Agosto 24th, 2013 Riccardo Fucile
COME MANNING: A BERLUSCONI, “VITTIMA” COME GESU’ E MANDELA, NON RESTA CHE DIRE “VOGLIO ESSERE DONNA”
Da tre settimane le gazzette s’interrogano ansiose e lacrimanti su che cosa faccia tutto il giorno il noto delinquente barricato nel bunker di Arcore.
Noi, grazie alle nostre aderenze nel suo entourage, siamo in grado di svelare l’arcano. Non è vero, come insinua la stampa comunista, che l’illustre pregiudicato passi il tempo a picchiare la testa contro il palo della lap dance rimpiangendo i bei tempi andati e rimuginando sulle possibili vie di fuga.
Anche le convocazioni dei giuristi di corte (celebre il sequestro dell’avvocato Coppi, prelevato da una spiaggia di San Benedetto del Tronto e caricato a forza su un elicottero destinazione Brianza) per compulsare le varie opzioni finalizzate all’agibilità politica — amnistia, indulto, grazia, commutazione della pena, domiciliari, servizi sociali, ripristinare l’immunità retroattiva, impugnare la legge Severino alla Consulta perchè retroattiva, riscrivere la legge Severino, fottersene della legge Severino, rinviare sine die il voto in giunta, revisione della sentenza di Cassazione, quarto grado di giudizio alla Corte di Strasburgo, dossierare Esposito, ricattare Napolitano, rammentare a Enrico Letta il suo albero genealogico, chiamare D’Alema, provare con Violante, fuggire all’estero, appellarsi con videomessaggio alla Nazione, tenere un discorso in Senato come Craxi alla Camera, bombardare il Senato, richiamare gli amici di Palermo, lima nella torta, lenzuolo annodato, suicidio — sono soltanto fumo negli occhi.
Ben altra è la strategia vincente, che richiede però massima discrezione e lunga preparazione.
Non a caso i fedelissimi — come riassume l’Espresso — sono impegnati da giorni a paragonare B. ai grandi condannati e/o detenuti della storia: “Mandela” (copyright Minzolini), “D’Artagnan” (Quagliariello), “Yulia Tymoshenko” (Santanchè), “Pasolini” (Sgarbi), “Pertini” (Barani), “Juan Domingo Peròn, Kakuei Tanaka, Thaksin Shinawatra, Nelson Mandela, Yulia Tymoshenko, Aung San Suu Kyi” (Libero), “Aldo Moro” (Rotondi), “Dante Alighieri, Silvio Pellico, Enzo Tortora, Alfred Dreyfuss, Giovannino Guareschi” (Il Giornale), “Gandhi, Tymoshenko, Mandela, Erdogan, Havel, Giulio Cesare, i partigiani” (L’Esercito di Silvio), “Socrate” (Susy De Martini), “Galileo Galilei” (ri-Barani), “Che Guevara” (Amicone), “Adriano Sofri” (Italia Oggi), “Valentino Rossi” (Lara Comi), “Gramsci” (Paolo Guzzanti), “unico Dio” (Antonio Razzi), “Gesù Cristo” (ri-Rotondi e Alfano).
Le inutili e pretestuose ironie che hanno accompagnato gli illustri accostamenti non ne colgono la portata strategica, anche se qualche perplessità avrebbero suscitato nel Cainano gli apparentamenti col partigiano rosso sangue Francesco Moranino, condannato per 7 omicidi e poi graziato da Saragat, e con i criminali nazifascisti e ciellenisti amnistiati da Togliatti, evocati rispettivamente dal senatore Lucio Malan e dal ministro Mario Mauro.
Ma ormai la strada è segnata, gli indugi sono rotti, il dado è tratto.
I bene informati lo chiamano Lodo Arsenio Lupin, dal nome del celebre perseguitato politico che, per conservare l’agibilità , cioè per non finire in galera, ricorreva a mirabolanti e riuscitissimi travestimenti.
Ecco spiegati tutti quei parallelismi storici.
Dal 1 agosto, giorno dell’infausta condanna, il Cainano è in sala trucco e parrucco per studiare il camuffamento migliore, onde poter continuare a circolare a piede libero in Parlamento, fischiettando senza farsi notare.
Scartato Pellico, che si chiamava Silvio ma finì pur sempre ai Piombi e allo Spielberg, dunque porta sfiga; escluso Tortora (che fra l’altro rinunciò all’immunità per andare in carcere), per eccesso di pappagalli nella voliera di Arcore; impossibile Mandela, per insufficienza di fard; inaccettabile Gramsci (dicono che fosse comunista); sconveniente Pasolini (pare che fosse frocio); improbabili Socrate, Dante e Galileo (troppo intellettuali per non essere di sinistra); da evitare pure il Che (troppo alto), Gandhi (troppo magro), la Tymoshenko (troppo pallida) e Dreyfuss (Gasparri non sa chi sia); sconsigliabili Dio e Gesù Cristo, per concorrenza sleale; si starebbe optando per un travestimento da Bradley Manning, il giovane soldato americano appena condannato a 35 anni di galera perchè passava segreti a Wikileaks e ora punta alla grazia attribuendo le sue spiate alle turbe dovute alla sua natura femminile imprigionata nel corpo di un maschio, per giunta in uniforme militare.
Già scelta la parrucca da bella brunetta (con quella bionda lo scambierebbero tutti per Marina, con quella rossa per Giuliano Ferrara) per il decisivo coming out a reti unificate: “Ebbene sì, sono sempre stato donna: ma tutti mi dipingevano come un maschio, anzi come un macho. Per questo frodavo il fisco: per dimenticare. Chiamatemi Silvia”.
Seguiranno terapia ormonale e intervento chirurgico a Casablanca, 1689 km da Hammamet.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 24th, 2013 Riccardo Fucile
VERDINI, QUAGLIARIELLO, LUPI, GLI AVVOCATI. TUTTI IN VILLA PER CERCARE LA SOLUZIONE IMPOSSIBILE
Un ostaggio. Con la villa di Arcore che è già diventata, ormai da due settimane, la sua prigione. 
E che oggi sarà teatro del super vertice (ore 13:30, previsto un pranzo leggero) dove — almeno stando a chi vi parteciperà — si deciderà tutto: la sorte del Cavaliere e del partito, elezioni o morte. O, forse, anche no.
“Ci sarà l’intero stato maggiore — ha confermato Maurizio Lupi dal Meeting di Rimini — e faremo una valutazione di tutti i problemi, decideremo passo dopo passo, insieme a Berlusconi”.
Lui, invece, si sente solo, nonostante la presenza costante di Maria Rosaria Rossi, della fidanzata Francesca Pascale e dell’immancabile barboncino Dudù.
Sono ore drammatiche per Berlusconi.
Per la prima volta — forse — è consapevole di essere arrivato al capolinea del suo ventennio, incapace di uscire dall’angolo.
Un leone in gabbia, lo descrivono quelli che vanno a trovarlo come si fa con un malato il cui ristabilirsi resta in dubbio: a tutti ripete la stessa litania.
Quella di un uomo che non si capacita di come sia stato possibile l’aver creato “un impero mediatico, poi politico”, un partito, una pletora di parlamentari che devono solo a lui l’elezione e uno stuolo di avvocati al suo servizio e lautamente pagati… eppure, alla fine, sarà lui a pagare.
Il solo, l’unico a rischiare le patrie galere o, comunque, l’uscita di scena non onorevole.
Diversa da quella che avrebbe voluto, con un riconoscimento di “ciò che ho fatto per questo Paese” che ancora, in qualche modo, attende da Napolitano.
E che invece non arriva. Uno stato d’animo, dunque, di profonda prostrazione quello che sta provando in queste ore un Silvio Berlusconi deciso — certo — a non mollare, ma anche senza una via d’uscita all’orizzonte.
Nemmeno la vicinanza del tecnico del Milan, Massimiliano Allegri, che spera “di regalargli qualche vittoria” all’esordio in campionato l’hanno tirato su di morale. Comprensibile, quindi, che la sua ira segni nelle ultime ore un crescendo rossiniano. Ieri sono andati a trovarlo Marina e Pier Silvio, entrambi molto preoccupati della tenuta psicologica paterna e anche della svolta che questa vicenda potrà avere sia sulla famiglia sia sulle aziende.
Pier Silvio — dicono — sarebbe un fautore della persistenza del Pdl nel governo, mentre Marina non si sarebbe espressa, conscia però che con il Pdl al governo, seppur impastoiato nelle larghe intese, la tenuta delle aziende, in particolare di Mediaset, si sia rinsaldata nelle quotazioni di Borsa in modo consistente.
Un dettaglio non trascurabile che oggi metteranno sul tavolo anche Gianni Letta e Fedele Confalonieri, due “super colombe” che cercheranno in ogni modo di farlo ragionare: le elezioni, ora, non possono che rappresentare un rischio non calcolato.
E poi, andare a votare vuol dire scegliere di far uscire il Cavaliere dal Parlamento. Potrebbe restare capo della coalizione, certo, ma poi?
Eppure, la “banda dei 4+1” che soffia da giorni sul fuoco della sua ira (D’Alessandro, l’ex addetto stampa ora deputato, Capezzone, Verdini, la Santanchè e un redivivo Minzolini in veste di consigliere politico) lo stanno spingendo verso le urne.
Si sparano anche delle date, quella utile sarebbe il 24 novembre, una pura follia per quelli che accanto a lui ancora ragionano.
Scartate definitivamente, comunque, le strade della grazia e delle dimissioni volontarie da senatore.
Invece, resta in piedi l’ipotesi di portare la legge Severino davanti alla Corte costituzionale per annullarne la retroattività .
Secondo quanto riferiscono quelli che parteciperanno al summit di oggi (ci sarà anche Quagliariello) si farebbe sempre più forte la possibilità che Berlusconi chieda di essere ascoltato dalla Giunta per le Immunità del Senato, forse lo stesso 9 settembre. Un diritto di difesa che spetta al parlamentare, del tutto volontario, e che i commissari non possono rifiutare.
Sarebbe questa l’occasione per presentare e illustrare la memoria difensiva, su cui i suoi legali stanno lavorando da giorni e che sarà consegnata la prossima settimana. “Non vogliamo la crisi — chiude Quagliariello — e crediamo che, alla fine, il buon senso prevarrà ..”.
Oggi, ad Arcore, l’ira funesta del pregiudicato e la sua sete di vendetta potrebbero, dunque, restare di nuovo frustrate.
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 24th, 2013 Riccardo Fucile
E FRANCESCHINI RIUNISCE LA SQUADRA PD
Ha già immaginato le contromisure: ricorsi al Tar e una campagna da vittima della «persecuzione giudiziaria».
Del resto anche nel Pd hanno capito l’aria che tira e non stanno fermi a guardare. Tanto che ieri Dario Franceschini ha riunito tutti i ministri del Pd per serrare le file.
Eppure, a dispetto dei tamburi di guerra, amplificati dai falchi Pdl, la verità è che una scelta Berlusconi non l’ha ancora compiuta.
Anzi, proprio oggi pomeriggio, al summit di Arcore, andrà in scena un confronto serrato tra i moderati filogovernativi e l’ala Santanchè-Verdini- Capezzone.
Ci saranno tutti, in prima linea i ministri Alfano, Lupi, Quagliariello, De Girolamo, Lorenzin, che la volta scorsa non erano stati invitati.
Un fronte di colombe deciso a non farsi mettere sotto: «Noi siamo con te, siamo disponibili a dimetterci se ce lo chiedi, ma la crisi sarebbe incomprensibile per gli italiani. E le elezioni Napolitano non ce le darebbe mai».
Ai moderati ha fatto ieri da battistrada Gianni Letta, salito a villa San Martino anche per riferire del colloquio avuto due giorni fa con Napolitano
Raccontano di un Berlusconi combattuto, pronto a vendere cara la pelle ma non insensibile alle sirene moderate.
Anche perchè le colombe non sono sole.
Ieri sono tornati alla carica gli avvocati, ma soprattutto i figli. Che gli hanno consigliato «prudenza », perchè lo scontro metterebbe a rischio «non solo il futuro delle aziende ma anche la tua libertà ».
Su questo punto hanno insistito molto Ghedini e gli altri avvocati. Suggerendo un sentiero concordato, senza traumi.
Certo, il presupposto dovrebbe essere l’allontanamento del voto in giunta sulla decadenza di Berlusconi.
A quel punto si aprirebbero diversi scenari, primo fra tutti l’affidamento ai servizi sociali. Una soluzione che il collegio di difesa sponsorizza caldamente.
Perchè, contrariamente alla grazia (che comunque il Cavaliere è deciso, stradeciso a non chiedere per non “umiliarsi”), l’affidamento cancellerebbe gli effetti penali della condanna.
E al termine di nove mesi molto tranquilli – si ipotizza che il massimo della fatica per Berlusconi sarebbe doversi sottoporre una volta a settimana a un colloquio con un assistente sociale – il Cavaliere tornerebbe sulla scena candeggiato.
Ma questo film, per poter essere proiettato, necessita dell’accordo con il Pd per evitare un voto nella giunta e per rimandare alla Corte costituzionale la legge Severino.
E al momento quest’intesa è molto lontana. Anzi, i segnali che arrivano dal Nazareno non sono affatto tranquillizzanti per Berlusconi, come hanno dimostrato ieri le parole nette del responsabile organizzativo Davide Zoggia: «Il Pdl insiste nel cercare dal Pd ciò che non può ottenere, perchè è contro la legge. È ora di dire basta».
Anche i montiani, nonostante il ministro Mario Mauro si spenda per l’amnistia e ogni possibile apertura al Cavaliere, hanno deciso pollice verso.
E Benedetto Della Vedova, unico membro di Scelta Civica nella giunta, ha già detto ai suoi che non intende fare sconti
Persino nel governo non tira la solita aria tranquilla. Certo, nel Consiglio dei ministri di ieri nessuno ha fatto cenno alla spada di Damocle incombente, lo stesso Enrico Letta ha fatto finta di nulla e poi è partito a razzo per Pisa.
Ma i ministri del Pd, per la prima volta, hanno sentito il bisogno di riunirsi tra di loro una volta finita la seduta.
Davanti a Massimo Bray, Andrea Orlando e Flavio Zanonato, il “capodelegazione” Dario Franceschini ha fatto il classico discorso da spogliatoio prima del match finale: «Dobbiamo essere molto uniti tra di noi e determinati nel rivendicare i risultati dell’azione di governo. Perchè sia chiaro, nel momento di un’eventuale crisi, che la scelta sarà tra Berlusconi e continuare il lavoro per l’Italia. E per noi l’Italia vale più di tutto».
Poi ha parlato il ministro dell’Ambiente, Orlando, chiedendo che la delegazione si presenti con una posizione «politica» univoca su tutti i temi caldi sul tappeto – dall’Imu alla cassa integrazione, agli esodati – in modo da presentare al Pdl un fronte compatto.
E tanto ha fatto breccia che martedì prossimo, prima della decisiva riunione del governo che dovrà trovare la soluzione sull’Imu, i ministri del Pd si vedranno con il segretario Epifani proprio per concordare una linea del Piave del partito.
Il timore infatti è che il Pdl, se il Cavaliere dovesse decidere di staccare la spina, approfitti delle divergenze sull’Imu per rendere più presentabile all’opinione pubblica la crisi di governo.
Insomma, è come se i due eserciti si stessero schierando per la battaglia.
E Berlusconi ha fatto sapere di attendere i sondaggi che ha commissionato su uno scontro che lo veda contrapposto sia a Renzi sia a Letta.
Il clima insomma è plumbeo.
«Oggi il Consiglio dei ministri è filato via liscio – sospira il centrista Giampiero D’Alia – ma solo perchè tutti sanno che i veri problemi sono fuori di qui».
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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