Giugno 17th, 2013 Riccardo Fucile
PREPARATE LE RISPOSTE CHE GLI ATTIVISTI DOVRANNO DARE DOMANI SE INTERVISTATI DALLA STAMPA ALLA MANIFESTAZIONE IN SOSTEGNO DI GRILLO DAVANTI AL PARLAMENTO… VIETATO PENSARE E PARLARE USANDO LA PROPRIA TESTA: ECCO IL COPIONE DA IMPARARE A MEMORIA E DA RECITARE PER LE TV
LE LINEE GUIDA PER LA MANIFESTAZIONE DI DOMANI
A tutte/i
Grazie infinite a tutti per la partecipazione in questi giorni precedenti alla manifestazione.
Ecco alcune linee guida da seguire domani, in modo da ottenere il risultato principale: mostrare all’Italia che il M5S è coeso, compatto, unito e che la lotta è ben lungi dall’essere terminata
Anzi, è solo all’inizio!
1) Cerchiamo di venire tutti fin da subito, fin dalle nove. Il punto d’incontro è esattamente quello della foto sopra, sotto l’obelisco davanti a Montecitorio. Più siamo fin dall’inizio, meno i giornalisti potranno filmare una piazza vuota e mandare in onda immagini che decretano il flop.
Un piccolo sforzo per una giornata importante come domani!
2) La manifestazione è PACIFICA! Non è un redde rationem, nè uno showdown in stile western, nè una marcia su Montecitorio.
Siamo lì per manifestare il nostro affetto a Beppe Grillo e ai nostri deputati e senatori. Il fatto che vi sia aria di dissidenza dev’essere considerato quasi “ACCIDENTALE”.
Ai giornalisti che saranno in piazza, CI RACCOMANDIAMO di rispondere con garbo, con cortesia questa semplice frase, se provocati su eventuali dissidenti: “Chi non mantiene il rispetto per i cittadini e per gli elettori è fuori del M5S, sia esso attivista, consigliere, deputato o senatore. I valori del M5S non si discutono”.
Peraltro, se ci riusciamo, diciamo che Grillo NON ha parlato male del Parlamento ma ne ha solo denunciato la condizione degenerata. Anche Scalfaro, ex presidente, anche autorevoli giornalisti ne denunciavano lo svilimento ma nessuno ha osato obiettare. Le parole di Grillo invece sono state strumentalizzate, ecc. ecc.
In soldoni, sminuire i problemi, liquidare con una risata le ipotesi di scissione, accogliere con uno sbadiglio e una scrollata di spalle le previsioni di fine del MoVimento.
Se la piazza è gremita come dovrebbe essere, basta rispondere indicando la gente: “A me sembra che il MoVimento sia vivo e vegeto e che goda di ottima salute, a lei?”.
“Agorà deputati M5S e cittadini del M5S di Roma”
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Giugno 17th, 2013 Riccardo Fucile
SONO STATI BEN 42 I PARLAMENTARI CINQUESTELLE CHE HANNO VOTATO CONTRO, 9 GLI ASTENUTI, 33 CHI NON HA VOLUTO PARTECIPARE ALLA FARSA… IN UN PARTITO NORMALE STASERA GRILLO SI SAREBBE DOVUTO DIMETTERE
Il verdetto arriva dopo sei ore di riunioni e assemblee. Adele Gambaro potrebbe essere cacciata.
L’assemblea congiunta dei deputati e senatori M5S ha votato (79 sì, 42 no, 9 astenuti, ben 33 gli assenti) di demandare alla rete il voto sull’espulsione della senatrice, dopo le sue dichiarazioni critiche nei confronti di Beppe Grillo.
Ma il dato clamoroso viene proprio dai numeri: nonostante le minacce via web e la precettazione dei talebani, Grillo nin raggiunge più neanche la metà più uno degli eletti.
Si sono schierati con lui solo 79 parlamentari su 163.
I dissidenti che venivano dati al massimo intorno alle 30 unità sono passati a 42 ufficialmente, ma ben 33 si sono dissociati dalla linea Grillo, rifiutandosi di partecipare al voto.
Nienete streaming per la seconda assemblea, quella più importante, a Montecitorio.
Il tutto mentre sulla Cosa, la webtv del Movimento vanno in onda i video di Grillo..come nei peggiori regimi militari.
Ad essere trasmesse sono solo le dichiarazioni finali dei capogruppo alla Camera Riccardo Nuti e del capogruppo al Senato Nicola Morra, che hanno motivato la decisione dell’assemblea.
LA LETTERA
Una riunione agitata, dunque. E a porte chiuse. Alla faccia della trasparenza.
Lei, Adele Gambaro, legge una lettera.
Si dice dispiaciuta di aver danneggiato il Movimento. Ma niente scuse. E ribadisce il suo no alle dimissioni.
«Attenderò il giudizio dell’assemblea e lo accetterò rimanendo nelle mie opinioni e con la speranza che il mio gesto possa essere servito a far muovere il cambiamento verso una linea più democratica», sottolinea.
Nel frattempo Crimi avvia la procedura d’espulsione.
In aula anche la deputata Paola Pinna attaccata per una intervista che ha rilasciato da un post del collega Manlio Di Stefano.
Un commento infame, degno dei peggiori servi: «Risparmiatemi questa Cosetta dei Miserabili dell’onorevole grillina Paola Pinna – scrive Di Stefano – (laureata disoccupata che viveva con i genitori a Quartucciu, Cagliari, e con cento voti cento è diventata deputata al Parlamento) che invece di spargere petali di rosa dove Grillo cammina, sorge in difesa di una certa Gambaro, un’altra miracolata che si crede Che Guevara».
Ha parlato il giullare di corte.
L’SMS, CRIMI E LE CHIAMATE A GRILLO –
La Gambaro attacca Grillo: «Qui nessuno parla delle reazioni del blog nei miei confronti: sono state di una violenza incredibile». E non solo.
Gambaro si rivolge all’ex capogruppo Vito Crimi: «Non c’è più rapporto di fiducia. Tu, Vito (Crimi, ndr) hai pubblicato un mio sms. Quindi viene a mancare il rapporto di fiducia».
E a chi le chiede se voglia rimanere nel Movimento, lei replica: «Sì, io ho espresso il mio disagio per i toni della comunicazione. Lavoro molto bene con i miei colleghi qui».
Il senatore Campanella la difende: «C’è bisogno di lei nel gruppo: penso che sia opportuno mantenere l’unità del Gruppo e votare insieme affinchè si passi oltre queste contrapposizioni sterili».
MOMENTI DI TENSIONE
Il dibattito continua, tra posizioni più o meno moderate, finchè i toni, all’improvviso si alzano. «Adele non deve finire dentro la gogna mediatica. Avere un’opinione personale è illegale? Criticare non è previsto dal regolamento?», scandisce la senatrice Bencini.
Il senatore Romani afferma: «Mi chiedo se non sia peggio l’intervista di oggi di Riccardo Nuti a Repubblica, dove dice che lei si deve dimettere e chi vota contro è fuori. Io voglio le sue scuse, perchè se è un mio compagno e fa parte della mia squadra queste cose non deve dirle. Io non voglio le scuse della Gambaro, ma di Nuti».
Poi il gruppo si trasferisce alla Camera per l’incontro congiunto di senatori e deputati.
Con Grillo messo in minoranza.
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Giugno 17th, 2013 Riccardo Fucile
NEANCHE LE PALLE DI ASSUMERSI IL RUOLO DI BOIA, PREVALGONO I VILI CHE VOGLIONO LA LAPIDAZIONE DELL’INFEDELE VIA WEB
Vito Crimi questo pomeriggio: «Noi non votiamo nessuna espulsione, noi votiamo di rimettere alla rete la decisione. Io non ho detto chi non vota per l’espulsione della Gambaro va contro i principi del Movimento. Ho detto: “se come gruppo non ci rimettiamo alla decisione della rete tradiamo un principio del M5S”».
Ma di quali principi parla Crimi? Quelli delle dittature sudamericane?
Poi l’ex capogruppo saluta tutti e se ne va. «Devo andare a fare il trasloco».
Vito Crimi questa sera: “Vito Crimi ha avviato la procedura di espulsione e altri si sono già associati”, ha dichiarato il deputato Andrea Colletti in una pausa.
Vito Crimi forever:«I parlamentari del M5S riuniti, senza distinzione tra Camera e Senato, potranno per palesi violazioni del Codice di Comportamento, proporre l’espulsione di un parlamentare”.
Peccato che questo Codice non abbia nessuno valore legale visto che i parlamentari rispondono solo alla Costituzione, ai regolamenti dei gruppi parlamentari ed eventualmente allo statuto del partito.
L’articolo 3 dello statuto di 5 Stelle dice chiaramente: “Gli eletti esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato”.
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Giugno 17th, 2013 Riccardo Fucile
SPARITO FINI, SCONFITTO ALEMANNO, CONFINATO LA RUSSA: CHE NE E’ DEGLI EX MISSINI?… POLITICAMENTE POCO, MA C’E’ UN TESORETTO DA 400 MILIONI DA SPARTIRE
Qualcuno l’ha chiamata “operazione nostalgia”, giusto per chiarire dal principio che la premessa non è tanto il futuro, quanto una mesta rievocazione di un passato di cui non si ha più traccia, se non nelle sue macerie di rivendicazioni, pentimenti e qualche schizzo di veleno sulle responsabilità .
Altri “la nuova cosa nera”, che rievoca più un passato extraparlamentare, che non un presente rassicurante tra i banchi delle Camere.
Eppure, anche se i protagonisti si sfilano da entrambe le definizioni, qualcosa, nel magmatico e sempre più confuso pentolone del centro destra, si sta muovendo.
Dopo la slavina elettorale delle scorse amministrative, e la rovinosa sconfitta dell’ex sindaco Alemanno a Roma, gli ex colonnelli di Alleanza Nazionale stanno lavorando al progetto di ricostruire una nuova identità .
Alcuni confluiti in Fratelli d’Italia, altri in rivoli di progetti similari.
Tramontato il suo leader Gianfranco Fini (alle prese con un libro nel quale racconterà la “sua verità “), Futuro e Libertà si è sciolta lo scorso maggio.
Un triumvirato guidato da Roberto Menia, Aldo Di Biagio e Daniele Toto dovrebbe ora accompagnare il defunto partito, nato il 13 febbraio del 2011 da una scissione interna del Pdl, verso una “comune casa di destra”: formula quanto mai vaga.
Del resto, l’emorragia di voti nel Pdl, otto milioni all’ultimo giro, sono un appetitoso banchetto su cui pasteggiar.
Un elettorato senza più padri, in cerca di una destra moderna, europeista, riformista che avrebbe forse votato Renzi, è in cerca di una congrua creatura politica.
E allora?
Lo scorso week-end, Fratelli d’Italia ha organizzato a Milano le “Giornate Tricolori”: l’obiettivo – seguiranno altre iniziative simili – è quello di discutere insieme le vie da percorrere per ricomporre la creatura morente.
Eppure, a giudicare dal panel degli invitati – oltre a vecchi protagonisti di An anche l’ex Ministro Tremonti, Magdi Allam, e qualche volto di “Fermare il Declino” – la rotta sembra più posizionata verso il centro, che non in direzione di una destra pura. Altro nodo gordiano è la questione della leadership: La Russa accende il riflettore su Giorgia Meloni, da alcuni ribattezzata “la Renzi del centro-destra”.
Formula quanto mai spendibile in tempi di rottamazione e insistente richiesta di rinnovamento.
Ma non tutti sono d’accordo.
L’ombra lunga del Cavaliere, inoltre, sembra essere condizione imprescindibile per la nascita della nuova formazione: in attesa che il volto della rinnovata Forza Italia assuma lineamenti più chiari, molti ex An già oggi non escludono la possibilità di allearsene, anche se l’ex senatore Domenico Nania parla di “pulizia etnica della destra del Pdl”.
Lo stesso La Russa, che raggiunto dall’Espresso non ha voluto parlare perchè “contrario al taglio del giornale”, ha spiegato ieri che l’intento non è quello di sottrarsi a Berlusconi, ma di comporre la terza gamba “di una coalizione in grado di vincere”. Del resto, i senatori Matteoli e Gasparri, ex An, hanno già chiarito che resteranno nel rassicurante alveo del Pdl: l’uno, a capo della commissione Lavori Pubblici e Comunicazioni di palazzo Madama, l’altro come vicepresidente del Senato.
Chi è, al contrario, in cerca di collocazione, ci sta invece pensando.
Andrea Ronchi, che nel 2011 uscì da Fli per entrare nel gruppo misto, sostiene che si commetterebbe un grosso errore, se si pensasse a un’operazione nostalgia: “Alleanza nazionale era un progetto intelligentissimo, che ha avuto la sua massima espressione in un momento storico molto diverso dall’attuale. Fino al 1993 l’Msi era considerato un partito “paria”, impresentabile e oggetto di razzismo politico. Fu Fini a sdoganarlo, quando si candidò a Roma come sindaco, contro Rutelli. Nacque tutto lì. Il Cavaliere lo scelse e si aprì la seconda Repubblica. E proprio a Roma, dove tutto ha avuto principio, tutto è finito con la sconfitta di Alemanno. Si apre una terza fase”.
Un partito che guardi anche al centro – spiega Ronchi – e si rivolga al volontariato cattolico e alla Cisl. Che si occupi di lavoro, legalità , sussidiarietà , nazione, welfare sociale, cura economica, e che non tralasci gli ultimi.
“Coinvolgerei Luciano Ciocchetti (ex vicepresidente del Lazio con la Polverini), Adriana Poli Bortone, Silvano Moffa. Senza pensare a una leadership precisa, però, perchè finchè resiste Berlusconi, non si può pensare ad altri. Certo, non vedrei male un imprenditore come Alfio Marchini…”.
Francesco Storace, segretario nazionale della Destra e oggi vicepresidente del Consiglio regionale del Lazio, ha accolto e rilanciato l’appello di Marcello Veneziani sul “ritorno a Itaca” (riunirsi sì, ma su idee e valori concreti), anche se qualcuno degli ex An sottolinea che, dopo il disastroso risultato delle scorse amministrative (1,30 per cento, rispetto al 3,46 delle regionali di febbraio), non abbia più grande potere contrattuale.
“Dovete pronunciarvi”, ha scritto in un recente editoriale su Il Giornale d’Italia nel quale tira bordate a La Russa.
“Stupisce il silenzio di Fratelli d’Italia, la cura dell’orticello non è la migliore delle proposte possibili in politica – prosegue – bisogna avere anche il coraggio di mettersi in discussione in un confronto leale sulle idee. Giorgia Meloni e i suoi sono riusciti a racimolare i consensi necessari a rientrare in Parlamento in nove ma adesso devono fare politica anche loro. A che serve guidare una bella pattuglia quando si potrebbe rimettere in campo un esercito?”.
Appello cui La Russa ha risposto, invitandolo alle Giornate milanesi.
Raggiunto dall’Espresso, Storace ribadisce che “C’è la necessità ci siano tutti, in una nuova Next An. Sono stato l’unico a dire no a Fini e Berlusconi. C’è un vuoto politico da riempire e occorre lavorare per rimettere insieme pezzi di un mondo che si è diviso, ma non distrutto. Ne parlerò io stesso a Orvieto, a metà luglio”.
E un’allenza con Fratelli d’Italia? “Non ho pregiudizi”, risponde.
Roberto Menia, ex coordinatore nazionale di Fli, non ci sta a gettare l’esperienza del passato nel cestino degli errori: “In realtà credo che tanti buoni argomenti li avevamo. Rivendico, però, di essere stato l’unico a essermi opposto allo scioglimento di Alleanza Nazionale. Ma voglio pensare al futuro. Oggi l’elettorato è molto mobile. La dinamica bipolare c’è ancora, anche se non è più da considerarsi in termini bipartitici. La destra, finora, è vissuta in ostaggio del referendum Berlusconi sì o Berlusconi no. Deve rivendicare un suo spazio. Ma non in un’operazione che sappia di zattera di salvataggio per i vecchi trombati. Io vorrei una Alleanza Nazionale 2.0, senza riadoperare il vecchio simbolo, però. Deve essere un soggetto credibile, moderno dentro cui convergano settori anche diversi della società civile che oggi non hanno rappresentanza. Spezzoni di elettorato del nord che non vuole più votare la Lega. Orfani di Fare per fermare il declino. Cisl. Volontariato, imprenditori, associazionismi. Società civile. Sto dando vita a dei comitati sul territorio per la costituente della Destra. Il governo durerà ancora un altro anno. Noi potremmo fare un cartello per presentarci insieme alle europee del 2014”.
Davvero nessun errore in Fli?
“Abbiamo sbagliato la gestione del progetto. Da salvatori della patria, in una notte, siamo diventati i traditori. Fini, anzichè onorare le promesse di rinnovare il centrodestra, ha dedicato le sue energie alla presidenza della Camera: ci è stato fatale. Ci siamo spostati troppo al centro con Casini e Monti e abbiamo rotto il patto con l’elettorato”.
Adolfo Urso, presidente delle Fondazioni FareFuturo e FareItalia, anche lui fuoriuscito da Fli con Ronchi e Scalia per confluire nel gruppo misto nel 2011, parla di terza fase: “Si può e si deve aprire. Dev’essere qualcosa di innovativo in un contesto in cui alcuni nodi vanno sciolti con chiarezza. Come quello europeo: quale sovranità e quale unione vogliamo. Poi basta personalismi. Diamo la leadership ai valori: onestà , pattriotismo, sovranità , cittadinanza dei nati in Italia da genitori stranieri. Penso a un partito gollista e riformatore in una nuova repubblica presidenziale”.
Col giornalista Mauro Mazza, sta scrivendo un libro, in forma di dialogo, in cui si riflette sul passato di An e si pensa al futuro di una nuova destra: “S’intitola Vent’anni e una notte, e uscirà a settembre”, rivela.
“Il libro finisce con un capitolo sui duelli. Proprio per fotografare l’atavico vizio alla personalizzazione dei partiti. Ci vuole, al contrario, l’investitura popolare del leader”.
Chi, invece, è piuttosto scettico sull’operazione nostalgia è Flavia Perina, ex direttrice del Secolo d’Italia e deputata Fli nella scorsa legislatura: “E’ indubbio che vi sia un elettorato, nell’area dell’astensionismo, che potrebbe guardare con favore alla formazione di una destra non compromessa col berlusconismo. Tuttavia, la riedizione a cui si sta pensando è impossibile, perchè legata a filo doppio con Berlusconi, senza cui non potrebbe sopravvivere. Gianfranco Fini è stato il garante di una serie di personaggi che hanno poco valore. E che, senza di lui, non andranno molto lontano. Perchè La Russa dovrebbe imbarcarli? Credo che l’unico progetto concreto possa essere un piccolo ampliamento di Fratelli d’Italia. Nulla più”.
Un altro aennino che ignora volutamente il richiamo delle sirene del rientro a Itaca è Fabio Granata.
Ex deputato di Fli, e vicecoordinatore nazionale del partito, sta per lanciare un nuovo progetto che con la destra non ha grandi comunanze.
Il 28 giugno prossimo presenterà al Maxxi di Roma, Italia Green, un movimento trasversale che ispira le sue origini nel pensiero di Alexander Lang, e lavora insieme a Legambiente: “Vuole essere una nuova forza politica che punti a un’Italia di qualità – spiega all’Espresso – Un partito repubblicano moderno, ma europeista, che valorizzi il made in Italy, l’innovazione, le imprese di qualità , lo sviluppo sostenibile, il pattriottismo del paesaggio. Vogliamo seguire l’esempio dei verdi tedeschi. Sto lavorando con Fabio Renzi (segretario nazionale di Symbola, la Fondazione che promuove il made in Italy), e anche Ermete Realacci guarda al progetto con interesse. Ho coinvolto Stefano Leoni, presidente del Wwf, Roberto Della Seta e Francesco Ferrante (ex senatori Pd ed ex dirigenti di Legambiente)”.
Davvero più nessuna nostalgia della destra?
“La ricomposizione a cui sto assitendo è su basi politiche e culturali confuse. Mi sembra un’esperienza nata solo con lo scopo di trovare collocazione alla vecchia nomenclatura. Peraltro sotto lo scacco, di nuovo, di Berlusconi. Non capisco come possa fare Menia a sedersi ancora al tavolo con Ronchi, Urso e La Russa. La mia ostilità non è verso gli ex di An, ma verso quelli di Fli. In questo tentativo vedo solo necessità e convenienza personale. Feci un giuramento sulla tomba di Paolo Borsellino. Mai più alleato con Berlusconi”.
E Gianni Alemanno, dopo la sconfitta romana?
Durante una tramissione, in campagna elettorale, ha chiarito che il suo futuro resta nel Pdl, ma qualcuno a lui vicino non esclude che, se il Cavaliere lo scaricasse, sarebbe pronto a un repentino ripensamento verso “la nuova cosa nera”.
Diversa la posizione di Italo Bocchino che, orfano di incarichi, è tornato a fare il giornalista e sta cercando un riavvicinamento con Viespoli e Moffa in particolare.
La nostalgia, nel suo caso, è così forte che ha proposto, per le europee del 2014, di ripresentarsi con il vecchio simbolo di An.
Nell’operazione Itaca, c’è, infine, un particolare non di poco conto che potrebbe spingere gli ex colonnelli a riallineare le truppe: quel tesoretto – circa 400milioni di euro tra cash, 65 milioni, e patrimonio immobiliare – confluito dalle casse del vecchio partito missino a quelle della Fondazione Alleanza Nazionale.
Denaro proveniente dai rimborsi elettorali (sui conti correnti di An) e lasciti piuttosto noti alle cronache: il celebre appartamento di Montecarlo donato dalla contessa Anna Maria Colleoni e poi venduto al fratello della compagna di Fini, Elisabetta Tulliani.
A chi andranno quei soldi?
Il recente caso Lusi (l’ex tesoriere della Margherita), di certo non rassicura i vecchi missini. La Fondazione, dopo una lunga impasse – il consiglio di Stato, alla fine del 2012, ha dato il via libera alla sua iscrizione nell’albo delle persone giuridiche – ha ripreso la sua attività .
Ma il denaro è bloccato. A capo del cda della Fondazione c’è un uomo molto vicino a Matteoli, Franco Mugnai, del Pdl, che potrebbe entrare nella nuova Forza Italia.
E’ in buona compagnia: tra i soci di maggioranza della Fondazione ci sono anche La Russa e Gasparri. Oggi, dopo svariate diatribe legali sulla liceità del trasferimento del denaro di An alla Fondazione, la vicenda è in mano a due nuovi liquidatori del Tribunale.
Si andrà a sentenza probabilmente a settembre.
Alcuni ex An sostengono che molto denaro è sparito dal tesoretto citato, in forma di prestiti o finanziamenti ad attività del Pdl, per poi non fare più rientro.
E molti immobili della vecchia An ospiterebbero le sedi del Pdl, che non paga neppure il canone d’affitto.
Ma sembra che gli ex colonnelli non siano obbligati a costituire un unico grande partito, per riappropriarsi del denaro.
Per gli assetti statutari della Fondazione, infatti, potrebbe bastare anche un accordo politico tra nuove correnti e diversi partiti di destra.
E’ anche la tesi di Barbara Ciabò, che dopo una lunga militanza in An, è uscita dal partito per aver fatto scoppiare il caso “Affittopoli” a Milano, come presidente della Commissione Demanio del comune, nella giunta Moratti: “L’unica operazione nostalgia a cui sono interessati alcuni ex aennini è quella nei confronti del patrimonio. Non aspettano altro che rientrare in possesso del denaro della Fondazione, tanto più in un periodo di vacche magre. Non c’è nessuna volontà di costituire un nuovo reale soggetto politico, al di là di questo”.
Paola Bacchiddu
(da “l’Espresso”)
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Giugno 17th, 2013 Riccardo Fucile
GRILLO STA CACCIANDO I SUOI PARLAMENTARI IN VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 67 DELLA COSTITUZIONE, IN VIOLAZIONE DEL REGOLAMENTO DEI GRUPPI PARLAMENTARI 5 STELLE MA SOPRATTUTTO IN VIOLAZIONE DELLO STATUTO DI 5 STELLE CHE LUI STESSO HA DEPOSITATO SEGRETAMENTE SENZA CONSULTARSI CON NESSUNO, SENZA INFORMARE NESSUNO E SENZA NESSUN VOTO ON-LINE
Grillo e i fedelissimi di 5 Stelle continuano a ripetere che i parlamentari vengono espulsi perchè hanno violato il codice interno di comportamento.
Codice che non ha nessuno valore legale visto che i parlamentari rispondono solo alla Costituzione, ai regolamenti dei gruppi parlamentari ed eventualmente allo statuto del partito.
L’articolo 3 dello statuto di 5 Stelle dice chiaramente: “Gli eletti esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato”.
E’ evidente che Grillo – come ha sempre detto – non crede affatto nella libertà di mandato dei parlamentari e quindi anche in questo articolo del suo statuto. Semplicemente è stato costretto a mettercelo per rispettare la Costituzione e potersi presentare alle elezioni.
Forse è per questo che se ne è subito dimenticato e oggi vorrebbe espellere i suoi parlamentari come se quell’articolo del suo stesso statuto e le norme della Costituzione non esistessero.
L’articolo 67 della Costituzione della Repubblica italiana recita: « Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato »
E nello Statuto che pubblichiamo sopra si fa esplicito riferimento a queste norme vincolanti.
Quindi Grillo, suo nipote e il suo comercialista non possono espellere proprio nessuno in dispregio dello Statuto del M5S e della Costituzione.
E qualunque decisone arbitraria in tal senso sarebbe impugnabile di fronte a un tribunale della Repubblica italiana.
Altra cosa per quelli della Repubblica delle banane.
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Giugno 17th, 2013 Riccardo Fucile
IN BASE AL DECALOGO CINQUESTELLE, CHI HA TRADITO LO SPIRITO DEL MOVIMENTO HA SOLO UN NOME: BEPPE GRILLO, SI DIMETTA LUI
C’è poco da aggiungere su quanto di recente è avvenuto nel Movimento Cinque Stelle.
Magari si può aiutare Beppe Grillo a rispondere alla domanda che più lo assilla.
“La senatrice Gambaro in campagna elettorale diceva che se uno non si ritrova nel Movimento, allora deve dimettersi. Ma lei non si dimette. Cosa è cambiato allora in questi mesi?”
La risposta standard, quella che in automatico viene data dal cerchio magico grillino e dai suoi guerriglieri on line è non si dimette perchè è attaccata alla poltrona vuole i soldi e andare nei talk show si è venduta è una infiltrata e traditrice.
Ma c’è un’altra risposta possibile a questa domanda — legittima — dell’unico capo tra gli altri invece tutti uguali.
In questi mesi, caro Beppe Grillo, tanti hanno capito che nel Movimento Cinque Stelle, come dice Lei, uno non vale uno.
In questi mesi tanti hanno capito che nel Movimento Cinque Stelle, come dice Lei, non è l’alfiere della democrazia diretta, ma piuttosto di quella eterodiretta.
In questi mesi tanti hanno capito che nel Movimento Cinque Stelle c’è un megafono, come dice di essere Lei, che non capisce che prendere il 25% alle elezioni politiche significa un salto di responsabilità , non una raffica di post a suon di faccia da culo e parlamento tomba.
In questi mesi, tanti hanno capito che nel Movimento Cinque Stelle la trasparenza totale, come piace dire a Lei, vale per gli altri e molto meno per sè stessi.
Ecco cosa è successo in questi mesi.
E’ successo che tanti hanno capito che, prendendo alla lettera il decalogo dei Cinque Stelle, nudo e crudo, quello che si sta mettendo fuori dallo spirito del Movimento è Lei prima e più di chiunque altro.
Perchè nei Cinque Stelle uno non vale uno; perchè Lei politicamente si muove come uno che non vuole veramente cambiare le cose, ma preferisce che le cose restino così come sono; perchè nel Suo Movimento la democrazia diretta è l’alibi per la non-democrazia; perchè non c’è alcuna vera trasparenza in cio’ che Lei fa e in come lo fa.
Ergo, qualcuno comincia a chiedersi: perchè non si dimette Lei?
(E già che ci siamo, potrebbe spiegare perchè le cariche nel Movimento sono tutte a rotazione, tutte, meno la Sua?)
Marco Bracconi
(da “Politica Pop“)
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Giugno 17th, 2013 Riccardo Fucile
CON LE SENTENZE VICINISSIME E L’INCUBO DI UNA NUOVA MAGGIORANZA, IL CAVALIERE DIFENDE L’ACCORDO CON LA SINISTRA
Silvio Berlusconi annuncia un’estate tranquilla per il governo.
Contento di Enrico Letta, del suo “decreto del fare”, dichiara il suo amore per le larghe intese: “L’alleanza deve continuare”.
La versione da statista ragionevole, legato alle sorti del Paese, sostenitore del bene comune, fa capolino nella stasi in cui l’esecutivo è rimasto vittima. S
enza capacità di spesa (Bruxelles tiranneggia) non c’è ripartenza, non esiste rottura col passato, cambio di marcia, capacità di dare all’economia energia nuova per riprendersi.
A Enrico Letta è rimasto il cacciavite in mano, e col cacciavite (metafora dell’aggiustatore) si applica nei dettagli.
Di più non si può.
Il decreto del fare, parola che anche alla prudente Susanna Camusso pare eccessiva, affronta appunto il dettaglio delle questioni tentando di rinviare all’autunno quelle decisive e più critiche.
Il rinvio è la tattica adottata, l’unica soluzione possibile di un esecutivo senza un euro nel portafogli. E la speranza che nei prossimi mesi la possibilità di incidere sul fronte della crisi più cruenta, quella dei consumi, possa essere dispiegata è la carta che Letta ha deciso di giocarsi.
La dichiarazione di Berlusconi suona perciò come una garanzia che il centrodestra non farà scherzi e che il nervosismo nelle sue fila — non passa infatti giorno senza che Gasparri (“Ma Saccomanni ci fa o ci è?”), Formigoni, Cicchitto non muovano rilievi alla prudenza del ministro dell’Economia — sarà tenuto negli argini usuali della melina da tv.
Molte dichiarazioni inutili, molte parole a vuoto, molte sofferenze finte, molti inviti reiterati.
Berlusconi d’altro canto non ha altre frecce al suo arco. Tra una settimana è annunciato un passaggio cruciale nella sua vita giudiziaria, ma l’evento — che in altri momenti avrebbe aperto scenari di crisi — adesso è tenuto sotto silenziatore.
I fuochi che pure seguiranno alla decisione della Cassazione saranno destinati esclusivamente a una battaglia di posizionamento perchè il Cavaliere ritiene che la sua forza, anche politicamente estorsiva, in questo momento non avrebbe sponde utili e non pagherebbe.
Il governo è sotto l’alto patrocinio del presidente della Repubblica al quale spetta l’ultima parola.
Che in questo caso non sarebbe vicina ai desideri del Cavaliere. Sempre ammesso che Berlusconi desideri una crisi di governo.
Un’ipotesi di scuola alimentata più dalla polemica interna al Partito democratico che da una prospettiva minimamente realizzabile.
Pier Luigi Bersani, che ancora conta molti uomini nel partito, ha deciso di contrastare la strada alla segreteria (e alla premiership) di Matteo Renzi.
La stagione congressuale è iniziata e ai cavilli regolamentari (i soliti: chi far votare, come far votare etc) si aggiunge anche l’avvertimento che dopo questo governo non ci debbano essere per forza le elezioni.
L’ha detto Guglielmo Epifani facendo intendere a nuora che sarebbero possibili grandi manovre antirenziane dentro al fronte grillino.
La spaccatura del Movimento 5 Stelle offre infatti a una parte del Pd di trasformare lo sconquasso nel pattuglione dei cittadini appena giunti a Palazzo in un ardito disegno di alternativa di governo.
I senatori che sono mancati a Bersani a marzo sarebbero — secondo questa lettura — adesso disponibili. E ciò che non è accaduto ieri, potrebbe verificarsi domani.
Fa mostra di crederci Bobo Maroni, un altro che ha gravi problemi in casa (la sua Lega, ridotta al lumicino, è sul punto di implodere): “Avete ascoltato Epifani? à‰ pronto a fare un governo con i grillini”.
Davvero è così? Molti e plausibili sono i dubbi, a iniziare da quello base: chi dovrebbe agevolare questa crisi?
Berlusconi naturalmente si è tirato indietro. Molto meglio stare al governo che all’opposizione. E ieri l’ha detto e validato. Non è pensabile che sia Napolitano a stressare l’esecutivo, nè che Letta e i molti parlamentari del Pd che hanno combattuto ogni ipotesi di alleanza col Movimento 5 Stelle (fino a fare harakiri nella elezione del presidente della Repubblica) ora si trasformino in ribaltatori.
Ma nella calma piatta della politica, nella stasi estiva di un governo che vorrebbe fare ma non può (o non sa) anche una increspatura appare un’onda maestosa.
Antonello Caporale
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Giugno 17th, 2013 Riccardo Fucile
ACCORDO CONTRO BERSANI PER SCRIVERE LE REGOLE DEL CONGRESSO
Prima prova dell’asse tra dalemiani e renziani e forse primo tentativo di sostenere insieme la candidatura del sindaco di Firenze alla segreteria del Pd.
Le due correnti vogliono respingere l’uomo di Bersani alla guida della commissione per il congresso che inizia stamattina i suoi lavori.
Quell’uomo è Davide Zoggia, responsabile organizzazione del Pd.
Per farlo hanno individuato un nome alternativo: il giovane turco Roberto Gualtieri. Eurodeputato, professore universitario, vicino all’area creata da Matteo Orfini e Andrea Orlando, Gualtieri però è molto legato a Massimo D’Alema.
I renziani sarebbero pronti a votarlo, come garanzia per le regole e per la data del congresso, le due discriminanti che Renzi attende per decidere se buttarsi nella mischia. Un dalemiano garante del rottamatore?
Questo spiega quanta acqua è passata sotto i ponti dalle primarie ultime.
La commissione per il congresso, formalmente un gruppo di lavoro chiamato a fissare i confini delle assise, sarà il luogo in cui si misurerà il tasso di scontro del futuro.
Il fronte renziano- dalemiano e quello veltroniano respingono l’ipotesi di un fedelissimo dell’ex segretario al comando dell’iter sulle regole.
Che sia Zoggia o Nico Stumpo.
Nella lite tra i due schieramenti più agguerriti potrebbe però spuntare un terzo nome. È la proposta, ad esempio, di Roberto Morassut, deputato ed ex assessore della giunta Veltroni.
«Un dirigente che viene dai territori, lontano dalle correnti che dominano a Roma». Stefano Bonaccini, segretario regionale dell’Emilia-Romagna, è il nome con maggiori chance in questa ottica.
Nonostante la provenienza geografica, non si può dire che sia vicino a Bersani. Anzi, Bonaccini guidò la rivolta dei parlamentari emiliani alla vigilia della votazione per Franco Marini al Quirinale.
Una battaglia alla luce del sole, quindi Bonaccini non può essere accusato di aver tramato alle spalle in quella fase drammatica per il Pd.
Guglielmo Epifani ha delegato alla commissione il compito di dare un assetto alle assise. Ma il segretario sarà coinvolto nella decisione finale.
È già successo nella prima riunione della nuova segreteria e succederà ancora perchè in questo caso le regole sono decisive per la candidatura Renzi, per la sorte del governo (con la separazione dei ruoli tra segretario e candidato premier), per la tenuta complessiva del Pd e per la struttura stessa del partito.
La battaglia sul peso degli iscritti e dei cittadini nella scelta finale, disegnerà anche il futuro profilo del Pd.
Le primarie sono ormai uno strumento irrinunciabile, ma si confrontano l’ipotesi di aprirle a tutti e quella di tenerle riservate agli iscritti. Per dare loro un ruolo che finora non hanno mai avuto. E sul dibattito incombe la polemica sul correntismo.
Che Pippo Civati e Renzi pensano di poter evitare solo con una consultazione davvero libera, senza paletti, senza condizionamenti: una testa un voto.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)
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Giugno 17th, 2013 Riccardo Fucile
SOLO APPLAUSI SUI MEDIA AL DECRETO DEL GOVERNO LETTA E QUESTO INDUCE GIA’ A QUALCHE SOSPETTO SULLA SUA REALE CONSISTENZA: VEDIAMO PERCHE’
INFRASTRUTTURE
Il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi ha annunciato miracoli: si tolgono soldi al Tav e al Terzo Valico (e pure al ponte sullo Stretto di Messina) per metterli su metropolitane, autostrade, tangenziali.
Però quei soldi riappariranno magicamente al momento necessario. I 524 milioni di euro per la linea Torino-Lione erano di competenza per 2014 e 2015, ma probabilmente non sarebbero stati spesi perchè, spiega il deputato Pd Stefano Esposito, “l’erogabilità scatta solo quando viene approvato il progetto definitivo”.
E per quello ci vorrà almeno un altro anno.
“Al Tav restano 2,4 miliardi, che sono più che sufficienti per ora”, dice Esposito per raffreddare gli entusiasmi dei no-Tav.
Si vedrà , quel che è certo è che se un giorno il governo vorrà spendere quei 524 milioni, dovrà trovarli da qualche altra parte.
E i 700 milioni di euro per il Terzo Valico a Genova non sono già reintegrati, come dice Lupi, da un provvedimento all’esame del Parlamento (firmato da Esposito).
Si tratta di altri 600 milioni, quindi nessun miracolo.
30 MILA POSTI
Secondo il comunicato del governo, cambiare destinazione a 2 miliardi di euro per le infrastrutture porterò 30 mila posti di lavoro.
“Sono calcoli che si fanno dividendo l’investimento per il costo teorico del singolo lavoratore”, spiega il sottosegretario al Welfare Carlo Dell’Aringa.
Ma è una stima a spanne e non c’è alcuna garanzia che siano quelli i risultati.
IMPRESE
Anche qui grandi entusiasmi, ma i tempi rischiano di essere lunghi: i prestiti agevolati per l’acquisto di macchinari saranno concessi entro la fine del 2016.
Ma il dato più importante è un altro: il Fondo centrale di garanzia che serve ad aiutare le piccole e medie imprese ad avere credito dalle banche sarà rifinanziato.
Ma soltanto con la legge di Stavibilità che di solito viene approvata a fine dicembre. Quindi prima dell’inizio del 2014 non ci sarà alcun beneficio per le aziende.
Il taglio della bolletta, grazie all’abolizione di parte dei sussidi ai produttori, vale 550 milioni, anche questi dal 2014.
Ma era già previsto.
LAVORO
à‰ il grande assente di questo provvedimento. Il governo non è riuscito a portare già sabato in Consiglio dei ministri la riforma della riforma Fornero.
Ci sono ancora molti punti da chiarire con i sindacati: la riduzione degli intervalli tra un contratto precario e l’altro, l’abolizione della “causale” (che giustifica il ricorso alla flessibilità ).
E soprattutto gli sgravi alle assunzioni dei giovani che dovrebbero assorbire le poche risorse disponibili, chiarendo così che non ci sono soldi per evitare l’aumento dell’Iva a luglio e che l’Imu non sarà abolita.
Politicamente una bomba, quindi meglio prendere tempo.
EFFETTO IMMEDIATO
Nel decreto “del fare” ci sono però anche misure il cui effetto si vedrà subito: l’ammorbidimento delle pratiche di riscossione di Equitalia (che non potrò pignorare la prima casa e concederà più facilmente il pagamento a rate), la liberalizzazione del wi-fi senza più obbligo di identificazione per l’utente, il taglio alla tassa sulle imbarcazioni.
E, si spera, il pacchetto relativo alla giustizia civile che nelle intenzioni del ministro Anna Maria Cancellieri dovrebbe ridurre in modo sensibile numero e durata delle cause: il ritorno della conciliazione (quasi) obbligatoria farà ripartire il settore dei mediatori che si era bloccato dopo una sentenza della corte costituzionale e l’arrivo di 400 giudici onorari e tirocinanti nei tribunali dovrebbe accelerare il lavoro dei giudici.
Stefano Feltri
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