Giugno 16th, 2013 Riccardo Fucile
MANCANO I CUOCHI, GLI ORGANIZZATORI E I MILITANTI
Incrociare le braccia dopo 12 anni passati in cucina, a sfornare crescentine e tortelli all’ombra dell’immagine di Berlinguer, è l’arma più potente che hanno.
E se è vero che non cambia i destini del partito, di sicuro rischia di togliere la terra sotto i piedi di un Pd che sembra reggersi su dei pilastri sempre più fragili.
Se poi il primo sciopero i volontari lo fanno partire da una delle zone più rosse di Bologna, quella del Navile, la questione assume un certo peso.
È qui, in questo quartiere da sempre granaio di voti per il centrosinistra, che il circolo Berlinguer-Moro ha annunciato che la tradizionale Festa dell’Unità di ferragosto non si farà .
Mancano i cuochi, mancano gli organizzatori, mancano tutti.
In fuga dopo lo stop alla corsa di Romano Prodi al Colle, ma soprattutto dopo la nascita di un governo con Berlusconi.
Impossibile da digerire per chi è cresciuto a pane e Gramsci.
“Qualsiasi associazione di persone rischia l’estinzione, nel momento in cui non ci sono più le motivazioni per restare dentro” ammette amaro il segretario del circolo, James Tramonti.
Sessantaquattro anni appena compiuti, passati con il cuore a sinistra, ha visto cambiare governi, bandiere e sigle di partito: “Per recuperare la partecipazione dobbiamo restituire alla base le ragioni per restare e lavorare nel Pd. Altrimenti ci dimentichiamo le feste. La nostra esisteva dal 2000, ci lavoravano almeno cento persone. Il calo abbiamo cominciato ad averlo dall’anno scorso”.
Fino al crollo.
“Qualche settimana fa ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: questa volta non ce la facciamo, non abbiamo abbastanza forze. Del resto non glielo devo ricordare io che nel Pd c’è malcontento”.
E infatti nel Pd non c’è solo lui a parlare di delusione e speranze andate in fumo.
Ci sono anche i giovani militanti, quelli che, per motivi anagrafici, di feste di partito ne hanno vissute poche.
Anche in questo caso il laboratorio del dissenso è Bologna, dove si è dato appuntamento Occupy Pd, il gruppo di protesta nato dopo il tradimento dei 101 franchi tiratori contro Prodi, rimasti nell’ombra.
Un’occasione per contarsi ma anche per cercare di pianificare le mosse per il futuro, soprattutto in vista del congresso che deciderà il successore di Epifani.
Il rischio è quello che il movimento si trasformi in poco più di uno sfogatoio per iscritti disillusi , senza riuscire a portare a casa niente. “E invece noi vogliamo contare. Per questo chiediamo alla segreteria di ammettere un nostro delegato alla commissione che da lunedì comincerà a elaborare regole e metodi del congresso” spiega Lorenzo D’Agostino, una delle anime di Occupy Pd. Parla a nome del gruppo: “Bisogna evitare che si ceda alle logiche di corrente, con accordi più o meno opachi tra le diverse frange del partito”.
All’appuntamento, costato poco più di 400 euro, tutti autofinanziati e recuperati con offerte libere, ha partecipato un centinaio di attivisti arrivati da tutt’Italia al grido di “siamo più di 101”.
Un messaggio che cercheranno di far arrivare anche a Prodi, consegnandogli la maglietta simbolo della loro battaglia.
Il Professore era invitato, ma di Prodi si è visto solo Giorgio, il figlio, passato per un saluto in compagnia della ex portavoce del fondatore dell’Ulivo, la deputata Sandra Zampa.
È lei a far capire che i giochi per il Pd potrebbero cambiare presto: “Se il partito, grazie alla scissione del Movimento 5 stelle, trovasse i numeri per una maggioranza alternativa, di sicuro dovrebbe fermarsi e capire cosa vuole”.
Emiliano Liuzzi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 16th, 2013 Riccardo Fucile
IL 12,5% DELLE FAMIGLIE HA DOVUTO RINUNCIARE AD ALMENO UNA PRESTAZIONE SANITARIA…TRA TAGLI E DISSERVIZI, 12 MILIONI DI ITALIANI IN FUGA DAL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE E COSTRETTI A PAGARE DI TASCA PROPRIA
La riduzione del finanziamento pubblico ai sistemi regionali, frutto dei tagli lineari del governo Berlusconi prima e del rigore del governo Monti, sta toccando in profondita il Servizio sanitario nazionale.
La spesa personale dei cittadini per la salute ha toccato una quota pari all’1,8% del Pil mentre il 12,5% delle famiglie dice di aver dovuto rinunciare “ad almeno una prestazione sanitaria”.
Anche dal governo Letta provengono messaggi poco rassicuranti.
La neo-ministra, Beatrice Lorenzin, è stata piuttosto esplicita nella sua audizione alle commissioni Sanità di Camera e Senato.
“Siamo passati da un’universalità forte e incondizionata – ha detto la scorsa settimana – a un’universalità mitigata per garantire le prestazioni necessarie e appropriate solo a chi ne abbia effettivamente bisogno”.
“Una riforma del sistema è non più procrastina-bile”.
Il gioco delle parole è ingegnoso: apparentemente l’universalità del servizio – pagato dalle tasse di tutti (almeno di chi le paga) – non è messo in discussione ma da “forte” diventa “mitigata” finalizzata a garantire prestazioni “solo a chi ne abbia effettivamente bisogno”.
A parole i tagli sono banditi, occorre lavorare sulla “spesa standard” e sulla lotta agli sprechi.
Nella sostanza, però, si pensa a “limitare l’accesso alle strutture ospedaliere e ai pronto soccorso”.
Quali che siano le scelte che saranno fatte, è il Censis a rilevare che circa 12 milioni di italiani sono sempre più distanti dal servizio sanitario nazionale costretti a mettere mano ai propri risparmi per pagarsi le cure. I motivi di questa fuga sono diversi.
La ragione principale è la lunghezza delle liste d’attesa (per il 61,6%) e la convinzione che se paghi vieni trattato meglio (per il 18%).
Si ricorre al privato soprattutto per l’odontoiatria (90%), le visite ginecologiche (57%) e le prestazioni di riabilitazione (36%).
Ma il 69% delle persone che hanno effettuato prestazioni sanitarie private reputa alto il prezzo pagato e il 73% ritiene elevato il costo dell’intramoenia.
Al 27% è anche capitato di constatare che il ticket per una prestazione sanitaria fosse superiore al costo nel privato.
È vero solo in parte, e solo per accertamenti a basso contenuto tecnologico ma contribuisce ad alimentare una sensazione di insicurezza e scarsa copertura pubblica.
Secondo il Censis, sulla base di queste “percezioni”, il 20% degli italiani sarebbe disposto a spendere circa 600 euro l’anno, 50 al mese, per avere una copertura sanitaria integrativa.
Le coperture maggiormente desiderate riguardano le visite specialistiche e la diagnostica ordinaria (52%), le cure dentarie (43%) e i farmaci (23%).
È molto alta, però, la percentuale di italiani che non ha mai sentito parlare o ne ha sentito parlare senza capire bene, di sanità integrativa è il 68%.
Sono invece 6 milioni quelli che una formula integrativa già la possiedono. Considerando i familiari il numero sale a 11 milioni.
Infine il ticket. Il 50% degli italiani ritiene che sia una tassa iniqua, il 19,5% pensa che sia inutile e il 30% lo considera invece necessario per limitare l’acquisto di farmaci. Si lamentano di dover pagare ticket elevati soprattutto per le visite ortopediche (53%), l’ecografia dell’addome (52%), le visite ginecologiche (49%) e la colonscopia (45%). Il 41% degli italiani, inoltre, dichiara che la sanità pubblica copre solo le prestazioni essenziali e tutto il resto bisogna pagarselo da soli.
Per il 14% la copertura pubblica è insufficiente per sè e la propria famiglia, mentre il 45% ritiene adeguata la copertura per le prestazioni di cui ha bisogno.
Il welfare e le risorse.
Un’altra voce che aiuta a spiegare i casi come Emergency a Marghera è quella delle politiche sociali.
Secondo un’analisi di Quotidiano Sanità sui numeri forniti dalle Regioni vengono ricostruiti i percorsi e gli stanziamenti di tutti i fondi che riguardano le politiche di welfare.
Ne emerge che Il Fondo nazionale per le politiche sociali “si è contratto del 77,8% passando da uno stanziamento di 1,884 mld del 2004 ai 344,17 mln del 2013”.
Il Fondo nazionale per le politiche giovanili istituito nel 2007 “è stato completamente azzerato nel 2013 così come il Fondo per le Pari opportunità e per il Fondo per le politiche della famiglia”. il Dipartimento della Gioventù e la singola Regione”.
Sa. Can.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 16th, 2013 Riccardo Fucile
RAPPORTO SAVE THE CHILDREN: PAGATI DIECI EURO A SETTIMANA
Prendete un bimbo di 9 anni. Provate a immaginarlo in un cantiere edile, mentre trascina blocchi di cemento grandi e pesanti quanto lui.
Pensate al momento della paga, a fine settimana: nelle sue mani finisce una banconota da 10 euro.
Non è un incubo: è una storia vera, in Italia, nel 2013.
Nel nostro Paese il lavoro minorile non è un fenomeno marginale, ma una piaga.
Save the Children e l’Associazione Bruno Trentin hanno realizzato un’indagine che copre un vuoto durato oltre 11 anni (gli ultimi dati erano del 2002).
In occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile, il rapporto è stato presentato alla presenza del ministro del Lavoro Ettore Giovannini, del titolare dell’Istruzione Marco Rossi Doria e del segretario della Cgil, Susanna Camusso.
Il quadro descritto dai numeri è un pugno nello stomaco: in Italia i minori sotto i 16 anni sfruttati sul lavoro sono 260 mila; oltre il 5% di tutti i bambini, ragazzini e preadolescenti: più di uno su 20.
Un video di Save the Children mostra le storie degli abusi attraverso le voci dei giovanissimi.
“Che c’entra la crisi? I ragazzini sul lavoro io li ho sempre visti. Dovrei studiare per diplomarmi? E poi? ”.
Un altro ragazzo: “Ho lasciato la scuola per motivi familiari, non riuscivo nemmeno a comprare i libri”.
Un altro ancora: “Molti dicono che hanno scelto da soli di andare a lavorare per aiutare a casa. Quasi sempre gliel’hanno imposto i genitori. Arrivi a diciott’anni con pochi spiccioli in mano e la schiena rotta”.
Gli impieghi forzati dei minori italiani sono pericolosi per la salute o per la sicurezza; svolti a orario continuato oppure di notte, compromettono il percorso scolastico e prosciugano tempo e energie per gioco e svago.
Lo sfruttamento divora senza distinzione di genere (le femmine sono il 48%) e consuma soprattutto i ragazzini tra i 14 e i 15 anni: in questa fascia d’età , che segna il passaggio dalle medie alle superiori, quasi uno su cinque abbandona gli studi (il 18,4%).
Il 41% dei minori finisce a lavorare nell’azienda di famiglia.
Un abuso ancora più insopportabile perchè inflitto su chi non è in grado di riconoscere l’ingiustizia, come spiega Raffaella Milano, direttore dei programmi Italia-Europa di Save The Children: “Nonostante orari pesanti, paghe risibili (60 euro a settimana, ndr) e rischi per la salute la maggioranza dei minori non sa di essere sfruttata. Non sa cos’è un contratto di lavoro”.
Tommaso Rodano
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Giugno 16th, 2013 Riccardo Fucile
NEL 2012 SONO STATI PAGATI QUASI UN MILIARDO E 300 MILIONI DI EURO PER QUELLE FORNITE ALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, 50 MILIONI IN PIÙ DEL 2011, PRATICAMENTE UN TERZO DELL’IMU SULLA PRIMA CASA
C’è una retorica nazionale che condanna le inefficienze pubbliche, le resistenze burocratiche, le pratiche pletoriche.
E poi c’è l’universo di consulenti e collaboratori, alcuni essenziali e alcuni inutili, che insieme costano 1,3 miliardi di euro.
Due anni fa, le amministrazioni locali, dai comuni alle province, hanno distribuito 277.085 contratti o contrattini che non danno sicurezza ai precari e che, in simultanea, non danno una lezione a chi sopravvive con gli sprechi.
La somma è aumentata di 50 milioni di euro, per nulla intralciata dagli ansimi di una recessione che non molla, ma quei 277.085 ingaggi — firmati entro il 31 dicembre 2011, e cominciati in gran parte dal 2012 — sono ancora validi, arrivano sino al 2014 o al 2015.
E mentre stiamo scrivendo, nuovi assistenti o esperti — da chi controlla le olive a chi fa animazione in foresta — si moltiplicano e spingono l’asticella più lontano sul calendario.
Dal febbraio 2012, il ministero per la Funzione pubblica carica sul proprio sito le dichiarazioni degli enti — aziende sanitarie, carrozzoni statali, università — e stavolta l’appuntamento tocca al ministro Gianpiero D’Alia.
I tecnici del dicastero credono che la trasparenza sia un sostegno, non la soluzione perchè la grande spartizione, di miliardi in miliardi, spesso lascia spazio a motivazioni vaghe: “esperto tecnico”, “assistente”, “monitoraggio”.
Il Fatto ha visionato in anteprima il librone 2011, che la settimana prossima verrà pubblicato dal ministero e, nonostante gli sforzi governativi, tanti comuni, tante province e tante regioni restano approssimativi nel rendicontare i soldi (pubblici) che utilizzano.
Da mesi i partiti s’accapigliano per l’Imu e questi 1,3 miliardi, versati con cadenza annuale e con un po’ troppa superficialità , potrebbero alleviare la tassazione, anche l’odiosa Iva.
E una lettura attenta di questi 277.085 dati potrebbero svelare un mondo o un paradosso: la macchina pubblica italiana è gestita male, è affollata oppure è solo il cattivo esempio di cui non vogliamo prenderci cura?
Perchè, forse, spendere 10.000 per un corso di yoga gratuito o 15.000 per contare i gatti randagi in un paesino ci fa apparire vicini ai precari e ai furbi.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 16th, 2013 Riccardo Fucile
NESSUN INTERVENTO SU IMU E IVA, TAGLIATI I FONDI ALLE GRANDI OPERE
Nel giorno del decreto “del fare”; quello che conta è la promessa di non fare del premier Enrico Letta al presidente della Commissione europea, Josè Barroso, in visita a Roma: “Ho confermato che l’Italia vuole mantenere il 3 per cento nel rapporto tra deficit e Pil come punto di riferimento”.
Parole sentite mille volte, ma che in questi giorni assumono un significato non banale: con il Pil che continua a cadere (e che nel 2013 farà -2,4 invece che -1,3 come previsto dal governo), con una parte di Pd e Pdl che spera di evitare l’aumento dell’Iva a luglio anche senza solide coperture e che non si rassegna al ritorno dell’Imu a settembre.
In questo contesto, insomma, mantenere il 3 per cento può significare fare un’altra manovra correttiva.
E chissà se il governo può sopravvivere a un passaggio del genere.
La durata del Consiglio dei ministri è la dimostrazione di quanto è difficile prendere decisioni economiche in questo contesto così rigido.
I due temi tabù, quelli che possono far esplodere la maggioranza, non vengono affrontati. Non si parla di Imu, anche se il termine per riformare l’imposta sulla scada non è lontano, il 31 agosto.
E non si tocca neppure la questione Iva, il governo cerca di preservare l’illusione che si possa almeno rinviare il passaggio dal 21 al 22 per cento dell’aliquota più alta che scatterà il primo luglio.
Il decreto “del fare”, come lo ha chiamato Letta, non contiene provvedimenti drastici, ma tanti piccoli interventi che dovrebbero stimolare l’economia.
Il dato politico più rilevante riguarda le infrastrutture: per finanziare alcune infrastrutture immediatamente cantierabili (che dovrebbero cioè creare subito posti di lavoro), come la terza linea della metro a Roma, si tolgono risorse alla linea di Alta velocità Torino-Lione e al terzo valico ligure.
In totale quasi 2 miliardi, 524 milioni dal Tav.
E questo, raccontano, ha irritato molto il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi (Pdl) che aveva difeso l’importanza dell’alta velocità nei giorni scorsi.
Il Pdl incassa un allentamento delle tecniche di riscossione di Equitalia (con la non pignorabilità per la prima casa).
Il Pd si intesta gli interventi per le imprese tramite la Cassa depositi e prestiti e il piano di edilizia scolastica da 100 milioni di euro e la riduzione delle bollette energetiche grazia a un taglio dei sussidi dal 2014.
Contenti loro, contenti quasi tutti.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 16th, 2013 Riccardo Fucile
LUI: “NON LE HO TIRATO UNA SEDIA IN FACCIA PERCHE’ E’ UNA SIGNORA”…LEI: “BASTA COI PICCOLI PARASSITI DI PROFESSIONE”
Le frasi: “Non le ho tirato una sedia in faccia solo perchè è una signora”. Oppure: “Sotto il botox, il nulla…”.
Le risposte: “La politica non è un lavoro e Silvio non è un bancomat, basta con i piccoli parassiti di professione!”.
E ancora: “Bisogna rifondare il Pdl, dobbiamo liberarci di certe facce da baraccone”. E’ tempo di scambi di amorosi sensi dentro il Pdl in disarmo e in via di trasloco. Perchè è proprio in questi momenti di basso, bassissimo impero che emergono i sentimenti più veri tra i vecchi commilitoni dell’ormai ex (ma davvero molto ex) partito “dell’amore”.
Quelle frasi riportate poco sopra sono solo alcune perle degli ultimi, accesi dialoghi che hanno caratterizzato il “confronto interno” tra Renato Brunetta e Daniela Santanchè, arbitro (ma neppure troppo) Fabrizio Cicchitto, regista (attonito) Denis Verdini.
La “rottamazione” interna provoca agitazione e gli stracci volano più facilmente del solito.
Specie ora, a pochi giorni (mercoledì) dal pronunciamento della Cassazione sul legittimo impedimento di Berlusconi nell’ambito del processo Mediaset. Pronunciamento sul quale spera Berlusconi per vedere di fatto annullato l’intero procedimento.
Altra scadenza delicata, fine mese, quando dovrebbe andare a sentenza il processo Ruby (24 giugno).
Appuntamenti che rendono difficile — certo — il sonno del Cavaliere e che si ripercuotono anche sullo stato di salute e tenuta del partito.
I colonnelli di Silvio sono più tesi di lui. Se possibile.
Al momento la linea nei confronti del governo non cambia: le sentenze non avranno ripercussioni sull’esecutivo.
Ma l’incognita transfughi M5S, gli smottamenti interni al Pd e, soprattutto, le mosse di Napolitano in caso di crisi, spingono le ‘colombe’ pidielline a frenare su possibili scenari ‘catastrofisti’, che vorrebbero un Berlusconi tentato dallo staccare la spina a Letta e andare al voto.
Al contrario, i ‘falchi’ — appunto Verdini, la Santanchè, Daniele Capezzone — spingono affinche’ sia il Pdl, prima del ‘ribaltone rosso’, a prendere il toro per le corna e tornare al voto.
Nella sostanza, il caos regna sovrano.
Con un personaggio che si staglia all’orizzonte a rendere ancora più difficile la gestione del gruppo: Renato Brunetta.
Sono giorni, come si diceva, che Daniela Santanchè e Renato Brunetta se le danno di santa ragione.
Ufficialmente, entrambi negano e manifestano “amicizia e stima”. Poi, appena girato l’angolo, lui l’attacca perchè lei aspira a diventare, di fatto, l’amministratore delegato del nuovo “partito azienda” di sua stessa invenzione (lei, imprenditrice, a capo di un partito di suoi pari).
Lei ce l’ha con lui perchè è “un piccolo tiranno” che “gestisce malissimo il gruppo” dove “decide tutto da solo” senza neppure consultare i colleghi su come muoversi sui provvedimenti più delicati.
Persino Raffaeele Fitto, antropologicamente negato per reggere confronti violenti, si è scagliato contro il capogruppo con inusuale foga dopo essere stato tenuto all’oscuro di una mozione pidiellina riguardante l’Ilva di Taranto che Brunetta aveva scritto tutto solo nella penombra del suo studio a Montecitorio.
La rissa è, dunque, pressochè continua, ma la Santanchè è quella che da maggior filo da torcere all’ex ministro.
Le scintille partono facile e lui se ne lamenta direttamente con il Cavaliere.
Che ne ha le scatole piene. Tanto da intervenire sulla Santanchè, presente Verdini: “Renato ha fatto tanto bene durante la campagna elettorale delle politiche — avrebbe detto il Cavaliere,— dovevo per forza dagli qualcosa; farlo capogruppo mi è sembrato il minor male…”.
E, invece, pare di no.
Il personale del gruppo è in rivolta per la “maleducazione” con cui Brunetta apostrofa segretarie e addetti stampa, ma dietro il nervosismo cova rancore vero.
Brunetta sa che se la Santanchè arriverà a ricoprire un incarico di coordinatore al posto di Alfano, per quanto nella sola prima fase della “rifondazione” del Pdl, il primo che finirà nel tritacarne sarà proprio lui.
E lei non vede l’ora di scippare davvero la poltrona ad Alfano per vedersela con “Renatino” e vendicarsi di una serie di torti subiti (a suo dire), come quando l’ex ministro mancò di dare la solidarietà all’amato Alessandro Sallusti all’epoca dei domiciliari per la diffamazione a mezzo stampa.
Un disastro.
Tanto che qualcuno dei più avveduti del Pdl mastica amaro. E ipotizza sfracelli tra i “titani” il guerricciola tra loro.
Come che la storia del “ritorno al passato”, alla “fu” Forza Italia, possa finire anche a carte bollate…
Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 16th, 2013 Riccardo Fucile
“NEL CAMPO DELLA LEGALITA’, NUTI DA ME HA SOLO DA IMPARARE”
“Io sono serena, così come i parlamentari dei Cinque Stelle che continuo a sentire. Noto invece che qualcuno lo è meno. Ho sentito le cose che ha detto Nuti. Parlare di compravendita è gravissimo”.
Sonia Alfano – una delle prime elette nelle liste degli Amici di Beppe Grillo ora europarlamentare eletta da indipendente nelle fila dell’Idv – è tra i “pontieri” accusati della “compravendita” denunciata dal capogruppo M5S alla Camera Riccardo Nuti. All’epoca del mandato esplorativo di Pier Luigi Bersani incontrò Miguel Gotor, collaboratore del segretario Pd, per parlargli di 13 senatori grillini disposti al dialogo.
Esiste ancora quel gruppo?
Sì, ed è molto più numeroso. Si stanno confrontando, cercano una soluzione per evitare che reazioni come quelle contro Adele Gambaro diventino ordinarie. Il dissenso fa parte della democrazia e questo caso è un ottimo spunto di discussione.
Il capogruppo Nuti ha parlato di compravendita.
Riccardo è palermitano come me, ha mangiato tante volte a casa mia. Quando ero candidata con gli amici di Beppe Grillo andava in giro ad attaccare i miei manifesti. Poi è arrivato il diktat da Genova: Sonia Alfano non è più una dei nostri. E ha deciso che ero una persona da non frequentare. Ma la politica è fatta anche di correttezza.
Invece lui è stato scorretto?
Ho letto il mio nome sui siti e sulle agenzie: se non ce l’ha con me rettifichi immediatamente. Ma nel campo della legalità , Riccardo da me può solo imparare. Forse non conosce il codice penale ed è grave per un deputato, per di più capogruppo. Credo che le sue accuse meritino un approfondimento. Se non lo farà la magistratura, sarò costretta a chiederlo io.
Visto che li frequenta, cosa c’è che non va nel gruppo?
Si sono incartati da soli. Tutta questa storia degli scontrini, della diaria… io lo trovo veramente di pessimo gusto rispetto ai problemi del Paese.
Hanno fatto anche altro. Dicono che è colpa dei giornali che non ne parlano.
Non mi pare che Beppe abbia fatto un post per dire quali legge hanno presentato, quante interrogazioni, come hanno votato. Se è lui il primo a non mettere la faccia sul lavoro dei suoi parlamentari, vuol dire che c’è un problema.
Cosa vorrebbe dire a Grillo?
Perchè non impara a conoscerli questi parlamentari? Perchè non ci parla? Hanno bisogno di conforto invece li sta lasciando soli.
È successo anche a lei?
Io glielo chiedo dal 2009: i nostri rapporti si sono interrotti quando gli ho chiesto di mettere una finestra sul blog per pubblicizzare l’attività da europarlamentare. Lasci stare i video: lui la Rete la conosce, sa che quelli non li guarda nessuno. Un suo post, invece, quello sì che lo leggono in tanti.
Paola Zanca
(da “il Fatto Quotidiano)
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Giugno 16th, 2013 Riccardo Fucile
ELETTO IN EMILIA COME LA SENATRICE CHE HA CRITICATO GRILLO: “CHI CONOSCE LA GAMBARO LA STIMA”
«I senatori non vogliono l’espulsione di Adele, la conoscono, sanno come ha lavorato in questi mesi. Non vorrebbero arrivare a un voto proprio su di lei, e non lo vorrei neanche io. Comunque se si voterà , io voterò contro ».
Il deputato modenese Michele Dell’Orco è uno dei “pontieri” del Movimento 5 Stelle, in queste ore sta lavorando per tentare di evitare lo scontro frontale, per ricucire, abbassare i toni.
A differenza di tanti altri suoi colleghi però ascolta, argomenta, risponde. Non schiva le domande.
E alza la mano per difendere la senatrice ribelle, che domani finirà a processo per aver osato criticare il leader.
Dall’Orco, come pensa andrà a finire il voto di domani?
«È difficile fare previsioni. Io ho parlato anche con gli altri dell’Emilia-Romagna e siamo d’accordo. Anche i senatori non vogliono l’espulsione, hanno visto com’è Adele, che tipo è. Il problema è che molti deputati invece non la conoscono affatto».
E quindi potrebbero votare a favore?
«Eh, sì. Ma io davvero spero non si arrivi a questo punto. Domani ci sarà assemblea e vedremo come andrà a finire. L’espulsione da regolamento dev’essere proposta da un numero minimo di deputati e senatori. Bisogna vedere se qualcuno alla fine lo farà , se la questione verrà messa sul tavolo formalmente, perchè finora non è successo. Io dubito che Adele verrà espulsa, anche se ha palesemente sbagliato».
Perchè dice che la Gambaro ha palesemente sbagliato a dire che “il problema è Grillo”? Qual è la sua colpa?
«Prima di rilasciare un’intervista a Sky avrebbe dovuto confrontarsi con l’assemblea. Ma penso che abbia capito il suo errore».
Però secondo lei questo errore non vale un’espulsione come invece chiede Grillo.
«Io voterò contro. Anche perchè ci sono tanti altri parlamentari che da mesi rilasciano dichiarazioni ben più gravi. La Gambaro è solo l’ultimo caso».
A proposito di cose gravi, è vero che è in atto una compravendita di parlamentari, come ha denunciato il suo capogruppo Riccardo Nuti?
«A me direttamente non è successo. Ma possono evitare di perdere tempo ad avvicinarmi, perchè rischiano una denuncia».
Caterina Giusberti
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Giugno 16th, 2013 Riccardo Fucile
SI TRATTA DI 20 DEPUTATI E 16 SENATORI…I TALEBANI VOGLIONO ANCHE LA TESTA DI PAOLA PINNA,REA DI ESSERSI LAMENTATA DELLA SCARSA DEMOCRAZIA INTERNA
L’ultima scomunica arriva in un post scriptum e la scrive di nuovo lui, Riccardo Nuti, capogruppo Cinque Stelle alla Camera: “P. s. Informo i lettori che il codice di comportamento non è cambiato”.
I lettori sarebbero quelli che, su La Stampa, hanno scoperto che Paola Pinna è “pronta a costituire un nuovo gruppo”.
Non da sola, certo. Sarebbero in 20, i deputati sulla strada dell’addio.
Il minimo indispensabile per fare un gruppo a Montecitorio, quanto basta per immaginare che domani potrebbe essere il giorno più lungo dei grillini in Parlamento.
Si usa ancora il ondizionale, perchè mentre alla Camera è stata ufficialmente dichiarata “guerra” (una prima bozza dello Statuto sarebbe già pronta), al Senato i deputati dissidenti sono ancora alla ricerca di una tregua: un ultimo, disperato, tentativo di fermare il voto di lunedì, quello che chiederà alla Rete se vuole che Adele Gambaro, l’accusatrice di Beppe Grillo, resti nel Movimento oppure no.
Sanno già la risposta, i senatori.
Per questo stanno cercando di convincere lei a fare l’unica cosa che la salverebbe dalla gogna: andarsene da sola, provare a dimettersi e finire al gruppo misto.
Ma la senatrice emiliana difficilmente lo farà . Ai senatori non resta che convincere Vito Crimi, Nicola Morra e gli altri “talebani” del gruppo che la faccenda va risolta tra le mura di palazzo Madama, senza darla in pasto ai giovani colleghi deputati.
Che sono lì, inferociti. La Gambaro la considerano già sbranata. E già hanno buttato gli occhi sulla Pinna.
Scrive Carlo Sibilia, 27enne avellinese: “Tolta la zavorra riprenderemo a volare perchè noi siamo oltre… obiettivo 100%”.
Insiste Manlio Di Stefano, 31enne trasferito a Milano: “Se avete pelo sullo stomaco e amate farvi del male seguite queste semplice ricerca su google”.
Aggiunge le parole da incrociare: “m5s dissidenti soldi indennità ”.
Il concetto è noto: lo fanno per la grana.
E ieri, con una rapidità sconcertante, la pagina Wikipedia di Paola Pinna era già aggiornata con il timbro di infamia: “Ha tradito la fiducia dei propri elettori nei confronti di Beppe Grillo in nome della diaria” (poi corretto, un’ora più tardi con il link all’intervista incriminata).
Ormai succede di tutto. Paola De Pin, senatrice trevigiana, ha denunciato al Secolo XIX “stalking” da un consigliere comunale: dice che ridà indietro troppi pochi euro.
Ormai i dossier sono all’ordine del giorno.
E c’è chi sostiene che perfino le voci insistenti sulle uscite dal gruppo siano “profezie che si autoavverano”. “Ci stanno facendo il malocchio”, dice un senatore.
Alla Camera invece sono meno superstiziosi: “La loro tecnica è semplice: delegittimare tutti quelli che alzano la testa. Adesso abbiamo capito perchè li volevano tutti giovani: i ragazzini si manovrano meglio. Noi ce ne andiamo: prenderanno lo 0,1 per cento. Li voteranno solo i fascisti come loro”.
A tutti, quando immaginano l’assemblea di domani, vengono in mente scenari bellicosi: “Stiamo andando alla guerra”, “O si vince o si muore”, “Il problema è che non abbiamo un generale”, “Sarà una battaglia epocale”.
Lo staff, come prevedibile, è furibondo: “Non si può più andare avanti così. Ogni giorno uno si sveglia e fa un’intervista”.
Per questo stanno pensando di mandare il processo in diretta streaming. Chi sono i traditori, lo devono vedere tutti.
Pulizia, mele marce che cadono.
Poi, martedì, si va tutti in piazza, a sostegno di Beppe.
Ci sarà anche lui? “Magari una sorpresa ce la fa”.
Paola Zanca
(da “il Fatto Quotidiano“)
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