Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
TESSERE E IMBROGLI, C’ERA UNA VOLTA ‘IDV, IL PARTITO DELLA LEGALITA’
Rabbioso ma non afflitto, il pugnace veneto Antonio Borghesi sigilla così la sua lettera aperta agli iscritti dell’Italia dei Valori: “Siamo stati il partito della legalità . Ma se non riusciamo a farla rispettare neanche dentro casa nostra, allora niente ha più senso”.
La legalità è coniugata al passato prossimo, “siamo stati”.
Il caos, i sospetti su affarismo e imbrogli e soldi, l’omologazione al sistema della casta, sono tutti al presente.
È la sintesi dell’ultima Idv, quella scomparsa dal Parlamento eletto a febbraio.
Nel caso specifico Borghesi si riferisce al tesseramento gonfiato e fasullo per il congresso straordinario dell’Idv di fine giugno.
Tre giorni, dal 28 al 30, in un centro di piazza di Spagna.
Sì, il partito di Antonio Di Pietro riunisce i suoi iscritti per eleggere il nuovo leader e nessuno ne parla. Segno triste dei tempi.
Appena tre anni fa, nel 2010, il congresso dell’Idv tenne banco sulle prime pagine dei giornali per il duello tra Luigi de Magistris e Vincenzo De Luca del Pd, il sindaco di Salerno che chiese e ottenne l’appoggio dei “giustizialisti” per le regionali in Campania, e per le polemiche su una foto del ’92 di Antonio Di Pietro che cena con il famigerato poliziotto Contrada.
Oggi de Magistris, sindaco di Napoli, non è più nell’Idv.
Leoluca Orlando, ritornato da trionfatore a Palermo, c’è ancora, invece, ma diserterà il congresso.
Resta solo un ammaccato Di Pietro, auto-nominatosi padre nobile.
Il già citato Borghesi è uno dei cinque candidati alle segreteria e nella sua lettera aperta nota: “Alle amministrative, abbiamo presentato le nostre liste in soli 19 comuni su 700, ebbene com’è possibile che in alcune regioni non ci siamo presentati per mancanza di persone da mettere in lista e improvvisamente, in quelle stesse regioni, compaiono centinaia di iscritti?”.
Già , come è possibile? Soprattutto in Campania, dove si racconta di tesserati che interpellati per telefono dai garanti hanno risposto: “Ma che cos’è l’Italia dei Valori?”.
Il nuovo segretario sarà eletto direttamente dai 13.994 iscritti accertati al 27 maggio scorso.
Si voterà al computer domenica 30 giugno, dalle 8 alle 13.
Tre le modalità : al congresso, nelle federazioni locali, da casa.
Per disinnescare le tessere false, impossibili da eliminare pena lo slittamento del congresso, è stato messo a punto un complesso sistema di codici, una combinazione tra pc e telefonino.
Nella graduatoria dei favoriti, Borghesi è al quarto posto.
Dopo di lui solo Nicola Scalera.
Il pronostico della vigilia vede in testa Ignazio Messina, seguito da Matteo Castellarin e l’eurodeputato Niccolò Rinaldi.
Messina è il sospettato numero uno per lo scandalo degli iscritti falsi. È stato il braccio di Di Pietro per le operazioni più imbarazzanti di questi anni. Cioè l’arrivo nell’Idv di riciclati dell’Udc, dell’Udeur e così via.
Gente poi finita anche in galera.
Messina ha in mano l’organizzazione e ha in mente un partito che uno dei suoi avversari a microfoni spenti descrive in questo modo: “Il ragionamento di Ignazio è questo: ‘Visto che abbiamo perso il voto dell’opinione pubblica, facciamo il modello Udeur con i pacchetti di tessere e pensiamo a sopravvivere’”.
In pratica, la completa democristianizzazione del fu partito della legalità .
A contrastarlo sarà soprattutto Castellarin, funzionario dell’Idv, che si batte per un ritorno alle origini.
Castellarin è il Renzi dipietrista perchè ha lo stesso nome e la stessa età del sindaco di Firenze: “Sì, mi chiamo Matteo e ho 37 anni”.
La sua mozione è “un urlo di rabbia contro l’attuale dirigenza”.
Il leader ufficialmente non parteggia per nessuno ma sono in molti a giurare che “in cuor suo si augura una vittoria di Matteo”.
Il duello investe anche il tesoretto rimasto nelle casse del partito: almeno dieci milioni di euro, di cui otto in titoli e il resto liquidi.
Una cifra cui però bisogna sottrarre i 100mila bruciati inutilmente per le amministrative di Roma.
La storia è andata così. A due giorni dalla presentazione delle liste, Ignazio Marino, candidato del centrosinistra, ha scaricato l’Idv, ormai in caduta libera.
Risultato: manifesti e liste da buttare e vendetta violenta di Di Pietro: “Marino è stato scorrettissimo, a Roma non farò votare per lui al ballottaggio”.
Gli attuali sondaggi danno all’Idv percentuali irrisorie, tra l’uno e il due per cento. L’otto per cento registrato nell’autunno scorso è un ricordo diafano, trasparente.
La nuova marcia è una traversata nel deserto senza più la bussola del leader fondatore. Come dimostra l’ultima riunione nazionale sull’affaire del tesseramento.
Chiusa da Di Pietro con queste parole: “Fate come volete, l’importante è che non mi tirate in mezzo e mi garantite un esito regolare”.
Amarezza, tanta amarezza. E qualche piccola speranza: “Adesso che i grillini stanno crollando, la gente mi cerca di nuovo su Face-book”.
Speranza o rimpianto?
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
E’ SENATORE A VITA, MA A PALAZZO MADAMA NON VA QUASI MAI: 94% DI ASSENZE… SU TWITTER ERA LOQUACISSIMO, ORA TACE, IN BOCCONI NON FA LEZIONE
Monti dov’è? Ovunque sia, non dove dovrebbe, cioè a Palazzo Madama, dopo che Napolitano —
con inatteso coup de thèà¢tre — lo nominò (il 9 novembre del 2011) senatore a vita tre giorni prima dalle concordate dimissioni di Berlusconi.
Secondo i dati forniti da Openpolis ha ignorato il 94% delle sedute d’Aula della nuova legislatura, nè s’è visto granchè in commissione Esteri, presieduta proprio da un parlamentare del suo gruppo, Pier Ferdinando Casini, già presidente di Montecitorio, fu democratico e cristiano.
Ma allora dov’è? Non su Twitter, dove sgarzolino salutò i suoi primi 100 mila follower con telematico “wow”, lasciandoli dopo il voto — più che raddoppiati— a bocca asciutta con speranzoso “grazie ai vostri voti è nata una start-up della politica”.
Citazione – questa – di Passera memoria che delle start-up fece il suo fiore all’occhiello e che poi scaricò Monti Mario a mezzo Corsera, lamentandone la mancanza di coraggio; non è, dunque, di certo dalle parti del suo ex generale.
Nè nei pressi di Facebook dove, addì 6 marzo corrente anno, confermava “soddisfazione per il risultato conseguito” alle elezioni; buon per lui.
Non fa il giornalista, pur avendo avuto in dono l’iscrizione all’albo, e non fa lezioni d’economia in facoltà .
Ci sarebbe quasi da preoccuparsi, dopo settimane elettorali in cui si contese con Berlusconi ogni mezzo terracqueo messo a disposizione dalla tecnologia mediatica; anche così l’Italia scoprì che il nipotino era stato impreziosito dal nomignolo “spread” dagli amichetti a scuola e che Trozzy, il cucciolo di bolognese nano che la Bignardi gli appioppò in grembo in diretta, era stato fatto segno di coccole bocconiane.
Immortalato e in lana cotta valtellinese e in completino fumo di Londra, fu presenza fissa nelle routine quotidiane dei concittadini, che cercò di convincere della bontà del “salire” in politica, con premonizione parabolica del successivo tonfo che l’ha fatto scomparire dalle scene.
Ma non c’è da preoccuparsi più di tanto.
Da qualche settimana, passata la sbornia di soddisfazione per i risultati elettorali (9,8%), ha ricominciato a riaffacciarsi qua e là .
Anche se in pochi sembrano aver voglia di immischiarsi con il mentore del tempo che fu, derubricato poi a dead man walking. Partendo dagli (ex) alleati.
Fini al solo nome ringhia, anche se i suoi si limitano a descrivere “rapporti tesi, certo non idilliaci”.
Ricambiato dall’ostinato senso di ininfluenza che il Professore appioppa all’ex leader futurista.
Asperità acuite nelle ultime ore dalle notizie sul senatore di Scelta Civica, già fido finiano, Aldo Di Biagio, indagato a Roma per associazione a delinquere e fulmineamente scaricato dal gruppo parlamentare che, fiducia nella magistratura alla mano, ha puntigliato che “i fatti riguardano un periodo di gran lunga antecedente la costituzione di Scelta civica”. Adios guapo.
Casini, dal canto suo, continua a riunire ciò che resta dell’ex-Udc in Parlamento senza informare gli ortodossi della Scelta Civica.
Ricambiato da altrettante riunioni separate dei “montones”.
Un garbuglio di dispetti che si dovrà iniziare a sbrogliare in vista delle elezioni europee del 2014, allorquando toccherà decidere se correre con gonfalone unito o ciascun per sè.
Sullo sfondo, tra l’altro, resterà , una volta chiusa la battaglia su Roma, la difficoltà di capire se i voti presi da Marchini possano esser marcati Udc o Monti.
Certo è che il Professore pare aver perso lo smalto frigio da Re Mida: il suo endorsement al candidato romano doveva essere decisivo e non è tuttavia riuscito a fargli raggiungere neanche le due cifre percentuali.
Anche per rimettere un po’ di puntini sulle “i” il Professore ha bisogno, quindi, di rifare nei prossimi giorni capolino nell’agone politico, mollato il giorno dopo il voto.
Dopo una visitina al Festival dell’Economia di Trento e una ospitata di buon mattino a Omnibus, ricomincerà , intanto, a tessere la tela dei buoni rapporti internazionali, che gli funzionarono da neon per il Governo d’ottimati. In buona compagnia con Franco Bernabè e Lilli Gruber, ha passeggiato nella campagna londinese per il Bilderberg 2013, l’incontro annuale che per i cospirazionisti raggruma “i più diabolici potenti, provenienti da tutti gli angoli del pianeta, e che mira al supergoverno mondiale”, ma che è un’occasione di prim’ordine per spiegare a politici, media, banchieri e finanzieri mondiali, che esiste ancora.
Che non possa più contare a tutto servizio sulla fidata Betty Olivi, temutissima portavoce al piano nobile di Palazzo Chigi, lo si vede anche dalla picchiata che dalla copertina glamour di ‘Time’, che lo accreditò come possibile salvatore d’Europa, l’ha strapiombato alla sfiducia del Financial Times, che lo scaricò come inadatto a guidare l’Italia.
La Olivi, che intanto girovaga tra le stanze della Scelta Civica, gli ha al più procacciato la tribuna del Mattino, dove il Monti che fu ha gufato con aplomb su presidenzialismo e riforma elettorale, proponendo, come la ricetta della nonna, l’aggregazione con Casini, Montezemolo, gruppi e personalità che vogliono modernizzare l’Italia.
Un’uscita lenta e forzata dall’oblio, che, a diciotto mesi dalla fiducia al suo governo di tecnici, lo poterà , tra diciotto mesi, a capire che fare nel caso (probabile) di un ritorno alle urne e con un antagonista che s’è già prenotato il campo, sempre sul Corsera: Corrado Passera.
Giovanni Manca
(da “l’Espresso”)
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Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
“OBIETTIVO UN NUOVO MOVIMENTO SENZA GRILLO E CASALEGGIO, PIU’ LIBERO E DI SINISTRA”: PARLA IL VICEPRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA SICILIANA
C’è una data precisa per il day after a Cinque stelle: il 9 e il 10 giugno prossimi, quando si eleggeranno sindaci e consiglieri di 141 comuni in Sicilia.
La diaspora del Movimento fondato da Grillo e Casaleggio inizierà a lì.
La previsione è di Antonio Venturino, il vicepresidente dell’Assemblea regionale siciliana, cacciato un mese fa dal movimento di Grillo dopo un’intervista a ‘l’Espresso’.
«Anche in Sicilia saremo sconfitti, o forse dovrei dire saranno, visto che sono stato epurato», prevede Venturino, «perchè si continua con una sequela infinita di errori. In nessun comune siciliano il Movimento ha raggiunto alcun apparentamento con i partiti tradizionali e con le liste civiche locali, dove spesso si trovano persone perbene che hanno programmi analoghi a quelli dei Cinque stelle. La legge elettorale penalizzerà il movimento che ancora una volta dimostra di non saper passare dalla protesta alla proposta».
Grillo l’ha definito un “pezzo di merda”, ma Venturino non si scompone e ribatte: «I meriti di Grillo non sono in discussione. Ma il modello Sicilia non è merito del mio ex leader. Il modello Sicilia era nato per la capacità di quindici parlamentari eletti di dettare i tempi dell’agenda politica al governo Crocetta. In poche settimane abbiamo portato a casa risultati importanti, prima fra tutti l’abolizione delle province in Sicilia. Poi, Grillo e Casaleggio hanno pensato di avere in mano dei pupi, dei pupi siciliani. Ma non era così. La dialettica interna, l’opposizione al modus operandi di Grillo non è tollerata. Così io sono stato epurato, ma è il momento di ripartire».
Infatti, dopo il voto alle amministrative in Sicilia prenderà corpo il progetto di scissione, con la nascita di un movimento che prenderà la stura dal programma dei Cinque Stelle.
Sottotraccia Venturino è al lavoro da alcune settimane: «Non punto a fare il leader di niente e nessuno, ma in questi giorni ho raccolto le voci della base. Molti hanno condiviso il mio punto di vista».
Il vicepresidente siciliano non fa i nomi, ma sostiene che al suo progetto è pronta ad aderire una pattuglia di deputati e senatori grillini.
Anche esponenti di altri partiti sarebbero sul punto di saltare il fosso e passare a quella che definisce nuova “rivoluzione civile”.
L’occhiolino al gruppo capeggiato da Antonio Ingroia?
«Non è proprio così, ma non è una novità confermare il nostro radicamento nell’area di sinistra». Per Venturino, «ci dovremo organizzare con una struttura che ricalchi i partiti, altrimenti sprecheremo l’ennesima chance».
Al vicepresidente del parlamento siciliano tocca dare conto anche delle polemiche sull’indennità che non avrebbe restituito, violando così il regolamento del movimento: «Non avendo argomenti da opporre alla mia richiesta di concretezza, hanno voluto concentrarsi su un fatto che non esiste. Prima di tutto, da mesi sostengo che dobbiamo avere il coraggio di dire che le indennità dei parlamentari non possono essere ridotte in quella misura così drastica. Con 2.500 euro al mese non si può fare politica. Altro nodo spinoso è la rendicontazione pubblica e online: è il modo perfetto per smettere di lavorare e pensare solo a litigare sul web su 100 o 200 euro spesi in più o in meno».
Quanto alla sua indennità di deputato regionale, circa quindicimila euro al mese, dice: «Ogni mese ne verserò più della metà per iniziative di solidarietà di cui lascerò traccia contabile».
Sin dal loro insediamento, i quindici deputati grillini eletti al ‘parlamento’ siciliano avevano deciso di conferire la parte eccedente ai 2.500 euro fissati come tetto massimo per lo stipendio in un fondo regionale per il microcredito.
Che fine hanno fatto quei soldi? Con la legge regionale di bilancio è stato creato un capitolo di spesa, ma le somme versate sino ad oggi sono ancora bloccate nei conti correnti dell’Assemblea regionale siciliana. Serve un regolamento che il parlamento deve ancora licenziare.
Secondo Venturino, «abbiamo raccolto qualche centinaia di migliaia di euro, una somma marginale che non avrà alcun impatto sulle sorti delle piccole e medie imprese siciliana. Insomma, un buco nell’acqua che è stato reso meno ridicolo dalla sensibilità dell’assessore regionale all’Economia Luca Bianchi che ha convinto il governo siciliano a versare 1,5 milioni di euro su quel capitolo di spesa destinato ad aiutare le imprese. E’ la dimostrazione lampante di come la politica, se fatta bene, valga più di mille rendicontazioni online che creano polemiche e mettono a nudo la vita privata dei cittadini».
Piero Messina
(da “l’Espresso“)
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Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
LE GRANDI MANOVRE ALL’INTERNO DEL PDL TRA FALCHI E COLOMBE
All’ultima cena elettorale per Gianni Alemanno, due settimane fa all’Eur, aveva annunciato
l’arrivo alla Roma dell’allenatore del Milan Massimiliano Allegri.
Falsa promessa (anche quella), Allegri è rimasto con i rossoneri, ma quel che più conta è che a fine serata, dopo essersi esibito nel solito repertorio di canzoni francesi, Silvio Berlusconi era sfinito, zuppo di sudore.
È seguita una ancor più moscia apparizione dell’ex premier sul palco del comizio finale di Alemanno al Colosseo, poi stop, campagna elettorale finita.
Sarà per i risultati deludenti del primo turno, con il Pdl che arranca a Roma, per il sindaco uscente appena il 30 per cento del 50 per cento dei votanti, una miseria, e a Brescia, Treviso, Imperia, perfino a Viterbo, roccaforte della destra.
Sarà che il 2013 è stato finora un anno faticoso. Ma intanto il Campionissimo di Arcore dopo il primo turno è rimasto negli spogliatoi, lasciando ad altri il compito di giocare il secondo tempo dei ballottaggi. Sì, ma a chi? Nel comitato di Alemanno si è affacciato solo Maurizio Gasparri che vive di campagne elettorali. Gli altri dirigenti? Non pervenuti. Mai visto Angelino Alfano, impegnato nel triplice incarico di segretario del Pdl-vicepremier-ministro dell’Interno.
Per forza: il vice-premier Alfano come uomo di governo si era impegnato a non partecipare ai comizi elettorali e ai dibattiti in tv. E ha impedito all’altro Alfano, il segretario del Pdl, di fare campagna per i suoi candidati.
Nessuno se ne sarebbe accorto, forse, se anche Berlusconi non avesse disertato piazze e tv. Concentrato su altri fronti.
Il 19 giugno la Corte costituzionale si pronuncerà sul ricorso presentato dai legali del Cavaliere contro il Tribunale di Milano che ignorò una richiesta di legittimo impedimento avanzata dall’ex premier nel processo per i diritti Mediaset.
Se il ricorso fosse accolto il processo sarebbe riportato all’indietro.
In caso di rigetto, invece, andrebbe avanti rapidamente fino alla sentenza definitiva della Cassazione, in autunno: in appello Berlusconi è stato condannato a quattro anni e cinque di interdizione dai pubblici uffici.
Se la condanna fosse confermata decadrebbe da senatore e non potrebbe presentarsi alle elezioni politiche nè, tantomeno, per la carica di presidente della Repubblica in caso di un’ipotetica riforma semi-presidenziale della Costituzione.
Il 24 giugno, poi, dovrebbe arrivare la sentenza di primo grado del processo che è stato chiamato con il soprannome della co-protagonista, Ruby, ma che è un processo a Berlusconi per concussione e prostituzione minorile.
Clima di resa, l’avvocato-parlamentare Niccolò Ghedini ha paragonato il suo cliente al re francese Luigi XVI, ghigliottinato dai rivoluzionari, il Cavaliere si sente vittima di una sentenza già scritta.
E se le richieste del pm Ilda Boccassini fossero accolte, sia pure in primo grado, scatterebbe una condanna ancor più pesante: sei anni e interdizione perpetua.
Il calendario politico-giudiziario assorbe interamente l’attenzione di Berlusconi, fino a fargli perdere di vista l’esito di un turno elettorale importante come quello del 9-10 giugno.
E preoccupa moltissimo Giorgio Napolitano, coinvolto suo malgrado in prima linea, data l’assoluta certezza del Cavaliere, ribadita in mille occasioni pubbliche e private, che la Consulta sia una longa manus del Quirinale, un organo docile alle indicazioni presidenziali. Un’ossessione.
Nel settembre 2003, rivelano i diari dell’ex presidente Carlo Azeglio Ciampi (appena pubblicati in “Contro scettici e disfattisti”, a cura di Umberto Gentiloni Silveri, Laterza), l’allora premier arrivò a minacciare di non controfirmare il decreto di nomina di tre giudici costituzionali (Tesauro, Cassese, Saulle), «sostenendo», scrive Ciampi, «che le mie nomine dovessero bilanciare un — da lui asserito — squilibrio politico della Corte a sinistra».
Uno scontro istituzionale replicato nel 2009, quando la Consulta a grande maggioranza dichiarò incostituzionale il lodo Alfano, lo scudo salva-processi per le alte cariche dello Stato. Berlusconi la prese malissimo: «I giudici sono stati eletti da tre capi dello Stato di sinistra. E Napolitano si sa da che parte sta».
Da palazzo Grazioli uscirono voci su patti non mantenuti, promesse tradite e altri veleni sul Quirinale. Quel voto sul lodo Alfano segnò tutta la precedente legislatura: lo scontro con Fini, la scissione del Pdl, il collasso.
Oggi lo scenario potrebbe ripetersi.
E un no della Corte a Berlusconi, seguito da una condanna al processo Ruby, potrebbe far deragliare il governo Letta. Anche perchè nel cerchio magico berlusconiano c’è chi lavora per lo show-down.
Il titolo del “Giornale” del 5 giugno suona come una chiamata alle armi: “Pdl a un passo dalla rivolta”.
«Noi non ci staremo a vedere annientata per via giudiziaria in modo baro e barbaro la nostra rappresentanza politica», ha scritto il direttore Alessandro Sallusti: «Mi auguro che nel Pdl la pensino così: meglio un giorno da leoni che mille da servi della sinistra». Nel mirino c’è il ministro-segretario Alfano.
I falchi, l’ala movimentista guidata da Denis Verdini e da Daniela Santanchè, lo accusano di non interessarsi del Pdl da quando ha trovato riparo alla destra di Letta (Enrico).
E non vedono l’ora di scaricare addosso ad Angelino la responsabilità dell’annunciato insuccesso elettorale ai ballottaggi, con la richiesta di dimissioni dalla segreteria.
Ma anche la corrente del Pdl più convinta che il governo Letta vada sostenuto ritiene un errore l’appiattimento del partito su Palazzo Chigi e si prepara a chiedere un cambio: il candidato numero uno alla segreteria al posto di Alfano sarebbe l’ex ministro Raffaele Fitto, defilata Maristella Gelmini, con obiettivi più ambiziosi Mara Carfagna.
Più che il destino di Alfano contano le scelte del Cavaliere.
Lo scorso weekend Verdini, Santanchè e Daniele Capezzone sono stati ospiti di Berlusconi in Sardegna e sono tornati galvanizzati.
Circola di nuovo la parola d’ordine di dodici mesi fa: azzerare il Pdl.
«Sì, perchè è vero che Alfano ha bisogno di tempo e spera che il governo duri per preparare la successione a Berlusconi», spiega un deputato della vecchia guardia: «Ma anche Verdini e la Santanchè che in pubblico si presentano come i berlusconiani duri e puri pensano al dopo-B. : se il governo va troppo avanti saranno tagliati fuori, per difendere il loro potere hanno bisogno che il presidente li guidi in un’altra campagna elettorale, l’ultima. Da anni Berlusconi è la loro maschera».
Al riparo della maschera di Silvio i falchi si stanno organizzando.
L’ultima idea è l’Esercito di Silvio, un gruppo di giovani volontari messi su dall’imprenditore Simone Furlan, uno che di sè dice: «Per Berlusconi sarei pronto a farmi sparare. Il Pdl, invece, non lo ha mai difeso dai processi».
Il gruppo vanta 17 mila iscritti on line, con tanto di regole di arruolamento, reggimenti («Diventa comandante di un reggimento territoriale…»), prepara una manifestazione pro-Cav. per fine giugno, conta sull’appoggio di Michaela Biancofiore che ha spedito sul fronte il suo pupillo, il commissario del Pdl altoatesino Alessandro Bertoldi: «Siamo i termopiliani di Silvio».
Peccato che la Biancofiore sia anche sottosegretaria di quel governo che secondo i pasdaran sta per consegnare Berlusconi ai suoi nemici.
Il sogno è quello di sempre: chiudere il Pdl e rifondare Forza Italia. Un partito leggero dominato dalla coppia Verdini- Santanchè.
«Nelle prossime settimane ci sarà una grande sorpresa», annuncia Daniela: una rivolta fiscale contro uno Stato «che vuole la fucilazione giudiziaria del suo leader».
Per nulla turbata alla prospettiva che il Pdl possa perdere le elezioni amministrative e che il suo leader possa essere condannato all’interdizione. Anzi, quale notizia migliore, per chi vuole chiudere il Pdl, di una catastrofica sconfitta?
Ma anche una sberla ai ballottaggi non basterebbe a convincere Berlusconi che il governo Letta-Alfano va buttato giù e che bisogna tornare al voto.
Serve qualcosa di più forte. Qualcosa che davvero spinga Silvio a combattere l’ultima battaglia.
Una sentenza negativa della Consulta, per esempio. O una condanna per prostituzione.
È così: nel cuore del Pdl c’è chi spera nei giudici di Milano, per dichiarare la guerra totale.
Marco Damilano
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Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
IL PROGETTO DI TRATTARE RIFIUTI FARMACEUTICI E INDUSTRIALI A CASTELLANZA…I COMITATI DI CITTADINI PROTESTANO, MA LA LEGA CHE ORA COMANDA IN REGIONE NON ESCLUDE UN ACCORDO CON LA ISRAELIANA ELCON
E’ a meno di venti chilometri dalla sede di Expo 2015, dove si discuterà di alimentazione sana, acqua potabile, prevenzione di malattie e stili di vita sostenibili.
Eppure per Castellanza, cittadina al confine tra le province di Varese e Milano, il futuro si gioca molto prima.
Entro un mese Regione Lombardia dovrà decidere se dare il definitivo via libera all’insediamento di un polo industriale pensato per smaltire reflui chimici e farmaceutici. Un’industria che accoglierà ogni anno 175mila tonnellate di rifiuti classificati come “pericolosi” prodotti nel nord Italia (ma il collegamento ferroviario già esistente con un interporto potrebbe allargare gli orizzonti) “restituendo all’ambiente circostante – secondo chi si oppone al progetto — liquidi, fanghi, fumi derivanti dal processo di lavorazione”.
In una zona, quella dell’altomilanese, già provata dalla presenza di inceneritori, discariche, concentrazioni di pm10 tra le più alte del paese. E pure un aeroporto internazionale (Malpensa) che crea non pochi problemi ecologici all’area del Ticino.
A proporre il progetto è Elcon Italy Srl, emanazione della Elcon Recycling, una società israeliana fondata ad Haifa nel 2003, che ha sviluppato una tecnologia per il trattamento e lo smaltimento chimico e fisico dei rifiuti liquidi (pericolosi e non), principalmente scarti di aziende chimiche e farmaceutiche.
Attualmente l’unico impianto esistente è stato realizzato proprio ad Haifa, è funzionante dal 2004.
Ma da allora, in tutto il mondo, la tecnologia proposta (che utilizza enormi volumi di acqua per i processi di raffreddamento) non ha trovato altre applicazioni.
L’area scelta per realizzare l’impianto è quella dell’ex Montedison, già utilizzata negli ultimi vent’anni da altre aziende chimiche.
Elcon propone di utilizzare circa 10mila metri quadrati dei circa 130mila dell’intera area. All’epoca in cui Montedison si insediò in questa zona gli impianti non si trovavano al centro dell’abitato. N
egli anni l’espansione urbanistica ha finito per inglobare il polo chimico in un grande agglomerato di nove comuni (comprese le città di Busto Arsizio e Legnano) che conta 300mila abitanti (una zona classificata “A1″, cioè agglomerato ad alta densità abitativa). A opporsi sono diversi comitati di cittadini che hanno fatto campagne di informazione e raccolto migliaia di firme, convincendo i consigli comunali dei comuni limitrofi a dare parere contrario al progetto: “La valutazione negativa si impone ancor più se si considera che l’impianto si inserisce a ridosso, anzi all’interno, di un centro abitato. Ne è una dimostrazione il fatto che a poche decine di metri si trovano due scuole, due cliniche, una casa di riposo, un cimitero”, si legge nelle osservazioni che il comitato civico “Valle Olona respira” ha presentato in Regione come “controcanto” a quelle di Elcon. Documenti, obiezioni e manifestazioni, come quella indetta poche settimane fa dall’altro comitato, “Assemblea popolare No Elcon“:
QUALI TIPI DI RIFIUTI
Ma quali rifiuti entrerebbero nell’impianto di Castellanza per essere trattati e smaltiti? Nello studio di impatto ambientale curato da Bp Sec per Elcon e presentato a Regione e comuni interessati, viene spiegato il processo industriale dei reflui chimici: “L’impianto previsto ha come capacità massima annuale di trattamento dei rifiuti 175.000 tonnellate l’anno equivalenti a circa 500 al giorno. L’impianto riceverà rifiuti liquidi e solidi portati all’impianto con mezzi pesanti (prevalentemente autobotti). Le acque reflue in entrata possono essere di diversi tipi e derivanti da differenti tipologie di aziende, tipo: acque reflue farmaceutiche, acque reflue chimiche, acque reflue di industrie cosmetiche e di detergenti, acque reflue di industrie chimiche/veterinarie, acidi, basi e acque di lavaggio per la rifinitura e lavorazione di metalli, fanghi”.
Alla fine del documento, in cui Elcon cita l’inquadramento ufficiale dell’area di intervento come A1 (agglomerato urbano) e precisa che si tratta di un’area esente dal vincolo ambientale del d.lgs 42/04 in cui è prevista la tutela dei fiumi, Bp Sec aggiunge un dettaglio che fa capire come il progetto, osteggiato da molti cittadini, non sia così malvisto dalle istituzioni: “Sono già in programma accordi con università del territorio, Liuc di Castellanza, per lo sviluppo di un Centro Ricerche in materia di gestione rifiuti presso l’impianto”.
LE RAGIONI DEL “NO”
La tecnologia utilizzata da Elcon, secondo la relazione redatta dai comitati, “non garantirebbe l’abbattimento degli inquinanti e delle sostanze nocive immesse in atmosfera e in acqua”.
Il volume di reflui che verranno trattati dalla Elcon Italy, secondo quanto dichiarato dalla stessa azienda, sarà di 175 mila tonnellate annue.
Di questi gran parte è costituito da acqua (che dovrà a sua volta essere trattata da un depuratore prima di essere immessa nel fiume Olona), il 10% da residui organici, il rimanente 10% da residui inorganici che si traducono in 30 tonnellate al giorno di fanghi e sali nocivi da avviare allo smaltimento.
“L’incompatibilità con il territorio è evidente”, spiega Stefano Catalano di Valle Olona Respira, che ricorda anche i problemi e i rischi legati alla viabilità : in una zona già congestionata circolerebbero 500 tonnellate al giorno di rifiuti pericolosi su una trentina di mezzi pesanti (secondo quanto dichiarato da Elcon. Almeno il doppio secondo gli ambientalisti) che dovrebbero raggiungere l’area industriale in pieno centro abitato.
LA PARTITA POLITICA: LEGA “ALLA FINESTRA”
L’attesa è tutta per il pronunciamento di Regione Lombardia, che completerà la fase istruttoria l’11 luglio (doveva essere l’11 maggio, ma i tecnici si sono presi altri 90 giorni).
Solo allora si saprà se il progetto è approvato, sospeso o bocciato.
Intanto la politica si muove.
Sì, perchè se a livello locale i comuni interessati si sono schierati contro (anche se proprio nella città destinata a ospitare l’impianto, Castellanza, l’amministrazione si è schierata contro il progetto solo pochi mesi fa , non è ben chiara la linea dei partiti.
E chi si aspetta una Lega Nord sulle barricate come avvenne quando si trattava di ospitare l’immondizia del Sud negli inceneritori lombardi, in questo caso resterà deluso.
Il centrodestra si tiene lontano dalle proteste.
Per questo il consigliere regionale Alessandro Alfieri (Pd) ha presentato una mozione con l’intento dichiarato di stanare eventuali posizioni a favore del nuovo insediamento: “Durante la campagna elettorale per le regionali tutte le forze politiche hanno espresso la loro posizione contraria al progetto. Vogliamo vedere chi veramente è contro e chi invece è a favore. Chiaramente il dubbio che la Lega stia facendo un altro gioco c’è perchè non si è ancora interrotto l’Iter in regione”.
Nella mozione, che verrà discussa martedì 11 giugno, Alfieri mira a impegnare direttamente la Giunta regionale “ad esprimere parere negativo nei confronti della richiesta di autorizzazione avanzata da Elcon”.
Il capogruppo della Lega Nord in Regione Lombardia, Massimiliano Romeo risponde così: “Sul caso Elcon siamo allineati con la posizione dell’amministrazione comunale di Castellanza, che è sostenuta anche dalla Lega”.
Il vicesindaco leghista di Castellanza Luca Galli, il 21 marzo 2012, parlava di “investimento che potrebbe portare grandi vantaggi” .
Romeo non si sbilancia invece sulle voci che attribuiscono al suo partito o ad alcuni suoi esponenti, la volontà di portare in porto il progetto a tutti i costi.
Le “controdeduzioni” del comitato civico, invece, ruotano attorno al rischio ambientale di un’area provata e compromessa: “La giustificazione che l’impianto verrà insediato in una zona già industriale non convince. La semplice equazione che un’area già inquinata debba essere, necessariamente, il luogo maggiormente idoneo all’insediamento di nuove e più pericolose attività contrasta con il diritto dell’uomo a vivere in un ambiente salubre”. Solo dopo l’11 luglio si saprà se a essere considerate attendibili e documentate da Regione Lombardia saranno state le ragioni dei cittadini o quelle dell’aspirante investitore.
Simone Ceriotti e Alessandro Madron
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
BERLUSCONI HA AL SUO FIANCO MAGISTRATI DI PESO CHE SI DEDICANO A SALVARLO DAI GUAI
Toghe rosse? No, azzurre. 
Vent’anni di bombardamenti della propaganda berlusconiana su fantomatici complotti dei giudici al servizio dei comunisti (o viceversa) rischiano di far dimenticare il ruolo e l’importanza dei magistrati che sono invece scesi in campo con il centrodestra.
Con le ultime elezioni la pattuglia dei giudici diventati parlamentari si è dimezzata: tra Camera e Senato, l’associazione Openpolis ne ha contati nove (cinque del Pd, tre del Pdl, uno di Scelta Civica), contro i diciassette della precedente legislatura.
Eppure prima e dopo la campagna elettorale si è parlato moltissimo di loro.
Non di tutti, però, solo di alcuni: da Piero Grasso, l’ex procuratore antimafia eletto presidente del Senato con il Pd, ad Antonio Ingroia, il pm di Palermo che dopo la bocciatura politica ora si oppone al trasferimento alla procura di Aosta.
Ma anche il partito di Berlusconi non ha mai smesso di candidare e continua tutt’oggi a portare in parlamento toghe di grande esperienza come l’ex ministro Francesco Nitto Palma e l’ex sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo.
Rieletti al Senato, hanno già sfornato disegni di legge assai contestati, soprattutto dai magistrati rimasti nei tribunali.
Caliendo si è messo in luce come teorico della riforma che punta a dimezzare le pene per il concorso esterno in associazione mafiosa: una leggina ribattezzata dai critici “salva-Dell’Utri” (e per ora accantonata) per il suo sicuro effetto di evitare la galera al manager fondatore di Forza Italia, ricondannato in appello a sette anni proprio per quel reato.
Nel frattempo Nitto Palma, numero uno del Pdl in Campania, si è fatto notare prima per la scelta di visitare in carcere l’ex sottosegretario Nicola Cosentino, arrestato per camorra, e poi per una raffica di progetti di legge (al momento nove, ma di altri sette è cofirmatario) che hanno fatto rumore: dal rilancio del condono per l’abusivismo edilizio, ai nuovi illeciti disciplinari a geometria variabile per colpire i pm ritenuti politicizzati.
Il bello è che nessuno ha mai accusato loro, i due ex magistrati berlusconiani, di aver fatto politica con indagini e processi, nonostante la delicatezza dei tanti fascicoli trattati. Caliendo, napoletano d’origine, è stato per più di trent’anni giudice e sostituto procuratore generale a Milano e poi in Cassazione, diventando anche capocorrente al Csm: un magistrato ascoltatissimo dal centrodestra (grazie ai buoni rapporti con ex dc come Giuseppe Gargani) ancor prima di entrare in parlamento nel 2008.
Mentre Nitto Palma è stato uno dei pm di punta della procura di Roma, prima di diventare amico di Cesare Previti (l’ex ministro oggi pregiudicato) e sbarcare in parlamento nel 2001, segnalandosi subito per un tentativo di resuscitare l’immunità parlamentare totale. Oggi è il presidente della commissione giustizia del Senato.
Nel lustro 2008-2013, tra i magistrati in aspettativa perchè eletti, il Pd ne schierava 9, il Pdl 7 e i centristi uno.
Oggi alla Camera, stando alle autocertificazioni dei diretti interessati, resistono tre giudici, equamente divisi: Donatella Ferrante del Pd, Stefano Dambruoso di Scelta Civica, Ignazio Abrignani del Pdl.
A ben guardare, però, quest’ultimo non è un magistrato, ma un avvocato civilista siciliano, fedele all’ex ministro Scajola, che faceva anche il giudice tributario.
Al Senato invece il Pd batte il Pdl per quattro a due, con l’ex pm Felice Casson, Anna Finocchiaro, Doris Lo Moro e Piero Grasso, che peraltro si è dimesso dalla magistratura appena candidato.
Le due toghe azzurre in compenso pesano molto: Caliendo e Nitto Palma sono tra i pochissimi in grado di influenzare la linea di Berlusconi sulla giustizia, tema tornato urgente dopo la condanna anche in appello per le maxifrodi fiscali sui diritti tv di Mediaset.
Preziosissimo, per il miliardario di Arcore, è anche il lavoro dei magistrati che entrano nei palazzi come tecnici.
Tra i più in vista c’è il giudice romano in aspettativa Augusta Iannini, chiamata dal 2001 a dirigere il ministero della Giustizia e ora nominata vicepresidente dell’Autorità garante della privacy.
Da sempre ostile ai pm milanesi, per replicare a una puntata di “Report” ha aperto un sito (augustaiannini.it) dove taccia di «maschilismo» chi la etichetta come «moglie di Bruno Vespa» e rivendica i suoi 35 anni di lavoro, portati benissimo, come «giudice imparziale». Qualità dimostrata, per altro, già ai tempi di Tangentopoli, quando chiese di astenersi sulla richiesta di arresto per Gianni Letta e Adriano Galliani, spiegando: «Siamo amici di famiglia».
Ora, nel governissimo di Enrico Letta, brilla la stella di Cosimo Ferri, sottosegretario alla Giustizia e capocorrente di Magistratura Indipendente, capace di farsi eleggere al Csm da ben 553 magistrati benchè chiacchierato (ma non indagato) per le intercettazioni di Calciopoli, del caso Santoro-Mills e della cosiddetta P3.
Con la nuova legislatura, intanto, il centrosinistra ha detto addio a ex magistrati del livello di Gerardo D’Ambrosio, l’ex procuratore Silvia Della Monica o il giudice- scrittore Gianrico Carofiglio, senza contare gli ex pm che avevano lasciato la toga più di vent’anni fa, come Antonio Di Pietro o Luciano Violante.
Ma anche il centrodestra ha rinunciato a ex magistrati di governo come Franco Frattini e Alfredo Mantovano, avvicinatisi a Monti e non ricandidati.
Per non parlare di uomini di legge come Melchiorre Cirami, l’ex giudice di Agrigento entrato in Parlamento nel ’96 con l’Udc, passato nel ’98 al centrosinistra con l’Udeur e rieletto nel 2001 con il centrodestra dopo il patto Cuffaro-Berlusconi: portano ancora il suo nome la versione originale del “legittimo sospetto” (per fermare i processi, bastava chiederne il trasferimento) e il comma “super-513” (per annientare i verbali d’accusa, bastava far tacere il complice), subito dichiarato incostituzionale.
La fede nel Grande Sud del sottosegretario Gianfranco Miccichè (meno dell’1 per cento a Siracusa) ha tradito anche Roberto Centaro, altra toga azzurra in missione parlamentare dal 1996 al 2013: un presidente della commissione antimafia capace di polemizzare con tutte le procure, oltre che relatore della legge-bavaglio contro le intercettazioni. Incolmabile, poi, il vuoto lasciato da Alfonso Papa, ex pm di Napoli e Roma eletto nel 2008 con il Pdl: nel 2011 è diventato il primo parlamentare, dai tempi dell’esplosivista missino Massimo Abbatangelo, a entrare in carcere perdendo l’immunità .
Tornato libero, Papa ha chiesto di riprendere il lavoro di magistrato, ma per ora resta imputato: in teoria dovrebbe preoccuparlo la condanna patteggiata dal suo coindagato, il piduista per sempre Luigi Bisignani, ma a suo favore gioca ancora il privilegio politico che gli ha garantito la distruzione delle prove più insidiose, le famigerate intercettazioni.
Il corteggiamento delle toghe ad Arcore, del resto, precede addirittura la nascita di Forza Italia.
Correva l’anno 1993, quando Berlusconi riuscì a sfilare al pool Mani Pulite l’allora pm Tiziana Parenti: eletta dopo mille utilissime polemiche sulle tangenti rosse, ora fa l’avvocata ed è vicina al nuovo Psi.
E dopo il trionfo di Forza Italia nel ’94 perfino Di Pietro e Piercamillo Davigo si videro offrire poltrone da ministri nel primo governo Berlusconi, che tre mesi dopo, al culmine delle indagini sulla Fininvest, varò il famoso decreto Biondi (niente carcere per le tangenti).
Da allora Berlusconi gioca soprattutto in difesa: oggi il Pdl schiera 17 avvocati al Senato e 21 alla Camera.
Ma su questo fronte il Pd post-giustizialista non teme i rivali-alleati: ha 9 legali tra i senatori e 37 tra i deputati. In totale nel nuovo parlamento, secondo i dati di Openpolis, si contano ben 105 avvocati, che a differenza dei magistrati possono continuare a fare processi (e incassare parcelle dai clienti) anche mentre hanno il potere di cambiare le leggi
Paolo Biondani
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Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
LA PRIMA LINEA E I DISSIDENTI, POI SICILIANI E FUORIUSCITI
Cento giorni e poco più nell’occhio del ciclone.
Cento giorni per cominciare a scoperchiare il Parlamento, ad aprirlo «come una scatoletta di tonno», come ha evocato più volte durante i comizi dello Tsunami Tour Beppe Grillo.
Cento giorni per conoscersi e (in parte) dividersi.
La galassia dei parlamentari Cinque Stelle – da cui ieri si sono allontanati volontariamente i primi due deputati (Alessandro Furnari e Vincenza Labriola) – fa i conti con le sue diverse anime e appare sempre più frastagliata.
E diventa quasi imperativo, anche all’interno del gruppo, tracciarne i confini per capirne gli orizzonti, in un momento di svolta.
La squadra dei fedelissimi
Ci sono anzitutto i volti della prima linea, quelli che si sono assunti onori e oneri, come Vito Crimi e Roberta Lombardi: loro a rappresentare il Movimento alle consultazioni da Giorgio Napolitano, loro a gestire la difficile fase dell’ingresso nei palazzi romani.
Crimi e Lombardi incarnano certo l’avanguardia della colonia di «fedelissimi», ossia di attivisti storici vicini alla linea di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
All’interno della cerchia ci sono anche gli altri parlamentari – come Laura Castelli e Alessandro Di Battista – presenti (con qualche malumore nel gruppo) al corso tv coordinato settimana scorsa dai due leader, ma anche i volti istituzionali dei Cinque Stelle (il vicepresidente della Camera, Luigi di Maio, il questore al Senato, Laura Bottici, e il presidente della Vigilanza Rai, Roberto Fico).
Un nucleo solido che esercita e ha esercitato (specie nei primi due mesi) un forte peso aggregante nelle scelte.
Il modello meet-up
Decisioni prese sempre a maggioranza, come confermano in modo quasi unanime i parlamentari, «dopo lunghissime discussioni e sempre a tarda sera».
Un modello che è quello del meet-up, il mini gruppo locale che anima le attività dei militanti.
Un modello esportato a Roma con alterne fortune. E che riflette a volte anche gli umori dei gruppi regionali, come i siciliani, nelle diverse conclusioni.
«Queste continue discussioni ci hanno logorato», mormora qualcuno.
Anche perchè le voci della maggioranza sono spesso le stesse. Già all’epoca delle scelte per una possibile alleanza con il Pd c’è chi – come Alessandra Bencini – si era staccato. Ora la situazione si è deteriorata.
La cartina di tornasole è il voto per il successore di Crimi come capogruppo a Palazzo Madama. Nicola Morra, considerato il favorito, indicato anche dal gruppo dei «fedelissimi» è davanti di un soffio a Luis Alberto Orellana, considerato dai più un «dialogante», mediatore tra le posizioni.
Ma soprattutto il dissidente Lorenzo Battista ha raccolto oltre una decina di preferenze, creando un piccolo non esiguo fronte: quasi un quarto dei senatori.
Che si sta coagulando, anche se – analizzano fonti vicine ai parlamentari – «tra loro non c’è una posizione comune su molti temi».
La fronda interna
Nell’ultimo mese, dopo le dure posizioni di Grillo sulla restituzione della diaria, sul caso Rodotà e dopo la sconfitta elettorale, la fronda interna si è allargata.
«Grillo ha usato una mano un po’ troppo impositoria», secondo Tommaso Currò.
Sulla sua linea anche Walter Rizzetto o Adriano Zaccagnini: voci dissenzienti su argomenti sensibili.
«Le posizioni come quelle esposte da Zaccagnini sono il sale della democrazia interna al gruppo – dice il deputato pugliese Giuseppe D’Ambrosio –. Si tratta di normali dinamiche. Noi, al meet-up di Andria, organizziamo periodicamente una serata in cui ci mandiamo a quel paese. Passata quella, tutto prosegue».
Qualcuno, però, a Roma si è allontanato o è stato cacciato, come Marino Mastrangeli, il senatore espulso con votazione via blog.
Isole alla deriva nell’arcipelago dei Cinque Stelle? «C’è stato un problema con il metodo delle Parlamentarie – commenta D’Ambrosio –: bellissimo come sistema per aggirare il Porcellum, ma perfettibile».
A fare da pompiere ci pensa Crimi: «Di volta in volta ci troviamo in accordo o in disaccordo, ma c’è un obiettivo più grande di tutti, quello di creare una rivoluzione culturale, e quello lo abbiamo tutti ben presente».
E poi rilancia: «Forse è ora di guardare cosa abbiamo già fatto».
La presenza sui territori
A scorrere le proposte presentate in Parlamento ci si imbatte in un bouquet di argomenti, compresi molti cavalli di battaglia: reddito di cittadinanza, conflitto di interessi, abolizione del finanziamento pubblico all’editoria, richiesta di istituzione di una commissione parlamentare sul Monte dei Paschi. E non solo.
Anche progetti di legge per traslare le competenze regionali del servizio sanitario nazionale o per la soppressione dei tribunali militari. Ma anche altre iniziative come disposizioni per il contenimento del consumo del suolo e la tutela del paesaggio, per il riconoscimento della medicina omeopatica.
I parlamentari, comunque, non si fermano solo all’Aula. Già oggi saranno a Taranto a una manifestazione sull’Ilva («Saremo oltre una decina», annuncia D’Ambrosio).
Nelle scorse settimane sono stati impegnati in val di Susa, Sardegna, Abruzzo. Una strategia, quella di visite collettive, nei luoghi simbolo delle crociate a Cinque Stelle, che potrebbe anche incrementare nei prossimi mesi per rilanciare il legame con i territori.
Emanuele Buzzi
(da “il Corriere della Sera”)
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