Destra di Popolo.net

PARLAMENTO RIBELLE E MANOVRA ELETTORALE: SI VA VERSO LE URNE?

Ottobre 16th, 2014 Riccardo Fucile

VOTI SUL FILO DI LANA, MAGGIORANZA IN AFFANNO E IN DISSOLUZIONE PER LOTTE INTESTINE… MENTRE RENZI USA ARMI DI DISTRAZIONE DI MASSA

Nella pancia parlamentare del Pd raccontano che l’altra sera, al Senato, il merito di aver salvato la nota di aggiornamento del Def sul filo di lana è stato di Enrico Morando.
Un tempo, dal Pds in poi, Morando era l’uomo di partito esperto di leggi finanziarie e adesso che all’Economia ci sta da viceministro, il suo ruolo è spesso decisivo.
Suo infatti sarebbe stato il compito di convincere e agganciare i voti necessari per non soccombere: l’ex grillino Orellana e il senatore del Pd dimissionario Tocci, senza dimenticare un’altra manciata di civatiani dissidenti sull’articolo 18.
Alla fine, la maggioranza di Renzi ha raggiunto il suo punto più basso: appena 161 voti, sufficienti sì per l’approvazione, ma un chiaro segnale d’allarme per il futuro
E che, nella giornata del Consiglio dei ministri sulla legge di Stabilità , in Parlamento ha ripreso quota lo scenario del voto anticipato, vero argomento di discussione che tiene banco tra senatori e deputati.
Ieri sera, per esempio, a Palazzo Madama l’ennesima fiducia, stavolta sul decreto per gli stadi, è passata con un altro voto “minimo”, 164.
A questo punto è sempre più chiaro un ulteriore aspetto della delicata e complicata fase politica del renzismo: la guerra tra il premier e il Parlamento.
Parlamento che non ha “eletto” o “nominato” lui, bensì il suo predecessore alla guida del Pd, Bersani.
Proprio da parte dei bersaniani è in corso da settimane un conflitto a bassa intensità  per logorare Renzi tra Montecitorio e Palazzo Madama.
Il caso più vistoso è quello delle continue votazioni a vuoto dei due giudici della Corte costituzionali.
Confessa un democrat di minoranza che non ha mai votato Luciano Violante, indicato dal Colle in quota Pd: “Siamo almeno 40 che boicottiamo Violante e il patto del Nazareno”.
Un problema interno, quindi. Un grosso problema interno per il premier. Non solo.
Se lo spauracchio è ogni volta il Senato, fino a quando i renziani dovranno fare di conto per calcolare le assenze strategiche, quelle occasionali, il soccorso azzurro e finanche i quotidiani cambi di casacca tra i centristi irrequieti di Alfano e Casini?
È lo stesso scenario già  vissuto da Prodi nel biennio 2006-2008, nello stesso posto, al Senato, e anche da Berlusconi nella legislatura successiva, quando alla Camera sopravvisse per un po’ con i Responsabili di Scilipoti e Razzi al posto degli scissionisti di Gianfranco Fini.
In questo scenario, che per il momento coincide con la realtà  autunnale, Renzi è sotto tiro e ricatto in modo costante.
Orellana come Scilipoti non è un paragone azzardato. Chi saranno i prossimi e quale sarà  la contrattazione?
Ma vedere il premier ripiegare sul metodo Verdini (lo sherpa berlusconiano del patto del Nazareno, protagonista delle più clamorose compravendite di parlamentari per conto di B.) sembra quasi innaturale. Altro che rottamazione. Altro che cambiare verso.
Senza dimenticare che se Forza Italia decidesse di fare opposizione sul serio, al Senato la maggioranza andrebbe giù in pochissimo, come nel tragico inverno dell’ultimo Prodi, quello del 2008
Poi c’è il paradosso più eclatante di questa fase (la politica italiana è eternamente bizantina e democristiana): i guerriglieri bersaniani che tengono l’odiato “Matteo” sulla graticola non tireranno la corda fino all’ultimo.
Altrimenti l’articolo 18 avrebbe fornito la piattaforma perfetta per una rottura clamorosa, per una crisi di governo e persino per il lancio di un nuovo partito.
Tutto ciò non è accaduto perchè nei gruppi parlamentari eletti nel febbraio del 2013, in epoca prerenziana, prevalgono convenienze di parte e istinto di autoconservazione. E qui si arriva all’incognita più grande dell’attuale quadro: lo stesso premier.
Non a caso, l’ipotesi della manovra elettorale viene attribuita a lui sia dagli amici sia dai nemici
Tra Renzi e il voto anticipato c’è certamente il macigno della successione annunciata di Napolitano (anche se adesso circolano voci che smentiscono un addio a gennaio), ma la verità  è che il premier non ha ancora deciso quale strada scegliere.
Se la scilipotizzazione della sua maggioranza, sotto ricatto e sotto la tutela del soccorso azzurro oppure la tentazione di ribaltare tutto (compreso il tavolo europeo) e giocarsi la carta del voto anticipato a primavera.
L’altra sera, ad Arcore, Berlusconi con alcuni suoi commensali si è detto fiducioso che Renzi non sceglierà  la strada del voto anticipato. A Silvio, con il crollo di FI, conviene lucrare sulla sua ritrovata centralità  quanto più a lungo possibile, magari con un Renzi 2.
Ma gli ultras del premier non dimenticano mai di far presente che “l’istinto di Matteo non è quello di campicchiare, è l’opposto”. Cioè, le urne.
Colle permettendo.

Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano”)

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CAOS NEI CINQUESTELLE: “MANOMESSE LE MAIL DEI PARLAMENTARI”. IL DEPUTATO ARTINI FINISCE NEL MIRINO, MA MOLTI PARLANO DI TRAPPOLA PER FARLO FUORI

Ottobre 16th, 2014 Riccardo Fucile

GLI EX M5S   DIVISI IN TRE GRUPPI, QUALCUNO ANDRA’ IN SOCCORSO DEL GOVERNO

Una scialuppa di salvataggio, nel tempestoso mare del Senato. Una barchetta che tenga a galla il governo di Matteo Renzi e lo affranchi da compromessi difficili con Forza Italia.
A formarla, potrebbero essere alcuni parlamentari eletti con l’M5S, ma cacciati o comunque usciti dal gruppo.
Quello che è successo martedì, con Luis Orellana che dice sì al documento di Economia e Finanza facendo arrivare il governo alla sospirata quota 161, potrebbe quindi ripetersi in altre occasioni, e a opera di altre persone.
Le manovre di avvicinamento del Pd sono continue, perchè i numeri, a Palazzo Madama, sono ballerini da sempre. Matteo Renzi incassò la sua prima fiducia il 24 febbraio con 169 voti.
Sul jobs act, ne ha avuti 165. Ieri, sul decreto stadi, 164.
A parte il problema politico dei civatiani (Corradino Mineo, Felice Casson e Lucrezia Ricchiuti avevano votato no alla legge delega sul lavoro per l’articolo 18), i voti che spesso mancano sono quelli della galassia di centro.
I popolari Mario Mauro e Tito Di Maggio si tirano fuori da mesi. Martedì non c’era il neoacquisto dell’Ncd (da Gal) Pietro Langella.
E poi vabbè, Pier Ferdinando Casini era a Ginevra, Pietro Ichino aveva un problema di famiglia, il democratico Renato Turano era a Chicago e un altro senatore pd — Ignazio Angioni — ha fatto tardi.
«Paradossalmente, quel che è accaduto sul def è molto positivo — dicono nelle stanze del Pd al Senato — perchè finalmente tutti hanno capito qual è il rischio».
Il presidente dei senatori pd Luigi Zanda non è meno esplicito: «Di fatto, il governo ha appena 4 voti di vantaggio. Non possiamo considerare acquisiti i senatori a vita, che spesso non ci sono. Continuiamo quindi a subire gli effetti velenosi del porcellum di Calderoli e Berlusconi. Sia in aula che in commissione, ogni singola votazione deve essere preparata con grandissima cura».
Con margini così ristretti, tutto diventa prezioso. Anche il voto di Lorenzo Battista, che dai 5 stelle è passato al misto per poi transitare nel gruppo per le autonomie (è stato il primo a votare per Renzi, con la fiducia al jobs act).
O quello di Luis Orellana, che su singoli temi — di volta in volta — valuterà  se convergere con il Pd.
Potrebbero fare lo stesso Adele Gambaro (che votò la fiducia al governo Letta), o la neofuoriuscita Cristina De Pietro: non è ancora tornata a Palazzo Madama, ma tutti la attendono per capire quale strada voglia intraprendere.
Perchè per quanto assurdo possa sembrare, all’interno del misto i 5 stelle sono divisi in 3 gruppi.
Ci sono i battitori liberi Mastrangeli, Nitori e Gambaro.
Quelli di “Movimento X” (Paolo Romani, Bartolomeo Pepe, Silvia Bignami e Maria Mussini) e il gruppo di cui fa parte Orellana, “Italia lavori in corso”, con Francesco Campanella, Fabrizio Bocchino, Monica Casaletto, Paola De Pin e Alessandra Bencini.
Per ora, l’ultimo gruppo ha interloquito per lo più con Sel, e alle regionali appoggia quel che resta dell’Altra Europa di Tsipras.
E però — dice Campanella — «non abbiamo pregiudizi nei confronti di nessuno, i renziani finora ci hanno cercato solo per chiedere voti, non hanno aperto una discussione politica. Per questo non ci fidiamo, e di volta in volta decidiamo come comportarci. Luis ha sbagliato perchè non ha detto quello che intendeva fare».
Nel frattempo, in una giornata convulsa in cui i grillini hanno attaccato con violenza Luis Orellana (gli insulti vanno da verme, a venduto e traditore) scoppia un’altra grana alla Camera.
Sul blog, un post non firmato invita i parlamentari a dismettere il server di Montecitorio, perchè il deputato che lo ha gestito fino a qualche mese fa -Massimo Artini — avrebbe compiuto delle irregolarità .
Un’accusa che arriva (guarda caso) alla vigilia dell’elezione del prossimo capogruppo, carica per cui era in pole position proprio Artini.
Le voci parlano di un rischio espulsione.
Il deputato toscano che in realtà  ha aiutato i suoi colleghi appena arrivati in Parlamento con un sistema operativo che permettesse loro di comunicare — dice di essere sereno: «Non ho fatto nulla di scorretto».
Patrizia Terzoni lo difende apertamente su Facebook, e un’altra deputata dice chiaro: «Se lo fanno fuori succede un casino. Se ne va la maggior parte di noi, possono giurarci».

Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica”)

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LA COOP, IL GENERALE, LA CORRUZIONE E IL VICE DI RENZI

Ottobre 16th, 2014 Riccardo Fucile

TANGENTI A ISCHIA: INDAGATO ADINOLFI, EX NUMERO 2 DELLA GDF… AI PM ROMANI LE TELEFONATE COL SOTTOSEGRETARIO LOTTI

Michele Adinolfi, comandante interregionale della Guardia di finanza di Toscana, Marche e Emilia Romagna, è indagato a Napoli per corruzione.
I pubblici ministeri Henry John Woodcock, Celestina Carrano e Giuseppina Loreto hanno inviato un invito a comparire all’ex capo di Stato maggiore delle Fiamme gialle che era già  stato indagato e prosciolto per la fuga di notizie dell’indagine P4.
Sono state intercettate anche alcune telefonate, considerate non rilevanti ai fini dell’inchiesta, tra il generale e Luca Lotti, oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Le trascrizioni delle conversazioni sono state ritenute ininfluenti dal punto di vista penale. Lotti e Adinolfi infatti si conoscono dai tempi in cui il primo era capo di gabinetto del sindaco Renzi e il secondo comandante interregionale, anche della Toscana.
Stavolta a tirare in ballo Adinolfi è una telefonata intercettata nell’indagine finora inedita per la corruzione del sindaco di Ischia, Giuseppe Ferrandino, consigliere provinciale del Pd, da parte di una coop “rossa”: la Cpl Concordia di Modena, un colosso con 1.800 dipendenti e un fatturato di 444 milioni di euro.
L’inchiesta riguarda la metanizzazione di Ischia, un gasdotto da 18 milioni per 13 chilometri di tubo sottomarino, aggiudicato in project financing a Cpl nel 2005.
Per i pm “la Cpl Concordia ha stipulato due convenzioni (evidentemente almeno in parte fittizie), per gli anni 2013 e 2014, con l’Hotel Le Querce di Ischia, di proprietà  della famiglia del Sindaco di Ischia Ferrandino, convenzioni sottoscritte da Roberto Casari, presidente di Cpl e dal padre di Ferrandino Giuseppe, politico di spicco dell’Isola di Ischia (…) in virtù delle quali la Cpl Concordia ha corrisposto (ovvero si è impegnata a corrispondere) la somma di circa 160 mila euro — a fronte del presunto impegno della struttura alberghiera a ‘tenere a disposizione’ della Cpl (in persona dei dipendenti), sette stanze di albergo per le stagioni estive 2013 e 2014 e per il Capodanno del 2013 e 2014, per ciascuna annualità , alla società  alberghiera della famiglia di Giuseppe Ferrandino”.
I pm contestano oltre ai 320 mila euro dell’hotel una consulente al fratello, Massimo Ferrandino, incaricato dalla società  di seguire proprio “le relazioni con le amministrazioni locali”.
Sono indagati a vario titolo per corruzione e induzione indebita il sindaco, il padre del sindaco Giovanni Giuseppe che ha firmato la convenzione dell’hotel, il fratello Massimo e il potente presidente della Cpl Concordia, Roberto Casari; il direttore commerciale Nicola Verrini e il consulente Francesco Simone. Il 9 e 24 giugno ci sono state le perquisizioni e la settimana scorsa sono iniziati gli interrogatori, a partire da Simone, difeso dall’avvocato Maria Teresa Napolitano.
Proprio Simone ha messo nei guai Adinolfi con una telefonata nella quale, almeno secondo l’interpretazione dei pm, parla di Adinolfi come un ufficiale al quale chiedere un favore ma che sarebbe stato poi pagato per il disturbo.
Gli uffici della Concordia sono stati sottoposti a una bonifica a caccia di microspie, che non sono state trovate.
Probabilmente i pm ipotizzano che quella bonifica potrebbe essere il favore da chiedere al generale. Fonti della Cpl Concordia però spiegano che la bonifica è stata eseguita da un’agenzia privata che non ha nulla a che vedere con Adinolfi.
Ai Pm napoletani, Francesco Simone la scorsa settimana ha dato un’interpretazione delle sue parole molto lontana dalla tesi di accusa: la Concordia si sentiva penalizzata in una gara all’Agenzia spaziale italiana dalla quale era stata esclusa a beneficio di un concorrente.
Simone preparò un dossier e tramite un amico e cercò un contatto per sottoporlo al generale Adinolfi. La bonifica non c’entra nulla.
Adinolfi,difeso dall’avvocato Marco Franco e dal professor Enzo Musco, si presenterà  ai pm all’inizio della prossima settimana per chiarire la sua posizione.
Al Fatto dice: “Non ho mai sentito nemmeno nominare Simone e le altre persone citate nell’invito a comparire. Non conosco Cpl Concordia. Sono assolutamente tranquillo e non capisco davvero come si possa contestare un reato così grave a chi non conosce nemmeno le persone indagate”.
Per il suo difensore Marco Franco “è grave che il mio assistitosiacoinvoltosullabasedi affermazioni di terze persone destituite di fondamento”.
L’indagine coglie Adinolfi in un momento particolare della carriera. È stato capo di Stato maggiore della Gdf negli anni del massimo potere di Silvio Berlusconi. Amico di vecchia data di Gianni Letta e Adriano Galliani e in ottimi rapporti con Berlusconi, negli anni scorsi ha stretto un legame forte con Luca Lotti e ha un rapporto diretto con il presidente del consiglio Matteo Renzi.
Tra tre anni potrà  puntare al vertice della Gdf quando scadrà  il comandante attuale, Saverio Capolupo.
I contatti recenti tra Lotti e Adinolfi e quelli più sporadici con Renzi potrebbero inserirsi nello scenario delle nomine nei servizi segreti.
Da tempo è vacante il posto di vicedirettore dell’Aise, il servizio militare estero, e si sa che quel posto spetta a un finanziere.
“A dire il vero — dice il generale al Fatto — quello è un posto da generale di divisione e non da generale di corpo d’armata. Se fosse vero, avrei potuto fare il capo non il vicecapo.
Comunque mi risulta che in quel posto è stato designato un generale dell’esercito. I rapporti con Renzi e Lotti sono dovuti solo al mio ruolo istituzionale a Firenze.
Ora comunque ho altro a cui pensare. Sono sconcertato perchè sono indagato in una vicenda della quale non so nulla. E ovviamente sono tranquillissimo”.

Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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INTERVISTA A FASSINA: «TROPPI TAGLI AL SOCIALE, QUESTA MANOVRA NON È DI SINISTRA»

Ottobre 16th, 2014 Riccardo Fucile

“NELLA LEGGE DI STABILITA’ PIU’ OMBRE CHE LUCI”…”RENZI COLPISCE LE MENSE SCOLASTICHE, I PENDOLARI, CHI HA BISOGNO DI CURE, LE BORSE DI STUDIO, GLI ASILI NIDO”

«Sono insostenibili i tagli che riguardano la spesa sociale. Vanno corretti».
Per Stefano Fassina, ex vice ministro all’Economia, esponente della sinistra dem, nella legge di stabilità  sono più le ombre che le luci.
Fassina, non è convinto dalla manovra di Renzi? Non crede ci siano novità  positive?
«Ci sono molti aspetti da chiarire. E novità  positive sono sul fronte della riduzione delle imposte. Ma il segno espansivo della manovra che già  sulla carta era modesto rispetto alla gravità  della situazione del paese e con i tagli pesanti alla spesa, viene cancellato ».
Alle Regioni si chiede un risparmio di 4 miliardi e 1,2 miliardi ai Comuni, 6 allo Stato. Una cura da cavallo?

«Sono tagli insostenibili, non si chiedono alle Regioni ma alle famiglie per le mense scolastiche; si chiedono ai pendolari che utilizzano il trasporto pubblico; alle persone che hanno bisogno di assistenza; agli studenti che avevano le borse di studio. Si chiedono alle mamme e ai papà  per gli asili nido dei figli. Significano anche minori prestazioni nella sanità . E l’impatto recessivo degli interventi sui servizi sociali fondamentali supera l’impatto espansivo connesso alla minore tassazione».
Quindi vede il rischio che il welfare sia in pericolo?
«Non un rischio, ma la certezza. I tagli previsti per gli enti territoriali e per lo Stato colpiscono i servizi fondamentali. Sono un ulteriore colpo all’equità  che avrà  inevitabilmente effetti recessivi sull’economia ».
Per Renzi è la manovra più di sinistra che si potesse fare nelle condizioni date.
«No, non lo è. È una manovra che, unita all’intervento sul mercato del lavoro, sta nel solco del mercantilismo liberista che ha portato l’Europa a una recessione sempre più grave».
Ammetterà  tuttavia che gli imprenditori non avranno più alibi per le assunzioni, anche grazie alla decontribuzione per i neoassunti?
«Singolare che il governo reintroduca la stessa misura che aveva previsto nel 2013 il governo Letta ed era stata poi archiviata dal governo Renzi. Ma le imprese non assumono perchè non c’è domanda. Il limite della manovra appena approvata dal consiglio dei ministri è che non è concentrata sul sostegno alla domanda, agli investimenti in particolare dei comuni in piccole opere».
Cosa si sarebbe dovuto fare?
«Si sarebbe dovuto allentare il deficit di un punto in più rispetto a quello previsto dal governo e concentrare le risorse sul patto di stabilità  interno per i Comuni, su misure di contrasto alla povertà , si sarebbero dovuti pagare i debiti in conto capitale alle imprese… Inoltre il taglio dell’Irap si sarebbe dovuto concentrare per venire in aiuto ai piccoli imprenditori, mentre ne beneficiano in larghissima misura le grandi aziende».
Lei pensa a modifiche?
«Sì, sulla parte che riguarda i tagli alla spesa sociale. Ripeto: quei tagli non sono sostenibili e quella parte va corretta».

Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)

argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »

CARTA VINCE CARTA PERDE: RENZI E IL TAVOLO TRUCCATO

Ottobre 16th, 2014 Riccardo Fucile

I REGALI DELLA POLITICA SONO PRESTITI CON TASSI DA USURA

Evviva, evviva: Matteo Renzi sfascia l’austerità , taglia le tasse di 18 miliardi, regala soldi alle imprese, infila la liquidazione in busta paga ai dipendenti, conferma gli 80 euro, favorisce le assunzioni, c’è perfino qualcosa per le partita Iva.
Tutti felici e tutti grati al premier e al Pd: un utile consenso, casomai arrivassero presto le elezioni.
Qualche obiezione però dovrebbe essere lecita.
Primo: le coperture sono, come sempre, all’italiana.
Oltre 11 miliardi arrivano dall’aumento del deficit: come dire che la copertura non c’è. Ma visto che ormai siamo tutti keynesiani, chiudiamo un occhio.
Però ci sono i tagli: non ai tanto odiati “sprechi”, visto che il commissario alla revisione Carlo Cottarelli è stato licenziato e il suo lavoro sepolto negli archivi.
No, si taglia (poco) sui ministeri e (molto, 6,2 miliardi) su Regioni ed enti locali: solo chi è in malafede può sostenere che ci sia ancora grasso da asportare.
Dopo quattro anni in cui lo Stato centrale ha sottratto oltre 40 miliardi a Regioni e Comuni, ogni ulteriore stretta ridurrà  i servizi, visto che le tasse non si possono più alzare senza rivolte di piazza (anche se il ministro Padoan è favorevole a un aggravio delle imposte locali).
L’austerità  è ottusa, non c’è dubbio. E va ridiscussa perchè non sta funzionando. Ma ancora una volta l’Italia viola i suoi impegni, oggi su debito e domani sul deficit, e non per finanziare investimenti che creino la base della crescita dei prossimi anni, ma per una versione rinforzata della deludente “operazione 80 euro”.
Legittimo, ma il crollo delle Borse di ieri sulle voci di elezioni anticipate e di rigetto del rigore in Grecia dimostra quanto fragile è la tregua concessa dallo spread.
Spendere in deficit e sbertucciare Bruxelles è facile.
La parte difficile è affrontare le sanzioni europee — ormai certe — e l’eventuale furia dei mercati.
Oltre a quella dei cittadini, se dovessero scoprire che i regali della politica sono prestiti con tasso di interesse da usura.

Stefano Feltri

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ENTI LOCALI, 8 MILIARDI DI TAGLI PER FINANZIARE IRAP E 80 EURO

Ottobre 16th, 2014 Riccardo Fucile

IL CONTO LO PAGANO COMUNI E REGIONI, GIà€ SACCHEGGIATI NEGLI ANNI SCORSI… TRADOTTO: MENO SERVIZI E RISCHIO NUOVE TASSE LOCALI… PADOAN: “È POSSIBILE”

Alla fine, di riffa e di raffa, la manovra vale 36 miliardi.
Certo le coperture sono un po’ strutturali, un po’ una tantum (la vendita delle frequenze, riprogrammazione di fondi europei), un po’ farlocche (3,8 miliardi da trucchetti fiscali chiamati “gigantesca lotta all’evasione”), ma quando il Consiglio dei ministri finisce Matteo Renzi è felice.
Ogni misura che illustra è un metaforico gesto dell’ombrello a chi non gli credeva: “Diciotto miliardi è la più grande riduzione di tasse mai fatta da un governo nella storia della Repubblica”, gongola , “tagliare le tasse è di sinistra”, anzi no “da persone normali” visto il livello “pazzesco” della pressione fiscale.
Riassumendo, anche se lui non lo sa, la sua è una manovra tutta giocata sul lato dell’offerta: peccato che questa sia una crisi di domanda.
Lo sintetizza perfettamente lo stesso premier in conferenza stampa, quando si rivolge al mondo delle imprese: “Caro imprenditore, assumi a tempo indeterminato? Ti tolgo l’articolo 18, i contributi e la componente lavoro dall’Irap. Mamma mia, cosa vuoi di più?”.
Meno diritti e meno welfare in cambio di un po’ d’occupazione ricattabile: gran cambiamento di verso.
Va detto che Confindustria e soci hanno festeggiato i 6,5 miliardi di euro di minor Irap (che si uniscono alla conferma strutturale degli 80 euro di Irpef) annunciati dal governo, ma forse dovrebbero stare più attenti e controllare il loro portafoglio ordini: se è pieno di fatture in lingua straniera fanno bene, ma se vendono soprattutto in Italia non hanno capito cosa sta succedendo.
MANOVRA RECESSIVA
Tutti dicono che la legge di stabilità  di Matteo Renzi è “espansiva”, lui la definisce “seria”. Non è nè l’una nè l’altra cosa.
Oltre la metà  delle coperture vere sono infatti tagli di spesa: 6,1 miliardi sono “risparmi dello Stato”, dice Renzi, formula non chiara che dovrebbe contenere tanto le sforbiciate ai ministeri che il risparmio dovuto ai minori interessi sul debito pubblico. Il resto è più o meno tutto in carico a regioni, province e comuni: otto miliardi o giù di lì.
L’altra grossa posta, cioè circa 11 miliardi, è lo spazio che il governo si è concesso aumentando il deficit dal 2,2% tendenziale sul Pil al 2,9%.
A parte che l’Italia sforerà  il 3% — scelta legittima — ma senza avere il coraggio di dirlo e fare su questo una battaglia a viso aperto, la maggior parte della manovra si basa su tagli (ma non manca qualche tassa, tipo quella sui fondi pensione a cui i lavoratori hanno devoluto il Tfr): applicando qualunque forma di moltiplicatore fiscale (all’ingrosso l’effetto sulla ricchezza delle misure) se ne deduce che questa manovra è recessiva, cioè comprimerà  comunque il Pil (certo, nulla a confronto coi fasti di Mario Monti).
I tagli di tasse, infatti, non hanno l’effetto espansivo della domanda diretta dello Stato (che opportunamente calibrata, peraltro, peggiora meno della spesa privata la bilancia commerciale).
Il ministro Pier Carlo Padoan però, beato lui, è uomo fiducioso e prevede un andamento crescente del Pil “nel medio periodo”, cioè tra qualche anno, a patto di arrivarci vivi.
PAGANO COMUNI E REGIONI e quindi i cittadini. Questa la sostanza.
Il sindaco d’Italia il conto lo ha presentato agli enti locali, già  fiaccati da sforbiciate che nelle innumerevoli manovre degli ultimi tre anni ammontano già  a una quarantina di miliardi.
Chiunque pensi che dopo questa cura sia possibile, in pochi mesi e senza alcun lavoro di effettiva revisione della spesa, tagliare solo eliminando gli sprechi e non toccando i servizi è nella migliore delle ipotesi un illuso. Oppure è Renzi.
Questi tagli significano meno posti negli asilo, più buche per le strade, meno assistenza per gli indigenti e gli anziani, spesa sanitaria ancora in contrazione, zero investimenti.
Ovviamente non di soli tagli dei servizi vivono sindaci e governatori in difficoltà : possono sempre aumentare le tasse, vale a dire le addizionali Irpef e tante altre cosette.
“Non so se lo faranno — ha ammesso il ministro Padoan     – Certo ne hanno la possibilità ”.
Renzi, invece, preferisce buttarla sul merito: quelli bravi tagliano, quelli cattivi tassano e i cittadini li puniscono nelle urne. “È il federalismo fiscale”, gli fa eco il ministro. Sarà .
La cosa curiosa però è che il governo si è preoccupato di spostare il pareggio di bilancio al 2017 per lo Stato, ma quello degli enti locali scatta ancora a gennaio 2015: significa sei miliardi di tagli diretti, cui va aggiunta la quota degli enti locali dei tagli agli acquisti di beni e servizi (un altro paio di miliardi).
Come contentino, i comuni che hanno i soldi in cassa potranno sforare il Patto per fare investimenti: la copertura è un miliardo in tutto.
In questo modo, parecchi enti locali rischiano il dissesto. Non lo dice solo Il Fatto Quotidiano, ma persino due parlamentari del Pd. uno renziano, Matteo Richetti, uno in rapporti altalenanti col premier, Francesco Boccia: “Il pareggio di bilancio per gli enti locali deve seguire le regole del governo nazionale: un anticipo al 2015 solo per gli enti locali non sarebbe sostenibile e molte amministrazioni rischierebbero il dissesto”.
Così, per dire.

Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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