Giugno 22nd, 2013 Riccardo Fucile
IL DECRETO E’ PRONTO, MERCOLEDI IN CONSIGLIO DEI MINISTRI
Per ora è solo una bozza, ma se venisse confermata renderebbe felici molte persone.
A partire da Silvio Berlusconi e dai suoi coimputati nel processo Ruby.
Salvo modifiche in corsa, il decreto che mercoledì il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri presenterà in Consiglio dei ministri per contrastare l’affollamento delle carceri pare l’ennesima legge ad personas.
Ecco la bozza che il Fatto ha potuto visionare.
SALVA-SILVIO (& ALTRI)
Si legge Salva-Silvio, ma questa norma, che incide sulla sospensione della pena, salverà anche molti altri condannati.
Fino a oggi, infatti, chi deve scontare tre anni di carcere ottiene quasi automaticamente la misura alternativa dell’ “affidamento in prova ai servizi sociali” (cioè rimane in libertà ).
In futuro, per gli ultrasettantenni (oltre che per gli over 60 parzialmente inabilitati), la sospensione della pena verrà concessa a chi di anni ne deve scontare quattro.
Il Cavaliere, com’è noto, è imputato nel processo Ruby per l’ex-concussione (le famose telefonate in questura) e prostituzione minorile (in veste di “utilizzatore finale”).
Poniamo che venga condannato alla pena richiesta dal pm Ilda Boccassini, cioè sei anni: in quanto ultrasettantenne (come prevede la ex-Cirielli) sconterebbe i primi due anni agli arresti domiciliari e gli altri quattro (con il nuovo decreto) ai servizi sociali. Se invece la pena fosse sotto i quattro anni, niente domiciliari: libertà subito.
SALVA-FEDE
Dove scontano la pena i condannati ultrasettantenni?
Oggi (grazie alla ex-Cirielli salva-Previti), ai domiciliari.
Un beneficio da cui però è escluso chi risponde di reati di mafia o sessuali.
Col decreto Cancellieri, gli unici che non potranno scontare la pena a casa saranno i mafiosi.
Se invece un 82enne – come per esempio Emilio Fede – venisse condannato per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione minorile, potrebbe tranquillamente restarsene a casa.
Tra i reati “assolutamente ostativi” alla concessione dei domiciliari, infatti, restano solo quelli mafiosi e quelli sessuali “gravissimi”: e non è il caso del processo Ruby .
SALVA-MAFIOSI/1
Anche se esclusi dalla salva-Fede, qualche regalino c’è pure per i mafiosi. Indipendentemente dall’età , la riforma prevede gli ultimi due anni di pena ai domiciliari.
Se verrà abbinata alla legge delega Ferranti-Costa sulle pene alternative, i mafiosi potranno evitare di trascorrere gli ultimi due anni di pena in carcere.
Nella peggiore delle ipotesi, otterranno la detenzione domiciliare, che finora è esclusa proprio perchè il reato di mafia è considerato troppo grave per i benefici.
La norma Pd- Pdl prevede che la detenzione domiciliare, per i reati puniti fino a 6 anni, non sia più una “pena alternativa” al carcere, ma una pena principale: così lo sbarramento cade. E i padrini una casa ce l’hanno sempre.
SALVA-MAFIOSI/2
Le buone notizie per i mafiosi non sono finite: aumenteranno anche le probabilità di scampare al carcere duro.
Oggi il boss che presenta istanza di revoca del 41-bis, dovunque si trovi, deve rivolgersi al Tribunale di sorveglianza di Roma: la scelta di stabilire una competenza unica nazionale era stata presa per evitare disparità di giudizio tra i vari tribunali di sorveglianza sparsi per l’Italia.
Col decreto Cancellieri, invece, il mafioso potrebbe avanzare l’istanza al Tribunale dove sta scontando la pena e, visti i continui spostamenti dei detenuti per i vari processi, potrebbe “scegliersi” il giudice più benevolo o “garantista”.
DROGATEVI TUTTI
Avviso ai criminali: se avete in mente di delinquere, vi conviene fare uso di droghe.
E, se ancora non “vi fate”, abbiate cura di cominciare quando vi condannano. Prendiamo il caso di un rapinatore allergico alla cocaina: appena beccato, va in carcere.
Se però dimostra che, al momento del reato o dopo averlo commesso, ha assunto sostanze stupefacenti o psicotrope, anzichè in galera andrà a svolgere lavori di pubblica utilità .
Finora poi questo beneficio era concesso solo per i reati minori del Testo unico sulla droga (come piccolo spaccio o modesta detenzione).
Ora non più: i delinquenti tossici ringraziano.
EVADETE PURE
Ora che, per molti, gli arresti domiciliari diventeranno pena principale al posto del carcere, lo svuota-celle provvede ad agevolare anche la vita dei reclusi in casa.
La denuncia di evasione, infatti, non basterà più per sospendere la detenzione a domicilio. Di più: anche chi viene condannato per evasione non tornerà automaticamente in carcere, come accade oggi. Pure i recidivi potranno chiedere e ottenere (più volte) sia gli arresti domiciliari sia la semi-libertà .
DELINQUETE A DOMICILIO
Infine un pensiero alle tipologie di delinquenti che, verosimilmente, potranno beneficiare degli arresti domiciliari: tra gli altri, lo stalker, il pusher, il marito violento.
Ve li immaginate, quando torneranno a casa dopo la condanna “virtuale”? Il primo potrà continuare indisturbato a tempestare di telefonate la sua vittima (purchè si procuri un cellulare “pulito”). Il secondo non perderà neanche un cliente (e magari se ne farà di nuovi, soprattutto tra i rapinatori che vogliono evitare il carcere).
Se poi il pusher dovesse uscire per rifornirsi, niente paura: l’evasione non comporta più la revoca dei domiciliari.
Saranno poi felici le mogli picchiate o le figlie molestate nel veder tornare a casa il loro aggressore appena condannato, che potrà riprendere il suo sport prediletto.
Il rischio è che la condanna ai domiciliari la scontino le vittime.
Beatrice Borromeo
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 22nd, 2013 Riccardo Fucile
IL PD COLLABORA AL RINVIO
Elvira Savino alias la “Topolona tacco 12” (copyright Dagospia), esponente di spicco di Forza Gnocca, ieri ha sparato l’ennesima cartuccia: “Napolitano deve nominare Berlusconi senatore a vita, solo così potrà chiudere la guerra di questi vent’anni. Noi non abbiamo mai chiesto al Colle di intervenire sulla Consulta, esercitando la moral suasion, ma una nomina del genere avrebbe un alto valore simbolico”.
Al solito, si dimentica che Giulio Andreotti venne processato da senatore a vita, ma tant’è.
Da giorni, Silvio Berlusconi ragiona sui suoi guai giudiziari, tra rabbia, amarezza e finanche rassegnazione.
Chi lo ha incontrato lo descrive persino “fiacco e sfiduciato”.
Schifani ribadisce che la pacificazione significa fermare l’accanimento giudiziario contro il Capo. Il premier Letta “comprende” la delusione di B. e riconosce, sollevato, la correttezza delle sue parole pubbliche a sostegno del governo.
I falchi del Pdl, infine, vorrebbero usare Imu e Iva per far cadere tutto.
In ogni caso, partendo dai problemi concreti dopo il mercoledì nero della Corte costituzionale sul legittimo impedimento, l’orizzonte per il Cavaliere è meno nero e fosco di quanto si pensi. Merito anche del Pd, alleato di governo, che sull’eleggibilità ha scelto la via dello scambio e del dialogo come ha raccontato ieri Ettore Colombo sul Messaggero.
La Giunta per l’immunità di Palazzo Madama esaminerà l’ineleggibilità del Cavaliere, secondo i criteri della legge del 1957 sui titolari di notevoli concessioni pubbliche non prima del prossimo settembre.
Il calendario dell’organismo presieduto da Dario Stefano di Sel è ingolfato infatti da altre questioni che hanno la priorità e che impegneranno almeno tutto il mese di luglio, una volta alla settimana.
E quando poi finalmente, con la ripresa dei lavori dopo l’estate, i partiti affronteranno la questione posta dai quattro senatori grillini della Giunta, il Pd voterà quasi sicuramente coi colleghi d’inciucio del Pdl e di Scelta Civica per il no all’ineleggibilità .
Il motivo è questo: d’accordo con i vertici del partito, da Epifani alla Finocchiaro e Zanda, Massimo Mucchetti, già editorialista del Corsera e oggi senatore del Pd, ha presentato un nuovo disegno di legge per regolare il conflitto d’interessi.
Il pretesto alla base è che la legge del ’57 va aggiornata perchè vecchia: rende ineleggibili i proprietari titolari di concessioni ma non gli azionisti.
In realtà , come conferma una fonte autorevole del Pd al Fatto, a microfoni chiusi, “l’importante è allungare i tempi e sminare uno dei fronti più rischiosi del governo Letta, in cambio della discussione sul conflitto d’interessi apriremo al Pdl sul semipresidenzialismo”.
Melina, melina, melina. Non solo.
C’è anche la ratio politica del ddl di Mucchetti a rassicurare B.
Dicono dal Pd: “Dobbiamo evitare i radicalismi alla Micromega”. In sede di voto l’eleggibilità dovrebbe passare con il sì di Pdl, Pd, Scelta Civica.
Peraltro, tra i democratici scende di numero il fronte del no.
Stando alle dichiarazioni sono rimasti in tre contro Berlusconi: Felice Casson, Stefania Pezzopane e Rosanna Filippin. Insomma, la questione dell’ineleggibilità dovrebbe essere archiviata a favore del Cavaliere.
A spaventare B. resta però la sentenza della Cassazione su Mediaset.
Casson già ha posto il problema in termini critici: “Il Senato non deve esprimere un voto politico, solo ratificare una sentenza passata in giudicato”.
Ma se ne parlerà in inverno inoltrato
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Giugno 22nd, 2013 Riccardo Fucile
FINISCE DOPO DUE ANNI L’ALLEANZA CENTRISTA TRA RECIPROCHE ACCUSE…LE RISPETTIVE STRATEGIE FUTURE
L’incontro tra Casini e Monti è ad alta tensione.
All’insegna della «delusione personale» che i due si rinfacciano a vicenda.
Finisce così la storia di un’alleanza politica nata nel novembre 2011, quando il presidente della Bocconi sbarcò a Palazzo Chigi, rinvigoritasi man mano che il governo tecnico procedeva ma riempitasi di crepe dopo le elezioni dello scorso febbraio.
Il tradimento è ormai consumato, il divorzio è inevitabile. Ma i tempi non sono ancora stati decisi. Per ora si vive da separati in casa.
Quando fare le valigie probabilmente lo deciderà Casini.
Di buon mattino Casini e Cesa si recano a Palazzo Giustiniani per incontrare Monti, Olivero e Dellai.
Chi ha una vaga dimestichezza con il linguaggio della diplomazia racconta di un incontro «franco».
Gli altri parlano di «scontro durissimo» con reciproche recriminazioni.
È stato Cesa ad aprire le danze. Il segretario dell’Udc ha ricordato a Monti il ruolo del suo partito nel far cadere Berlusconi, nel sostenere il governo tecnico, l’assenza di lamentele di fronte alle scelte su nomine e linea politica che dopo le elezioni Monti ha preso senza mai consultare l’alleato.
«Più leali di così non potevamo essere, chiedevamo la fusione tra Udc e il tuo partito, era girata una road map ma poi ci hai scaricati accusandoci di volere quote di potere».
Con Casini che a quel punto non ha esitato a dire: «Mario, questa è una delusione personale». Fredda la reazione di Monti, che ha invitato tutti a essere razionali, ha ricordato il sostegno che lui ha dato a Casini, parlando anch’egli di delusione, ma ribadendo che Sc non è pronta alla fusione.
Lo scontro viene nascosto in un comunicato di maniera che parla di «ritorno all’autonomia» dei due partiti «in attesa di una riflessionesu un possibile progetto comune» da fare più avanti «visto che ora i toni sono troppo esasperati».
La verità la racconta con disincanto un pontiere tra il mondo cattolico e quello montiano.
Monti e i suoi non si sentono pronti alla fusione con i centristi perchè se in Parlamento hanno più uomini, sul territorio non sono radicati quando l’Udc.
«Sarebbero i centristi ad annettere i montiani, non viceversa ». Per questo Monti punta a strutturare e rilanciare (congresso e tesseramento in luglio) un partito in crisi di consensi e di visibilità apparentandosi a mondi della società civile, dell’associazionismo cattolico e, perchè no, agli ex adepti di Oscar Giannino.
Casini non vuole aspettare che i rapporti di forza si ribaltino e se deve preferisce prendere il largo subito. I centristi come prima cosa chiederanno che i gruppi unici in Parlamento non si chiamino più Scelta Civica ma Sc-Udc.
Poi cercheranno di rubare quanti più parlamentari a Monti.
Infine, quando il momento sarà ideale per riposizionarsi politicamente, l’addio.
Alberto D’Argenio
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Giugno 22nd, 2013 Riccardo Fucile
SLITTA A SETTEMBRE LA RIDUZIONE DEL CUNEO… SI PARLA DI UN MILIARDO DI BONUS FISCALE PER NUOVE ASSUNZIONI SOTTRATTO PERO’ AI FONDI STRUTTURALI
Circa un miliardo di bonus fiscale per facilitare nuove assunzioni sotto i 30 anni mentre ogni intervento sul cuneo fiscale slitta a settembre-ottobre con la definizione della legge di stabilità . Martedì il governo varerà il piano nazionale per il lavoro in tempo utile per portarlo al Consiglio europeo di giovedì.
Il premier Enrico Letta, commentando i provvedimenti che il governo si appresta a varare per stimolare l’economia e il mercato del lavoro, ha rimesso al centro dell’azione dell’esecutivo i giovani. «A loro — ha affermato — bisogna ridare quanto è stato tolto in passato, oggi devono diventare la priorità ».
Ma le risorse sono scarse, anzi ridotte al lumicino, e necessariamente dentro il perimetro del 3% ormai promesso a Bruxelles e a Francoforte in tutte le lingue.
Talmente scarse che probabilmente rimarranno fuori anche gli incentivi per trasformare i contratti precari in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
Il miliardo su cui si ragiona dovrebbe arrivare dai soliti fondi strutturali ma non è chiaro se il bonus sarà per un anno o spalmabile più a lungo, e se prevederà una decontribuzione totale o parziale.
Sono tutti aspetti sui quali i tecnici di via XX Settembre stanno lavorando in tandem con quelli del Lavoro guidati dal ministro Enrico Giovannini.
La decisione di spostare a martedì il pacchetto del lavoro si deve al necessario coinvolgimento del responsabile del Tesoro, Fabrizio Saccomanni, che è dovuto andare all’Ecofin proprio per chiudere in modo definitivo la procedura su deficit eccessivo.
Senza contare che domani si svolgerà la manifestazione unitaria Cgil-Cisl-Uil proprio sul lavoro, dopo la quale si dovrebbe tenere il promesso incontro con Giovannini e lo stesso Letta.
I numeri sono quelli che sono e il governo sta ancora cercando una soluzione per rimandare di qualche mese l’aumento dell’Iva mentre per l’Imu ci sono ancora due mesi e mezzo di tempo.
Il ministro del Lavoro ha ammesso, da Lussemburgo, di sapere «che dobbiamo ridurre il cuneo fiscale e quindi il costo del lavoro, ma sappiamo anche che questi interventi richiedono ingenti risorse e quindi ne parleremo con la legge di stabilità e non in questo momento».
Gli imprenditori continuano nella loro azione di sostegno al governo ma nelle «retrovie» è palpabile la delusione per una road map troppo timida nella riduzione del costo del lavoro.
Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, approva l’operato di Letta ma lo spinge ad accelerare nella propria azione «perchè si può e si deve fare di più».
Alla ricerca delle risorse nascoste, i tecnici del Tesoro stanno lavorando per limare i trasferimenti alle aziende pubbliche e private (in tutto 30 miliardi di euro) mentre si torna a discutere della delega fiscale per andare a rivedere le 720 agevolazioni ed esenzioni per un totale di oltre 250 miliardi di euro l’anno.
«Vogliamo ridurre complessivamente la tassazione sia sul sistema delle imprese sia sui cittadini attraverso una serie di interventi specifici».
Così il viceministro all’Economia Luigi Casero ha annunciato anche la ripresa della «discussione della delega fiscale».
Roberto Bagnoli
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 22nd, 2013 Riccardo Fucile
VANNO AGGIUNTI DUE MILIONI DI GIOVANI CHE NON TROVANO IMPIEGO
Il numero dei nuovi disoccupati creati dalla crisi ha superato il milione: per la precisione sono 1.031.151 le persone che hanno perso il lavoro fra il 2008 e il primo trimestre 2013.
Si aggiungono ai due milioni di disoccupati “preesistenti” e quindi portano il totale a tre milioni di persone in cerca di lavoro nel nostro Paese.
Sono gli ultimi dati dell’Istat, le estrapolazioni non ancora elaborate nè pubblicate che Repubblica ha potuto vedere, a confermare questo dramma.
In totale, se ancora nel 2008 lavoravano 23 milioni e 405mila italiani, questo numero si è ridotto nei primi mesi di quest’anno a 22 milioni 374mila.
E, come si vede dai grafici che pubblichiamo, non c’è settore che si sia salvato, nè l’industria manifatturiera, nè il commercio, nè tantomeno l’edilizia.
Ecco l’aspetto più drammatico della recessione che continua incessante a penalizzare il nostro paese ormai da oltre cinque anni, quello su cui sta concentrando i suoi sforzi il governo Letta. Che non perde occasione per insistere presso i suoi colleghi europei sull’assoluta urgenza degli interventi.
Se ne è parlato nel vertice nel consiglio dei ministri del Lavoro europei a Roma la settimana scorsa, si cercherà di varare misure concrete a livello europeo nel vertice dei capi di governo a Bruxelles il 26 e 27 giugno.
E sul piano nazionale è in pieno svolgimento il confronto fra il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, e i sindacati sul “pacchetto” di misure più urgenti, dagli sgravi sulle assunzioni alla caduta dei vincoli sull’apprendistato.
L’Italia è il paese più colpito dalla disoccupazione è arrivata al 12,8% nella media nazionale, ma se si va a vedere la fascia giovane, cioè dai 18 ai 24 anni, è già al di sopra del 40%.
E al Sud la disoccupazione giovanile supera ormai il 50%. Un ragazzo su due nel Mezzogiorno non trova lavoro.
I crolli, a leggere le cifre, sono devastanti: nella sola Campania gli occupati sono scesi da 1 milione e 680mila a un milione e 578mila: un crollo secco di oltre 100mila unità , pari quasi all’8%.
In Puglia, la terra dell’Ilva (dove sono a rischio 20mila posti), la caduta è già stata, in poco più di quattro anni, di 108mila occupati: da 1 milione 286mila a un milione 178mila, ovvero quasi il 9%.
Ma ovunque, anche al Nord, gli effetti della recessione sono drammatici: in Veneto sono andati persi 75mila posti, in Toscana 70mila, in Lombardia 60mila, in Piemonte ben 88mila. Scendendo ancora più in dettaglio, i particolari sono agghiaccianti: nel settore delle costruzioni, tanto per fare un esempio, in Campania gli occupati sono scesi da 158mila a 97mila fra il 208 e il 2013.
Nello stesso periodo in Sardegna, guardando stavolta al settore industriale in senso lato, cioè compreso sia il manifatturiero che l’edilizio, i lavoratori sono crollati da 131mila a 99mila.
Quale miracolo dovrà mai avvenire per permettere di recuperare oltre 60mila dipendenti nell’edilizia in Campania o 32mila nell’industria in Sardegna?
La Cgil è stata accusata di eccessivo pessimismo quando ha detto che serviranno 63 anni per raggiungere di nuovi i livelli pre-crisi, ma queste cifre le danno ampiamente ragione.
Le cronache restituiscono giornalmente dati da bollettino di guerra. Perfino nella sede del Pdl, il partito che doveva creare “un milione di posti di lavoro” e invece ha contribuito a bruciarne in egual misura, 200 dipendenti protestano perchè saranno licenziati con la fine del finanziamento pubblico dei partiti.
Le cifre in gioco sono ben peggiori, da un angolo all’altro della penisola.
Alla fine della settimana scorsa al presidio organizzato a Milano da Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil, le tre confederazioni degli edili, si è appreso che la crisi del settore in Lombardia è ancora più profonda di quanto dicano le cifre. “Oltre ai 50mila lavori persi l’indotto ha visto ridursi i dipendenti di circa 90.000 unità – puntualizza Battista Villa, segretario generale Filca Lombardia – senza disporre degli ammortizzatori sociali”.
A Taranto i dipendenti dell’Ilva continuano a lavorare con la spada di Damocle del fallimento del gruppo, che ora è affidato a un commissario con i proprietari sotto processo. E se l’Ilva chiude torna in discussione l’intero piano siderurgico nazionale e i lavoratori coinvolti diventano 40mila, senza contare la minaccia di un profondo ridimensionamento anche della Fiat di Melfi, che a Taranto compra l’acciaio.
La stessa Fiat tra l’altro ancora deve gestire la reindustrializzazione di Termini Imerese, in Sicilia, dove 1300 operai hanno perso il posto e sono tuttora in cassa integrazione. E che dire della Sardegna?
L’Alcoa miracolosamente non ha chiuso, ma ora c’è il nuovo limite a novembre che torna a inquietare 900 dipendenti, e poco lontano c’è la Carbosulcis, dove come riferisce il segretario provinciale della Uiltec dell’Iglesiente, Mario Crò, “la Regione, in attesa di conoscere le decisioni Ue sulle misure a sostegno per garantire gli stipendi è costretta a ricorrere ai fondi per la messa in sicurezza della miniera”.
Le crisi si accavallano: nel Lazio, vicino Rieti, la multinazionale francese dell’elettronica Schneider minaccia di chiudere la fabbrica lasciando a terra 181 dipendenti, e ad Anagni (Frosinone) l’indiana Videocon ha già abbandonato lo stabilimento licenziando tutti i 780 lavoratori e lasciando agli enti locali e al consorzio industriale della provincia l’immane compito di trovare una soluzione.
E poi mille crisi locali, fronteggiate con coraggio e disperazione: quelli che hanno portato le operaie della Mabro di Grosseto, fabbrica di abiti in agonia, a lavorare per mesi senza stipendio dormendo in mensa per paura di essere estromesse dalla proprietà , oppure gli operai specializzati di Casalbertone, periferia romana, a riconvertire a loro spese l’impianto un tempo prestigioso chiuso dalla Wagon Lits.
Per non parlare della cintura torinese, dove un intero “pianeta” industriale, quello dell’indotto Fiat, è stato travolto dalla crisi dell’auto e dell’azienda-faro.
Nomi gloriosi come la De Tomaso di Grugliasco, ex Pininfarina rischiano di essere cancellati dalla mappa dell’economia italiana.
È uno stillicidio senza fine: il tasso di disoccupazione in aprile, ultime stime ufficiali, ha raggiunto il 12,8%, il dato peggiore da quando vengono rese note le serie storiche, cioè dal 1977.
Nel Sud si supera ormai il 20% di disoccupazione. Nell’ultimo anno si sono persi 475mila posti, portando il totale dall’inizio della crisi come si è visto ad oltre un milione, e il numero dei senza lavoro a ben più di 3 milioni.
Fra i giovani (18-24 anni) il dato nazionale medio è sconcertante: 41,9% di disoccupati, il peggiore d’Europa alla pari con Spagna e Grecia.
La peggior situazione in assoluto è per le donne del Mezzogiorno: 56,1%, molto più della metà . E come sempre questi dati non tengono conto della massa di precari senza alcuna garanzia nè certezza, di chi ha rinunciato a cercare un posto, degli “inattivi” che vanno avanti con piccoli lavoretti in nero, di chi stenta a sopravvivere con una miserrima pensione sociale, insomma di chi esce dalle statistiche per un motivo o per l’altro.
In totale, calcola l’Ires della Cgil, l'”area della sofferenza” riguarda in Italia non meno di 9 milioni di persone. “Solo negli ultimi 12 mesi – ricorda Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Trentin della stessa Cgil – c’è stato un incremento del 10,3% in questa stima, pari a 818mila unità , e rispetto al quarto trimestre 2007 l’aumento è del 46,4% pari a 2,8 milioni”.
Le realtà locali sono allarmanti: “Nell’isola il fenomeno della povertà investe 400mila persone”, dice per esempio Mario Medde, leader della Cisl sarda.Altrettanto drammatiche le cifre sulla cassa integrazione. “Tra gennaio e aprile 2013 hanno chiesto aiuto alla sola cassa integrazione straordinaria oltre duemila aziende”, spiega Giampiero Castano, un passato da sindacalista della Fiom, oggi capo dell’unità di crisi al ministero dello Sviluppo economico.
I cassintegrati non figurano ancora ufficialmente come disoccupati, in qualsiasi delle tre categorie ricadano: la cassa ordinaria, quella attribuita nel caso di conclamate crisi di settore, quella straordinaria che riguarda i casi di ristrutturazione aziendale, e quella in deroga.
È quest’ultima la categoria più a rischio perchè, a differenza delle prime due, non è finanziata da un fondo rotatorio basato sui contributi delle stesse aziende e gestito dall’Inps (che risulta ancora oggi miracolosamente in attivo) ma deve essere continuamente rifinanziata dallo Stato: creata nel 2009 appunto per reagire alla crisi economica che stava piombando sul sistema Italia, la cassa in deroga è servita per sovvenzionare tutti i settori finora esclusi: le aziende con meno di 15 dipendenti, gli artigiani, i commercianti, i dipendenti del settore turistico e così via.
Prima la finanziavano le regioni, da quest’anno direttamente lo Stato, e l’Inps funge anche in questo caso da ente erogatore: non senza polemiche perchè proprio la settimana scorsa l’ente presieduto da Antonio Mastrapasqua si è lamentato che non può continuare ad anticipare allo Stato, come sta succedendo, importi sempre più cospicui.
Nel complesso, considerando le tre categorie e calcolando non tutti i cassintegrati sono a zero ore, cioè non lavorano per niente, ma più spesso lavorano meno ore e si alternano in modo da non restare più di tre mesi lontani dal posto di lavoro, la cassa integrazione interessa oggi circa 500mila lavoratori.
Se si aggiungessero ai tre milioni di disoccupati le cifre sarebbero ancor più da brivido. C
i provò proprio nel 2009 la Banca d’Italia, osservando appunto che i cassintegrati sono da equiparare ai disoccupati e rifacendo i conti: uscì fuori che il tasso “vero” non era il 7,5% di allora ma si arrivava al 10%.
Apriti cielo: gli allora ministri Giulio Tremonti (Tesoro) e Maurizio Sacconi (Lavoro) insorsero, accusando la Banca d’Italia di diffondere cifre inappropriate, e da allora di questi calcoli ufficialmente non se ne sono fatti più. Ma la sostanza resta.Insomma la crisi del lavoro assume sempre più, ogni giorno che passa, i toni di un’emergenza nazionale.
Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, la ricorda con allarmante sistematicità .
Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, l’ha posta in testa alle priorità nelle Considerazioni Finali lette il 31 maggio all’assemblea.
Il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, all’assemblea degli industriali di una settimana prima aveva parlato di “situazione tragica”.
Il premier Enrico Letta assicura che proporrà ai partner europei un grande piano comune per l’occupazione al vertice annuale di fine giugno, ora che grazie alla chiusura della procedura per deficit eccessivo l’Italia può tornare a far sentire la sua voce.
Nel frattempo, conferma il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, il governo è impegnato a utilizzare con il massimo risultato possibile i fondi europei che la chiusura stessa della procedura ha reso disponibili, e raccomanda di “usare i margini che si sono aperti, gli stessi che quest’anno vengono assorbiti dalla restituzione dei debiti alle imprese, per programmi di occupazione giovanile”.
Ma quale diabolica coincidenza di fattori si è intrecciata per penalizzare così tanto il lavoro nel nostro Paese?
Le cause vengono da lontano, ammonisce Gary Pisano, il docente di management ad Harvard che è considerato uno dei più prestigiosi studiosi del settore e ha fatto da consulente a Barack Obama per risolvere la disoccupazione in America. “Negli ultimi vent’anni in tutto il mondo – spiega Pisano – si è sottovalutata l’importanza della manifattura come fonte stabile e sicura di lavoro. Si è scelta la finanza o i servizi, dimenticando che solo dalle gloriose fabbriche, per quanto tecnologicamente evolute, viene l’apporto-lavoro più significativo di lungo periodo”.
Che una bella fetta delle colpe sia da attribuire alla finanza, “e alla sua illusione di poter diventare ricchi in fretta”, lo pensa anche Fabrizio Pezzani, economista della Bocconi: “Anche fiscalmente, si è sempre più penalizzato il lavoro, sia dal punto di vista dell’impresa che da quello del dipendente, rispetto alle imposte su rendite e grandi patrimoni. Nel 1929 le imposte sul reddito erano il 22% e quelle sulla successione il 20%, oggi sono il 10% sul reddito e praticamente zero sulla successione”.
Proprio su una riformulazione del sistema fiscale si basano le speranze del governo italiano di ricavare i fondi per l’occupazione innanzitutto giovanile: finanziando per esempio periodi di apprendistato, riducendo il carico contributivo e fiscale per chi assume dipendenti minori di 25 anni, fornendo contributi speciali a tasso agevolato alle aziende che s’impegnano ad occupare giovani (o anche ad assumere tout court).
Tutte misure urgentissime ma altrettanto insidiose: il pericolo, ha ammonito la settimana scorsa il ministro del Tesoro, Fabrizio Saccomanni, è che gli esborsi pubblici necessari finiscano col far ripiombare l’Italia nella situazione di “deficit eccessivo”, la procedura di cui si parlava prima, con la riapertura dell’istruttoria che è stata chiusa con grandissima fatica e forte entusiasmo pochissime settimane fa.
E allora per l’Italia si riaprirebbe ancora una volta il baratro.
Su questo sottilissimo crinale il governo e i sindacati sono costretti a camminare.
Eugenio Occorsio
(da “la Repubblica“)
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Giugno 22nd, 2013 Riccardo Fucile
RIPRODOTTO OGGI DA CASALEGGIO IL CONTENUTO DI UN ARTICOLO DI FANPAGE.IT DEL 10 MAGGIO… CON L’ALLARMISMO SI CREA INTERESSE, AUMENTO LE VISITE E SI GUADAGNA SULLA PUBBLICITA’: E’ QUESTO L’ESEMPIO GRILLINO DA SEGUIRE?
Il post che vedete è stato postato pochi minuti fa da Cadoinpiedi, la notizia però è vecchia di mesi così come l’articolo riportato.
Per attirare gente sul sito usano questi mezzucci.
Questo secondo Casaleggio dovrebbe essere un sito di “informazione indipendente” e un esempio di deontologia professionale.
Purtroppo, che la salute di Razinger sia in rapido declino è fatto noto da mesi, così come l’articolo postato da Cadoinpedi, già pubblicato a suo tempo.
L’articolo ripreso da Cadoinpiedi è questo: http://www.fanpage.it/papa-benedetto-xvi-ha-perso-meta-del-suo-peso-sono-scioccato/
Guardate bene la data dell’articolo: “10 maggio 2013”.
Un articolo di più di 40 giorni fa.
Questa è informazione?
E qualcuno ha ancora il coraggio di dare lezioni di stampa libera, corretta e indipendente?
argomento: Grillo | Commenta »
Giugno 22nd, 2013 Riccardo Fucile
“NOI CI ABBIAMO MESSO LA FACCIA E SIAMO STATI LASCIATI SOLI, PER DUE MESI ABBIAMO FATTO ORE DI ASSEMBLEE INUTILI”
“Il Movimento 5 Stelle? E’ come se gia’ non esistesse piu’. Se implodera’ e’ questione di tempo. Non intravedo gli anticorpi per andare avanti”.
Parola di dissidente e, ormai, fuoriuscito.
E’ infatti l’ex deputato grillino Alessandro Furnari, da poco passato al Misto, a dire che “Casaleggio e’ un gran comunicatore attraverso Internet ma ha commesso un gravissimo errore di gestione delle risorse umane”.
“Non ci conosce nemmeno tutti, non sapeva chi avesse a disposizione”, prosegue Furnari.
“In tanti vogliono uscire dal gruppo, solo che non ne hanno il coraggio. Ma pian piano usciranno”, anticipa.
Certo, “c’e’ la gogna mediatica, fuori.E’ difficile spiegare la situazione ai cittadini. Sono amareggiato, e credo si veda, ma ci sono tante altre cose che nemmeno sto dicendo. Immaginate quanti problemi ci sono”.
Per la verita’ anche l’etichetta cucitagli addosso dai media gli va stretta: “Non sono mai stato un dissidente, questo dovrebbe far riflettere i parlamentari. Per i primi due mesi – spiega ancora Furnari – abbiamo fatto ore e ore di riunioni e assemblee quasi inutili”.
“C’e’ – incalza – una disorganizzazione imperante. Siamo stati lasciati soli da Beppe Grillo, che e’ venuto ogni tanto. Soli e disorganizzati, senza che nessuno ci indicasse una via. Noi ci abbiamo messo la faccia e ci hanno lasciati soli”.
Parlando della sua citta’, Furnari ha poi accennato alla questione Ilva: “Sono deluso dal Movimento sulla questione Ilva. Sono quasi 4 anni che e’ nato il Movimento e ancora non ci sono fatti. Verra’ – annuncia – Grillo a Taranto per parlare con sindacati, cittadini, operai: al telefono mi ha detto che sta contattando i piu’ grandi esperti dell’acciaio d’Europa. E anche dopo che sara’ venuto non sara’ deciso nulla perche’ forse non c’e’ la volonta’ di farlo”.
(da Agi.it)
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Giugno 22nd, 2013 Riccardo Fucile
“NON LASCIO PER I SOLDI, L’ARIA SI ERA FATTA SOFFOCANTE”… “DELUSA DAL MOVIMENTO, NON ME L’ASPETTAVO COSI”… E IERI HA CONSEGNATO L’ASSEGNO DI 6.000 EURO A UN CENTRO PER DISABILI
Per soldi o per principio? È buona o cattivissima la ex-cittadina e ora ufficialmente solo senatrice Paola De Pin, che ieri mattina ha dato le dimissioni dal gruppo Cinque Stelle?
«Sono una persona onesta. E adesso mi sento più leggera».
Senatrice Paola De Pin, lascia il Movimento per una questione di soldi?
«Ma dai, non scherziamo. Io non ho problemi di denaro. Vengo da una famiglia che sta bene. Pensi che…». In sottofondo si sente l’urlo di qualcuno che dice: «Paola, non c’è bisogno che racconti i dettagli della nostra vita». Lei frena. «Insomma, voglio dire che il punto non è questo. Non mi faccia passare male».
Qual è il punto?
«L’aria nel gruppo si era fatta soffocante».
Perchè?
«Non mi va di fare polemiche, non mi sembra il caso. Ma io sono una cittadina qualunque, che pensava fosse possibile fare un lavoro di un certo tipo».
Invece?
«Invece sono rimasta molto delusa. Non è così che mi aspettavo le cose. Sono un essere umano e non posso rinunciare a pensare con la mia testa».
Il Movimento lo impedisce?
«Ripeto, non voglio mettere in difficoltà i Cinque Stelle. Credo ancora in certi valori e continuerò a votare con loro».
Non si dimetterà da senatrice?
«Vedremo. Devo riflettere. Questo week end a casa con i miei mi farà sicuramente bene».
Quanto ha inciso la vicenda Gambaro nella sua scelta?
«Molto. Anche se era da un po’ che sottolineavo il mio disagio nel gruppo. Ad Adele voglio comunque esprimere ancora la mia solidarietà . Non è giusto trattare così una persona».
Come l’hanno trattata?
«L’avete visto. È stata sottoposta a una gogna mediatica. Il processo politico contro di lei mi ha lasciato una profonda ferita. Il pericolo è che ora nessuno voglia esprimere il proprio disaccordo per paura delle conseguenze. L’ho scritto anche nel comunicato pubblico».
I suoi colleghi l’accusano di essersene andata solo per non rendicontare la diaria. E tenersi l’eccedenza.
«Falso. Talmente falso che proprio oggi pomeriggio ho versato seimila euro all’Associazione Nostra Famiglia di Conegliano, un centro che si occupa della cura e della riabilitazione delle persone con disabilità , soprattutto in età evolutiva. Mi sono comportata esattamente come avevo promesso ai miei elettori. La verità è che non mi sentivo più al mio posto».
È vero che con i soldi della diaria voleva aprire un ufficio di rappresentanza a casa sua?
«Mi sarebbe servito per lavorare. Ci avevo pensato».
Nella sua abitazione privata?
«Esatto».
Non l’ha fatto?
«No. I colleghi del meet up mi hanno convinto che non era opportuno. Li ho ascoltati e ho dato loro retta».
Una questione di principio.
«Certo. Se facessimo calare un velo di omertoso silenzio verso la scellerata decisione di espellere un parlamentare per avere espresso opinioni non gradite, violeremmo i principi del Movimento e della democrazia».
La Rete come ha preso la sua scelta?
«Per adesso, sulla mia mail del Senato, ogni 10 commenti ce ne sono 7 positivi. Persone che mi dicono: Paola non mollare. Siamo con te. E io non mollo».
Andrea Malaguti
(da “la Stampa“)
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Giugno 22nd, 2013 Riccardo Fucile
ALTRI ABBANDONI SONO IN ARRIVO E I TALEBANI PREPARANO LA SOLITA SCUSA: “LO FANNO PER TENERSI I SOLDI”
«Non è un fulmine a ciel sereno. È arrivato il momento di restituire i soldi, chi se ne vuole andare vada». Roberto Fico non nasconde l’esasperazione davanti alla domanda sull’addio della senatrice Paola De Pin.
È furioso con la stampa, per non aver spiegato il punto di vista dei 5 stelle nella battaglia contro il decreto emergenze. Vuole concentrarsi su quello, sul lavoro, e non pensare a chi potrebbe lasciare, ancora, il Movimento.
Ma gli ortodossi di Camera e Senato stanno in realtà cercando di capire chi dei cosiddetti “dissidenti” è già pronto ad andare via, e chi è invece “recuperabile”, come ha iniziato a sperare perfino Beppe Grillo.
Non è un caso che il capo politico dei 5 stelle stia continuando a chiamare deputati e senatori per cercare di rasserenare gli animi.
E che abbia deciso di venire a Roma già la prossima settimana, appuntamento che stavolta non dovrebbe saltare e cui potrebbe partecipare anche Gianroberto Casaleggio.
Da una parte, la data di martedì è lo spartiacque ideale: ieri deputati e senatori hanno ricevuto un’email con l’iban del fondo al quale restituire i soldi.
Entro martedì, dovranno far confluire lì la parte eccedente lo stipendio che si sono impegnati a ricevere (5mila euro lordi, circa 3mila netti, su 10mila) e quel che non hanno speso dei rimborsi percepiti (che tra diaria, spese per l’esercizio del mandato, taxi e telefono superano gli 8mila euro al mese).
Il tutto rendicontato voce per voce (nei file excel che neigiorni scorsi i parlamentari studiavano compulsivamente sono compresi titoli come: affitto, caparra, agenzia immobiliare, lavanderia, baby sitting, vestiti).
«Sarà la Rete a decidere se non va bene quello che spendi», rispondono in coro a chi chiede loro cosa sia ammesso e cosa no.
«Chi se ne va adesso lo fa per non restituire», è la linea che filtra dalla comunicazione, che però comincia a temere le dimensioni dell’emorragia.
«Da una parte è meglio che chi non vuole rispettare le regole vada via subito, che non continui lo stillicidio quotidiano – è il ragionamento – ma certo, se fossero in tanti il problema sarebbe difficile da gestire. Èper questo che Grillo è preoccupato ».
Gli ortodossi – che tengono d’occhio «i prossimi» – hanno messo sotto osservazione la senatrice lombarda Monica Casaletto e il deputato Adriano Zaccagnini.
Perchè molti degli altri dialoganti si sono attestati su una linea più attendista.
«Voglio credere a questa tregua», dice Tancredi Turco mentre mangia un panino insieme a Tommaso Currò. «Il fatto che la De Pin abbia lasciatodimostra che le epurazioni non servono, chi se ne vuole andare va via da solo. Io combatto da dentro ».
Il catanese annuisce, dopo la telefonata di Grillo lavora per la pacificazione. E anche la sarda Paola Pinna, pur non convinta della modalità della restituzione dei soldi, non intende mancare l’appuntamento di martedì nèdare alibi a chi vuole mandarla via. Il più inquieto è proprio Zaccagnini.
Ne fa una questione di democrazia, «l’epurazione della Gambaro è stata assurda, antidemocratica, capisco che la De Pin abbia deciso di lasciare, sapevo che aveva avuto dei problemi a livello locale».
Quanto a lui, «ho cercato di fare un appello che non è stato recepito, avevo chiesto ai talebani di cambiare loro per primi i toni, ma è chiaro che non vogliono. Dai messaggi che leggo in chat stanno solo aspettando il momento della diaria. Questa tregua è fittizia, hanno solo paura che le percentuali in favore delle espulsioni precipitino ancora ».
Ce l’ha con quanto successo ieri in aula, Zaccagnini: «Di Battista ha risposto a un intervento del Pd con toni da talebano, parlando a nome di tutti. Di Stefano ha dato del “leccaculo” a un deputato di Sel.
In Parlamento non possiamo usare i toni che Grillo usa fuori. Io non mi ci riconosco».
Anche per questo, gli ortodossi credono che «volerà via» a inizio settimana.
Ma lui ribatte: «Il fatto che sia a disagio, non vuol dire che esca lunedì».
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica”)
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