Dicembre 23rd, 2015 Riccardo Fucile
PERCHE’ NON METTE ANCHE LA STATUINA DI LA RUSSA CHE DA MINISTRO LI HA MANDATI A PROTEGGERE INTERESSI PRIVATI ?
Si parla tanto di difesa del presepe tradizionale e poi, per conquistare una foto sui giornali, si
inseriscono soggetti estranei?
E’ quello che accade in una destra sempre più alla ricerca di “immagine” che di sostanza: ed ecco che al presepe di Fratelli d’Italia sono state aggiunte “fuori quota” le statuine che raffigurano i due marò.
L’idea “sacrilega” è di Giorgia Meloni, che nella serata di martedì ha voluto presentare “il presepe partecipato” davanti la sede del partito, con tanto di centurioni in carne ed ossa.
Tutto fa spettacolo non solo nel mondo globalizzato, ma anche in quello sovranista.
Mancava però nel presepe la statuina del “fratello” Ignazio, senza il cui decreto da ministro di allora i due marò non sarebbero mai stati a bordo di un mercantile per difendere interessi commerciali privati, con le prevedibili conseguenze che ne sono derivate.
Ma per ravvedersi e inserirlo in fondo c’è ancora tempo fino alla Befana.
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Dicembre 23rd, 2015 Riccardo Fucile
MA LA ROSSI PROVOCA MALUMORI TRA I FIGLI DELL’EX CAVALIERE… DA LETTA A SALLUSTI, DA TOTI A SIGNORINI
Non bastano i guai dentro Forza Italia. Quest’anno anche il tradizionale pranzo di Natale in quel di Arcore rischia di far venire un travaso di bile a Silvio Berlusconi.
Se a Roma, dunque, per la prima volta nella storia del partito non ci sarà la cena con i parlamentari proprio per evitare ulteriori tensioni, anche l’attovagliamento intorno al tavolo di Villa San Martino potrebbe essere foriero di malumori, questa volta familiari.
Proprio nel giorno che l’ex Cavaliere ha sempre considerato sacro, da dedicare esclusivamente ai parenti più prossimi.
Con gli anni, però, oltre ai familiari in senso stretto, al pranzo del 25 dicembre si sono aggiunti via via anche i collaboratori più fidati.
Quest’anno, però, qualcuno di loro rischia di essere ospite non gradito. Parliamo, ad esempio, di Maria Rosaria Rossi, che non vanta rapporti idilliaci con la famiglia, specialmente con Barbara. Pare che la giovane amministratrice delegata del Milan abbia addirittura minacciato di non farsi vedere.
Barbara non sopporta la Rossi e mal sopporta anche la Pascale, che invece ha stretto un buon rapporto, almeno di facciata, con Marina.
E anche questo è sintomatico del derby eterno tra le due figlie maggiori dell’ex Cavaliere.
La presenza del cosiddetto cerchio magico al pranzo di Natale, dunque, va ad aggiungersi alle tensioni tra i figli di primo letto, Marina e Piersilvio, e quelli di secondo, Barbara, Eleonora e Luigi.
Tanto che, nel corso degli anni, a Marina ha fatto riferimento l’ala più dura e pura di Forza Italia, mentre a Barbara guardano ancora i più “riformisti” e i fan del patto del Nazareno.
La stessa Barbara, del resto, in più occasioni ha avuto parole di stima per Matteo Renzi.
Altra figura non troppo gradita in famiglia è quella di Alessia Ardesi, ormai da molti considerata la vera badante di Berlusconi. Se la Rossi, tesoriera del partito, ha un ruolo più politico, è la Ardesi che gestisce l’agenda di Berlusconi e decide chi lo può vedere e chi no.
Lei (che negli ultimi tempi ha stretto un forte asse con la deputata Deborah Bergamini) al pranzo di Natale ci sarà , insieme alla Pascale.
Il rapporto di Francesca con la famiglia, invece, è migliorato da quando l’ex Cav le ha acquistato una villa in Brianza, dove lei si è trasferita da poco.
Le malelingue dicono che la storia tra i due ormai sia solo di facciata. E probabilmente è così, anche se nessuna rottura è mai stata annunciata ufficialmente.
Proprio per evitare malumori eccessivi dovuti alla presenza di Rossi e Ardesi e per stemperare il clima, per il pranzo di Natale l’ex Cav ha inoltrato altri inviti al di fuori del cerchio magico.
Così il 25 ad Arcore ci saranno Gianni Letta, Fedele Confalonieri, Giovanni Toti, Alessandro Sallusti e Daniela Santanchè, Paolo Del Debbio, Alfonso Signorini e qualche altro collaboratore non pervenuto. Senza dimenticare Dudù, Dudina e cucciolata assortita.
Grande assente Emilio Fede, che per anni non ha saltato un Natale ad Arcore.
Proprio in queste ore, intanto, un altro ex fedelissimo, Sandro Bondi, insieme alla compagna Manuela Repetti, ha annunciato l’adesione al gruppo Ala di Denis Verdini. Non ci sono più i cerchi magici di una volta.
Gianluca Roselli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 23rd, 2015 Riccardo Fucile
IL GIORNALISTA CRITICA LA RIFORMA RENZIANA: “ORA IL CDA E’ IL PARLAMENTO E L’AD E’ PALAZZO CHIGI”
Un passo indietro di 40 anni. Così Enrico Mentana commenta, in un’intervista al Fatto Quotidiano, la
riforma della Rai licenziata ieri dal Parlamento e diventata legge dello Stato.
Il direttore del Tg La7 solleva un problema di poteri interni all’azienda, di legami fra politica e azienda, ma anche di concorrenza all’interno del sistema televisivo.
“Con questa riforma torniamo a prima del 1975, a una Rai che dipende dall’esecutivo. La fonte di legittimazione del Cda è la commissione di Vigilanza, ma soprattutto l’amministratore delegato con pieni poteri è Palazzo Chigi” […] Il nodo non è tanto Matteo Renzi, perchè lui è un premier pro tempore. Il tema vero è che questa riforma schiaccia ancora di più l’emittente pubblica sotto il peso del potere politico, legandola al Governo. E la dipendenza è rafforzata anche dal Canone, che verrà rastrellato inserendolo in bolletta. una misura che crea una chiara distorsione del mercato.
Non c’è quindi solo l’effetto positivo di recuperare l’evasione del canone, ma anche quello negativo, secondo Mentana, di distorsione della concorrenza, a cui si sarebbe potuto porre rimedio fissando un tetto per la Rai.
“Che effetti ci saranno sulla concorrenza con le aziende private? Per di più, in una fase in cui c’è un incredibile calo degli introiti pubblicitari, per tutti” […] “Di certo la Rai avrà una forza enorme”.
Mentana non crede all’idea che la Rai, o altre televisioni, condizionino l’esito delle elezioni.
“In questi anni lo schieramento politico che controllava la Rai ha regolarmente perso le elezioni. E anche la Dc, che governava Viale Mazzini, perse il referendum sul divorzio” […] “La questione principale è che non si può permettere che la tv pubblica sia l’ultimo brandello della comunicazione governata dalla politica”.
Per il direttore, tutti i partiti hanno accettato la lottizzazione della Rai, ancora una volta, come si è visto in occasione della nomina dell’ultimo Cda.
“Spiace dirlo, ma sì. Tutti quanti. Anche i 5 Stelle. E fu l’antipasto di quello che è accaduto ora. Se tutti insieme hanno varato il Parlamento della Rai, è logico che l’esecutivo decida per una Rai legata all’esecutivo”
E se l’avesse fatto Berlusconi?
“Sarebbe pure peggio, perchè Berlusconi possiede già tre televisioni. Ma guardi, qui il problema è di sistema”
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 23rd, 2015 Riccardo Fucile
LA RIFORMA E’ LEGGE, SUPERPOTERI ALL’AD DALL’ORTO E CDA SCELTO DAL PREMIER
Quasi una settimana di ritardo e qualche intoppo di troppo in Senato.
Ma alla fine, dopo (solo) nove mesi, la riforma della Rai by Matteo Renzi ha avuto il via libera definitivo: varata dal consiglio dei ministri il 27 marzo di quest’anno, dopo tre passaggi parlamentari, e nonostante a palazzo Madama la scorsa settimana sia mancato per ben due volte il numero legale proprio sul voto finale, taglia il traguardo la legge che nelle intenzioni del presidente del Consiglio dovrebbe lasciare i partiti fuori dalla soglia di viale Mazzini.
“Se la maggioranza vuole mettere le mani sulla Rai, basta che stia ferma e si affidi alla legge Gasparri”, diceva allora il premier.
Eppure, è esattamente questa l’accusa che viene rivolta dalle opposizioni a Matteo Renzi.
O meglio la denuncia è di aver fatto fuori tutti i partiti per fare posto ad uno solo: il suo.
Convinzione che nasce dalla struttura della nuova governance che prevede la creazione della figura di un amministratore che ha a disposizione super-poteri finora inarrivabili per i suoi predecessori: può firmare contratti fino a 10 milioni di euro e ha massima autonomia sulla gestione economica, può nominare i dirigenti anche se per le nomine editoriali deve avere il parere del Consiglio di amministrazione.
È previsto che venga nominato dal cda su proposta dell’assemblea dei soci (dunque del Tesoro). Ma una norma transitoria affida già quel ruolo all’attuale direttore generale. Ossia, Antonio Campo Dall’Orto, storico frequentatore della Leopolda. Insomma, uomo di fiducia, che il premier ha voluto a capo della nuova tv pubblica.
Sarà dunque lui a gestire nei prossimi giorni le nomine e le indicazioni dei nuovi direttori di rete e delle testate.
E a quel punto la sua Rai, e quella di Matteo Renzi, prenderanno definitivamente forma. Qualche mossa, per la verità , l’ha già fatta, cominciando qui è lì a lasciare la sua impronta.
Una su tutte: la nomina di Carlo Verdelli nel ruolo, creato ad hoc, di direttore editoriale dell’offerta formativa.
Di fatto, una cancellazione del vecchio progetto di Luigi Gubitosi di ridurre le testate in due newsroom (con annesso taglio di posti di lavoro ma anche di poltrone da assegnare).
Ma non solo: nascono anche la direzione creativa e quella digitale, nella pratica una triade di dirigenti, uno staff, che fa riferimento direttamente a Antonio Campo Dall’Orto. Il quale, raccontano, pare intenzionato invece a fare a meno di altri vice.
Non c’è dubbio che quello delle nomine sarà il momento della verità per questa riforma della governance Rai: allora si vedrà quanto e, soprattutto, se davvero i partiti saranno rimasti fuori dai giochi.
O se questa, come accusa l’opposizione, non sia semplicemente la tv pubblica di Matteo Renzi.
Il problema è che la politica già è entrata in questa Rai, con la nomina in pieno agosto dell’attuale consiglio di amministrazione, i cui componenti sono stati eletti dalla commissione di Vigilanza con le regole della legge Gasparri.
Dunque, dichiaratamente, sulla base delle indicazioni dei partiti. Così come la scelta di Monica Maggioni nel ruolo di presidente non poteva che essere il frutto di un accordo trasversale, in questo caso Pd-Forza Italia.
La riforma varata oggi, in realtà , stabilisce criteri di nomina differenti che però saranno applicati soltanto al prossimo giro.
I componenti saranno sette e non più nove come ora: quattro eletti da Camera e Senato, due nominati dal governo e uno designato dall’assemblea dei dipendenti.
E’ inoltre prevista la figura del presidente ‘di garanzia’, che viene nominato dal cda tra i suoi membri, ma deve ottenere il parere favorevole della Commissione di Vigilanza con i due terzi dei voti.
Ma per la Rai targata Matteo Renzi c’è un’altra novità che arriva dalla legge di Stabilità : il pagamento del canone, che scende a 100 euro, attraverso la bolletta elettrica.
Un tentativo di abbattere l’altissima evasione su questa tassa.
Secondo un rapporto di Ricerche & Studi Mediobanca, con questo nuovo sistema, l’introito aumenterebbe di circa 420 milioni rispetto ai 1.569 del 2014.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 23rd, 2015 Riccardo Fucile
RIFLETTE LE DIFFICOLTA’ DELLE PICCOLE IMPRESE DEL NORD-EST E DEL CENTRO
La fiducia nelle banche è in declino. Non è certo una sorpresa nè una novità . 
Ma la novità è che il disincanto ha colpito le aree dove il rapporto con il credito era, tradizionalmente, più solido. Quasi di complicità . Fra società e banche locali. D’altronde, la crisi ha “investito” (sia detto senza ironia) soprattutto istituti di credito locali del Centro e del Nordest.
La Banca Popolare dell’Etruria, la Banca delle Marche e, prima ancora, il Monte dei Paschi di Siena, da una parte.
La Popolare di Vicenza e Veneto Banca, dall’altra.
E se osserviamo le 16 banche “commissariate” dalla Banca d’Italia, oltre metà (10, per la precisione) hanno radici dal Trentino all’Emilia Romagna. Dal Veneto alla Toscana. Fino all’Abruzzo. Da Folgaria a Padova e a Loreto. Da Ferrara a Chieti (che rientrano nel recente decreto del governo).
Non si tratta di un profilo casuale, per chi abbia analizzato le tendenze dello sviluppo economico e territoriale degli ultimi trent’anni.
Disegna, infatti, la mappa delle aree di piccola impresa. E coincide, largamente, con la “Terza Italia”, delineata da Arnaldo Bagnasco. Ripresa, in seguito, da Giorgio Fuà , nel modello NEC.
Non a caso: Nord-Est (Giorgio Lago lo rinominò Nordest, senza trattino)/ Centro. Un’Italia distinta dalle altre perchè si sottrae ai sistemi di regolazione tradizionali, centrati sulla grande impresa (il Nord Ovest) e sullo Stato assistenziale (il Mezzogiorno).
Questa Italia di Mezzo, invece, ha coltivato la complicità fra economia, società e politica. Fra “grandi partiti e piccole imprese” (per citare un importante volume di Carlo Trigilia).
Zone bianche — il Nordest — e rosse — il Centro.
Qui le banche sono anch’esse “locali”. Raccolgono il risparmio e lo erogano, in modo diffuso. Nel territorio.
Così, la crisi del sistema bancario riflette — e moltiplica — le difficoltà dei sistemi aziendali che, in queste aree, hanno perduto la spinta propulsiva degli anni Ottanta e Novanta.
Ma risente anche della fine dei grandi partiti di massa, DC e PCI, che garantivano coesione e rappresentanza politica. Non solo ai cittadini, ma anche agli interessi.
L’andamento della fiducia nei confronti delle banche riproduce queste tendenze. Il grado di “confidenza” verso le banche, fra gli italiani, agli inizi degli anni 2000 era intorno al 30% (Oss. Demos per Repubblica).
Non moltissimo, ma, comunque, non poco. D’altronde le banche sono percepite in modo diverso, secondo la scala territoriale.
Sul piano nazionale e globale, sono le istituzioni della Finanza. Che si distingue dall’Economia — intesa come attività di produzione e di commercio dei beni.
Per spiegarlo, Edmondo Berselli nel suo breve e straordinario saggio di commiato — “L’economia giusta” — ricorre alle parole di Mickey Rourke, in “Nove settimane e mezzo”.
Interpellato da Kim Basinger su cosa facesse, risponde, in modo definitivo: “I make money by money”. Faccio soldi con i soldi. Per questo è difficile immaginare come le istituzioni bancarie possano mantenere un rapporto stretto e duraturo, con la società . In tempi di tempeste monetarie e finanziarie globali, il loro “credito” (non per caso sinonimo di “attività bancarie”) si logora.
Infatti, dopo la crisi del 2008, la fiducia nei loro confronti è calata sotto il 20%. E negli ultimi anni è scesa ulteriormente, attestandosi fra il 12 e il 16%. (Sondaggio Demos, dicembre 2015). Poco più del sindacato e, ovviamente, dei partiti.
Tuttavia, come si è detto, le banche sono “anche” riferimenti sociali e locali.
Se il “credito” delle Banche, in generale, nel 2013, era intorno al 13%, la fiducia nella “banca utilizzata più spesso” saliva oltre il 50%.
D’altronde, negli ultimi anni, gli italiani hanno continuato a utilizzare le banche, anche se in modo diverso dal passato.
Lo conferma il 49simo Rapporto del Censis, presentato nelle scorse settimane.
Gli italiani, sottolinea il Censis, hanno continuato ad accrescere il loro patrimonio finanziario. Ma hanno adottato strategie “fortemente difensive”.
Così hanno privilegiato, sempre più, il contante e i depositi bancari, mentre sono crollate le azioni e le obbligazioni. Negli ultimi mesi questa tendenza è proseguita.
Si assiste, così, a un costante aumento della liquidità e, insieme, a un incremento di assicurazioni e fondi pensione.
Mentre gli investimenti in azioni e obbligazioni degli italiani continuano a ridursi. (E anche questo spiega le operazioni, talora poco trasparenti, di alcune banche per orientare i clienti in questa direzione.)
D’altro canto, appunta il Censis, “il risparmio è ancora la scialuppa di salvataggio nel quotidiano”, visto che, nell’anno trascorso, 3,1 milioni di famiglie hanno dovuto ricorrere ai risparmi per affrontare le spese mensili.
Così, in questo clima di grande incertezza, non sorprende la ripresa delle transazioni e dei mutui immobiliari. La casa, dopo anni di stallo, sembra essere tornata un (bene) rifugio. In tutti i sensi.
Ilvo Diamanti
(da “La Repubblica”)
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