IL COLPO DI RISERVA DEL CENTROSINISTRA: UN RIBALTONE CON I DISSIDENTI CINQUESTELLE
MA BERLUSCONI : “NON FARO’ CADERE LETTA DOPO LA CONSULTA”
«Se anche la Consulta mi desse torto, se anche dovessi essere condannato per Ruby, non farò cadere il governo. Lo so che non aspettano altro».
È da qualche giorno che Berlusconi ripete questo dogma.
Lo ha detto anche ieri sera alla cena di palazzo Grazioli: mai e poi mai farà cadere il governo Letta. Almeno non in questa fase.
Ma c’è un motivo se il Cavaliere è tanto preoccupato. Ed è lo stesso motivo che spinge Renzi da qualche giorno ad essere più sospettoso e guardingo del solito.
Perchè il tam-tam che corre nel Pdl e rimbalza fino al Pd è quello di un ribaltone in preparazione, un cambio di maggioranza propiziato dallo sfarinamento in corso dei gruppi parlamentari a 5stelle.
Un rimescolamento per sostituire il Pdl con quelli che nel Pd vengono già definiti «i grillini riformisti» e decretare così la fine delle larghe intese.
Il presupposto sarebbe ovviamente una crisi di governo con la prospettiva di una Letta-bis.
Perchè se c’è un punto fermo in questa legislatura, che tutti danno per scontato, è l’assoluta ostilità di Giorgio Napolitano a sciogliere le Camere senza che sia stata (almeno) riformata la legge elettorale.
Per questo si dovrebbe varare un nuovo esecutivo e una nuova maggioranza: un «governo del Mattarellum», visto che al primo punto dell’agenda ci sarebbe l’archiviazione del Porcellum e il ritorno al vecchio sistema uninominale maggioritario.
Certo, al momento sono solo suggestioni.
Ma a palazzo Madama, vero fronte delle operazioni, si fanno e si rifanno i conti di quanti potrebbero lasciare Grillo per sostenere un altro governo e mettersi al petto la medaglia di aver archiviato l’era Berlusconi.
Si parla al momento di 12-15 pentastellati, su un gruppo che ne conta 53, pronti a mollare al momento opportuno.
Troppo pochi, ancora, anche se nel Pd si sta lavorando ai fianchi il MoVimento con l’obiettivo di allargare la faglia.
Per arrivare alla maggioranza di 156 senatori servirebbero almeno 20 transfughi, dando per scontato il sostegno dei 21 di Scelta Civica e dei 7 di Sel.
Ma negli ultimi giorni, dopo la batosta delle amministrative e i progetti di spacchettamento del Pdl e ritorno a Forza Italia, nel centrosinistra si guarda anche da quella parte.
Un numero consistente di senatori governativi del Pdl potrebbe infatti staccarsi dal Cavaliere e lavorare a un centro moderato di ispirazione Ppe insieme a Scelta Civica. In questo modo i numeri ci sarebbero per arrivare a fine legislatura.
«Berlusconi ha perso il suo tocco magico – ragiona un senatore del Pdl che non vede l’ora di disfarsi del vecchio leader – e lo dimostrano proprio le ultime elezioni. Non è vero che se non c’è lui perdiamo, basta guardare a Roma: Berlusconi è andato 2 punti sotto Storace e ben 7 punti sotto Alemanno».
Ed è proprio questo il timore di Renzi, che il governo Letta-bis vada avanti, anche se con una maggioranza diversa, e lo confini a palazzo Vecchio per anni.
Benchè il Cavaliere abbia tutto l’interesse, tanto più con le sentenze in arrivo, a restare aggrappato al governo, ci sono due strettoie che potrebbero facilitare l’operazione e portare a un incidente parlamentare.
Il primo collo di bottiglia sono proprio le riforme.
C’è un diffuso scetticismo sul lavoro del comitato dei saggi governativi e sulla capacità della bicamerale di trasformarlo in un disegno di legge costituzionale. Lo stesso ministro delle riforme, Gaetano Quagliariello ha posto unatimeline invalicabile: «I lavori dovranno essere completati al massimo entro il 15 ottobre».
Altrimenti, ha detto al Foglio, «ne trarrò le conseguenze».
Quattro mesi e si arriva a ottobre. Dove un altro collo di bottiglia, ancora più insidioso, minaccia la coesione della maggioranza di grande coalizione: la legge di stabilità .
Sarà quello l’ultimo treno per approvare le riforme – dall’Imu a Equitalia, dal lavoro alla restituzione dei 90 miliardi di debiti alle imprese – che giustificano l’esistenza del governo di larghe intese.
«Questo governo – osserva Daniele Capezzone – funziona solo se c’è una situazione “win-win” in cui il Pdl e il Pd ottengono cose concrete, soprattutto sul rilancio dell’economia e sull’occupazione. Altrimenti se il governo galleggia… ».
I puntini di sospensione li ha colmati ieri il Financial Times, accusando il governo di «letargia».
Linda Lanzillotta, vicepresidente montiana del Senato, prevede che una svolta potrebbe arrivare a settembre: «Lo spartiacque vero saranno le elezioni tedesche. Fino ad allora ci sarà da soffrire, poi ci potrebbero essere dei margini per la crescita». Sempre che nel frattempo ci sia ancora il governo.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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