumento dal 21 al 22% dell’Iva dal primo luglio servirebbero subito 6 miliardi, 2 per quest’anno e 4 per il prossimo (più altri 4 l’anno per il resto dell’eternità ).
Il semplice rinvio di sei mesi costerebbe due miliardi, mentre per spostare lo scatto dell’Iva a inizio ottobre sarebbe sufficiente un miliardo.
Sarebbe questa, quella di un rinvio di tre mesi, l’opzione preferita dall’esecutivo, che tuttavia deve ancora trovare il miliardo necessario per tamponare il minor gettito.
Al ministero dell’Economia è al lavoro un gruppo di studio tecnico che sta esaminando tutte le varie opzioni per rendere l’operazione meno pesante possibile per i conti pubblici.
Si valuta anche un aumento selettivo dell’Iva, cogliendo l’occasione per razionalizzare la confusione attuale delle aliquote, che sullo stesso identico prodotto possono essere diverse in funzione di come è impacchettato o distribuito (ad esempio, sul pane del fornaio c’è l’aliquota del 10%, su quello incellofanato del supermercato, però, si paga il 21%).
Per ora sarebbe una razionalizzazione, più che un taglio, ma sufficiente per prender tempo ed affrontare nel corso dell’estate il nodo delle tasse, tra Iva, Imu e il taglio del cuneo fiscale reclamato dalle imprese.
Mettendo sul piatto tutte le esigenze di spesa e tutte le possibili fonti di entrata.
Che sono essenzialmente tre: una nuova tranche della spending review sulla pubblica amministrazione, la revisione degli incentivi alle imprese, e la razionalizzazione delle detrazioni, deduzioni ed agevolazioni fiscali.
Un dossier pronto da tempo, quest’ultimo, che il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni ha già rispolverato e messo sulla sua scrivania.
Non a caso il ministro ha voluto che all’Economia restasse il sottosegretario alle Finanze del governo Monti, Vieri Ceriani, almeno come componente del suo gabinetto.
È stato Ceriani, quando ancora era in Bankitalia, e su incarico del governo Berlusconi, a fare il censimento di tutte le forme di agevolazione, detrazione e deduzione fiscale. È stato sempre lui, come sottosegretario, a curare la nuova delega fiscale che puntava molto anche sulla revisione delle agevolazioni.
In ogni caso Ceriani è l’uomo che più di ogni altro conosce il misterioso universo delle “tax expenditures”, così dette proprio perchè di fatto equivalgono ad una spesa pubblica.
Che in Italia, manco a dirlo, è andata fuori controllo.
Giusto ieri il ministro Saccomanni ricordava come, per ridurre le tasse sulle imprese e sul lavoro, il governo punti sul taglio della spesa, ma anche «sulla riduzione dei sussidi e degli incentivi creati in modo troppo generoso in passato».
Tra sconti, detrazioni e deduzioni, le 720 forme di agevolazione previste dal nostro ordinamento fiscale erodono ogni anno 253 miliardi di euro al gettito.
Un “tesoretto” che ormai da due o tre anni è nel mirino dei vari governi che si sono succeduti, ma che è ancora lì, intatto.
Anzi.
Se l’Iva è aumentata (dal 20 al 21% nel 2011) e dovrebbe aumentare ancora (al 22%) è proprio perchè il tentativo di mettere le mani sulle detrazioni è sempre fallito. L’aumento dell’Iva fu previsto per garantire la riforma degli incentivi, da cui il governo Berlusconi contava nel 2011 di tirar fuori almeno 20 miliardi, e che non fu realizzata.
Nel 2012 il governo Monti ci ha provato due volte, in entrambi i casi senza riuscirci. La revisione delle agevolazioni doveva servire a evitare l’ulteriore aumento dell’Iva, che invece è ancora lì davanti a noi.
E sempre il taglio delle agevolazioni, con i tetti e le franchigie su deduzioni e detrazioni, doveva servire a finanziare la riduzione dell’Irpef sui primi due scaglioni di reddito. Saltata anche quella.
Ora il governo è pronto a riprovarci, ma con obiettivi meno ambiziosi.
Sarebbe già un gran bel risultato, dicono a via XX settembre, se si riuscissero a tagliare 3-4 miliardi.
Basterebbero per dimezzare l’Imu sulla prima casa e, magari, a limitare l’impatto dell’aumento dell’Iva.
Che potrebbe salire, se tutto andasse per il verso giusto, di solo mezzo punto.
Mario Sensini
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
“E’ PERICOLOSO DELIGITTIMARE LE ISTITUZIONI”
«Così Beppe colpisce anche noi».
Tommaso Currò, deputato di 5 stelle che rivendica la libertà di pensiero nel movimento, stavolta non vorrebbe parlare.
«Ogni volta, quante polemiche… ». Poi accetta.
Per dire la sua sull’ultima uscita di Grillo contro il Parlamento «maleodorante » («Va difesa e non offesa la centralità delle Camere») e per segnalare il rischio che, a forza di picconate, «si scardinino le istituzioni rappresentative».
Per criticare gli attacchi ai giornalisti e per aggiungere che, forse, «è stata tradita la voglia di cambiamento dei nostri elettori».
Ma Currò ci tiene a far sapere di non essere in fuga da M5S.
«Resto qui a dare il mio contributo. Anche in minoranza».
Parlamento «da seppellire». Come giudica un deputato grillino queste affermazione del leader di M5S?
«Grillo dovrebbe capire che quando dice queste colpisce anche deputati e senatori del movimento. In ogni caso, per la mia breve esperienza alla Camera, posso dire che vedo colleghi volenterosi e competenti».
Grillo dice che il Parlamento è incostituzionale perchè figlio di una legge incostituzionale.
«Per carità , è vero che il Porcellum fa schifo ma anche quando fosse incostituzionale non significa che è illegittimo il Parlamento in carica. La legge è stata promulgata dal Capo dello Stato, la Corte costituzionale mica può far decadere Camera e Senato. Bisogna lavorare per creare le condizioni politiche utili ad attuare la riforma elettorale. Certo, con un governoPd-Pdl c’è poco da sperare».
In molti hanno avuto gioco facile nel bollare come autoritario e fascista l’intervento del capo di 5 stelle.
«Pur capendo le ragioni del suo intervento, dico che occorre stare attenti: se si delegittima l’istituzione rappresentativa, il rischio èche si facciano avanti altre forze, a cominciare da quelle strutture tecnocratiche che combattiamo. Bisogna difendere invece la centralità del parlamento».
Ormai da parte di Grillo è un crescendo di attacchi, con toni ed espressioni sempre più violenti.
«È evidente, ormai, che ogni parola ha un significato che si riverbera nella vita dei cittadini e della società . Il mio invito, non solo a Grillo, è quello di fare tesoro di questa considerazione».
C’è un malessere evidente nei gruppi di M5S. Segnalato anche dall’addio di Labriola e Furnari.
«Non accuso di nulla i due ragazzi passati al misto. Avrannoavuto le loro ragioni, forse potevano spiegarle meglio. È inaccettabile invece il linguaggio usato sul blog dai militanti che li contestano: questa è un’anomalia del M5S».
Un’altra, ammetterà , è l’atteggiamento nei confronti della stampa. Ora c’è il via libera alla presenza nei talk show. Lei andrà ?
«Guardi, quella di partecipare alle trasmissioni televisive non è stata una decisione partita dal basso. Io resto libero di esprimere il mio pensiero sugli organi d’informazione che voglio. È il giornalismo a controllare la politica, non viceversa».
È vero che è in atto una fuga da 5 stelle?
«Io non ho sentore di altri abbandoni. Quanto a me, non penso proprio di lasciare. Faccio il mio lavoro e credo ancora che bisogna ri-nobilitare la politica. Anche a costo di pormi in minoranza ».
Crede in una rivincita nel voto siciliano dopo il flop di due settimane fa?
«Io non so se il calo alle amministrative sia stato fisiologico, forse i nostri elettori si aspettavano un grande cambiamento che non è arrivato. Ma credo che in Sicilia andrà meglio».
Emanuele Lauria
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Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
TEMPI DURI PER LE EX TOGHE
«Simmo ‘e Napule, paisà ». Se Edoardo Bennato, per descrivere la sua città , usa in una canzone ben 55 aggettivi, anche i napoletani, per descrivere il loro sindaco, non sono da meno: Giggino ‘a manetta (da magistrato incarcerava), Giggino ‘o skipper (omaggio all’America’s Cup), Giggino ‘o scassatore (rottamatore), Giggino ‘o floppe (sta per flop), Giggino ‘a promessa (alla bulimia verbale non sempre sono corrisposti i fatti), Giggino ‘ncoppa a gaffe («Napoli è più sicura di Bruxelles», per dirne una).
Così canta Napoli.
Giggino è l’ex pm Luigi de Magistris, dal 2011 sindaco della città partenopea.
Vive un momento difficile: il fratello Claudio e il fido carabiniere capo di gabinetto Attilio Auricchio sono infatti indagati per concorso in turbativa d’asta per quattro presunti appalti pilotati in occasione delle edizioni 2012 e 2013 dell’America’s Cup di vela.
«In questa città c’è chi non tollera che abbiamo messo alla porta affaristi, camorristi e lobbisti», ha subito arringato l’ex toga ribadendo la fiducia nel fratello («un uomo perbene») e nel capo di gabinetto («il miglior carabiniere che abbia conosciuto nella mia vita»).
Auricchio, divenuto famoso per Calciopoli, è un collaboratore storico di Giggino fin dal tempo in cui lavoravano alle Grandi inchieste.
Come ogni sindaco, anche Giggino è accusato degli autobus che non vanno, delle buche che restano e della monnezza che puzza.
Beppe Grillo, che in un primo tempo lo aveva sostenuto, lo ha messo nel mirino: troppa tv e scarso lavoro sul campo: «Di errori ne ho commessi molti e purtroppo ne commetterò altri, uno dei più imbarazzanti è stato Luigi de Magistris».
Giggino ‘o narcisindaco di lotta e di governo, che si era autoproclamato «un prezioso plusvalore, che presto la sinistra italiana non potrà fare a meno di utilizzare al livello di leadership nazionale», è ormai sulla graticola (solo Briatore gli è vicino su Twitter). Tempi duri per le ex toghe Di Pietro, Ingroia e de Magistris: del resto, giustizia è riportare tutte le cose al loro senso.
Così si vendica la storia: chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, scur- dà mmoce ‘o ppassato, simmo ‘e Napule Giggì.
Aldo Grasso
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
“IL POPULISMO E’ UN VIZIO ITALIANO”: UN’ALTRA ICONA DEI GRILLINI CRITICA LA GESTIONE DEL MOVIMENTO
È una parola abusata nel lessico della politica italiana, ma su cui proprio per questo è indispensabile interrogarsi con franchezza.
Populismo «vizio italiano » sul banco degli imputati, ieri sera in Palazzo Vecchio per Repubblica delle idee, con Ilvo Diamanti, Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà intervistati da Lucia Annunziata su «L’Italia postpopulista », sebbene parlare di «post», al momento, ha osservato la moderatrice, non sembri ancora il caso.
Nell’aria l’eco dell’ultimo j’accuse di Grillo sul parlamento «tomba», «espressione inaccettabile», commenta Zagrebelsky (con Rodotà fra i primi dieci candidati alla presidenza della Repubblica dal movimento 5 stelle), «alla cui radice, però, c’è il discredito delle istituzioni parlamentari », «lessico di tempi feroci di cui Grillo non ha l’unica colpa», dice Diamanti, introducendo il tema della serata in modo problematico: «Il populismo deriva da demos, popolo, cioè fa parte della democrazia, e se se ne parla tanto vuol dire che la democrazia rappresentativa è percepita come poco nobile, incompleta, escludente».
E insomma si trovi il coraggio di dirlo, dati alla mano (quel 50% di elettori italiani che non si ritrova più nei maggiori storici): «La colpa è di chi non ti dà più buone ragioni per votarlo, non di Grillo».
Non basta: «E se accusassimo di populismo semplicemente il cambiamento del nostro tempo? Cioè la democrazia ai tempi della tv, del web, dei social network?» propone Diamanti.
Domande scomode, che intaccano sicurezze (politiche) sedimentate: «È vero» conferma Rodotà , «demonizzare la rete è un errore pericoloso», e bisogna ammetterlo: «La democrazia rappresentativa non è messa a rischio dalla democrazia partecipata, ma dalla ignoranza di questo strumento che può invece rivitalizzarla in modo straordinario». Perchè sia chiaro: la democrazia, in Italia, non sta affatto bene, «e il populismo non è che un modo per usare il popolo facendolo coincidere con la democrazia».
Basta vedere «come è facile distorcere l’idea stessa di sovranità popolare, usarla a favore della personalizzazione della politica», e magari sostenere che «se i cittadini mi votano ho il diritto al potere anche se ho addosso duecento condanne ».
E’ l’effetto, nota Zagrebelsky, «del venir meno dei simboli, di cui, però, la politica non può fare a meno». Quelli che un tempo evocavano intere culture politiche (vedi lo scudo crociato), e «oggi sono soppiantati dai simboli semplificati dei leader in persona, movimenti e partiti che hanno successo solo perchè sono personali, come Pdl e M5S. Ve lo immaginate – chiede al pubblico il costituzionalista – il Movimento 5 Stelle senza Grillo?».
Ma parlare di populismo e discutere di presidenzialismo, è un attimo, e il dibattito si schiera ben presto sul fronte rovente, toccando anche il tema riforme istituzionali, su cui il premier Letta, poco prima, nello stesso Salone dei ‘500, «ha dato, dice Diamanti, «risposte che non erano risposte».
Concorda Rodotà : «Eludere il tema della legge elettorale mi sembra un fatto molto grave, quella attuale insidia anche la possibilità di lavoro del governo» osserva il giurista a proposito della mancata «messa in sicurezza» del Porcellum, «quando lo ritenesse conveniente qualcuno che può dire “stacchiamo la spina e andiamo a votare con questa legge” ci sarà sempre», e invece «una legge elettorale dovrebbe garantire sempre la neutralità del gioco».
Quanto al presidenzialismo «attenzione» avverte Diamanti, se «per fare riforme istituzionali non ci vuole molto», per quelle costituzionali «occorrono molte buone ragioni e condivisione», e insomma guai a confondere «la Costituente con il governo di larghe intese».
«Le riforme costituzionali possono essere un salto nel buio» avverte Zagerbelsky, che insiste nel mettere in guardia l’Italia dal “salto” presidenzialista: «In un paese con un alto tasso di corruzione, e un basso tasso di istruzione e cultura, introdurre forme di governo semplificato sarebbe un pericolo».
Anzichè sulle ingegnerie istituzionali, che considerano la vita politica come un puro meccanismo mentre serve sempre «uno studio profondo dell’ambiente politico istituzionale cui si far riferimento», si punti piuttosto, dice Zagrebelsky, «a cambiare la qualità della politica », per non correre il rischio di «fare le riforme, e poi tenerci la politica così com’è, anche se non piace a nessuno».
Maria Cristina Carratù
(da “la Repubblica“)
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Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
GRILLO RICORDA AI PARLAMENTARI DUBBIOSI E AL SUO ELETTORATO, OGGI CRITICO, I MOTIVI DEL VOTO… NOI GLI RISPONDIAMO PUNTO PER PUNTO
Grilo: “C’è chi ha votato il M5S perchè credeva nei miracoli”
E ora non lo vota più perchè i miracoli non esistono e chi li predica è quasi sempre un millantatore
Grillo “C’è chi ha votato il M5S perchè non ce la faceva più di essere preso per il culo”
E ora non lo vota più perchè essere presi per il culo una volta è più che sufficiente
Grillo: “…perchè era esodato, precario, disoccupato, sfrattato”
E tale è rimasto
Grillo: “… perchè voleva un cambiamento, non importa quale, l’importante era voltare pagina, meglio un salto nel buio di un suicidio assistito”
E ora non intende votare una corte di miracolati senza un programma concreto a cui non importa quale cambiamento perseguire
Grillo: “C’è chi ha votato il M5S perchè non guardava la televisione”
E non aveva avuto quindi occasione di ascoltare ogni giorno le cazzate che diceva Grillo
Grillo: “…perchè il M5S si tagliava gli stipendi”
E invece si è accorto che un deputato Cinquestelle percepisce in realtà 11.200 euro contro i 13.700 degli altri colleghi
Grillo: “… perchè aveva visto troppe volte Floris, la Gruber, Vespa e Formigli in televisione”
E ora li ha rivalutati dopo aver ascoltato la Lombardi e Crimi
Grillo: “C’è chi ha votato il M5S perchè Travaglio era una brava persona”
E poi ha scoperto il legame interessato di chi vende i suoi libri attraverso il blog di Grillo
Grillo: “…per avere la certezza di liberarsi di Napolitano”
E poi si è accorto che i Cinquestelle hanno fatto di tutto perchè rimanesse al suo posto
Grillo: “… perchè voleva la giustizia sociale con l’introduzione del reddito di cittadinanza
E poi ha capito che è una palla mediatica perchè costerebbe almeno 10 volte il ritiro dell’Imu che è già insostenibile per le casse dello Stato
Grillo: “… perchè in Italia non esisteva un’informazione libera”
E infatti nessuno ha ancora fatto luce sui guadagni milionari del blog di Grillo, organo ufficiale Cinquestelle
Grillo: “… perchè solo i pazzi possono cambiare la Storia”
Ma possono anche causare sanguinose guerre civili e portare l’Italia sul solco della tragedia del popolo greco
Grillo: “…perchè il M5S veniva infangato ogni giorno dall’Unità e da Repubblica, ma anche dal Giornale e da Libero, per relegare finalmente Berlusconi nella spazzatura della Storia”
E ora si è accorto che il suo voto ai Cinquestelle è servito solo per far risorgere Berlusconi
Grillo: “… c’è chi ha votato il M5S perchè i ragazzi del M5S avevano una faccia pulita”
E pra si è reso conto che oltre la faccia necessita anche il cervello e la preparazione
Grillo: “… c’è chi ha votato il M5S credendo di delegare invece di partecipare”
E non lo vota più da quando ha capito di essere entrato in una caserma diretta da comico-caporale che si crede generale
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Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
ORMAI E’ SFIDA TRA ORTODOSSI E DIALOGANTI… ATTESA PER LA SCELTA DEL NUOVO CAPOGRUPPO AL SENATO
La consueta riunione grillina del giovedì non è stata ancora convocata.
L’ultima volta, disertata da mezzo gruppo parlamentare, è stato un mezzo flop.
Un segnale, forse, del cronico malessere che fiacca il Movimento cinque stelle.
Ormai basta poco per far saltare i nervi: un comunicato stampa del gruppo rilanciato all’insaputa di tanti deputati o un post al vetriolo di Paolo Becchi.
Se alla Camera la tensione è alle stelle, al Senato si prepara l’atteso ballottaggio per scegliere il nuovo capogruppo.
La sfida divide ortodossi e dialoganti ed già diventata terreno di scontro tra le due anime del grillismo.
L’addio di Vincenza Labriola e Alessandro Furnari ha scosso le truppe grilline.
Ma la reazione del gruppo cinquestelle le ha divise. Scatenando una rivolta.
Quando infatti — venerdì mattina — le agenzie battono la durissima presa di posizione contro i due deputati, in molti cadono dalle nuvole.
Quasi nessuno era stato avvertito, perchè solo una manciata di fidati grillini aveva elaborato il testo della discordia.
E infatti in pochi minuti parecchi deputati, sfruttando i canali di comunicazione interna, prendono le distanze.
Sul banco degli imputati finiscono il capogruppo Riccardo Nuti e alcuni suoi fedelissimi. Perchè un conto è ‘salutare’ i transfughi con ironia, altro è indicarli come scansafatiche attaccati alla diaria.
Qualcuno chiede una rettifica. Ma nelle mail scambiate fra deputati il malessere lambisce la conduzione del gruppo.
«Decidono sempre gli stessi, è una gestione troppo verticistica», ripetono i malpancisti. Su Facebook Aris Prodani sintetizza così: «Detesto la caccia allestreghe… e non mi considero una strega. Beninteso».
Sono segnali. Come anche il nervosismo diffuso per il complicatissimo vademecum inviato ai grillini per rendicontare al meglio le spese.
Pippo Civati, pontiere democratico, descrive il malessere: «Penso che alcuni di loro non siano più disposti a farsi trattare così. La fibrillazione aumenta. L’addio dei due deputati potrebbe fare scuola…».
Civati continua a sondare riservatamente i dissidenti, che intanto restano alla porta in attesa solo del momento giusto per lasciare.
Come se non bastasse, a gettare benzina sul fuoco arriva anche l’ennesimo post del filosofo Paolo Becchi.
Dal governo Monti in poi il Colle «ha potuto esercitare di fatto un potere amplissimo». «Non viviamo anche noi, in Italia, in una situazione di colpo di Stato permanente?», domanda, contestando la commissione di saggi per le riforme.
Non tutti, però, gradiscono. Non è tanto un problema di contenuti, ma di metodo.
Come precisa Alessandra Bencini, «Becchi non è portavoce, è un semplice simpatizzante».
Un suo collega, Francesco Campanella, aggiunge: «Colpo di Stato? Non amo espressioni del genere».
Il deputato Walter Rizzetto, invece, si limita a sottolineare: «Non ho letto Becchi. Più in generale, è un momento delicato e bisognerebbe concentrasi di più sul lavoro e meno sulle parole. E comunque volere il confronto non significa essere dissidenti».
A Palazzo Madama, intanto, si attende il ballottaggio per la successione di Vito Crimi. Entro giovedì si scontreranno Nicola Morra e Luis Orellana, gradito alla fazione più dialogante e inquieta.
La sfida sarà a viso aperto, anzi a telecamere accese: l’ultimo appello al voto si terrà infatti in diretta streaming.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
DOMANI ROMA RISCHIA DI PERDERE IL SUO PRIMO SINDACO DI DESTRA… QUANDO FU ELETTO I TASSISTI FECERO I CAROSELLI IN CITTà€… ORA, TRA PARENTOPOLI E AMICI INDAGATI, È DATO IN FORTE CALO
Entrò in Campidoglio più incredulo che felice, con tanti saluti romani a fargli da ala e i clacson dei tassisti a strombazzare come colonna sonora.
Cinque anni dopo quel 28 aprile 2008 in cui venne eletto sindaco di Roma, battendo il favorito Francesco Rutelli, Gianni Alemanno deve guardare negli occhi la sua grande paura.
Quella di perdere il Palazzo Senatorio: forse l’ultimo fortino della destra figlia più o meno diretta dell’Msi di cui Alemanno fu orgoglioso dirigente.
La destra che Berlusconi ha sempre sopportato come un passeggero che non si può far scendere, ma a cui non si possono lasciare i comandi.
Il sindaco, orfano di B., dei tassisti e di tanta destra spera ancora nella rimonta su Marino. E forse ripensa agli anni della sua giunta.
Tali da riempire un dizionario degli errori.
Camerati
Durante il lustro di Alemanno, le società comunali hanno accolto tanti reduci dell’estrema destra. Come Stefano Andrini, nominato nel settembre 2009 ad dell’Ama Multiservizi, municipalizzata che si occupa di rifiuti.
L’avventura di Andrini come ad è finita pochi mesi dopo: coinvolto nell’inchiesta sul senatore Pdl Di Girolamo (accusato di riciclaggio e compravendita di voti), si è dimesso.
In Campidoglio sbarcò anche Mario Vattani. Venne scelto da Alemanno come consigliere diplomatico, ma ruppero nel maggio 2010.
Tanti altri i nomi: da Francesco Bianco, ex Nar assunto dall’Atac (municipalizzata dei trasporti) e sospeso per aver ospitato insulti antisemiti su Facebook (è stato poi riassunto), a Gianluca Ponzio, ex Terza Posizione, capo servizio relazioni industriali in Atac.
Mancini
Solo a sentirne il cognome, Alemanno s’infuria. Riccardo Mancini, ex ad di Eur Spa ed ex tesoriere del comitato Alemanno, è stato arrestato in marzo con l’accusa di aver intascato una mazzetta da 600mila euro per pilotare un appalto da 45 filobus in favore della Breda Menarini.
Ha ammesso di aver ricevuto 80mila euro, che ha poi restituito alla Breda, ottenendo i domiciliari.
Alemanno ripete da mesi: “Mancini non era il mio braccio destro”. Ma come tesoriere scelse proprio l’ex Avanguardia Nazionale, condannato nel 1988 a un anno e 9 mesi per violazione della legge sulle armi. Colpisce un’intercettazione dello scorso settembre, in cui Alemanno strapazza così Mancini: “Perchè non m’hai chiamato? Ma che cazzo c’avete nel cervello? Uno vi aiuta, non c’è niente da fa’, capito? Siete scemi”.
Metro
L’ha inaugurata nel giugno 2012, convinto che fosse il volano per recuperare consensi.
Ma la metro B1, prolungamento della linea B con 3 fermate in 4 chilometri, è stata una Caporetto per Alemanno.
Già il giorno dopo il varo, la linea si è bloccata per 40 minuti: il primo di innumerevoli guasti e ritardi.
L’Atac ha puntato subito il dito contro i macchinisti, accusandoli di sciopero selvaggio. E il sindaco si è accodato, invocando il prefetto.
Ma il personale ha sempre smentito: “Gli straordinari sono all’ordine del giorno”. Alemanno ha nominato una commissione sul caso, che ha dato una chiara risposta: “Le cause sono imputabili a problematiche organizzative e tecniche che avrebbero dovuto trovare soluzione prima dell’apertura degli impianti”.
Tradotto, la B1 è stata aperta troppo presto, senza personale e mezzi necessari.
Neve
Nel febbraio 2012, su Roma cadono tra i 30 e i 60 centimetri di neve: abbastanza per paralizzare la capitale d’Italia, con code di decine di chilometri sul raccordo anulare e mezzi pubblici in gran parte fermi.
Il sindaco se la prende con la Protezione Civile: “Ci avevano annunciato 35 millimetri di neve”.
Il capo Dipartimento, Franco Gabrielli, replica: “I 35 mm sono riferiti a cumulate di precipitazione di acqua equivalente: se riferiti a neve si trasformano in centimetri”. Nel frattempo, criptiche ordinanze sull’obbligo o meno delle catene per le auto e caos nelle scuole: aperte, ma con dentro solo insegnanti e impiegati.
Una foto impietosa ritrae gli operatori comunali con pacchi di sale da cucina.
Pajata
L’ha ammesso persino lui: “Il pranzo con Bossi non lo rifarei”. Il pasto, consumato nell’ottobre 2010 in piazza di Montecitorio, doveva sancire la pace tra Roma e Padania dopo una battutaccia del senatur: “Sono porci questi romani”.
Alemanno e Renata Polverini mangiarono pajata e coda alla vaccinara assieme al padre della Lega. La governatrice imboccò più volte Bossi.
Parentopoli
Nell’era Alemanno, Atac e Ama hanno assunto circa 2000 persone: in parte con chiamata diretta, con buona pace di bandi.
Negli atti dello scorso settembre, la procura elencava 49 casi sospetti in l’Atac: dalla moglie di un assessore al nipote dell’ex ad Adalberto Bertucci, sino a diversi dirigenti Pdl.
Ma il volto simbolo rimane un’ex cubista, segreteria di un dirigente.
L’Ama ha dato un lavoro, tra gli altri, al genero dell’ex ad Franco Panzironi e alla figlia del caposcorta del sindaco, Giorgio Marinelli, dimessosi dopo l’esplodere del caso (il figlio era stato assunto in Atac).
In tv, Alemanno ha rivendicato: “Su 2000 assunzioni i casi su cui si indaga sono solo 80”.
Gli 850 assunti in Atac costano decine di milioni, a un’azienda che nel 2012 ha chiuso con perdite per 157 milioni e che in 5 anni ha cambiato sei ad.
Sicurezza
Per Alemanno fu la chiave per arrivare al Campidoglio.
Nella campagna contro Rutelli, l’ex An parlò di “una città in pericolo”, visitando i luoghi di aggressioni e omicidi.
Ma nei suoi anni da sindaco è esplosa la guerra tra bande, con sangue a profusione.
E Alemanno ha scoperto una verità : “Non esiste la bacchetta magica, sulla repressione dei reati ho le mani legate”.
La nemesi, per il sindaco che prometteva ordine.
Luca De Carolis
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
PREOCCUPA ANCORA IL DATO DELL’AFFLUENZA AI SEGGI, MENO 9% RISPETTO A DUE SETTIMANE FA
Qualunque sarà l’affluenza alle urne, il ballottaggio consegnerà la fascia tricolore a 67 sindaci di cui 11 in città capoluogo: Roma, Treviso, Brescia, Ancona, Avellino, Iglesias, Imperia, Lodi, Siena, Viterbo e Barletta.
Poi ci sono altri 142 Comuni della Sicilia — compresi i capoluoghi Messina, Ragusa, Catania e Siracusa — dove i cittadini sono chiamati al primo turno.
Nel “continente” la tornata elettorale promette di stravolgere la geografia politica: se al primo turno già cinque città sono finite in mano al centrosinistra, al ballottaggio non un candidato di centrodestra si presenta alle urne in vantaggio.
Con casi clamorosi come Treviso, dove lo “sceriffo” Giancarlo Gentilini è otto punti dietro rispetto al candidato di centrosinistra, il renziano Giovanni Manildo.
Lo stato generale della Lega Nord, capitanato da Roberto Maroni, solo giovedì si è presentato per sostenere Gentilini, ma il risultato appare scontato: il sindaco sceriffo a casa dopo quasi venti anni di egemonia (dal 1994) e la Lega, che in questa città ha registrato i risultati migliori, cacciata da quello che era un suo blindatissimo fortino.
La vittoria di un altro renziano in Veneto (Achille Variati ha conquistato Vicenza al primo turno) confermerebbe ulteriormente la figura di Matteo Renzi come uomo capace di conquistare i voti del centrodestra al Nord.
Anche Brescia, storicamente città di sinistra, sembra destinata a tornare in mano agli eredi di Enrico Berlinguer.
L’alleanza Pdl-Lega, che qui ha governato negli ultimi anni con percentuali bulgare in quasi tutta la provincia, potrebbe essere arrivata al capolinea.
Ma la partita è ancora aperta: il sindaco uscente, Adriano Paroli al primo turno si era fermato al 38% mentre Emilio Del Bono al 38,1%.
Appare invece scontata la vittoria di Bruno Valentini del centrosinistra a Siena contro Eugenio Neri. Nonostante lo scandalo Monte dei Paschi e il coinvolgimento diretto dell’ex sindaco Franco Ceccuzzi (che per questo è stato costretto a non ricandidarsi nonostante avesse vinto le primarie), i senesi hanno preferito la continuità politica.
Anche a Lodi e Imperia l’esito appare scontato, con il centrosinistra che si presenta con dati del primo turno a dir poco rassicuranti.
A Imperia Carlo Capacci (Pd) conquistò il 46,8%, Eminio Annoni il 28,2%.
Se la dèbà¢cle nella penisola appare più che annunciata, il centrodestra spera di prendersi qualche rivincita in Sicilia.
Nell’isola la partita si apre oggi (eventuali ballottaggi saranno il 23 e 24 giugno) in 142 comuni e 4 capoluoghi.
A Catania la sfida è tra Enzo Bianco e Raffaele Stancanelli, con il candidato del Movimento 5 Stelle, Lidia Adorno, data per spettatrice.
Ma si vedrà il responso delle urne.
Anche a Siracusa e Ragusa gli aspiranti sindaci del Movimento non sembrano avere possibilità . Mentre a Federico Piccitto, candidato a Messina, vengono concesse più chance: la città ricorda l’arrivo a nuoto di Beppe Grillo.
Comunque andrà una cosa sembra sin da ora certa: la disfatta del centrodestra.
Sicilia (forse) esclusa.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
IL FIGLIO DEL FONDATORE FINISCE AL “MISTO” IN CONSIGLIO REGIONALE… E AUMENTA LA SUA BUSTA PAGA
«Bisogna fare di più», incitava Antonio Di Pietro dal proprio blog il 30 settembre dello scorso anno.
Erano i giorni in cui il governo tecnico preparava il giro di vite sui politici locali, imponendo tagli ai finanziamenti e controlli della Corte dei conti sui bilanci dei gruppi dei consigli regionali per evitare il ripetersi di scandali come quelli che stavano esplodendo in tutta Italia, a partire dal Lazio.
La vicenda di Franco Fiorito, alias il Batman di Anagni, ricordate?
E avendo spronato Mario Monti ad affondare il bisturi con ancora maggior decisione, una volta appreso del coinvolgimento del capogruppo dell’Italia dei Valori Antonio Maruccio nella vergognosa vicenda laziale, tuonava «Non ci possono essere sconti per nessuno!».
Quale sarà ora la reazione dopo la notizia arrivata dalla sua terra, il Molise?
Perchè i magistrati della Corte dei conti, cui spetta da qualche mese il compito di passare al setaccio i bilanci dei gruppi del Consiglio regionale, hanno debuttato bersagliando proprio quello dell’Idv.
«Non regolare», l’hanno dichiarato i controllori.
Secondo loro la rendicontazione di ben 89.733 euro e 99 centesimi, cioè quasi il 40 per cento dei 230.836,49 euro di fondi pubblici incassati dal gruppo dipietrista nel 2012, non può essere considerata «ammissibile».
Per prima cosa, afferma la delibera approvata nell’adunanza del 3 aprile scorso (alla quale i responsabili del gruppo non si sono presentati), ci sono 15.894 euro di spese prive di giustificativi.
Cui si devono aggiungere 73.939 euro di altre spese che i giudici incaricati dei controlli hanno ritenuto non ammissibili, pur ricordando come la legge regionale con la quale sono stati stabiliti i contributi ai gruppi consiliari molisani considera quei soldi, pensate un po’, «spendibili senza vincolo di destinazione».
I magistrati argomentano che questa singolare assenza di limiti all’impiego dei denari dei contribuenti non può comunque prescindere dai «più elementari criteri di ragionevolezza»: dunque non possono essere accettabili «le spese assistite dai giustificativi» che non riguardino il gruppo, i consiglieri o il personale di supporto dello stesso gruppo.
Per esempio, i denari che sono stati girati direttamente al partito.
In questo caso non c’è legge regionale che tenga: il decreto ministeriale del 21 dicembre 2012 con cui è stata attuato quel giro di vite voluto dal governo Monti, lo esclude esplicitamente. Eppure di quei 230.836 euro destinati al gruppo ben 36.100 sono finiti nelle casse del partito. Prova provata che i contributi ai gruppi sono a pieno titolo una delle tante voci del finanziamento pubblico dei partiti.
Il bello è che il rendiconto era stato redatto secondo le regole previste proprio da quel decreto, senza che per l’esercizio 2012 fosse ancora obbligatorio.
Ma la Corte dei conti ha escluso dalla rendicontazione anche un certo numero di semplici scontrini del Pagobancomat per 439 euro (che cosa era stato acquistato?), rimborsi spese per 16.408 euro a chi prestava attività volontaria, rimborsi dei pasti di oltre 1.800 euro per cui erano state presentate pezze d’appoggio illeggibili se non doppie, rimborsi di carburante al personale del gruppo mancanti dei dati sui tragitti e le auto, tre biglietti aerei emessi a favore di personale estraneo allo stesso gruppo…
Va da sè che tutto questo non sarebbe accaduto se non fossero arrivati tutti quei soldi.
Perchè 230.836 euro sono una cifra enorme.
Considerando che il gruppo Idv era costituito da tre persone, sono 76.945 euro procapite, quasi 20 mila in più rispetto ai finanziamenti concessi ai gruppi parlamentari della Camera, pari nel 2012 a 57.539 euro per ogni eletto.
Calcolando poi che fino allo scorso anno i consiglieri molisani erano 30, significa che ai gruppi politici di una Regione con circa 320 mila abitanti sono andati 2,3 milioni di euro. Una cifra senza senso.
Per inciso, di quel gruppo faceva parte anche Cristiano Di Pietro, figlio del leader del partito, approdato finalmente nella precedente tornata elettorale al consiglio regionale, dopo essere passato per il consiglio provinciale e per quello comunale.
Il 2 novembre 2012, mentre infuriava lo scandalo del Lazio, dichiarava risoluto: «Dopo i tristi esempi provenienti da alcune Regioni possiamo andare controcorrente e dimostrare che non tutti i consiglieri sperperano il denaro pubblico».
Faceva parte del gruppo, abbiamo detto, perchè ne è uscito qualche settimana fa dopo che un candidato dell’Idv rimasto fuori dal Consiglio alle ultime elezioni ha presentato un ricorso al Tar. Lui non ha gradito e ha imboccato la porta.
Uscendo dal gruppo ma non dal partito, beninteso.
È soltanto emigrato al gruppo misto, che prima non esisteva.
Lui l’ha costituito, ne è l’unico componente nonchè il presidente: incarico, per inciso, che vale 800 euro netti in più al mese.
Tanto per Di Pietro junior come per altri suoi 15 colleghi. Perchè con la nascita del misto i gruppi politici della Regione Molise sono infatti diventati 16, per 21 consiglieri.
In media, 1,31 per ogni gruppo.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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