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RENZI A FIRENZE? UNA MACCHINA DA GUERRA, MA SOLO DELLA PROPAGANDA

Giugno 11th, 2013 Riccardo Fucile

UN LIBRO LA RACCONTA: CHE COSA HA REALIZZATO RENZI IN 10 ANNI DI GOVERNO TRA PROVINCIA E COMUNE? MOLTE INIZIATIVE MEDIATICHE MA POCA SOSTANZA

Poteri forti, parte quarta. In scena c’è la Firenze che conta, la Firenze che decide.
E sotto i riflettori ancora lui, Matteo Renzi, il politico giovane che ormai giovanissimo non è più, ma che da sempre è pronto per un’investitura nazionale.
E’ lo scout di Rignano sull’Arno, che comunica e sponsorizza un giorno sì e l’altro pure la “sua” Firenze, il personaggio chiave del libro inchiesta del giornalista fiorentino Duccio Tronci dal titolo “Chi comanda Firenze”, edito da Castelvecchi.
E’ il ragazzo di periferia che ha fatto la sua fortuna arrivando nei posti che contano — prima alla guida dell’ex Margherita, poi della Provincia e infine del Comune del capoluogo toscano — per lanciarsi nel ruolo del leader salvatore, fino ad essere accolto come l’unica speranza di una politica ridotta a brandelli.
Acclamato dal centrodestra e da quel che resta della sinistra sotto il segno della “rottamazione”, l’esponente del Pd viene raccontato da un cronista che per anni lo ha seguito ogni giorno raccontando la cronaca locale, seguendo la sua corsa, tutta in salita, non priva di scivoloni.
Tronci parla di un Renzi che, fin dai primi passi, si dedica a sfornare eventi di grande rilevanza mediatica che “prosciugano le casse della Provincia, ma procurano al suo presidente una notorietà  che varca i confini entro cui si era mosso fino ad allora”.
Ed è questo, secondo l’autore, l’obiettivo perseguito dall’ex rottamatore fin da tempi non sospetti: arrivare in alto puntando tutto sulla visibilità , e coinvolgendo negli eventi esperti enogastronomi, scrittori, musicisti anche di fama, “per chiari intenti di propaganda”.
“Non è un caso — si legge nel testo parlando di Renzi nelle vesti di presidente della Provincia — che tutto ciò sia avvenuto grazie alla diffusione affidata a una società  voluta e ideata dallo stesso Renzi. È Florence Multimedia, partecipata al 100% dalla Provincia di Firenze e quindi controllata direttamente dal suo presidente. L’organismo diventa operativo nel 2006 e un anno dopo ingloba anche l’ufficio stampa della Provincia, rivoluzionato nella struttura e nel modo di operare. Una vera e propria macchina da guerra per la comunicazione, in grado di produrre raffiche di comunicati stampa e una web tv capace di condizionare il sistema di informazione sul territorio. Florence Multimedia produce così anche effetti indiretti: molti soldi finiscono nelle casse delle concessionarie di pubblicità  dei quotidiani. Con tutti i conflitti fra informazione e strumenti a pagamento che questo comporta. Tant’è che per i media non accondiscendenti i rubinetti vengono chiusi”.
Nel volume non si dimenticano nemmeno le inchieste che hanno caratterizzato la città  sotto la guida del suo predecessore, Leonardo Domenici, nè i legami dei “poteri forti” con il Monte dei Paschi e il Pd, i rapporti con la Baldassini Tognozzi Pontello di Riccardo Fusi, finita sotto inchiesta per le Grandi Opere, e “il sistema delle Cooperative” che “mettono le mani” anche su un’altra opera: l’Alta Velocità .
Dopo il racconto dell’elezione a sindaco di Renzi che, al grido di “O vinco le primarie o torno a lavorare”, polverizza la concorrenza, Tronci si sofferma su una delle ombre che hanno avvolto la sua carriera: le cosiddette “assunzioni a chiamata”, per le quali era già  arrivata una condanna della Corte dei Conti quando il rottamatore guidava la Provincia.
Il sistema è lo stesso anche in Comune: solo nella prima metà  del suo mandato si contavano decine e decine di assunzioni del genere.
“Il personale portato dal sindaco —racconta l’autore — è andato ad aggiungersi ai circa 5mila dipendenti già  in forza all’Amministrazione comunale e peserà  sulle casse pubbliche, secondo le stime dei sindacati, oltre 20 milioni di euro in più”.
Andando a scorrere i nomi ci si accorge che gran parte di loro sono tutt’altro che volti nuovi.
Tronci ricorda alcuni ex assessori comunali, come Simone Tani e Lucia De Siervo (sorella di Luigi De Siervo, manager della Rai, e figlia di Ugo De Siervo, ex presidente della Corte Costituzionale), oltre a Bruno Cavini, suo portavoce e personaggio chiave, per anni, della Dc.
Molti gli ex collaboratori di Renzi quando presiedeva la Provincia, come l’ex capo di Gabinetto Giovanni Palumbo, finito a Palazzo Vecchio.
Il sistema-Renzi, secondo Tronci si basa anche sulle amicizie e sul “ricompensare” i fedelissimi con posti chiave nelle società  partecipate.
E’ il caso di Marco Carrai, presidente dell’aeroporto di Firenze, che “si è guadagnato la posizione di amministratore delegato di Firenze Parcheggi in quota Mps” e che viene definito “l’uomo della finanza”.
E’ la persona, infatti, che avrebbe voluto fortemente Jacopo Mazzei all’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.
Lo stesso Carrai, poi, entrò a far parte del Cda dell’Ente Cassa. Carrai siede anche in altri Cda, ricorda Tronci, “come quello di un’altra istituzione cittadina, il Gabinetto Vieusseux”.
La sua presenza è significativa anche per essere passato sulla poltrona della Holden srl, che vanta la scuola per scrittori Holden di Alessandro Baricco, schierato politicamente con Renzi.
E poi c’è la Enecom, azienda attiva nel settore delle rinnovabili, che vanta ottimi rapporti con Fiat (le sue tecnologie sono state sviluppate nei centri di ricerca del Lingotto).
Società , questa, controllata dalla Eneco Spa, presieduta da Giorgio Moretti, presidente di un’altra partecipata ancora, la Quadrifoglio, che gestisce i rifiuti a Firenze”.
Decine di intrecci sviscerati in questo libro denuncia dove, uno dopo l’altro, spuntano membri di municipalizzate legati al sindaco da amicizia e interessi politici.
Legami strettissimi, fonti di risorse e consensi, che portano Renzi ad essere definito, non a caso, il “golden boy del Pd”.

Sara Frangini
(da “il Fatto Quotidiano“)

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FONDI EUROPEI? IL GOVERNO VUOLE DIROTTARLI SULL’OCCUPAZIONE GIOVANILE

Giugno 11th, 2013 Riccardo Fucile

L’ITALIA E’ RIUSCITA A SPENDERE SOLO 19,7 MILIARDI DEI 49,5 STANZIATI DALLA UE PER IL PERIODO 2007-2013

Dai fondi strutturali europei non spesi o spesi male possono venire parte delle risorse che il governo sta affannosamente cercando per rilanciare l’occupazione dei giovani.
Lo ha confermato ieri il ministro per la Coesione territoriale, Carlo Trigilia, in occasione del monitoraggio al 31 maggio scorso sui fondi Ue: «Occorre procedere il più rapidamente possibile, con uno sforzo straordinario e con la collaborazione di tutte le amministrazioni a una riprogrammazione delle risorse non ancora spese, secondo le priorità  che il governo si è dato, a partire dalle misure per affrontare il problema della disoccupazione giovanile».
Per ora il ministro non dice quanti soldi potrebbero essere dirottati da voci inutili di spesa a impieghi più produttivi, ma, se si tiene conto che ci sono ancora 30 miliardi di euro che tra risorse europee (circa 17 miliardi ) e cofinanziamenti nazionali (circa 13 miliardi) devono essere spesi entro la fine del 2015, si capisce che i margini di manovra sono importanti.
Del resto, già  il predecessore di Trigilia, Fabrizio Barca, ha deciso nel breve spazio di vita del governo Monti due riprogrammazioni dei fondi Ue, che hanno spostato ben 6,4 miliardi di euro.
Secondo i dati del monitoraggio diffusi ieri, l’Italia ha speso finora 19,7 miliardi dei 49,5 complessivamente stanziati dai due fondi europei Fse (Fondo sociale europeo) e Fesr (Fondo europeo di sviluppo regionale) per il periodo 2007-2013 (le somme vanno impegnate entro il 2013, ma per spenderle ci sono due anni in più).
Di questa cinquantina di miliardi 27,9 sono a carico dell’Unione Europea e il resto (21,6 miliardi) dei fondi nazionali.
I quasi 20 miliardi spesi finora equivalgono al 40% del totale, un livello che rispetta il livello minimo del 38% fissato dall’Ue, ma non basta certo a assicurare che i restanti 30 miliardi saranno spesi e, soprattutto, spesi bene.
In particolare nel Mezzogiorno, dove la spesa si è fermata, al 31 maggio, al 35,7%.
Si tratta ora, spiegano i collaboratori di Trigilia, di guardare bene nei singoli programmi di spesa per trovare quelli più inefficienti e chiedere poi a Bruxelles di dirottare le risorse su impieghi più utili.
Attualmente questa enorme massa di denaro fatta di fondi Ue e cofinanziamenti nazionali è suddivisa su ben 52 programmi: regionali, interregionali e nazionali.
In 35 casi l’ammontare delle spese certificate finora ha superato il target fissato dall’Ue, in 11 è rimasto entro la soglia di tolleranza mentre in 6 casi non ha raggiunto il livello minimo.
Il caso più rilevante è proprio quello del «programma nazionale su ricerca e competitività » che concentra in 4 regioni — Puglia, Calabria, Sicilia e Campania — circa 6 miliardi di euro nel periodo 2007-2013, gestiti dai ministeri dell’Istruzione e dello Sviluppo, a sostegno di attività  di ricerca, innovazione, potenziamento infrastrutturale e creazione d’imprese.
Finora sono stati spesi solo 1,8 miliardi, 260 milioni in meno del minimo richiesto.
Ci sono poi altri ritardi che riguardano due piani regionali del Lazio, uno del Piemonte e due piani interregionali.
Complessivamente il ritardo riguarda fondi per quasi mezzo miliardo.
Fatta la ricognizione, il ministro proporrà  a Bruxelles, al massimo entro settembre, la riprogrammazione delle risorse.
Con una priorità : l’occupazione giovanile.

Enrico Marro
(da “il Corriere della Sera“)

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ZINGARETTI SEMPRE PIU’ TENTATO DALLA CORSA PER LA GUIDA DEL PARTITO

Giugno 11th, 2013 Riccardo Fucile

LO STOP DI D’ALEMA ALLE REGOLE ANTI RENZI

Massimo D’Alema ormai si tiene ben lontano dalle beghe del Pd.
Va alle riunioni di Direzione sempre più di rado e non interviene più da lunga data. Con una buona dose di civetteria sostiene di preferire altre occupazioni: la Fondazione Italianieuropei, i convegni dei socialisti sparsi per il mondo, la vendita delle prime bottiglie del «suo» vino.
Ma in realtà , l’ex presidente del Consiglio continua a tenere un occhio attento sul Partito democratico.
E ultimamente lo ha messo in allarme l’atteggiamento del fronte anti-renziano, che sta tentando di cambiare regole, statuto, norme per sbarrare la strada al sindaco di Firenze. «Non inventiamoci problemi inesistenti, non mettiamoci alla ricerca del cavillo: il nostro elettorato non ci capirebbe, e avrebbe ragione».
Perchè impazzire per riscrivere il codice interno del Pd al solo fine di stabilire che da ora in poi segretario e candidato premier non devono coincidere? Già , perchè?
La domanda è retorica e, ovviamente, D’Alema ha già  la risposta: è il modo per dissuadere Renzi e convincerlo a lasciar perdere la corsa alla leadership del partito.
Ma non funziona così.
L’ex premier in questo si è convinto che avesse ragione Renzi: così facendo si «allontanano i potenziali elettori».
E c’è un altro argomento, che riguarda sempre questa materia, che infastidisce non poco l’ex presidente del Consiglio.
Si sta parlando dei tentativi dei bersaniani (che ormai rappresentano una corrente armata che si riunisce con regolarità  con il suo leader) di imporre delle regole rigide per l’elezione del segretario.
«La platea che deve eleggere il nuovo leader – è invece l’opinione di D’Alema – deve essere la più larga possibile e il congresso deve essere aperto».
Non a caso Enzo Amendola, astro nascente del dalemismo, neo deputato e neo componente della segreteria di Guglielmo Epifani, nella riunione di ieri del nuovo organismo dirigente ha posto dei problemi proprio su questo fronte
Ciò non significa, ovviamente, che D’Alema abbia già  sposato la candidatura alla segreteria di Renzi.
Però l’ex premier si rende conto che la vittoria del Partito democratico non deve far dimenticare le difficoltà  del Pd.
E in questo senso sarebbe esiziale dare l’impressione che a Largo del Nazareno si pensi solo ad arroccarsi e a cercare di far passare l’ennesimo candidato di apparato.
La strada di Renzi non è spianata.
Anche se ufficialmente lui nega, Nicola Zingaretti è in pista.
Il presidente della regione Lazio ieri ha fatto delle affermazioni che la dicono lunga sulle sue intenzioni future: «Ci vuole una rottamazione democratica dei dirigenti nazionali del partito».
Insomma, non è escluso che a settembre Zingaretti possa presentare la sua candidatura.
Il suo amico e sponsor di una vita Goffredo Bettini dice di tifare per Renzi, ma sono in molti a credere che in realtà  stia pensando di fare con Zingaretti quello che ha fatto con Marino a Roma.
In attesa di capire come finirà  la partita della segreteria nel Pd si analizza il voto amministrativo.
Non tutti al Partito democratico sembrano condividere le convinzioni e l’euforia elettorale del patto di sindacato interno.
Al di là  delle dichiarazioni rilasciate davanti ai taccuini dei cronisti e alle telecamere dei Tg, c’è una fetta del Pd che, pur essendo (ma potrebbe essere altrimenti?) contenta del risultato, valuta i pro e i contro di questo voto amministrativo.
Che viene ritenuto da alcuni renziani «destabilizzante» per il governo, perchè mette Alfano in difficoltà , vista la portata della sconfitta del Pdl.
E le dichiarazioni del vicepremier su Letta sembrano dare ragione a questa lettura.
Ma c’è un altro aspetto del voto su cui, secondo Renzi e i suoi, il Pd dovrebbe «interrogarsi» perchè «l’astensionismo è il vero vincitore di queste elezioni».
Però la convinzione (e la paura) del sindaco è che anche questa volta il partito farà  finta di niente.

Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera“)

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CELLE AFFOLLATE, LE MISURE: DETENUTI A CASA SEI MESI PRIMA

Giugno 11th, 2013 Riccardo Fucile

PIANO PER 10.000 POSTI NELLE CARCERI, LA STRATEGIA DELLA CANCELLIERI: PROGETTO PER PIANOSA, RADDOPPIA GORGONA

Un decreto legge per limitare gli ingressi in carcere e favorire le uscite di chi sta scontando l’ultima parte della pena.
Apertura di nuove strutture per poter contare su 4.000 posti entro la fine dell’anno.
Il piano carceri messo a punto dal ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri entra nella fase operativa per fronteggiare una situazione drammatica che con l’arrivo del caldo può soltanto peggiorare.
E mira a recuperare in totale almeno 10.000 posti.
Sono i dati forniti dalla stessa Guardasigilli durante la sua audizione al Senato e aggiornati al 15 maggio scorso, a dimostrarlo: quasi 65.891 detenuti, vale a dire circa 20 mila in più rispetto alla capienza, anche se l’associazione Antigone ne calcola almeno 30 mila. In particolare 24.697 sono in attesa di giudizio, 40.118 condannati e 1.176 internati.
Un buon terzo (circa 23 mila) sono stranieri.
Il provvedimento del governo potrebbe alleggerire i penitenziari, ma non sarà  sufficiente.
Per questo si sta valutando anche la riapertura di alcune strutture ormai in disuso.
E in cima alla lista è stata inserita Pianosa, che può ospitare 500 persone.
Già  la prossima settimana Cancellieri potrebbe incontrare il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi per sondarne la disponibilità  e per discutere il raddoppio della capienza di Gorgona.
«Qui non si tratta di migliorare le condizioni – ha ripetuto due giorni fa il ministro durante la festa della polizia penitenziaria – ma di cambiare il sistema, riuscendo a dare piena concretezza al principio secondo cui la pena detentiva deve costituire l’extrema ratio. Il rimedio cui ricorrere quando si rivela impraticabile ogni altra sanzione. La reclusione potrebbe essere limitata ai reati più gravi, mentre per gli altri si dovrebbe fare più ampio ricorso alla detenzione domiciliare e al lavoro di pubblica utilità ».
Il nuovo decreto «svuotacarceri».
Sono proprio queste le linee guida del provvedimento che sarà  portato in consiglio dei ministri entro la fine del mese.
L’obiettivo è evitare il meccanismo delle cosiddette «porte girevoli» con i detenuti che entrano ed escono e, dicono gli esperti, determinano una presenza media in cella di 20 mila persone per soli tre giorni. Il decreto riguarderà  i reati minori, cioè quelli che non destano allarme sociale.
E si muoverà  sul doppio binario
Per quanto riguarda gli ingressi, si renderà  obbligatorio il ricorso alle misure alternative: detenzione domiciliare oppure affidamento in prova, a seconda dei casi. Per chi invece attende di uscire la scelta è portare da 12 a 18 mesi il residuo pena che i condannati in via definitiva potranno scontare a casa.
Calcoli esatti non sono stati ancora completati, ma i tecnici di via Arenula stimano che nei primi mesi saranno migliaia i posti che potranno essere resi disponibili grazie a questo meccanismo.
Il resto dovrà  arrivare con misure specifiche che sono allo studio di due commissioni appena costituite.
Una, guidata dal professor Francesco Palazzo, ordinario di diritto penale presso l’Università  di Firenze, dovrà  mettere a punto le modifiche alla legge in tema di depenalizzazione. L’altra, affidata a Glauco Giostra, componente laico del Csm, si concentrerà  invece sulle misure alternative.
Nuove strutture e padiglioni. Tra due settimane sarà  inaugurato il nuovo carcere di Reggio Calabria che potrà  ospitare fino a 318 detenuti. A metà  luglio sarà  invece la volta di Sassari con una struttura da 465 posti.
Entro la fine dell’anno si interverrà  poi in altre città : Biella con 200 posti, Pavia con 300, Ariano Irpino con altri 300 e Piacenza con 200.
Nei giorni scorsi era stato il capo dello Stato Giorgio Napolitano a ribadire la necessità  di arrivare a un «comune riconoscimento obiettivo della gravità  ed estrema urgenza della questione carceraria, che rientra tra le priorità  di azione del nuovo governo.
Si richiedono ora decisioni non più procrastinabili per il superamento di una realtà  degradante per i detenuti e per la stessa Polizia Penitenziaria».
Il piano messo a punto dall’Italia nella risposta alle sollecitazioni dell’Europa, prevede che entro il 2015 si trovino almeno 12mila nuovi posti per i reclusi, ma anche questo non può bastare.
Il 24 giugno in Parlamento comincerà  la discussione sul provvedimento firmato dall’ex ministro Paola Severino la discussione sulle misure alternative al carcere e la messa alla prova – che sospende il processo per chi rischia condanne inferiori ai quattro anni e opta per un percorso di rieducazione – ma la Lega ha già  ufficializzato il suo ostruzionismo di fronte a quello che definisce «un indulto mascherato» e dunque appare difficile che l’approvazione definitiva possa arrivare in tempi brevi.
Pianosa e le colonie sarde.
Ecco perchè al ministero della Giustizia hanno deciso di intervenire con un decreto che consenta di «regolare» subito entrate e uscite dalle carceri, ma hanno già  avviato le istruttoria per rimettere in funzione strutture che finora erano rimaste inutilizzate. Su Pianosa ci sono svariati nodi da sciogliere, tenuto conto che il Sappe, il maggior sindacato di polizia penitenziaria, ha già  espresso la propria contrarietà , eppure il progetto appare già  in fase avanzata.
Del resto la struttura è in buone condizioni, quindi potrebbe essere resa agibile senza spese eccessive.
Interventi sono stati programmati anche per Gorgona, che già  ospita detenuti-lavoratori.
Quello di incentivare le possibilità  di lavoro per chi si trova dietro le sbarre è uno dei punti chiave per Cancellieri che ha chiesto ai suoi uffici di valutare anche la possibilità  di utilizzare le colonie che si trovano in Sardegna.
Il problema riguarda però gli stanziamenti, visto che già  adesso in molti penitenziari sono stati sospesi i programmi di impiego perchè non ci sono i fondi sufficienti.

Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)

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DISOCCUPATO RICEVE LO SFRATTO, SI BUTTA DALLA FINESTRA E MUORE

Giugno 11th, 2013 Riccardo Fucile

“NESSUNO SARA’ LASCIATO INDIETRO” RIPETE LA POLITICA, MA LA GENTE MUORE NELL’INDIFFERENZA DELLE ISTITUZIONI

Non aveva un lavoro; era costretto a vivere grazie alle pensione di invalidità  del fratello e al vitalizio dell’anziana madre.
Quando l’ufficiale giudiziario gli ha notificato lo sfratto esecutivo è crollato.
Ha aperto la finestra e si è gettato dal terzo piano.
E’ morto a 32 anni, “spinto” dalla disperazione di dover abbandonare la casa tra due giorni.
L’uomo era originario di Uscio, piccolo comune nell’entroterra di Genova, ma viveva a Cairo, nel Savonese, in un palazzo di via Pighini, non distante dalla caserma dei carabinieri di Cairo Montenotte.
Il corpo è finito in un giardino. Inutili i soccorsi.
Il sindaco si difende. Una banale questione amministrativa non gli permetteva di aiutare la famiglia del disoccupato: “E’ una tragedia – spiega il sindaco di Cairo Fulvio Briano – ma l’uomo e la famiglia avevano mantenuto la residenza nel Genovese: per questo motivo il Comune aveva le mani legate perchè possiamo aiutare solo chi è residente. Il problema degli sfratti è davvero difficile anche per i cairesi. E’ un’emergenza sociale senza fine. Proprio questa settimana sono in corso le procedure di sfratto per altre due famiglie che hanno bambini piccoli”.

Il commento del ns. direttore

Ricordiamo i governi precedenti e i loro slogan: “nessuno sarà  lasciato indietro”: in realtà  li hanno lasciati tanto indietro che non si sono neanche più accorti che esistessero.
Invece che preoccuparsi del lavoro che non c’è e della disperazione di milioni di italiani, la politica discute da mesi se restituire o meno 250 euro di media di Imu a chi magari può tranquillamente pagarlo o fa promesse demagogiche sapendo di non poterle mantenere.
La gente muore mentre governo e finta opposizione parlano di riforme elettorali e di diarie, concetti lontani mille miglia dai problemi reali della gente comune e del comune sentire.
Incapaci di assistere chi è allo stremo delle forze, sia esso il piccolo imprenditore o il giovane disoccupato, incapaci di scelte coraggiose, incapaci di dire agli italiani verità  scomode.
Incapaci di dare esempi di vita.
Un italiano su due non va neanche più a votare, due italiani su tre esprimono un atteggiamento di protesta in vario modo.
Un essere umano che si toglie la vita per indigenza dovrebbe suscitare in costoro un minimo   senso di colpa: invece riescono solo a scaricare su altri la loro mancanza di solidarietà  umana, trincerandosi dietro la burocrazia.
Una destra sociale dovrebbe iniziare da qui: da una comunità  nazionale solidale, dal lavoro, dai giovani, da un approccio alla politica come servizio, dalla tutela delle fasce più deboli.
Nella nostra concezione del mondo, un ragazzo di 32 anni ha diritto a vivere.
Non a morire di povertà .

E chi più ha, più deve dare.
E chi ha più responsabilità , più deve fare.

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GRILLO ORMAI E’ TORNATO UN COMICO: “LA SENATRICE CHE MI CRITICA NON VALE NIENTE, SE NE VADA”

Giugno 11th, 2013 Riccardo Fucile

POI SCATENA LA CORTE DEI SERVI: “I NEMICI INTERNI SONO IL VERO PERICOLO”… IL DITTATORELLO DELLA REPUBBLICA DI SANT’ILARIO NON AMMETTE CRITICHE

Un invito ad andarsene.
Beppe Grillo non accetta le critiche della senatrice Adele Gambaro intervistata da SkyTg24 e chiede la sua espulsione.
“Ha rilasciato”, scrive il leader sul blog, “dichiarazioni false e lesive nei miei confronti, in particolare sulla mia valutazione del Parlamento, danneggiando oltre alla mia immagine, lo stesso Movimento 5 Stelle. Per questo motivo la invito per coerenza a uscire al più presto dal Movimento”.
L’articolo dal titolo “Quando uno non vale niente“, attacca la parlamentare, definendola “una che usa il progetto di milioni di italiani per promuovere se stesso e assicurarsi un posto al sole. Per questo è una che non vale proprio niente”.
All’origine della discussione, le dichiarazioni di Gambaro in televisione di poche ore prima, quando aveva manifestato un disagio nei confronti dei metodi comunicativi dell’ex comico.
“Stiamo pagando i toni e la comunicazione di Beppe Grillo, i suoi post minacciosi, soprattutto quelli contro il Parlamento”, ha detto la senatrice dell’Emilia Romagna. Subito dopo il tonfo elettorale in Sicilia, senatori e deputati hanno cercato di individuare le cause della perdita di voti.
“Mi chiedo”, ha continuato Gambaro, “come possa parlare male del Parlamento se qui non lo abbiamo mai visto. Lo invito a scrivere meno e osservare di più. Il problema del Movimento è Beppe Grillo”.
Avanti i lecchini.
Duri i commenti dei colleghi della Gambaro, anche c’è chi assicura che i suoi disagi non siano isolati ma riguardino una nutrita parte del gruppo.
“Ricordo alla senatrice”, ha scritto Manlio Di Stefano, deputato della Lombardia sulla sua pagina pubblica: “che se si trova oggi in Parlamento a esprimere le sue riflessioni da politico navigato lo deve al Signor Beppe Grillo e a tutti gli attivisti che partendo dalle sue parole hanno costruito tutto questo. La invito a una doccia di umiltà ”.
Così il deputato Giorgis Sorial che si augura ci possa essere una discussione in assemblea: “Espulsione? Insieme va discusso il comportamento di alcuni, in realtà  pochi, parlamentari che mettono in difficoltà  il gruppo ed oscurano il nostro lavoro. Beppe ha la nostra solidarietà  e a breve faremo un comunicato congiunto”.
Contrario alla cacciata a priori anche Ivan Della Valle che dice: “La senatrice faccia una seria riflessione. Se pensa che il problema è Grillo, deve capire se vuole ancora far parte di un Movimento dove il 99% dei componenti non la pensa come lei. E’ una riflessione che spetta a lei”.
Si unisce al coro Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera: “O è in cattiva fede o ha sbagliato gruppo”.
Infuriato è invece Alessandro Di Battista, deputato e tra i fedelissimi di Grillo: “Abbiamo tanti nemici all’esterno, ma da sempre il vero pericolo è all’interno, abbiamo la possibilità  combattendo di cambiare la storia di questo paese in macerie e tu accusi Beppe, un esempio di attivismo, un italiano che rischia la vita per far diventare questo paese normale? Non ho parole senatrice”.
Ma la posizione di Adele Gambaro non è isolata.
In molti negli ultimi mesi hanno espresso disagi per i toni forti dell’ex comico genovese.
“A volte”, dice Aris Prodani, “le sue dichiarazioni ci mettono in difficoltà ”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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“COLPA DI GRILLO E DEI POST MINACCIOSI”: LA SENATRICE CINQUESTELLE SPARA A ZERO

Giugno 11th, 2013 Riccardo Fucile

ADELE GAMBARO: “COME PUO’ PARLARE MALE DEL PARLAMENTO SE QUI NON L’ABBIAMO MAI VISTO. SCRIVA DI MENO E OSSERVI DI PIU'”… GRILLO ALLE CORDE: “DITEMI SE IL PROBLEMA SONO IO”

“Stiamo pagando i toni e la comunicazione di Beppe Grillo, i suoi post minacciosi, soprattutto quelli contro il Parlamento”. Adele Gambaro, senatrice dell’Emilia Romagna, in diretta su SkyTg24 attacca duramente il leader del Movimento 5 Stelle. A poche ore dal tonfo elettorale in Sicilia, senatori e deputati cercano di individuare le cause della perdita di voti.
“Mi chiedo”, ha continuato Gambaro, “come possa parlare male del Parlamento se qui non lo abbiamo mai visto. Lo invito a scrivere meno e osservare di più. Il problema del Movimento è Beppe Grillo”.
Una dichiarazione che non ha lasciato indifferente l’ex comico genovese.
E nel giro di qualche minuto scrive sul sito: “Vorrei sapere cosa pensa il Movimento 5 Stelle di queste affermazioni, se sono io il problema”.
Una colonna di lato che chiede i commenti degli attivisti.
Poco prima sul suo blog il leader a 5 Stelle commentava con toni amareggiati il risultato elettorale: “Lo spettacolo è osceno e inquietante, e attrae sempre meno spettatori, la gente non ha più voglia di pagare il biglietto, di votare. Questo o quello pari sono. Elezione dopo elezione il disgusto sale”.
Parole che rievocano l’articolo di fine maggio. Parlava del flop alle amministrative e individuava due “Italie”, una che vive di politica e una dimenticata di lavoratori autonomi, studenti e precari: “Si sta condannando il paese a una via senza ritorno. Vi capisco avete fatto bene”, diceva in modo ironico.
Un tipo di analisi che ha lasciato perplessa la senatrice Adele Gambaro, che ora sottolinea: “Noi il lavoro lo stiamo facendo e questo non viene percepito. Invece di incoraggiarci, scrivendo questi post ci mette in cattiva luce. Credo che altri all’interno del Parlamento abbiano le mie stesse idee. Il disagio c’è ed è evidente, ma non arriva a un dissenso vero e proprio”.
“Il Movimento è Grillo“, ha spiegato ancora Gambaro, “e forse è lui che dovrebbe ragionare su quanto fatto in questi tre mesi. Non metto in discussione la sua leadership, ma se fossi in Grillo rifletterei molto attentamente. Perchè sono stati commessi errori molto gravi”.
Quindi, sull’esito elettorale alle amministrative, ha aggiunto: “Due comuni al M5s non sono un successo, ma una debacle elettorale. Inoltre ci sono percentuali molto basse”.
Secondo la senatrice 5 stelle, “bisogna cambiare radicalmente il modo di porsi. Le idee sono buone e forse siamo ancora in tempo per recuperare. Certo i risultati delle amministrative non sono incoraggianti”.
E’ la più anziana delle senatrici emiliane, 48 anni e consulente, è nata a Genova, ma vive a Bologna con marito e due figli.
Stimata dal gruppo, nei giorni scorsi aveva già  fatto discutere per alcune considerazioni moderate sulle voci critiche di una parte dei parlamentari : “Il dissenso va ascoltato e non represso“.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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LA NON-SENATRICE GRILLINA: “ANCHE IO VOGLIO L’INDENNITA'”

Giugno 11th, 2013 Riccardo Fucile

TIZIANA PITTAU PER DUE MESI HA SOSTITUITO LA COLLEGA MANGILI, MA LE DIMISSIONI DI QUEST’ULTIMA SONO STATE RESPINTE E COSI’ LEI E’ RIMASTA FUORI DAL PARLAMENTO: “IL GRUPPO MI HA ABBANDONATA”

Passi il non-partito, passino pure il non-leader e il non-statuto.
Ma la non-senatrice, forse, è ai limiti della realtà .
Eppure è così che si definisce Tiziana Pittau, attivista del Movimento Cinque Stelle e per due mesi «parlamentare fantasma».
Sedotta con l’illusione di essere una di loro e poi abbandonata a se stessa dal gruppo dei senatori grillini.
Sospesa in un limbo tra Palazzo Madama e Castellanza, il paese del Varesotto in cui vive e dove per tutti ormai è «la senatrice».
Ora però Tiziana, madre di due figlie, chiede due cose: prima di tutto «che mi venga restituita la dignità  di normale cittadina».
E poi, magari, anche «l’indennità  da parlamentare e il rimborso delle spese sostenute». Gli scontrini sono pronti, ma da Vito Crimi in giù i suoi non-colleghi del Movimento fanno orecchie da mercanti.
Ah, cara diaria.
Tutto inizia i primi giorni di marzo, quando la senatrice del M5S Giovanna Mangili annuncia di voler rinunciare al seggio.
«Motivi personali» spiega lei. «Dissidi interni tra correnti» svelano i rumors.
Poco conta: fuori la Mangili il suo posto spetta al primo dei non eletti in Lombardia. Tiziana Pittau, 45enne sarda trapiantata a Varese, viene arruolata tra le truppe grilline a Roma.
«Ho lasciato la mia attività , un’agenzia turistica online, affidandola a un’altra persona — racconta la non-senatrice — perchè la nostra filosofia è chiara: impegno politico a tempo pieno».
E infatti Tiziana dedica anima e corpo all’attività  parlamentare: le riunioni del gruppo a Roma, le votazioni, la mailing list.
«Ero inglobata in tutto e per tutto nel gruppo e nelle decisioni».
Manca solo una cosa: sedersi in quell’aula dai velluti rossi.
Questione di giorni, sembra: prima il Senato deve votare le dimissioni della senatrice Magili.
Che però vengono bocciate, due volte. E la Mangili decide così di cambiare idea e torna a fare la senatrice. Anzi, inizia a fare la senatrice.
A quel punto — siamo all’inizio di maggio — nel gruppo dei senatori Cinque Stelle non c’è più posto per Tiziana Pittau.
«Sono stata estromessa dai processi decisionali, ma nessuno si è preso la briga di definire la mia situazione».
Dall’uno vale uno, all’uno vale l’altro.
«Tornata alla vita di tutti i giorni – racconta delusa – ho parlato direttamente con Giovanna, per risolvere la questione dello stipendio tra di noi, relativamente al periodo in cui l’ho sostituita».
Ma lo scambio di «indennità » non va in porto.
«Purtroppo — spiega la non-senatrice — aveva già  versato al nostro fondo tutta l’indennità  dei due mesi di assenza».
La palla passa quindi al gruppo dei senatori. Che si rivela un muro di gomma.
«Ho scritto alla segreteria, al gruppo comunicazione e a tutti i singoli senatori per chiedere di mettere all’ordine del giorno delle riunioni il mio caso. Un buco nell’acqua». Nessuna risposta ufficiale: «C’è troppa superficialità  nella gestione del gruppo, tanta improvvisazione. Avevamo uno slogan: nessuno deve rimanere indietro. Ecco, io posso dirlo: mi hanno lasciata indietro».

Marco Bresolin
(da “La Stampa“)

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TENSIONE ALL’ASSEMBEA CINQUESTELLE: DOSSIER SUI MEDIA, LITE SULL’AFGHANISTAN

Giugno 11th, 2013 Riccardo Fucile

DIVISI ANCHE SULLA PARTECIPAZIONE AI FUNERALI DEL MILITARE ITALIANO

Poco prima dell’ennesima assemblea congiunta, Massimo Artini incontra Massimo Baroni e i due si abbracciano a lungo: «Ne avevamo bisogno, c’è stato troppo nervosismo».
Gesto che la dice lunga sullo stato d’animo dei parlamentari a 5 Stelle, scossi dall’addio di Alessandro Furnari e Vincenza Labriola, ma anche dal velenoso seguito a base di insulti e persino minacce (online).
Ma questo non pare che l’inizio, visto che si vocifera di altri addii imminenti.
La strategia del Movimento, a questo punto, è di incoraggiare chi non condivide più la linea perchè, come spiega Carla Ruocco, chi è irrequieto rischia di «inquinare».
E la stampa non aiuta: tanto che Riccardo Nuti ha fatto una dura requisitoria contro chi rilascia interviste «sgradite».
E Alessio Villarosa, nel frattempo, sta ultimando un dossier contro «gli errori» dei giornalisti.
L’assemblea, presenti 80 su 160, era stata indetta con un ordine del giorno sibillino: «Chiarimenti sul comportamento fuori e dentro il gruppo rispetto alle decisioni assembleari».
Frase accolta da molti come l’ennesimo tentativo di bloccare qualunque forma di pensiero non in linea con i vertici.
Si è cominciato con cautela, parlando innanzitutto dell’annosa questione: a quale fondo destinare il surplus della diaria?
Si è deciso per la Tesoreria dello Stato, in un fondo che dovrebbe essere riservato all’abbassamento delle tasse.
Ma la questione ne lascia in sospeso un’altra, più rilevante: restituiranno tutti la parte di diaria non rendicontata?
Nessuno vuole mostrarsi in polemica sui soldi.
Ma questo non significa che tutti siano pronti a restituire il denaro. Anzi.
Le prossime fuoriuscite, se ci saranno, saranno ammantate da ragioni di dissenso politico
Quello che sembra certo è che se emorragia dev’essere, la linea è provare ad accelerarla.
Lo ripete da tempo il capogruppo Riccardo Nuti e lo ha ripetuto ieri Alessandro Di Battista: «Noi non cacciamo nessuno, ma se qualcuno vuole uscire, si accomodi».
Le motivazioni di dissenso non mancano.
Ieri, per esempio, c’era da commemorare il militare italiano ucciso in Afghanistan. Diversi esponenti hanno presenziato ai funerali, a cominciare dal vicecapogruppo Alessio Villarosa.
Eppure anche su questo si sono registrati mugugni. Qualcuno avrebbe volentieri evitato di presenziare a un evento che si ricollega a una missione considerata di guerra.
Tra questi il senatore Marco Scibona, che raccontano infuriato.
Ma il vero problema è la linea politica.
L’interventismo verbale di Beppe Grillo non piace a tutti. E alcuni vorrebbero una presa di posizione del gruppo, per prendere ufficialmente le distanze dal «megafono», ormai troppo ingombrante.
Superate le amministrative, non è escluso che si arrivi a un voto in assemblea.
Così come non è affatto chiusa la questione Stefano Rodotà , ricusato da Grillo a causa di qualche garbata critica al Movimento.
Ieri il professore ha partecipato a un’assemblea con Laura Boldrini sul tema del web, intitolato «Parole libere o parole d’odio».
Difficile non vedere riferimenti ai 5 Stelle.
Eppure erano ben sei i parlamentari presenti.

Alessandro Trocino
(da “il Corriere della Sera“)

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