Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
L’AIUTINO DI BERLUSCONI: RETI MEDIASET AL SERVIZIO DEL BALLISTA….A POMERIGGIO CINQUE RECITA A SOGGETTO
Del Debbio — Porro — Barbara D’Urso. 
Dopo averla aperta nel talk di Quinta Colonna e replicata in una intervista fiume a Virus, domenica Matteo Renzi chiuderà la triade delle apparizioni tv nel contenitore di Canale 5,
Pomeriggio Cinque.
Bilancio: due volte a Mediaset e una con il vicedirettore del Giornale. Il tutto nei giorni decisivi per la comunicazione della legge di Stabilità che sta “prosciugando” Forza Italia e realizzando “il sogno” di Confindustria.
Prosciugamento mediatico e politico.
Con il premier che per comunicare i provvedimenti economici del suo esecutivo non esita a parlare al pubblico di programmi condotti da personaggi legati al mondo del centrodestra.
In uno schema consolidato già a maggio scorso, in piena fortunata campagna per le Europee, quando in rapida successione il premier andò a rivendicare gli 80 euro da Porro, poi da Del Debbio e infine dalla D’Urso.
La strategia di comunicazione, che lo spin doctor Filippo Sensi a cui non fa difetto l’understatement non intende intestarsi esplicitamente, continua così con successo la campagna di sfondamento al centro (destra) segnalata da recenti studi come il sondaggio Itanes del Sole 24ore e in attesa dei dati in arrivo ad Arcore lunedì prossimo, che sveleranno l’impatto sull’elettorato di Forza Italia della manovra fatta di sgravi fiscali, abbattimento dell’Irap e salutata dallo stesso Berlusconi come la realizzazione del “nostro programma”.
Prosciugamento consenziente, conseguenza della nuova fase berlusconiana, che non ha più alcun interesse alla ricostruzione di un polo di centrodestra e che si muove invece nell’orbita del patto del Nazareno.
Notava Aldo Grasso dopo l’intervista a Rete4 che al di là dei contenuti “Del Debbio voleva rassicurare il suo pubblico che Berlusconi sta con Renzi, che il patto del Nazareno tiene, che i nemici Renzi li ha dentro il suo partito, non fuori.”
D’altra parte, solo il pensare che il premier possa andare a fare propaganda sulle reti Mediaset senza il placet del Cavaliere sarebbe quantomeno ingenuo.
Senza contare che Renzi “in trasferta” funziona.
In piena crisi dei talk show, ottiene il record di share sia su reti Mediaset (6,36%, 1.444.000 telespettatori ) che Rai (6.89% 1.581.000 spettatori ) e replica un format sperimentato con successo in passato proprio da Berlusconi, gran mattatore nell’agone ostile di Servizio Pubblico e sulla terza rete Rai.
(da “Huffingronpost“)
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Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
“VEDREMO, CASALEGGIO E’ UN’OTTIMA PERSONA”
È in forma come mai negli ultimi tempi.
I suoi ex compagni di strada gli hanno sfilato da sotto il naso partito e cordoni della borsa? Lui non fa una piega:
“Sbagliate ad appiattirvi sul Pd”, saluta cortesemente e se ne va. La sua è un’altra strada. La spiegò un paio d’anni fa: “Mi diceva di andare contro la partitocrazia, di forzare la legge elettorale e andare alle elezioni da soli. Io pensavo che l’essere nelle istituzioni era decisivo, e dunque era necessario stringere alleanze. Devo dire che oggi i fatti sembrano dare ragione a lui”.
Quel lui era Gianroberto Casaleggio, all’epoca consulente per l’Italia dei Valori. Consigli che dopo anni hanno dato i suoi frutti: “Mi candido a sindaco di Milano, un progetto rivolto ai cittadini. Chi mi conosce sa che non posso interloquire con il sistema, ma solo con chi ne sta fuori”.
Qualche giorno fa due parlamentari del Movimento 5 stelle ragionavano: “Dovrebbe candidarsi con noi. Da un lato sarà un problema, non possiamo presentare chi è stato eletto con altri partiti, dall’altro sarebbe una fortuna, nelle amministrative ci serve qualche nome forte da spendere”.
Lui non conferma ne smentisce, anche se quel che dice sembra portare in un’unica direzione. Parla volentieri al telefono, e quando pensa di non riuscire a farsi capire premette: “Questa gliela dico in dipietrese”.
Dunque si candida a sindaco o no?
Va bene, a lei glielo dico. Mi candido. Faccio una proposta alla città per tempo. Lo diceva mia nonna: avviandoti per tempo cerchi di arrivare in orario.
Sì ma scusi, lei ha rotto con l’Idv, chi la sostiene?
Mi rivolgo ai cittadini fuori dai partiti, è con loro che voglio aprire un dialogo. Chi conosce la mia storia personale, quella di magistrato, sa perfettamente che non posso dialogare con chi rappresenta il sistema, ma solo con chi ne è fuori.
Va bene, ma in concreto?
l sistema dei partiti tradizionali si sta superando. Oggi non si guardano più le tessere, ma la persona. Io sto iniziando in questi giorni una serie di incontri, perchè serve un sindaco libero di muoversi non più un ostaggio. Serve una candidatura che nasca dai cittadini.
Alternativa a Pisapia dunque.
Mi lasci cogliere l’occasione per salutarlo, lo ammiro è una brava persona. Ma sì, serve una novità . Io mi propongo per un mandato, ho 65 anni, a settanta mica posso ricandidarmi. Voglio dare il mio contributo alla città .
Bene. Ma cerca l’appoggio del M5s? Senza di loro sarebbe dura. Tra l’altro lunedì è pure relatore a un convegno organizzato da loro, su appalti, corruzione, Expo.
Non voglio strumentalizzare nessuno. Quell’incontro è stato fissato prima della mia decisione, fa parte di una serie di incontri che faccio con i cittadini, la prossima settimana vado anche dagli anziani…
Eh appunto, una serie di incontri per fare rete in vista della sua candidatura. Il M5s risponde all’identikit da lei fatto: fuori dal sistema, non un partito tradizionale…
Guardi, sono andato alla loro tre giorni al Circo Massimo e ho visto una realtà poliedrica. C’erano cittadini non interessati alla collocazione politica, ma ai temi. Destra e sinistra sono ormai superate. Ma ho visto anche che si ponevano una domanda. Lasci che gliela dica in dipietrese: “E mo’ che abbiamo vinto, siamo in Parlamento, che facciamo?”. Ecco, con i risultati che hanno avuto ora devono affrontare la scelta di una classe dirigente capace, se no fanno l’errore che ho fatto io con l’Italia dei Valori.
E qui arriva appunto Di Pietro.
Guardi nel Non Statuto la regola è chiara sulla possibilità di candidare chi ha fatto già politica. Non li sto a tirare per la giacchetta. Io mi presento come cittadino comune però, poi vediamo che succede.
Proprio antipatici non gli sono i grillini.
Oggi tutti gli sparano addosso. Guardi le prime pagine dei giornali su Genova. Tutti a massacrare Grillo. Ma la colpa mica è loro, mi sarebbe piaciuto vedere prime pagine che attaccavano quelli che hanno sempre governato, che hanno le vere responsabilità .
Con Casaleggio siete rimasti in buoni rapporti?
C’è da fare una doppia valutazione. Una personale e una professionale. Quella personale è ottima. Gianroberto è una persona per bene, appassionata, che crede in quello che fa spassionatamente, senza secondi fini.
E quella professionale?
È ottima. È un qualificatissimo professionista che si occupa di informatica. Lui viene accusato, gliela dico in dipietrese, di cose oscure. Di poca trasparenza, ecco. Ma chi lo dice non conosce come funziona internet. Se io ho un file e ti ci faccio mettere le mani c’è il rischio che lo rovini, che si perda. Ecco, chi lo accusa non sa come funziona il suo mestiere.
Lei una volta si è rammaricato di non aver dato ascolto ai suoi consigli al tempo in cui ancora lavorava per lei.
Ma io ho sempre seguito le strategie di Casaleggio. Non è stato quello il mio errore, ma quello della selezione della classe dirigente. Ecco vede, io ho avuto il mio Scilipoti, loro oggi hanno il loro Orellana. Ma nessuno si ricorda che in quella legislatura in 159 cambiarono casacca. E tutti a parlare di Razzi e Scilipoti.
Diciamo che i due non si sottraggono.
Sì, vero. Per quello il M5s non deve fare l’errore che feci io nella selezione della classe dirigente.
Questo a Casaleggio l’ha fatto presente? Voglio dire, vi continuate a sentire?
Sì ci sentiamo, l’ultima volta è stato al Circo Massimo. Sono andato a salutare lui e Grillo, 5 minuti tra i vecchi amici. Ma è una persona con cui prendo volentieri il caffè, diciamo.
Qualcuno dice che i vostri contatti derivano anche da questioni economiche rimaste ancora in sospeso.
Sono fesserie. Non ho conti in sospeso con Casaleggio. È stato un professionista che ha lavorato per noi ed è stato pagato in modo congruo al suo lavoro.
Tornando a Milano: si candida con il Movimento 5 stelle?
Ma io devo ancora individuare la squadra. Poi insieme a tutti i cittadini devo costruire un programma, le priorità . Certo che l’intento è quello di coinvolgere tutti.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
ANTIEVASIONE, CHIACCHIERE DA 2,9 MILIARDI
Il governo declama: staneremo gli evasori. Evviva. Un assaggio, forse una tattica per prendere
(lentamente) le misure: 3,8 miliardi di euro.
Evviva. In questa troppo presto celebrata “lotta all’evasione”, inserita nel disegno di legge di Stabilità (ex finanziaria), la prima categoria che si evade è la logica.
Perchè di questi 3,8 miliardi di euro, necessari per coprire uscite per 36 miliardi, soltanto 900 milioni sono calcolati con giudizio, e riguardano un nuovo meccanismo per il versamento dell’Iva: e il resto, i 2,9 miliardi di euro?
Palazzo Chigi fa sapere che l’Agenzia delle Entrate dovrà scovare, esaminare e convincere i furbetti che non pagano le tasse e poi sperare in un’autodenuncia: ecco, la coscienza sarà una garanzia per i 2,9 miliardi.
Oltre a un’auspicata e intima conversione degli evasori, l’Agenzia dovrà incrociare i numeri inseriti nelle banche dati, informare il cittadino beccato in fallo e avviare un’operazione che viene definita “Fisco amico” e prevede, testuale, un “adempimento volontario”: lo puoi sbrigare sul portale oppure di persona.
Non sarà blasfemo considerare ballerini questi 2,9 miliardi (il Sole 24 Ore dice che l’obiettivo sarà difficile da realizzare), e lo stesso pensiero impuro ha pervaso diversi componenti del governo che masticano la materia.
Per carità , l’Agenzia delle Entrate, diretta da una renzian-toscana, Rossella Orlandi, potrebbe persino ricavare più di 2,9 miliardi, ma chi assicura che siano proprio 2,9 e non di meno, tanti di meno?
Con le stime non è saggio proteggere una manovra da 36 miliardi, se poi rischi di dover attivare le clausole di salvaguardia, tipo un aumento per le aliquote Iva.
A parte i 2,9 miliardi annunciati con estremo ottimismo e 900 reperiti con l’Iva, c’è un ulteriore miliardo da recuperare con l’emersione di quelle società del gioco d’azzardo che non pagano un euro in Italia.
Il sottosegretario Graziano Delrio non spaccia i preventivi per soluzione: “Un miliardo da vera e propria lotta all’evasione, il rimanente deriverà da strumenti come Fisco amico”.
Mentre il governo promuove una posticcia “lotta all’evasione”, si consuma una tragicomica battaglia diplomatica tra la Svizzera e l’Italia per il rientro dei capitali detenuti a Berna e dintorni e sconosciuti al fisco di Roma.
Eveline Widmer Schlumpf, ministro delle Finanze elvetiche, ha bacchettato il collega italiano Pier Carlo Padoan: “La mia pazienza ha un limite. Ho spiegato la mia agenda e voglio una risposta chiara”.
La Svizzera deve uscire dai paesi in lista nera (black list), paradisi fiscali, e deve firmare un accordo con l’Italia: ci è riuscita con chiunque, non con Roma.
Quasi un anno fa, al Tesoro c’era Fabrizio Saccomanni, le penne erano ormai pronte e si ragionava su di un gettito fiscale per l’Italia di circa 8 miliardi.
In attesa, chi doveva trasferire quei soldi avrà provveduto. Ma l’Italia ci riflette su.
E riflette ancora, ogni volta per peggiorare l’impianto, sul reato di autoriciclaggio: Matteo Renzi ne faceva un punto ineludibile del programma, poi sono sopraggiunte le pressioni e le intromissioni di un pezzo di alleati (Ncd e Fi) e un pezzo di democratici.
Dopo aver ricalibrato le pene verso il basso e introdotto il “godimento personale” per indebolire la norma, cadono nel vuoto persino le osservazioni di Rodolfo Maria Sabelli, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati: “Sarà autoriciclaggio costituire fondi neri da impiegare in un’attività economica, ma non sarà autoriciclaggio l’utilizzo di somme di denaro fatte transitare su conti di copertura e poi spese per acquistare una villa di lusso per abitarci”.
Tu chiamale se vuoi, evasioni.
Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
TROPPI RINCARI FISCALI E SPENDING POCO INCISIVA
Una manovra descritta come semplice e lineare, che a una verifica più attenta non sembra così semplice, nè così lineare.
«La lettura è attenta per quel che si può – avverte Serena Sileoni, vice-direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni – perchè al momento abbiamo visto le slide del premier e alcune bozze del provvedimento, ma non c’è ancora un testo definitivo da valutare».
Avvocato Sileoni, il premier ha parlato di «manovra che abbassa le tasse». Non è abbastanza lineare?
«L’annuncio lo è, eccome. L’applicazione di questo principio linearissimo mi pare molto più complessa. Sul versante delle entrate quasi metà manovra è fatta di revisione della spesa, e non sono tagli cui si sottopone lo Stato ma gli enti locali. Significa accettare, implicitamente, la possibilità che gli enti locali aumentino le tasse: una mano dà , l’altra toglie. E poi ci sono rincari fiscali veri e propri».
Per esempio?
«Per le casse previdenziali, le rendite finanziarie, la banda larga e le slot machine. Mi rendo conto che, quando si parla di gioco d’azzardo, aumentare il carico paghi da un punto di vista dell’immagine. Anche per le rendite finanziarie il meccanismo comunicativo funziona bene. Però chiamiamo le cose con il loro nome: qui le tasse aumentano».
C’è senz’altro un impegno forte per le imprese e il lavoro, però.
«Gli interventi per il settore produttivo sono senz’altro un’ottima cosa. A cascata, migliorano le condizioni di vita e le capacità di spesa delle famiglie».
Ci sono settori o aree geografiche del paese premiati? Il taglio Irap diventa sempre più apprezzabile per le grandi imprese. Le agevolazioni Iva aiutano gli artigiani…
«Si incoraggia quanto di buono c’è già , le aree e i settori che trainano la nostra economia da sempre. E qui torniamo all’impostazione della manovra, che a me sembra molto poco innovativa: un’altra fetta consistente delle risorse si fa ricorrendo al deficit. E poi cose piccole ma significative: tornano i fondi per i Forestali calabresi, tradizione che ci portiamo dietro dal secolo scorso, mentre si era parlato di accorpare quella funzione nella polizia. Continuiamo a fare poco sulle partecipate degli enti locali, altra voragine dei conti pubblici che conosciamo da lungo tempo. E sul versante delle entrate ci sono voci aleatorie»
Un contributo robusto dovrebbe arrivare dall’evasione fiscale.
«Che è aleatoria per definizione. A meno che uno non dia mandato all’Agenzia delle Entrate di mettere in piedi un’operazione di recupero molto aggressiva, cosa che non mi pare nelle intenzioni di questo governo. Lo stesso discorso mi pare si possa fare per la spending review. Lo Stato non riesce a farla in modo incisivo».
Domanda secca: una cosa che ha apprezzato.
«Sono stati tolti dei soldi ai patronati».
Seconda domanda secca: cosa le è piaciuto di meno?
«Non stiamo aggredendo la spesa pubblica. A mio parere bisognerebbe cominciare da lì».
Marco Sodan
(da “la Stampa”)
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Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
MANI IN ALTO: STANGATA SU TFR E FONDI PENSIONE
È la più grande riduzione delle tasse della storia della Repubblica. 
È il mantra preparato da Matteo Renzi per questa campagna d’autunno detta legge di Stabilità : magari per le imprese è vero, sul lavoro invece ci sarebbe da dire.
Intanto, come hanno spiegato ieri i governatori, il premier si è pagato gli 80 euro coi soldi di Regioni e enti locali, che potranno comunque rivalersi sui cittadini aumentando le tasse locali.
E poi, parlando di salario, da una parte c’è lo sgravio Irpef e dall’altra una mazzata sul Trattamento di fine rapporto (Tfr), che poi sarebbe “salario differito”: un vero e proprio furto che vale centinaia di milioni l’anno.
Partiamo dall’idea del “Tfr in busta paga” che inizialmente sembrava l’uovo di Colombo per rilanciare i consumi e ormai Renzi non cita nemmeno più nei suoi pistolotti pubblicitari: si aderisce su base volontaria a partire dal marzo 2015 e per i successivi tre anni (esclusi gli statali, i lavoratori agricoli e quelli domestici).
La sorpresina è che verrà tassato come il normale reddito e non in misura minore come avviene oggi per il Tfr.
Tradotto: per chi guadagna tra 15 mila e 28.650 euro l’anno si tratta di una perdita contenuta (50 euro l’anno), oltre quella soglia si passa già a oltre 300 euro di decurtazione per arrivare ai 569 euro di chi prende 90 mila euro l’anno.
Non pare, comunque, che il Tesoro si aspetti frotte di lavoratori ansiosi di vedere la liquidazione in busta paga: la copertura messa da parte è appena 100 milioni.
Assai più discutibile è l’operazione che invece viene fatta sul normale Trattamento di fine rapporto e sulla previdenza complementare: i soldi messi da parte per la liquidazione vengono rivalutati ogni anno, per legge, a un tasso fisso dell’1,50% e da una quota variabile pari ai tre quarti dell’aumento dei prezzi calcolato dall’Istat per le famiglie di impiegati e operai.
Tutta roba, compresa la rivalutazione, che uno si aspetta di ricevere al momento di andare in pensione o quando finisce il rapporto di lavoro: in un’unica soluzione oppure sotto forma di pensione complementare – assai sponsorizzata dai governi – necessaria a non finire in povertà visto il livello scandalosamente basso delle pensioni calcolate col sistema contributivo.
Ebbene — chiamandole in conferenza stampa “rendite finanziarie” — Renzi ha aumentato la tassazione su queste rivalutazioni dall’11% attuale al 17%.
Non solo: l’aliquota sul risultato netto maturato dai fondi pensione passa addirittura dall’11 al 20%.
Quasi un raddoppio che si trasformerà in minori assegni mensili per chi ha pensato di versare un po’ del suo stipendio oggi per avere più reddito una volta andato in pensione.
Non si tratta di spiccioli, ma di centinaia di milioni l’anno (almeno 400 all’ingrosso) di reddito sottratti ai lavoratori.
Gli esperti, persino nella maggioranza di governo, hanno già capito cosa succederà . “Questa manovra distrugge la previdenza complementare in Italia”, dice Lello Di Gioia, socialista, presidente della Commissione parlamentare di controllo sugli enti di previdenza: “Non solo: il governo colpisce il risparmio dei lavoratori che con il secondo pilastro previdenziale pensavano di sopperire alle mancanze del primo”. Della stessa opinione Cesare Damiano, Pd, presidente della commissione Lavoro della Camera: “Tassare i fondi pensione al 20% sarebbe la fine della previdenza integrativa, quella che doveva consentire alle giovani generazioni di aggiungere alla pensione pubblica una di natura privata”.
Marco Palombi
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Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
PASQUALE CASCELLA: “MI ASPETTAVO DI PIU’ DAL PD, UN RIFORMISMO VERO, PER AIUTARE LE PERSONE, NON IL CONTRARIO”
Pasquale Cascella non è un sindaco del Sud come tutti gli altri, prima di essere eletto per il Partito democratico nella sua Barletta è stato per anni gomito a gomito con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, portavoce del capo dello Stato.
Quando il governo Renzi è nato Cascella era già in Puglia per il suo nuovo incarico. Oggi è deluso: “Mi aspetterei di più da un governo del Pd”.
Cosa succederà con questa stangata a Regioni e Comuni?
Aumenterà la forbice tra chi può resistere e bene alla crisi e chi non troverà neppure risposte sul piano del welfare. Un divario enorme non più solo tra Nord e Sud, ma crescente anche dentro una città come la mia.
Qual è la prima cosa che la preoccupa?
Garantire la manutenzione ordinaria, non dico straordinaria, della città è ormai impossibile. Realtà come Barletta così rischiano di cascare a pezzi irrimediabilmente. Noi avremo bisogno di incrementare i servizi sociali, invece si continua a perpetuare questo meccanismo con il quale la politica fomenta la rabbia della gente e si sfascia la coesione sociale. È assurdo.
Come pensa di intervenire nella sua città ?
Non lo so, studieremo qualcosa. Certo è dura, Barletta ha novantacinquemila abitanti. Negli ultimi anni abbiamo perso diecimila posti di lavoro. Questo è lo scenario. Queste persone andrebbero aiutate. Ma si continua a fare il contrario. Poi capiamoci, la spesa improduttiva va tagliata, ci vorrebbero delle regole nazionali, uniformità , altro che federalismo. Le risorse vanno ridistribuite equamente.
Quali rischi reali corrette?
Dobbiamo ridimensionare tutto, qualsiasi cosa. E un Comune del Sud come Barletta ha già possibilità assai ridotte. Se io non posso garantire i servizi alla cittadinanza cosa devo inventarmi? Ma qualcosa ci inventeremo alla fine, la politica deve trovare delle risposte comunque, non possiamo abbandonarci all’antipolitica.
È deluso dal governo del Pd?
Mi aspetterei molto di più da un governo del Partito democratico. Sul piano della serietà come prima cosa, dell’equità e della qualità degli interventi. Mi aspetterei un riformismo vero, fatto per aiutare le persone, non l’esatto contrario.
Giampiero Calapo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
IL SOSPETTO DI SILVIO: “RENZI VUOLE LE URNE E PUNTA AI CONSENSI DEL CENTRODESTRA… LA MINORANZA PD NON FARA’ LE BARRICATE
Eccezion fatta per Fassina, che di Renzi non ha timore, e per la Bindi (ecco un’altra che non le
manda a dire), nessun esponente Pd si è sbilanciato contro questa manovra, nè è corso in aiuto dei compagni presidenti di Regione presi a ceffoni dal premier.
Può darsi, anzi è probabile, che nelle prossime ore qualcuno della «ditta» rompa il silenzio, magari Bersani o lo stesso D’Alema.
Le proteste dal territorio saliranno talmente forti da costringere la minoranza interna a dare segni di vita, magari presentando emendamenti come già Fassina anticipa di voler fare.
Ma i rapporti di forza sono quelli che sono, consentono a Renzi di «asfaltare» la dissidenza.
L’unico terreno su cui la sinistra interna ancora spera di poter incidere riguarda l’articolo 18, unendo le forze col sindacato.
Sulla legge di stabilità , invece, domina il realismo politico.
Alla domanda se in Parlamento faranno le barricate contro una manovra considerata «iniqua» e troppo «liberista», gli stessi contestatori ammettono che no, grandi ostacoli non ce ne saranno perchè il governo è comunque in grado di far valere i numeri della sua maggioranza.
Dove Ncd è schieratissimo, addirittura canta vittoria con accenti che, un tempo, si sarebbero definiti da «mosca cocchiera».
Perchè è vero, come segnala via «tweet» Alfano, che il Nuovo centrodestra da sempre sponsorizza i tagli delle tasse sulle famiglie e sulle imprese; però figurarsi se Renzi vi ha provveduto in ossequio ai suoi alleati. L’ha fatto semmai per sostenere la ripresa. Oppure per calcoli molto meno nobili che attengono ai giochi della politica.
Significativa in proposito è la reazione berlusconiana.
Che in teoria dovrebbe essere ultra-favorevole per ragioni opposte a quelle della sinistra Pd, cioè di plauso a una manovra che vuole rilanciare i consumi (vecchio pallino del Cav) perfino a costo di sfidare Bruxelles (anche di ciò Forza Italia dovrebbe essere compiaciuta).
Eppure, tra i commenti da quella parte, il solo Capezzone con onestà riconosce che «la direzione non è sbagliata» e registra «un’inversione di tendenza positiva», mentre il limite di Renzi consiste nell’essersi fermato «a metà strada» mentre Capezzone avrebbe voluto che fosse percorsa tutta intera…
Brunetta invece spara contro la manovra. E il capogruppo alla Camera imbraccia il mitra delle dichiarazioni perchè quella è la linea concordata con Silvio.
Roso da invidia nei confronti di Matteo, il quale è riuscito a tagliare le tasse laddove lui non ha nemmeno provato?
No, non per questo ma perchè, dicono i suoi, «ha mangiato la foglia».
Teme che dietro la conferma degli 80 euro, dietro la mano tesa alle partite Iva, dietro al braccio di ferro con la Merkel si celi l’intenzione di andare alle urne quanto prima. E che dunque, per usare il linguaggio di Brunetta, la legge di stabilità sia «una manovra elettorale», una scusa per acchiappare voti nel bacino moderato, già pregustando una vittoria ancora più splendente di quella clamorosa alle Europee.
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
LA LEGGE MORETTI-D’ALESSANDRO NAUFRAGA AL SENATO: DOVEVA SEMPLIFICARE E RIDURRE I TEMPI A UN ANNO… L’EPILOGO: CI GUADAGNERANNO (IN SOLDI) SOLTANTO GLI AVVOCATI
Doveva essere, nelle intenzioni, una di quelle riforme che avrebbero fatto dell’Italia un Paese europeo.
È finita per essere un decreto legge che va incontro solo a una categoria di persone: gli avvocati.
Che non sono casta, ma affollano comunque le aule del Parlamento. Per chi volesse separarsi non cambia niente, o cambia poco: da domani, invece di presentarsi davanti al giudice, affiderà la mediazione all’avvocato.
Che, al contrario del giudice, vuole essere pagato. Lo chiamano divorzio facile, nella pratica sappiamo solo chi paga e chi ci guadagna. Sempre tre anni di tempo serviranno.
Eppure, l’enfasi nell’annunciare il passaggio della legge alla Camera ha reso l’idea nell’immaginario collettivo che si potesse divorziare nell’arco di brevissimo tempo. Non è così.
Le leggi devono essere approvate, non solo annunciate. Nella realtà non è accaduto niente di tutto questo: il divorzio breve, quello che la parlamentare del Pd Alessandra Moretti e il deputato di Forza Italia Luca D’Alessandro avevano pensato, non esiste.
E probabilmente non ci sarà mai, visto che la legge si è persa nei meandri del Senato, dove una parte del centrodestra aveva promesso una battaglia che poi ha vinto.
In particolare Giovanardi, inteso come Carlo, senatore di lungo corso, già democristiano e portatore di un gran numero di preferenze. Anche perchè, nel frattempo, è accaduto che Moretti reclamasse un seggio al Parlamento europeo e, alla fine, trasferita a Bruxelles, non ha potuto neppure difendere la sua riforma al passaggio in aula.
Il divorzio breve, così, è diventato divorzio facile perchè inserito nel decreto giustizia, ma è stato fatto solo nelle modalità .
Restano invece le enormi complessità , i tempi, restano le difficoltà legate all’affidamento dei figli. È successo che nei giornali è cambiato tutto, grandi titoli e annunci.
Nella realtà non è cambiato niente. Legge è dispersa. Serviranno delle modifiche, un nuovo passaggio sia alla Camera che al Senato, con le resistenze di una parte del centrodestra, quelli che rappresentano la corrente ultracattolica e conservatrice, che ne faranno una norma impossibile.
La legge prevedeva, nella sua origine, che il divorzio breve dovesse intercorrere a “dodici mesi dal deposito della domanda di separazione”, mentre oggi servono tre anni.
Nelle separazioni consensuali dei coniugi, in assenza di figli minori , il termine doveva “essere di nove mesi”. Non c’è stato niente di tutto questo.
Servivano tre anni e così è ancora oggi. Non è cambiato niente neppure nella decorrenza: il termine dei tre anni non inizia dal deposito della domanda di divorzio, ma a separazione avvenuta.
Ed è rimasta intatta anche la parte che riguarda i beni in comune: la comunione tra i coniugi si scioglie soltanto nel momento in cui, in sede di udienza presidenziale, il giudice autorizza i coniugi a vivere separati.
Alla fine il divorzio breve non è diventato altro che divorzio facile.
E per divorzio facile si intende una negoziazione assistita da due avvocati.
L’obiettivo è stato quello di saltare il passaggio del giudice, e questo è ciò che ispira tutta la filosofia del decreto legge sulla giustizia civile: snellire le cataste di pratiche che intasano, secondo il ministro, i tribunali d’Italia.
Tuttavia i senatori della commissione Giustizia una tutela per i figli di coppie separate minori o disabili hanno voluto lasciarla, prevedendo un passaggio presso un pubblico ministero.
Emiliano Liuzzi
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Ottobre 17th, 2014 Riccardo Fucile
MIRACOLO JOBS ACT: I MILLE DELL’ENTE DEL MINISTERO CONTRO LA DISOCCUPAZIONE RISCHIANO DI NON VEDERSI RINNOVATI I CONTRATTI A PROGETTO O A TERMINE
“Io lavoro in ‘Italia lavoro’ ma dal prossimo anno forse non ci lavoro più”. Lo scioglilingua è
utile per esprimere il paradosso delle politiche renziane sul lavoro.
In tempi di approvazione del Jobs Act, con la disoccupazione alle stelle, uno dei pilastri dell’intervento pubblico orientato al lavoro rischia di lasciare a casa quasi mille precari che hanno deciso di manifestare il prossimo 22 ottobre, sotto le finestre del ministero di Giuliano Poletti.
Italia Lavoro, infatti, è “un ente strumentale del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali per la promozione e la gestione di azioni nel campo delle politiche del lavoro, dell’occupazione e dell’inclusione sociale”.
Anche se è una società per azioni è equiparato a un ente pubblico.
Una struttura del genere dovrebbe essere al centro delle attenzioni di chi governa nonostante la sua nascita ed evoluzione siano state caratterizzate dal sospetto verso l’ennesimo “carrozzone”.
L’attuale presidente, Paolo Reboani, si è formato nella Prima Repubblica alla segreteria di Gianni De Michelis quando questo era ministro degli Esteri e poi a Palazzo Chigi con Giuliano Amato.
È stato direttore generale del ministero del Lavoro sia nel secondo governo Berlusconi (2001-2006) che nel terzo (2008-2010) quando a seguire il settore era un altro ex socialista, Maurizio Sacconi.
Curriculum dei vertici a parte, quello che preoccupa i circa 800 dipendenti con posizioni a progetto e a tempo determinato è il fatto che a fine anno, cioè fra poco più di due mesi, i loro contratti andranno in scadenza.
“Finirà infatti — spiega al Fatto Davide Scialotti, della Fisac-Cgil interna a Italia Lavoro — i progetti cofinanziati dal Fondo sociale europeo. Ma nessuno ci ha ancora detto che succederà dopo”.
Cgil, Cisl e Uil hanno scritto già lo scorso marzo al ministro Poletti, appena insediatosi, per affrontare la questione. Ma, da allora, non hanno avuto nessuna risposta alla loro richiesta di incontro.
I lavoratori hanno quindi cominciato a preoccuparsi. Ma il timore di perdere il posto di lavoro è aumentato quando hanno letto il Jobs Act, appena approvato dal Senato, e saputo della volontà del governo di creare una nuova Agenzia nazionale per l’occupazione.
L’acronimo, A.n.o., è già motivo di sberleffo anche perchè il progetto sembra fatto apposta per insidiare i lavoratori stessi.
Il Jobs Act, infatti, prevede che l’A.n.o. si dovrà avvalere delle “risorse umane e finanziarie già disponibili a legislazione vigente” mediante “la razionalizzazione” degli enti strumentali esistenti (e Italia lavoro lo è) e che bisognerà far confluire nella nuova Agenzia il personale delle amministrazioni periferiche e dei vari enti che, a loro volta, andranno ridotti e soppressi.
Con queste premesse la sensazione di essere agnelli sacrificali sta diventando una certezza tra i dipendenti precari (circa 800), e non solo (quelli a tempo indeterminato sono 360), che si sono ritrovati in un’assemblea particolarmente numerosa pochi giorni fa.
Da lì la proposta, presa all’unanimità , di uno sciopero di 4 ore e un presidio al ministero del Lavoro il prossimo 22 ottobre.
“Quello che ci sembra assurdo — continua il delegato della Cgil — è che da una parte si parla di creazione di posti di lavoro e dall’altra si chiude una comunità professionale coesa e competente”.
I dipendenti sono per lo più collaboratori, con contratti vanno dai 950-1.000 ai 1.400 euro al mese.
Eppure, parlando con qualche precario che ci tiene a non far sapere il proprio nome, si coglie un forte senso di appartenenza a una struttura che, dicono i lavoratori, potrebbe costituire una posizione di forza per politiche attive del lavoro: “I centri per l’impiego in Germania hanno dieci volte di più gli addetti italiani e questo la dice lunga sull’arretratezza del nostro paese”.
Inoltre, fa notare un altro, “se invece di creare una Agenzia dal nulla, si fossero potenziate, collegandole, le strutture esistenti (oltre a Italia lavoro dal governo dipende anche l’Isfol e altre strutture diverse, ndr.) si sarebbe risparmiata una nuova struttura e dato uno sbocco a persone che lavorano da anni su questo terreno”.
La richiesta dei sindacati, al momento, è di avere un confronto con il governo. Interpellato dal Fatto, il ministro Poletti ha fatto sapere di “non avere nulla da dichiarare”.
La parola, per ora, passa alla protesta.
Aspettando il Jobs Act.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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