Giugno 13th, 2013 Riccardo Fucile
TRA POCHI GIORNI PARTIRA’ PER UNA TOURNEE CHE LO TERRA’ LONTANO DALLE VICENDE ITALIANE: SOSPIRO DI SOLLIEVO DEI PARLAMENTARI CINQUESTELLE CHE PENSANO AL NUOVO SITO DEI GRUPPI, DISTINTO DA QUELLO DI GRILLO
In psicanalisi si parla di «uccidere il padre» per liberarsi di una figura fondamentale, che ti ha dato la vita, ma che rischia di soffocarti con la sua presenza ingombrante.
Qualcuno dentro il Movimento 5 Stelle sta pensando che è arrivato il momento.
Niente di troppo traumatico, ma una separazione di fatto è necessaria per diventare adulti e Beppe Grillo, con la sua irruenza e la sua straordinaria passione, rischia di diventare un peso, dopo essere stato il motore fondamentale.
Del resto qualcuno sussurra che lo stesso Grillo sia stanco, sopraffatto da una creatura che non risponde più ai suoi comandi, che si ribella come un adolescente inquieto.
E così sono destinati a crescere gli spazi di autonomia reciproca.
A questo serve il nuovo portale che sta per nascere, tutto dedicato ai parlamentari, che sarà separato dal blog di Beppe Grillo e si affiancherà al terzo polo del sistema, la piattaforma pluriannunciata per la condivisione delle proposte di legge con la Rete.
Un divorzio telematico che va nella stessa direzione di un’altra notizia sorprendente: Beppe Grillo è in partenza per un nuovo tour.
Niente tsunami questa volta, perchè il leader del Movimento vuole tornare per qualche tempo quello che è stato per molti anni: una macchina da palcoscenico, un attor comico che mischia la verve satirica alla denuncia politica.
E lo farà in Australia, dove vive uno dei suoi cinque figli, e dove approderà tra pochi giorni per una tournèe, la prima dopo l’opera teatrale «Beppe Grillo is back», del 2010.
Voglia di prendere una boccata d’aria fresca all’estero e allontanarsi dalle troppe polemiche nostrane?
Desiderio di tornare a cimentarsi con la sua vera natura di attore?
Preannuncio di un disimpegno dalla politica attiva?
Per ora non è dato sapere, anche se Grillo è atteso a Roma a giorni (qualcuno dice già oggi) per parlare con i parlamentari.
Potrebbe essere l’ultimo atto politico, prima della vacanza-tournèe.
Un gesto che sancisce un divorzio tardivo o il primo passo di un lungo addio.
Nel 2010, l’inesauribile show man si produsse nella sua prima tournèe all’estero, «Incredible Italy», che lo portò a Londra, Parigi, Monaco, Bruxelles e da cui trasse il racconto «Un Grillo mannaro a Londra».
Tra i temi trattati, ecologia, cultura e crisi finanziaria.
Grillo si lamentò, all’epoca, della scarsa eco mediatica in Italia del tour, mentre «per l’affetto che mi mostravano fuori, a un certo punto mi è sembrato di essere scambiato per Garibaldi».
Grillo, prima di tornare in battaglia, si ritemprò nella sua Caprera, contento di «aver lasciato uno stagno immobile, una realtà congelata intenta a osservare il proprio ombelico».
Intanto, nella «tomba maleodorante», come la definisce Grillo, molti parlamentari a 5 Stelle attendono con ansia il varo del nuovo sito.
Un progetto voluto da Gianroberto Casaleggio, con lo scopo di sottrarre i progetti e le dichiarazioni dei parlamentari alla gogna dei commenti (che resteranno solo sul blog di Grillo). Ma anche un’occasione voluta e rivendicata dai parlamentari per diventare autonomi ed avere uno spazio tutto loro.
Desiderio che sarà esaudito, ma a metà .
Perchè il nuovo sito avrà comunque un link sulla madre di tutti i blog del Movimento, quello di Grillo.
Perchè, di fatto, quello resta l’organo ufficiale: circostanza sancita anche dalla presenza sul logo della scritta beppegrillo.it.
Ma è comunque un primo passo per poter separare le due strade e i due modi di esprimersi. Così come è in forte ritardo, e la questione è fonte di molti mugugni, l’arrivo dell’ormai mitica piattaforma informatica che dovrebbe portare a condividere i progetti di legge con la Rete. Racconta Aris Prodani: «Io, come tutti i parlamentari, ho firmato un impegno per consentire ai miei elettori di partecipare al processo di formazione delle leggi. Se una proposta o emendamento è condiviso dal 20 per cento della Rete, abbiamo l’obbligo di trasformarlo in un atto parlamentare. Ma questa piattaforma non arriva: e io cosa dico ai miei elettori?».
La piattaforma potrebbe rendere più facile il processo di consultazione della Rete, che ora è affidato al blog di Grillo e che è ancora farraginoso e costoso.
Sottoporre al voto rapido della Rete alcune questioni delicate, potrebbe ridurre la portata di certe assemblee monstre, che durano ore e partoriscono dibattiti e polemiche infiniti.
Alessandro Trocino
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 13th, 2013 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER: “IO POTREI FARE IL SEGRETARIO”… BERLUSCONI STUDIA DA TEMPO LE APPARIZIONI TV DI ALFIO MARCHINI, CAPACE DI “BUCARE IL VIDEO” E RACCOGLIERE 110.000 VOTI DAL NULLA
Sogna di fare di lui l’anti- Renzi. Da settimane Silvio Berlusconi studia le performance televisive che hanno portato tre settimane fa Alfio Marchini a stappare quasi il 10 per cento a Roma, raccogliere 110 mila preferenze quasi dal nulla, ma soprattutto a «bucare il video».
Il Cavaliere si è convinto che potrebbe essere il volto giusto, quello sul quale investire: ramificate le sue entrature negli ambienti curiali Oltretevere, vicino agli ambienti dell’Opus dei ma abile frequentatore dei salotti dell’alta borghesia capitolina e non solo.
Buone conoscenze, sportivo, sciolto.
Se davvero l’ex premier dovesse essere costretto a farsi da parte – complice magari l’interdizione dai pubblici uffici – ma anche se Matteo Renzi dovesse prendere le redini del Pd e candidarsi lui alla premiership, ecco la soluzione possibile.
Quarant’anni di scarto per Berlusconi sarebbero davvero troppi rispetto all’avversario democratico.
Raccontano che due giorni fa il leader Pdl si sia fatto contattare personalmente l’outsider della competizione romana, per complimentarsi per il risultato, sondarne gli umori, soprattutto per complimentarsi per la neutralità tra il primo e il secondo turno, quando di fatto Marchini si è eclissato.
Adesso da neofita della politica quello non vuol farsi da parte e un Berlusconi messo alle strette dall’anagrafe e dalle sentenze non vuole lasciarsi soffiare l’occasione.
Convinto com’è che nessuno dei dirigenti del Pdl, nemmeno i rampanti quarantenni, abbia le chance mediatiche di quel volto nuovo e piuttosto telegenico.
Berlusconi rientra a Roma e invita a cena venti tra deputati, senatori, dirigenti di partito, rimasti a Palazzo Grazioli fino a tardi.
Stasera toccherà ai ministri Pdl del governo Letta. Con tutti loro si è guardato bene, tra una portata e l’altra, di accennare al piano top secret che porterebbe al coinvolgimento di Marchini. Ancora tutto da sperimentare, del resto.
Ieri sera, al tavolo del capo, Alfano a Verdini, la Santanchè e la Carfagna, passando per Cicchitto, Gasparri. Invitato pure Raffaele Fitto, sempre più scettico sulla gestione del partito, sebbene intenzionato per ora a restare fuori da coordinamenti e ruoli direttivi.
E poi Bernini, Gelmini e i capigruppo Brunetta e Schifani, il portavoce Bonaiuti.
Da vertice ristretto a plenum, per ascoltare, tranquillare, rassicurare i tanti allarmati dalle voci su un nuovo “predellino” in arrivo.
Il leader ha indossato i panni del pompiere.
«Sarà più movimento che partito, più nazionale che locale, molto proiettato sull’appuntamento elettorale, dovrà essere aperto a imprenditori, professionisti, commercianti» è il profilo tracciato da Berlusconi.
Sul ritorno al nome di Forza Italia avrebbe glissato.
Comunque non è imminente, le elezioni non sono alle porte dunque sulla sigla ci sarà tempo.
Il Cavaliere si è dato sei mesi di tempo – giusto quelli che intercorrono da qui alla sentenza di Cassazione su Mediaset – per decidere che fare.
Per il momento, ha ripetuto anche ieri sera, «il governo dovrà andare avanti». Anche se le sentenze, gli imminenti pronunciamenti della Consulta sul legittimo impedimento e del Tribunale di Milano su Ruby restano in cima alle sue preoccupazioni.
Attenderà fine mese, infatti.
Poi deciderà anche se cedere al pressing dei falchi che gli chiedono con sempre maggiore insistenza di assumere lui il ruolo di presidente e segretario: insomma, leader unico del partito snello e all’americana che sta per decollare.
«Potrei farlo per proteggere Angelino dai veleni interni, per consentirgli di lavorare con serenità al governo» è la motivazione confidata in privato a pochi interlocutori.
Per il momento, Alfano resta al suo duplice posto di segretario e vicepremier, il Cavaliere lo difende in pubblico a spada tratta
Il progetto messo nero su bianco dai “falchi” Verdini-Santanchè- Capezzone è un volume con tanto di studio comparato sulle ultime tre campagna elettorali Usa e su quelle britanniche, centrato sull’organizzazione dei comitati elettorali e sulla raccolta fondi privati con fund raising capillare, anche con microdonazioni via web.
Nell’immediato, parte l’azzeramento dei coordinatori regionali destinati a essere sostituiti da “procacciatori” di fondi.
Il piano, messo a punto stavolta dal tesoriere Rocco Crimi e Sandro Bondi, prevede la nuova figura di coordinatori a budget, ognuno di loro sarà confermato se avrà raccolto un tot di euro. Ma in tempo di tagli ai finanziamenti pubblici, come è stato spiegato ieri sera, anche i semplici parlamentare, se vorranno riottenere la candidatura, dovranno portare il loro contributo in termini assai concreti e monetari. Berlusconi, lo ha spiegato ancora una volta, non intende più mettere mani al portafogli.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Giugno 13th, 2013 Riccardo Fucile
MAI NESSUNO CHE METTA IN GALERA CHI ISTIGA ALL’ODIO RAZZIALE?… QUESTA VOLTA SI TRATTA DI DOLORES VALANDRO, CONSIGLIERE LEGHISTA DI PADOVA, DONNA PER CASO
«Ma mai nessuno che se la stupri, così tanto per capire cosa può provare la vittima di questo efferato reato? Vergogna».
L’invito choc è di Dolores Valandro, consigliere leghista di quartiere a Padova, ed è rivolto al ministro per l’Integrazione Cècile Kyenge.
La frase della Valandro, vice coordinatrice della commissione sanità , interventi sociali e politiche giovanili è comparsa sulla sua bacheca Facebook, accompagnando un articolo preso da un sito specializzato nel raccontare «i crimini degli immigrati». Dichiarazioni che stanno già facendo il giro della Rete, scatenando l’indignazione di molti utenti.
Valandro si era appena vista annullare la «sospensione» dai probiviri della Lega Veneta per i tafferugli con contestazione a Flavio Tosi successi a Pontida.
Proprio lunedì scorso il ministro Kyenge era stato in visita in città : una giornata nella quale aveva avuto l’occasione di incontrare una rappresentanza dei ragazzi del liceo Cornaro e riceverne le scuse per quanto successo all’indomani della sua nomina, con una scritta razzista comparsa sui muri dell’istituto.
Dolores «Dolly» Valandro con la sua scritta pubblica rischia anche di finire in tribunale, come successe al consigliere comunale Vittorio Massimo Aliprandi, condannato dai giudici patavini per alcune scritte che «istigavano alla violenza» nei confronti dei Rom.
Enrico Albertini
(da “il Corriere del Veneto”)
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Giugno 13th, 2013 Riccardo Fucile
NUOVI ASSETTI ORGANIZZATIVI E RISPARMIO SUI COSTI… VIA I COORDINATORI NAZIONALI: AL LORO POSTO IMPRENDITORI PER TROVARE RISORSE…E AL VERTICE AL SANTANCHE’
Un vero assetto da battaglia. Prima un prevertice ristretto, poi un vertice notturno allargato ai notabili Verdini, Santanchè, Bondi.
Nella residenza romana di Silvio Berlusconi da ieri pomeriggio è stato un susseguirsi di incontri, dopo un’assenza prolungata e all’indomani di una sconfitta bruciante ai ballottaggi di domenica e lunedì.
Tutti a pendere dalle labbra di Silvio, attendendo cioè che il Cavaliere dicesse qualcosa sul futuro del partito. E lui, si sa, ha un debole per il ritorno a Forza Italia.
Il ‘cerchio magico’ della pancia pidiellina, composto dai falchi di sempre, alla fine gli ha strappato la promessa, suggerendogli di tornare a quel simbolo che tanto gli è caro. Le colombe — che fanno innervosire Verdini tutte le volte che aprono bocca — al contrario lo tiravano per la giacca invitandolo a non fare salti indietro.
Tutti, comunque, alla fine hanno convenuto con il Cavaliere: serve un rilancio immediato dell’azione politica del partito e servono, soprattutto, facce nuove.
E’ ormai mattina quando Daniela Santanchè si lascia andare ad una confidenza: “Berlusconi è molto tonico, sa quel che vuole. E’ che le sollecitazioni sono tante, così come gli appetiti e la voglia di riscatto; c’è ancora molto lavoro da fare ma sì, Forza Italia è nel suo cuore, andiamo avanti con l’obiettivo di rifondare un partito forte, che emozioni anche la nostra base come noi quando pronunciamo quel nome…”
Riecco Forza Italia, dunque. Il Cavaliere ne è convinto.
Durante il vertice di ieri notte, finito alle due e mezza, Berlusconi ha confermato ai presenti la decisione di cambiare sede: a fine giugno scade il contratto di affitto per l’immobile di via dell’Umiltà , i soldi scarseggiano — avrebbe ribadito l’ex premier — e c’è la necessità di stringere la cinghia.
Da qui la decisione di trasferirsi in una sede più ‘economica’.
Il luogo prescelto è un immobile a San Lorenzo in Lucina.
I costi sono di ‘1 a 4′, ovvero: “In mese di affitto di via dell’Umiltà sono quattro mesi a San Lorenzo”.
Qualcuno, ieri sera, ha ironizzato sulla nuova location: nel portone accanto c’è il comando provinciale dei Carabinieri: “Così non faranno grande sforzo quando mi verranno a prendere!”, avrebbe ironizzato il Cavaliere a tavola, nell’ilarità generale.
Ma andando sempre più nel concreto della nuova Forza Italia (che non sarà 2.0 perchè “quei numeri hanno portato sfortuna a Maroni“, diceva Verdini) Berlusconi ha anche confermato che si andrà verso l’azzeramento delle cariche regionali del Pdl, sempre nell’ottica di risparmiare ma, soprattutto, per individuare nuove forme di reperimento di risorse in vista dello stop al finanziamento pubblico dei partiti.
Dunque, basta coordinatori locali, saranno sostituiti da imprenditori già radicati sul territorio con una loro rete di contatti e in grado di trovare fondi.
Altro capitolo importante, il rapporto tra il Pdl e il governo.
L’ex premier sarebbe tornato alla ‘carica’ sull’Europa, chiedendo che Enrico Letta si giochi la partita sulla ripresa dell’Italia anche a livello europeo, facendo la voce grossa soprattutto con la Germania affinchè vi sia “un deciso cambio di rotta sul rigore”.
Per il momento, intanto, avanti con il governo Letta, sostegno leale all’esecutivo, anche se il Pdl dovrà tenere alta la guardia sui provvedimenti a lui cari, come Iva, Imu, lavoro, sburocratizzazione.
“Non accetteremo — è stato il ragionamento — alcun passo indietro sugli impegni assunti da Letta e che sono alla base del nostro sostegno al governo”.
La macchina da guerra elettorale di Berlusconi, insomma, è di nuovo in corsa. Anche se all’appello manca ancora qualcosa.
Ieri notte Berlusconi ha confermato che per il momento Alfano manterrà tutte e tre le cariche (vice premier, segretario, ministro), ma i falchi — soprattutto la Santanchè — hanno fatto presente con forza l’esigenza di trovare al più presto “uno di noi che sia in grado di tenere alta la bandiera del partito” e che, soprattutto, sia mediaticamente forte e spendibile come leader, “per manifesta storia politica all’interno del partito”.
Chiaro un riferimento a sè stessa, anche se sono in parecchi, a partire da Fabrizio Cicchitto, a non digerire queste fughe in avanti dei colleghi.
Comunque, su un fronte Berlusconi sembra inamovibile: a capo della nuova Forza Italia ci dovrà essere una donna.
E tanto per cambiare, dopo aver dato il via libera al ritorno ad un nome antico ed evocativo, per Silvio Berlusconi ora l’obiettivo è trovare un leader capace di “infiammare nuovamente gli animi degli elettori”.
Come nella migliore tradizione di Arcore, chercez la femme…
Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 13th, 2013 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE E LA NOSTALGIA DEL SIMBOLO
Pre-vertice ristretto e vertice notturno allargato ai notabili del Pdl.
Nella residenza romana di Silvio Berlusconi è un susseguirsi di incontri, dopo un’assenza prolungata e all’indomani di una sconfitta bruciante ai ballottaggi di domenica e lunedì.
Tutti pendono dalle sue labbra, attendono cioè che il Cavaliere dica qualcosa sul futuro del partito.
E lui, si sa, ha un debole, per il ritorno a Forza Italia.
Il «cerchio magico» spinge, suggerendogli di tornare a quel simbolo e altri, al contrario, lo invitano a non fare salti indietro.
Tutti comunque convengono con lui sull’esigenza di rilanciare il partito con facce nuove.
La conseguenza di una decisione di questo genere sarebbe quella di azzerare i vertici locali del partito.
Berlusconi, osserva, ascolta tutti, li lascia parlare, ma è cauto nelle decisioni ultimative.
Attento certo, ma soprattutto concentrato su altro, sulle sue vicende giudiziarie.
Il loro esito a fine mese, lo dicono in parecchi, influenzerà le decisioni sul futuro del partito.
«Se le sentenze fossero infauste lo trasformerà in una macchina da guerra», prevede un deputato.
Da tempo si è accesa una discussione su come affrontare il futuro che, dopo il voto locale, si è trasformato in una emergenza.
Un’emergenza che Mariastella Gelmini così descrive: «Gli elettori ci hanno inviato un messaggio molto chiaro: senza Berlusconi, il Pdl, da solo, non vince. Indubbiamente è suonato un campanello d’allarme che non possiamo sottovalutare».
Ma come? Il dibattito è diventato molto aspro, al limite dello scontro.
Da un lato c’è chi propone un salto in avanti. «Io non riesco a parlare di un futuro nel Pdl», avverte Daniela Santanchè.
Lei, Denis Verdini e Daniele Capezzone sono i fautori di un nuovo modello organizzativo, un partito leggero, legato indissolubilmente alla figura carismatica del Cavaliere.
Un partito che, dopo l’abolizione del finanziamento pubblico, dovrà cercarsi i sostenitori perchè, aggiunge la Santanchè, «nessuno può più pensare a un Berlusconi bancomat, ognuno di noi deve essere un piccolo bancomattino».
E nel quadro dei risparmi si sarebbe deciso di cambiare sede e, al posto dei dirigenti che hanno dato una pessima prova di sè potrebbero andare imprenditori in grado di trovare fondi.
Ma sarà questo il destino?
Sarebbe sbagliato, ammonisce Maurizio Gasparri, «che le decisioni venissero calate dall’alto. A mio giudizio, sarebbe un errore un ritorno al passato, all’ipotesi di fare rivivere Forza Italia o Alleanza nazionale. Occorre un progetto innovativo in grado di allargare e includere».
Santanchè e Gasparri rappresentano due visioni che si confrontano.
Al momento, sembra accantonata l’idea di un vice segretario che affianchi (o sostituisca) Angelino Alfano impegnato nel governo.
Era circolato per questo incarico il nome di Raffaele Fitto, benchè lui abbia sempre negato preferendo continuare a «fare il semplice deputato».
È probabile, invece, un ritorno di Sandro Bondi nel ruolo di coordinatore.
La tensione, tuttavia, non riguarda soltanto il futuro.
Si strologa anche sul perchè non ci siano luoghi e momenti di riflessione, tali da allargare la discussione, coinvolgendo tutti i livelli.
E ci si interroga poi sulla capacità di condizionare le scelte del governo in materia economica: Iva, Imu, sburocratizzazione.
Ci si chiede, insomma, se il sostegno al governo delle larghe intese, ufficialmente sbandierato, paghi davvero in termini di consenso rispetto al proprio mondo di riferimento.
Lorenzo Fuccaro
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 13th, 2013 Riccardo Fucile
LE SENATRICE RIBELLE NON MOLLA E NON INTENDE ANDARSENE DAL GRUPPO…. E I TALEBANI NON POSSONO RISCHIARE UN VOTO DEL GRUPPO PERCHE’ POTREBBE VINCERE LEI: IN TANTI NON VOTEREBBERO LA SUA ESPULSIONE
Uno scontro violentissimo, con accuse e controaccuse, il cui ultimo capitolo è una frase pesante come un macigno, pronunciata dalla senatrice ribelle Adele Gambaro: «Se Grillo minaccia, lo denuncio».
L’inaspettata intervista tv della finora ignota parlamentare 5 Stelle continua a scuotere il Movimento.
La violenta reazione di Grillo, sorta di espulsione virtuale, non è piaciuta a molti parlamentari.
E ora il Movimento si trova di fronte a uno stallo pericoloso. Perchè la senatrice non recede. Persevera nelle sue accuse, «i toni forti di Grillo ci hanno fatto perdere le elezioni», e anzi chiede al leader di chiederle scusa. Inaudito. Non solo.
Nonostante i reiterati inviti a prendere le sue cose e trasferirsi nel gruppo misto, la Gambaro non demorde.
Atteggiamento che mette in grave difficoltà il Movimento.
Tanto che ieri Vito Crimi e Nicola Morra hanno convocato la senatrice e si è svolto una specie di psicodramma-processo per capire come risolvere la faccenda.
Già , perchè i parlamentari hanno opinioni diverse.
C’è chi è pronto a chiederne l’espulsione (anche alla Camera). Chi stigmatizza la forma ma condivide i modi. Chi la assolve senza tentennamenti.
In molti la vorrebbero fuori.
Ma come fare a espellerla? La procedura richiede il doppio voto, dell’assemblea e della Rete. Ma non è detto che basti la proposta di un singolo parlamentare.
Come è successo per la vicenda di Pietro Grasso, si potrebbe ritenere inopportuno un voto. Anche perchè il rischio è quello di fare una sorta di referendum pro o contro Grillo. Un boomerang.
E infatti Gambaro a sera si dice tranquilla: «Morra e Crimi mi hanno rassicurato. La mia espulsione non sarà sul tavolo».
Tra chi la difende c’è Francesco Campanella: «Sbagliano a chiederle di uscire, ha fatto bene ad esprimere le sue critiche. La diversità è importante. Grillo? È un passionale e questo in politica è un bene e un male».
Luis Orellana: «Le espulsioni non mi piacciono».
Aris Prodani: «Ha detto cose condivisibili, in modo un po’ brusco».
Maurizio Buccarella: «Ha sbagliato, ma voterei contro l’espulsione».
Tancredi Turco: «Espulsione? Ma di cosa parliamo? Reato d’opinione? Avrebbe dovuto parlare al gruppo, ma l’espulsione no».
Il reato lo enuncia una senatrice pasdaran: «Ha violato il primo comandamento: mai nominare il nome di Grillo invano».
«Siamo sotto attacco, dobbiamo difenderci – aggiunge Alberto Airola –, ci sono gli estremi per l’espulsione».
Eppure proprio Gambaro, fino a poche ore prima, era in lizza per andare in tv a rappresentare il Movimento: considerata «una signora distinta ed elegante», poteva parlare in modo convincente.
Non è andata così. Anzi, ora è «una che vale niente» e Grillo ne chiede le dimissioni. Ricordando che lei stessa, nelle dichiarazioni d’intenti, spiegava che si sarebbe dimessa in caso di disaccordo con il gruppo.
E aggiungendo, in un post notturno rivolto agli elettori del Movimento: «Fate sentire la vostra voce! Non potete credere che io, con l’aiuto di una srl e con un pugno di ragazzi in Parlamento, possa combattere da solo».
Ma perchè questa uscita di Gambaro contro Grillo?
Perchè non vuole restituire la diaria, fanno filtrare i pasdaran.
Perchè è in combutta con il Pd, dicono altri.
Dallo staff della Comunicazione della Camera gira una versione più dettagliata: si tratterebbe di vera e propria «compravendita».
«Gambaro è vicina al Pd, e si sta mettendo in atto quell’operazione di scouting che fu annunciata. È una cosa scientifica, a ogni svolta importante ci portano via un pezzo». Ma non solo.
La «compravendita» andrebbe avanti su due fronti. E così ieri girava una lista di venti parlamentari pronti a passare al Pdl.
Falso, ma il clima ormai è questo.
Alessandro Trocino
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 13th, 2013 Riccardo Fucile
LA LEGGE DELLA CANCELLIERI PREVEDE ANCHE IL LAVORO PER I DETENUTI
Napolitano e Cancellieri la considerano «una delle più gravi emergenze del Paese», al punto da rendere necessario un decreto legge.
Sulle carceri, una manovra urgente come quella che sarà approvata tra venerdì e sabato (la data è ballerina) non si ipotizzava da tempo.
Ma stavolta il ministero della Giustizia è deciso a portare a casa un pacchetto che potrebbe ridurre i detenuti, tra vecchi e nuovi ingressi, di circa 3.500-4mila persone. Quattro punti chiave: pene alternative alle patrie galere per delitti puniti fino a 4 anni, mentre oggi il tetto si ferma a 3 anni, e per un parterre di reati più ampio rispetto a quello ristretto di oggi.
Margini più ampi per il binomio liberazione anticipata e affidamento in prova (oggi bloccato a 3 anni).
Ricorso più massiccio al lavoro esterno per chi, comunque, continua a vivere in carcere.
Meno detenzione per il tossicodipendente che delinque.
Il decreto, in queste ore, è una sorta di “cantiere aperto”. Ne circolano più versioni. Fino all’ingresso a palazzo Chigi sono possibili modifiche. Ma un fatto è certo.
Tra il Guardasigilli Anna Maria Cancellieri e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano c’è la sintonia necessaria per utilizzare lo strumento del decreto.
Del resto, la sentenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo sui 3 metri obbligatori per ogni detenuto, con l’obbligo di cambiare lo stato attuale entro maggio 2014, crea le condizioni per utilizzare uno strumento urgente.
Che farà discutere chi ritiene che gli autori di certi reati, come il furto in casa, non debba fruire di ulteriori agevolazioni di pena
Del resto, anche il Parlamento si muove in questa direzione.
La presidente della commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti, d’accordo con il capogruppo del Pdl Enrico Costa, sta lavorando per ampliare la famosa “messa in prova”, istituto che consente di evitare processo e condanna per chi accetta di scontare la pena con lavori di pubblica utilità .
Dal tetto dei 4 anni previsti si passerebbe ad applicarlo anche a furti aggravati e ricettazioni. Non basta.
Il giudice dovrà valutare se dare gli arresti domiciliari per pene fino a 6 anni.
Erano 4 anni con il ddl Severino. In più un senatore, Luigi Manconi, e un deputato, Sandro Gozi, hanno presentato proposte su indulto e amnistia. Cancellieri risponde che ciò dipende dal Parlamento
Più pene alternative
Passa da 3 a 4 anni, per i condannati definitivi, il tetto della pena che consente di chiedere una misura alternativa al carcere. Già oggi, con una condanna fino a 3 anni, non si va in cella, ma si ottiene una sospensione per 30 giorni, nei quali chiedere una misura alternativa.
Con il decreto, si guadagna un anno. Restano esclusi i reati gravi, ma cade l’attuale limitazione per i detenuti pericolosi e per quelli che hanno commesso più volte lo stesso delitto, i cosiddetti recidivi reiterati.
Maglie più larghe anche per il tipo di crimini commessi, ad esempio potrà ottenere l’accesso al lavoro alternativo al carcere chi ha fatto un furto in casa o chi ha appiccato un incendio nei boschi, ma soprattutto gli immigrati clandestini che abbiano compiuto un reato.
Liberazione anticipata.
È la misura più soggetta a modifiche prima di licenziare il decreto. Un’ipotesi prevede di aumentare l’attuale abbuono di un mese e mezzo ogni sei per il detenuto modello, portandolo a due mesi. In pratica, un bonus di 2 mesi ogni 4 scontati.
Varrebbe per tutti i reati, anche quelli gravi, in caso di condotta meritevole.
Lavoro esterno.
Più ampio l’accesso al lavoro esterno al carcere dopo aver scontato un terzo della pena e 10 anni se la condanna è all’ergastolo.
Droga.
Agevolazioni per il tossicodipendente che commette reati non particolarmente gravi. Non entrerà in carcere, ma potrà fare lavori di pubblica utilità .
Cade il limite dei reati di lieve entità e potrà fruirne anche chi ha commesso delitti più gravi.
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Giugno 13th, 2013 Riccardo Fucile
E LE ACCUSE A MESSINEO ORA RISCHIANO DI BLOCCARE LE INCHIESTE
A Palermo, la procura della Repubblica è senza capo.
Anzi, senza quello che per il Consiglio superiore della magistratura era solo un capo sulla carta.
Un procuratore a mezzo servizio, «debole », incapace di guidare uno degli uffici giudiziari più caldi e rognosi d’Italia.
Giù in Sicilia, sta cominciando un’altra estate difficile per la giustizia. E già si annuncia una rifondazione per quella procura trascinata più volte in passato (per le tante nefandezze compiute dai giudici contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino) nel gorgo di sospetti e veleni.
Ma stiamo ai fatti e ricostruiamo cosa esattamente è accaduto, perchè l’organo di autogoverno della magistratura ha deciso di avviare la procedura per «incompatibilità ambientale» per Francesco Messineo, procuratore capo dal 2006. E i fatti, per la prima commissione del Csm, sono tanti.
Primo fatto. Ha gestito l’ufficio «senza la necessaria indipendenza ».
Secondo. Il procuratore «è stato influenzato dal suo aggiunto Antonio Ingroia».
Terzo fatto. Ha pregiudicato la cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro «per un difetto di coordinamento all’interno della procura».
Quarto. Ha invitato «a soprassedere, in attesa di ulteriori acquisizioni all’iscrizione nel registro degli indagati» del dirigente di banca Francesco Maiolini, a lui legato e al quale aveva chiesto e ottenuto «un posto di lavoro per suo figlio».
Quinto fatto. Ha comunicato a quel direttore di banca informazioni sulla sua posizione giudiziaria (questa accusa è stata archiviata propri ieri dalla procura di Caltanissetta in quanto, Messineo, si era limitato a riferire notizie già in possesso dell’indagato).
Sesto e ultimo fatto. Il capo della procura non «ha sempre seguito», nell’uso dell’istituto dell’astensione, «criteri coerenti e nitidamente individuabili».
Il riferimento del Csm corre ai guai giudiziari di due parenti stretti di Messineo. Uno è suo fratello Mario, processato per la gestione di fondi regionali (assolto in primo grado, prescritto in appello), l’altro è suo cognato Sergio Sacco, schedato mafioso dalla Questura fin dagli anni ’70, in buoni rapporti con i capi della «famiglia » Madonia, sempre «miracolato » nonostante le tante accuse e al momento sotto processo per associazione a delinquere. La lista parla da sola.
Per spiegare l’origine di questo pasticcio che è diventato scandalo, bisogna fare un passo indietro e raccontare come Messineo è arrivato al vertice della procura di Palermo e quali sono le logiche della magistratura italiana.
Giochi di corrente e manovre non sempre comprensibili.
Per evitare che l’attuale procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone (poi nominato a Reggio Calabria) finisse a Palermo, Magistratura Democratica si è sorprendentementemobilitata per sostenere Messineo – che apparteneva a un’altra corrente – nonostante non avesse esperienza di cose di mafia e soprattutto per quei suoi legami familiari che, già molti anni prima, l’avevano costretto ad allontanarsi da Palermo.
Così, per far fuori Pignatone, hanno puntato tutto su Messineo, un personaggio che non aveva il profilo per occupare quella poltrona.
Così la procura della Repubblica ha avuto un capo «ombra» che per anni è stato Antonio Ingroia.
È lui cheha deciso le grandi scelte di politica giudiziaria di quell’ufficio, è lui che ha avviato l’inchiesta sulla trattativa fra Stato e Cosa Nostra, sempre lui è rimasto riferimento per il pool antimafia fino al giorno in cui si è gettato nell’arena politica.
Il punto centrale delle accuse del Csm contro Messineo resta comunque quello della «dipendenza » dal suo vice.
Si riporta nell’atto di incolpazione: «Ha perso piena libertà e indipendenza nei confronti del procuratore aggiunto Ingroia e del sostituto Lia Sava (oggi procuratore aggiunto a Caltanissetta ndr)» tanto da subirne «condizionamenti ».
Un’ultima annotazione. Meno di un mese fa, il Tribunale di Milano ha condannato tre giornalisti a 8 mesi di carcere per diffamazione (e senza sospensione della pena) per un articolo dal titolo: «Ridateci Caselli».
Raccontavano del poco peso di Messineo alla procura di Palermo, invocando il ritorno del vecchio capo. Un eccesso di critica pagato caro.
La ricostruzione di questa vicenda non si può chiudere non parlando dell’inchiesta e del processo che è in corso in Sicilia sulla trattativa fra Stato e mafia.
Intanto perchè il procuratore generale della Cassazione ha promosso un’azione disciplinare contro il pm Nino Di Matteo e lo stesso Messineo, il primo per «avere ammesso l’esistenza delle telefonate fra l’ex ministro Mancino e il capo dello Stato», il secondo per «non avere segnalato le violazioni del suo sostituto ».
Poi perchè quel processo è diventato un caso italiano.
Certo che non c’è alcun collegamento fra ciò che sta travolgendo Messineo – anche se il Csm già in passato aveva insabbiato alcune accuse contro di lui che erano le stesse di oggi – ma c’è chi ipotizza che la tempesta che si sta abbattendo sulla procura porti anche indirettamente, inevitabilmente, conseguenze al dibattimento con quegli imputati eccellenti.
A cominciare dalla competenza territoriale.
Alla prossima udienza sapremo se il processo Stato-mafia resterà a Palermo o finirà altrove
Attilio Bolzoni
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Giugno 13th, 2013 Riccardo Fucile
MA BERLUSCONI : “NON FARO’ CADERE LETTA DOPO LA CONSULTA”
«Se anche la Consulta mi desse torto, se anche dovessi essere condannato per Ruby, non farò cadere il governo. Lo so che non aspettano altro».
È da qualche giorno che Berlusconi ripete questo dogma.
Lo ha detto anche ieri sera alla cena di palazzo Grazioli: mai e poi mai farà cadere il governo Letta. Almeno non in questa fase.
Ma c’è un motivo se il Cavaliere è tanto preoccupato. Ed è lo stesso motivo che spinge Renzi da qualche giorno ad essere più sospettoso e guardingo del solito.
Perchè il tam-tam che corre nel Pdl e rimbalza fino al Pd è quello di un ribaltone in preparazione, un cambio di maggioranza propiziato dallo sfarinamento in corso dei gruppi parlamentari a 5stelle.
Un rimescolamento per sostituire il Pdl con quelli che nel Pd vengono già definiti «i grillini riformisti» e decretare così la fine delle larghe intese.
Il presupposto sarebbe ovviamente una crisi di governo con la prospettiva di una Letta-bis.
Perchè se c’è un punto fermo in questa legislatura, che tutti danno per scontato, è l’assoluta ostilità di Giorgio Napolitano a sciogliere le Camere senza che sia stata (almeno) riformata la legge elettorale.
Per questo si dovrebbe varare un nuovo esecutivo e una nuova maggioranza: un «governo del Mattarellum», visto che al primo punto dell’agenda ci sarebbe l’archiviazione del Porcellum e il ritorno al vecchio sistema uninominale maggioritario.
Certo, al momento sono solo suggestioni.
Ma a palazzo Madama, vero fronte delle operazioni, si fanno e si rifanno i conti di quanti potrebbero lasciare Grillo per sostenere un altro governo e mettersi al petto la medaglia di aver archiviato l’era Berlusconi.
Si parla al momento di 12-15 pentastellati, su un gruppo che ne conta 53, pronti a mollare al momento opportuno.
Troppo pochi, ancora, anche se nel Pd si sta lavorando ai fianchi il MoVimento con l’obiettivo di allargare la faglia.
Per arrivare alla maggioranza di 156 senatori servirebbero almeno 20 transfughi, dando per scontato il sostegno dei 21 di Scelta Civica e dei 7 di Sel.
Ma negli ultimi giorni, dopo la batosta delle amministrative e i progetti di spacchettamento del Pdl e ritorno a Forza Italia, nel centrosinistra si guarda anche da quella parte.
Un numero consistente di senatori governativi del Pdl potrebbe infatti staccarsi dal Cavaliere e lavorare a un centro moderato di ispirazione Ppe insieme a Scelta Civica. In questo modo i numeri ci sarebbero per arrivare a fine legislatura.
«Berlusconi ha perso il suo tocco magico – ragiona un senatore del Pdl che non vede l’ora di disfarsi del vecchio leader – e lo dimostrano proprio le ultime elezioni. Non è vero che se non c’è lui perdiamo, basta guardare a Roma: Berlusconi è andato 2 punti sotto Storace e ben 7 punti sotto Alemanno».
Ed è proprio questo il timore di Renzi, che il governo Letta-bis vada avanti, anche se con una maggioranza diversa, e lo confini a palazzo Vecchio per anni.
Benchè il Cavaliere abbia tutto l’interesse, tanto più con le sentenze in arrivo, a restare aggrappato al governo, ci sono due strettoie che potrebbero facilitare l’operazione e portare a un incidente parlamentare.
Il primo collo di bottiglia sono proprio le riforme.
C’è un diffuso scetticismo sul lavoro del comitato dei saggi governativi e sulla capacità della bicamerale di trasformarlo in un disegno di legge costituzionale. Lo stesso ministro delle riforme, Gaetano Quagliariello ha posto unatimeline invalicabile: «I lavori dovranno essere completati al massimo entro il 15 ottobre».
Altrimenti, ha detto al Foglio, «ne trarrò le conseguenze».
Quattro mesi e si arriva a ottobre. Dove un altro collo di bottiglia, ancora più insidioso, minaccia la coesione della maggioranza di grande coalizione: la legge di stabilità .
Sarà quello l’ultimo treno per approvare le riforme – dall’Imu a Equitalia, dal lavoro alla restituzione dei 90 miliardi di debiti alle imprese – che giustificano l’esistenza del governo di larghe intese.
«Questo governo – osserva Daniele Capezzone – funziona solo se c’è una situazione “win-win” in cui il Pdl e il Pd ottengono cose concrete, soprattutto sul rilancio dell’economia e sull’occupazione. Altrimenti se il governo galleggia… ».
I puntini di sospensione li ha colmati ieri il Financial Times, accusando il governo di «letargia».
Linda Lanzillotta, vicepresidente montiana del Senato, prevede che una svolta potrebbe arrivare a settembre: «Lo spartiacque vero saranno le elezioni tedesche. Fino ad allora ci sarà da soffrire, poi ci potrebbero essere dei margini per la crescita». Sempre che nel frattempo ci sia ancora il governo.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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