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TERMOMETRO POLITICO: AUMENTANO SOLO FORZA ITALIA E L’ASTENSIONISMO

Marzo 24th, 2016 Riccardo Fucile

LA MEDIA DEI SONDAGGI SETTIMANALI: PD 32,8%, M5S 24,9%, LEGA 14,1%, FORZA ITALIA 12%, FDI 4,4%, SI 4,2%, NCD 2,9%

La settimana non è stata certo movimentata nelle rilevazioni demoscopiche.
Tolta infatti Forza Italia che rivede quota 12% gli altri partiti si limitano a piccole oscillazioni .
Verso l’alto, come il PD, o verso il basso come il Movimento 5 Stelle mentre la Lega rimane stabile al 14.1%.
Minimi anche gli spostamenti di Sinistra Italiana e Fratelli d’Italia, quasi appaiati (i primi al 4,2% i secondi poco sopra al 4,4%), mentre il Nuovo Centro Destra di allontana nuovamente da quota 3%.
Le vicende interne al centrodestra premiano solo il partito di Silvio Berlusconi, a due sole lunghezze dalla Lega di Salvini, ferma come Fdi della Meloni.
I problemi di instabilità  internazione sembrano invece favorire il Pd di Renzi a scapito dei Cinquestelle.
Torna sotto il 3% invece Area popolare, mentre Sinistra Italiana non decolla dal 4,2%, ben al di sotto di quella che fu Sel dei tempi migliori.

(da agenzie)

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OTTO PER MILLE DESTINATO AL CULTO DEI MUSULMANI, DOV’E’ IL PROBLEMA?

Marzo 24th, 2016 Riccardo Fucile

SE CON IL DUE X MILLE E’ LECITO FINANZIARE UN PARTITO XENOFOBO PERCHE’ NON SI POTREBBE DESTINARE L’OTTO PER MILLE ALLA LIBERTA’ DI CULTO?… LA PROPOSTA DI D’ALEMA E IL DELIRIO DI SALVINI

Soldi dell’otto per mille destinati anche al culto musulmano..
Massimo D’Alema, in un intervista trasmessa questa mattina da ‘Radio Anch’io’ su Radio Raiuno, parlando della difficile integrazione delle comunità  musulmane nel tessuto sociale e civile italiano, si è chiesto se non sia il caso di allargare l’accesso all’otto per mille alla religione musulmana.
“In Europa – ha premesso l’ex presidente del Consiglio e ministro degli Esteri – ci sono 40 mln di musulmani. Credo quindi dovremmo fare una riflessione, chiedendoci quale politica di convivenza stiamo facendo. E’ evidente che nell’attuale situazione le persone di cui stiamo parlando, vivono come comunità  separate dall’Europa e restano legate ai Paesi di origine. Questo crea delle aree in cui è più facile che possa infiltrarsi la propaganda fondamentalista e anche terrorista”.
“Vorrei che queste persone si sentissero a tutti gli effetti cittadini italiani – ha aggiunto D’Alema – preferirei potessero costruire le loro moschee come si costruiscono le chiese, cioè con il denaro pubblico. In Italia, per la chiesa cattolica, esiste l’otto per mille ma c’è un milione e mezzo di musulmani che non sono riconosciuti e con i quali non abbiamo un’intesa. L’Islam europeo potrebbe essere più aperto e moderno, rispetto a quello fondamentalista che viene da certi paesi.
Ovviamente sulla proposta di D’Alema è intervenuto Salvini: “Veramente D’Alema ha detto questa cosa qui? Siamo alla follia pura, follia pura. Chi non ha ancora capito che l’Islam non è una religione ma usa una religione per imporre una legge illiberale, o è complice o è matto.”
Negando che possa   addirittura esistere una religione musulmana e discriminandola di fatto, il dotto esperto in religioni Salvini ha solo confermato quello che sosteniamo da tempo, ovvero che il suo posto è a San Vittore per violazione della legge Mancino.
Con un piccolo dettaglio umoristico: chi nega l’otto per mille a un culto religioso è lo stesso che intasca il due per mille capeggiando un movimento xenofobo.

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“IL RADICALISMO NICHILISTA CHE NASCE IN FAMIGLIA”: INTERVISTA AL PROF ROY, ORIENTALISTA DELLA UNIVERSITA’ DI FIRENZE

Marzo 24th, 2016 Riccardo Fucile

“LA VIOLENZA JIHADISTA E’ PER LORO UN MODO DI AFFRANCARSI DA UNA VITA DI MARGINALIZZAZIONE”

«Anche questa volta abbiamo una coppia di fratelli tra i terroristi. Oggi Khalid e Ibrahim el Bakraoui, come ieri Salah Abdeslam e suo fratello Brahim. Oppure i due fratelli Kouachi nel caso del massacro a Charlie Hebdo . Si ripete lo stesso modello di radicalismo famigliare, molto intimo, ristretto a piccoli circoli di persone connesse con legami di sangue che si conoscono sin da bambini. È parte integrante di questo nuovo nichilismo che islamizza la radicalizzazione originaria dei suoi adepti».
Olivier Roy commenta per il Corriere le informazioni che giungono da Bruxelles sull’identità  dei terroristi.
Professore all’Istituto universitario europeo di Firenze, orientalista e politologo di origine francese, da tempo Roy esamina la crescita di quelli che definisce «nuovi nichilisti» nelle nostre città 
Dunque la cellula belga non è molto diversa da quelle che hanno colpito in Francia?
«Fanno parte dello stesso fenomeno. Sono nichilisti puri. Non cercano di costruire nulla. Non scappano in Siria a combattere. Non hanno un loro circolo, neppure cercano di fare proseliti. Vogliono semplicemente uccidere il massimo numero di persone con la massima pubblicità  possibile. Tutti vengono dalla criminalità  comune. Sino a pochi mesi fa non praticavano la loro religione. A un certo punto si sono radicalizzati in modo estremamente rapido. Dallo spaccio di droga e i piccoli crimini comuni sono passati ad ammirare Isis. Per loro l’ideologia e la pratica della violenza jihadista sono stati un modo per affrancarsi da una vita di marginalizzazione. Non contavano assolutamente nulla e improvvisamente sono diventati importanti, il mondo intero parla di loro».
Un familismo radicale?
«È un fenomeno generazionale, ma non popolare e non sociale. La radicalizzazione avviene tra gruppi minuscoli. Tra fratelli, appunto, ed eventualmente nel circolo degli amici più intimi. Rifiutano il modello offerto dai loro genitori, rifiutano la religione della moschea dove sono cresciuti. Quando scoprono Isis vorrebbero forse spiegarlo ai loro genitori, ma falliscono e si chiudono ancor più dal resto del mondo».
Sono popolari?
«Niente affatto. E a loro non interessa esserlo, si situano ai margini delle loro comunità ».
Però abbiamo visto i ragazzini di Molenbeek tirare pietre contro polizia e giornalisti.
«La popolazione di quei quartieri semplicemente è stanca di intrusioni esterne. Praticamente però nessuno accetta il terrorismo di Isis. Tutt’altro. A tirare pietre sono ragazzini di 14 e 15 anni, o poco più. Ma non si tratta di un fenomeno di massa come a Belfast tre decenni fa. È tipico dei giovanissimi in questo tipo di quartieri. Lo fanno ora, ma lo facevano anche dieci anni fa, ben prima di Isis. I giornalisti ne parlano perchè lo scoprono adesso».
È rilevante il fatto che le loro famiglie siano originarie del Maghreb?
«Certamente. In genere il problema degli immigrati maghrebini, specie di seconda o terza generazione, è che sono vittime della massima perdita di identità  culturale. Sono sradicati totali e dunque più proni ad aprirsi alle ideologie più estremiste».
Può spiegare?
«In grande maggioranza turchi, siriani, egiziani e tanti immigrati provenienti dal mondo islamico tendono a mantenere legami forti con i Paesi di origine. Molti vanno nelle loro moschee, guardano i telegiornali dei loro Paesi, ogni tanto tornano per trovare parenti rimasti e amici. Ma nel caso del Maghreb tutto questo non vale, o vale molto meno. In genere le nuove generazioni non parlano più la lingua dei padri, più facilmente di altri perdono l’abitudine delle preghiere o di recarsi alla moschea. Insomma sono deculturalizzati al massimo. E proprio questa totale perdita dell’identità  originaria culturale, linguistica, comunitaria e religiosa, li spinge più facilmente di altri a cercare risposte radicali e violente».

Lorenzo Cremonesi
(da “il Corriere della Sera”)

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RIFUGIATI SIRIANI SALVANO LA VITA A UN NEONAZISTA TEDESCO DOPO UN INCIDENTE STRADALE

Marzo 24th, 2016 Riccardo Fucile

IN PASSATO LI AVEVA DEFINITI “SCIMMIE SENZA LEGGE”

“Stop al diritto d’ asilo”, l”Integrazione è genocidio”: affermazioni xenofobe avevano spesso accompagnato i discorsi di Stefan Jagsch, politico del Partito Nazionaldemocratico (NPD) ma sorte ha voluto che a salvargli la vita in un gravissimo incidente d’auto fossero proprio i destinatari delle sue invettive, i migranti siriani.
Secondo quanto riportato dall’Independent martedì scorso due rifugiati che viaggiavano a bordo di un bus hanno avvistato una vettura che era uscita fuori strada e si era schiantata su un albero nei pressi di Bà¼dingen, vicino Francoforte.
Si sono così fermati sul ciglio della strada e hanno prestato i primi soccorsi, aiutando l’uomo ad uscire dalle lamiere.
Jagsch, al momento ancora in ospedale, ha riportato un taglio al volto e la rottura di entrambe le gambe.
“È stato un grande atto di umanità ” ha detto in un’intervista al quotidiano locale Frankfurter Rundschau il politico 29enne, candidato nell’Npd nel suo lander, ringraziando pubblicamente i due siriani per la buona azione.
Un’affermazione insolita per l’esponente del partito di estrema destra, vicino ai gruppi neonazisti e da sempre contrario alle politiche di integrazione di Angela Merkel.
In passato Jagsh è arrivato a definire i migranti “primati senza legge” e “invasori” e a marzo i 16 Lander del Parlamento tedesco hanno chiesto alla Corte Costituzionale di esprimersi sulla messa al bando del partito, considerato pericoloso per l’ordine pubblico.
In alcune occasioni anche la portavoce della cancelliera ha definito anti-costituzionale l’Npd che attualmente conta 5.200 iscritti fa del razzismo, del protezionismo economico e del nazionalismo i propri cavalli di battaglia.

(da “Huffingtonpost“)

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IN NIGERIA ARRIVA LA RESA DI BOKO HARAM: “BASTA COMBATTERE, E’ FINITA”

Marzo 24th, 2016 Riccardo Fucile

NEL 2015 IL GRUPPO JIHADISTA HA UCCISO 6.600 PERSONE… IL LEADER IN UN VIDEO SI RIVOLGE AI SUOI SOLDATI: “ARRENDETEVI”

Dopo 7 anni di guerriglia e attentati terroristici in nome della Jihad il leader del gruppo terrorista Boko Haram, Abubakar Shekau, in un video ha ordinato ai suoi combattenti di arrendersi.
Il capo supremo dell’organizzazione fondamentalista che più ha ucciso nel 2015 nel mondo, 6.644 vittime secondo il Global Terrorism Index, tra Nigeria, Cameroon, Chad e Niger, riapparso con un video in arabo dopo oltre un anno di assenza ha chiesto a Dio di perdonare i peccati commessi durante gli ultimi anni in cui sono morte oltre 20mila persone.
Shekau, su cui si era più volto speculato su una sua possibile uccisione o fuga, sembra in salute, ma notevolmente debilitato e con un tono di voce quasi dimesso.
Solo, con un kalashnikov appoggiato sulla spalla sinistra e una bandiera dello Stato Islamico a lato non sembra più incarnare quel leader che minacciava di uccidere tutti coloro che non avessero aderito al Califfato.
Ancor nessun commento ufficiale da parte del Governo nigeriano, ma l’esercito ha confermato la veridicità  del video di sette minuti e alcune fonti militari nei pressi di Maiduguri, roccaforte del gruppo terrorista, hanno lasciato trapelare che si tratterebbe di «un evidente messaggio di ritirata».
L’esercito nigeriano ha solo fatto sapere che le operazioni per smantellare i fondamentalisti proseguono e che i terroristi sono liberi di arrendersi.
Nelle ultime settimane le operazioni dei militari nigeriani si erano intensificate e molti terroristi erano stati uccisi o catturati.
Numerosi anche gli ostaggi liberati. Tuttavia la loro presenza sul territorio rimane forte.
Nello stato di Adamawa, uno dei più colpiti dall’insorgenza che ha creato 2,5 milioni di sfollati, sono state rapite 16 donne.

Lorenzo Simoncelli
(da “La Stampa”)

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JOHN, UN ELEGANTE RIVOLUZIONARIO: GRAZIE PER I SOGNI, CAMPIONE

Marzo 24th, 2016 Riccardo Fucile

CALCIO TOTALE E GIOCATE DI PRIMA: CRUIJFF NON CORREVA, DANZAVA

Johan Cruijff si puliva le scarpe da calcio da solo e si lavava la maglietta da solo. E non si faceva portare la borsa dal magazziniere
Johan Cruijff non era un 10 come Sivori, Maradona, Pelè, Platini, Zico e Del Piero. Era un 14: unico e irripetibile.
Johan Cruijff rivoluzionò il football: calcio totale, eleganza, palla giocata di prima, con semplicità . Poi, lui si permetteva il gol d’autore: una rete al volo in spaccata, una conclusione impossibile, la rovesciata abbagliante. Oppure, l’assist abbagliante.
Johan Cruijff ha vinto tutto, da giocatore e da allenatore. Mai la Coppa del Mondo: questo per dire che il pallone non è sempre giusto, a volte rotola dalla parte sbagliata.
Johan Cruijff ha fatto grandi l’Ajax e il Barcellona. Il Milan lo ha sognato per una sola partita: ma in Italia tornava sempre volentieri, soprattutto per dedicarsi agli altri: a chi soffre, agli ultimi. Perchè il calcio gli ha insegnato, proprio come ad Albert Camus, la morale e l’etica.
Johan Cruijff proprio non riusciva a mandare giù il football moderno: troppi soldi, troppi muscoli, troppe luci della ribalta. Si divertiva ancora andando nei campetti di periferia: a vedere i ragazzini giocare. Lì, ritrovava la magia del gioco più bello del mondo. Il suo.
Johan Cruijff fu il “Profeta del Gol” per Sandro Ciotti e il Pelè Bianco per Gianni Brera. Per tutti, ora, è una leggenda. E le leggende non muoiono mai.
Johan Cruijff invitava i suoi compagni o i suoi giocatori a non fare troppi ghirigori con il pallone, a non cercare la giocata difficile: dovete fare la cosa più semplice, che è anche la più complicata.
Johan Cruijff non correva, danzava. Quando prendeva il pallone, tutto il resto scompariva. Restava la sua eleganza, la sua bellezza, la sua arte.
Johan Cruijff ha conquistato tre volte il Pallone d’Oro. Ma il vero Pallone d’Oro era lui. Diego Armando Maradona ha scritto: “Non ti dimenticheremo mai, flaco”.
Il Magro che sul prato verde componeva rime baciate, versi lucenti. Era un poeta. Un poeta che riuscì a rende possibile l’impossibile.
Johan Cruijff, quando ero un inviato speciale, mi parlò a lungo, sul tintinnare della sera, nell’antistadio del Camp Nou, a Barcellona. La sua Barcellona.
Mi raccontò la sua visione del calcio. Il segreto era uno solo: giocare per gli altri, senza egoismi. La squadra come un coro perfetto. Ma, pensavo io, dopo serviva il guizzo del fuoriclasse assoluto. E il Profeta del Gol, da solo, riuscì a risolvere molte partite. Da solo.
Johan Cruijff è stato amato da tutti i tifosi. Perchè era il calcio della classe, della fantasia, dell’altruismo, dello stupore. Del rifiuto del rancore. Era una bandiera. Con tutti i colori.
Johan Cruijff se n’è andato a 68 anni, ma per tutti noi continua ad accarezzare il pallone e a farci incantare dalla meraviglia.
Grazie per i sogni, campione.

Darwin Pastorin
(da “Huffingtonpost”)

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L’AJA CONDANNA KARADZIC A 40 ANNI: “COLPEVOLE GENOCIDIO PER MASSACRO DI SEBRENICA”

Marzo 24th, 2016 Riccardo Fucile

L’EX PRESIDENTE RITENUTO RESPONSABILE ANCHE DEI CRIMINI DURANTE L’ASSEDIO A SARAJEVO

Radovan Karadzic, ex leader politico dei serbi di Bosnia, è stato giudicato penalmente responsabile di genocidio per l’eccidio di Srebrenica.
“Non responsabile” invece per insufficienza di prove del primo dei due capi d’accusa di genocidio a suo carico.
Lo ha stabilito il Tribunale penale internazionale dell’Aja che sta leggendo la sentenza.
In quest’ultimo caso si tratta di episodi accaduti in una serie di villaggi della Bosnia Erzegovina (Bratunac, Prijedor, Foca, Kljuc, Sanski Most, Vlasenica e Zvornik).
Per queste stesse vicende Karadzic è stato giudicato invece colpevole di crimini contro l’umanità , omicidio e persecuzione.
Verdetto di colpevolezza anche per i reati contestati in relazione all’assedio di Sarajevo (durato 44 mesi e che si stima sia costato la vita a 10mila persone) e all’utilizzo di 284 caschi blu dell’Onu come scudi umani.

(da agenzie)

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MOGHERINI: “LE LACRIME RIVELANO SENTIMENTI, COMPITO DELLE ISTITUZIONI E’ REAGIRE”

Marzo 24th, 2016 Riccardo Fucile

“E’ DA 15 ANNI CHE DOVREBBE ESSERE ATTIVO UN COORDINAMENTO DELLE INTELLIGENCE, GLI STATI ORA DEVONO FARLO DAVVERO”

Le sue lacrime hanno fatto molto discutere. L’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza della Ue Federica Mogherini parla alla Repubblica delle sfide che attendono l’Europa nel contrasto al terrorismo e nell’integrazione della comunità  islamica, ma sullo sfondo resta la sua commozione e le strumentali polemiche sollevate in Italia da Giorgia Meloni e dalla Lega
“Da una parte, le lacrime hanno rivelato i miei sentimenti umani. Dall’altra mi dispiace che abbiano coperto il contenuto del mio messaggio dalla Giordania, un paese con cui condividiamo le priorità  per prevenire la radicalizzazione. Abbiamo bisogno che l’Islam sia parte della nostra battaglia. Abbiamo bisogno che le voci musulmane contro il terrorismo siano udite di più. Al di là  delle emozioni, il compito delle istituzioni è di reagire e di lavorare”
Il problema è come reagire.
“Guardate qui. Queste sono le conclusioni del Consiglio europeo straordinario del 21 settembre 2001, all’indomani dell’attentato delle Torri gemelle.
Cito: “è necessario migliorare la cooperazione e lo scambio di informazioni tra i servizi di intelligence dell’Unione. A questo scopo occorre creare squadre di investigazione comuni. Gli Stati membri devono condividere tutte le informazioni utili riguardanti il terrorismo con Europol, sistematicamente e senza indugi”. Senza indugi? Questo risale a 15 anni fa” […]
“Il problema è che anche le decisioni prese non hanno seguito. Sappiamo tutti quello che bisogna fare, ma poi bisogna farlo davvero” […]
“L’idea che l’approccio europeo non funziona e quelli nazionali sì, è una pura illusione. E’ vero il contrario. Perchè quella che abbiamo oggi è la via nazionale all’anti-terrorismo, non quella europea. E’ l’approccio nazionale che non ha funzionato perchè il mondo è globalizzato, l’Unione è integrata e le connessioni con il resto della regione sono forti. E’ chiaro a tutti che occorrono strumenti europei per far fronte ad una minaccia che è, come minimo, su scala europe”

L’altra sfida è l’integrazione della comunità  islamica.
“Nei mesi scorsi sono stata criticata perchè ho detto che l’Islam fa parte dell’Europa. Sarebbe ora che capissimo che non si tratta di una presenza esterna. Questi terroristi sono cittadini europei, nati in Europa, cresciuti in Europa. E’ l’alleanza, il dialogo, la cooperazione la coesistenza di religioni diverse che risolverà  questi problemi. Se ci raffiguriamo la questione in termini di “noi”, europei e cristiani, e “loro”, arabi, musulmani, terroristi, non vediamo la verità , perchè stiamo comunque parlando di europei. E alimentiamo la stessa narrazione di quelli che vogliono dimostrare che vivere insieme, fianco a fianco, è impossibile”.

(da “Huffingtonpost”)

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L’APPELLO DEI RAGAZZI DELLA RICERCA: “SETTE IDEE PER RESTARE IN ITALIA”

Marzo 24th, 2016 Riccardo Fucile

L’APPELLO AL GOVERNO DEI VINCITORI DEI FINANZIAMENTI EUROPEI EMIGRATI ALL’ESTERO: “PREMIAMO L’ECCELLENZA, BANDI INTERNAZIONALI”

La ricerca italiana è al centro del dibattito politico delle ultime settimane. Il dato che ha originato la discussione riguarda i progetti finanziati dallo European Research Council: su 30 ricercatori con passaporto italiano che hanno ottenuto un ERC Consolidator 2015 (un finanziamento molto prestigioso che può arrivare a due milioni di euro), ben 17 lavorano all’estero (fonte: ERC).
Viceversa, la mobilità  in entrata è imbarazzante: il numero di ERC Consolidator in arrivo in Italia è zero.
La circostanza non si è verificata solo quest’anno: la quota dei finanziamenti ERC destinati all’Italia è rimasta pressochè invariata sin dal 2007, il primo anno del programma.
Ad esempio, nel 2013 i passaporti italiani con ERC Starting o Consolidator Grant erano 63, di cui ben 36 all’estero.
L’Italia destina ai PRIN (Progetti di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale) 92 milioni di euro in tre anni (il bando PRIN del 2015 arriva dopo due anni di assenza!). Ma, negli stessi tre anni 2013-2015, l’Italia ha perso ben più di 92 milioni di Euro solo fra ERC Starting e Consolidator.
Questi dati confermano un’evidenza drammatica: l’Italia ha smesso da tempo di puntare sulla ricerca.
Perde molti dei suoi giovani più brillanti e sottofinanzia quelli che rimangono. Il disavanzo fra ricercatori in entrata e in uscita, che si protrae da numerosi anni, porterà  a breve termine alla desertificazione accademica, con conseguenze disastrose e irreversibili per il Paese.
La preoccupazione per quanto sta accadendo ci ha uniti nel tentativo di individuare le principali cause di questo progressivo impoverimento e nel desiderio di proporre alcune soluzioni che, speriamo, possano fornire un punto di partenza per un piano di ristrutturazione radicale del sistema italiano della ricerca.
I problemi
1. Estrema scarsità  di fondi e investimenti
Fra il 2003 e il 2013 l’Italia ha speso in ricerca e sviluppo l’1,05-1,27% del PIL (fonte: Eurostat). La Francia ha speso il 2,09-2,23%.
La Germania il 2,42-2,88%. Per competere con questi Paesi l’Italia dovrebbe raddoppiare i fondi destinati a ricerca e sviluppo.
Le cifre includono fondi pubblici e privati, il che vuol dire che sono le politiche combinate di Stato e impresa ad essere gravemente inadeguate per la ricerca.
2. Mancanza di trasparenza nell’attribuzione dei fondi
I criteri per l’attribuzione dei fondi a ricercatori, gruppi e centri di ricerca sono opachi. Una pratica disdicevole è, ad esempio, quella di far lavorare i ricercatori più giovani e senza posto fisso alla richiesta di finanziamenti che, se ottenuti, vengono poi utilizzati in larga parte dagli accademici strutturati.
Inoltre, gli indici considerati non vengono esplicitati con il dovuto anticipo, e fanno riferimento a parametri non conformi a quelli accettati dalla comunità  internazionale. Le riviste di classe A indicate dall’ANVUR spesso non coincidono con quelle considerate per le valutazioni internazionali.
Se i (troppo pochi) fondi vengono poi concepiti come mera retribuzione di prestazioni, non sono visti come investimenti mirati anche a creare valore aggiunto: altri posti di ricerca.
Evidenza che siano così concepiti è lo scarso rilievo dato al rientro dei ricercatori italiani con ERC. Un ERC è appunto il tipo di finanziamento che crea ulteriori posti di ricerca, perchè chi lo ottiene ha di norma ingenti fondi per assumere ricercatori e dottorandi.
Ma il decreto Ministeriale del 28 dicembre 2015 n. 963 offre ai destinatari di ERC Consolidator, che spesso sono già  ordinari, un posto da ricercatore a tempo determinato o da professore di ruolo di II fascia, e ai destinatari di ERC Starting Grant, che spesso sono già  associati, un posto da ricercatore a tempo determinato. Naturalmente, questo è un disincentivo per buona parte di noi.
3. Mancanza di trasparenza nelle assunzioni, incertezza dei regolamenti.  
L’accademia italiana è gravemente gerontocratica. Dei 13.263 professori ordinari, il numero degli under 40 è sei (fonte: MIUR).
L’età  media degli ordinari è 59 anni, quella degli associati 53, quella dei ricercatori 46. I giovani hanno una probabilità  bassissima di essere assunti a tempo indeterminato. Questo spinge molti di loro ad andarsene dall’Italia e inquina il sistema nostrano che diventa sempre meno meritocratico: le assunzioni vengono fatte in base al tempo di attesa del proprio turno, indipendentemente dal lavoro svolto e dai risultati raggiunti. Così i giovani sono ridotti in condizioni di precariato, sudditanza e miseria economica.
Fra il 2003 e il 2013, circa 65.000 ricercatori hanno lavorato in Italia con incarichi temporanei. Il 93% di questi non ha ottenuto un posto a tempo indeterminato nelle università  italiane (fonte: Flc-Cigl).
In alcuni settori dell’accademia italiana vengono inoltre tollerati curriculum costituiti perlopiù da pubblicazioni in riviste locali, e/o con editori che non praticano seri e sistematici referaggi anonimi.
Per ovviare a questi problemi il sistema subisce continue ristrutturazioni. L’incessante evoluzione dei regolamenti risulta in un’incertezza cronica sulla disponibilità  di posizioni accademiche e nella scarsa trasparenza dei criteri che permettono di accedervi.
Qualche proposta.  
È un’ovvietà  che l’Italia debba investire molti più soldi in ricerca, al fine di ricreare un terreno fertile il suo sviluppo. Un paio di idee su come farlo: 1. Estrema scarsità  di fondi e investimenti: grant per i giovani ricercatori e finanziamenti ai dipartimenti virtuosi.
Grant per giovani ricercatori. Non solo l’ERC con il sistema Starting/Consolidator/Advanced, ma anche vari Paesi europei (ad esempio l’Olanda, con il sistema VENI/VIDI/VICI), riservano fondi per ricercatori giovani in termini di anni a partire dal conseguimento del dottorato.
Essi possono così evitare di competere con ricercatori che hanno un CV più robusto semplicemente perchè sono più anziani.
Questi finanziamenti sono completamente diversi da quelli destinati alle posizioni precarie da ricercatore a tempo determinato, o agli assegni di ricerca per una persona, del sistema italiano.
Le differenze sono almeno cinque: (1) le somme sono ingenti (ad esempio: in Olanda si arriva a 250.000 euro per un grant ottenibile con massimo 3 anni di anzianità  dal conseguimento del dottorato, 800.000 per un un grant con massimo 8 anni, 1,5 milioni per un grant con massimo 12 anni di anzianità ); (2) le somme sono destinate anche a stipendiare gruppi di ricercatori che lavoreranno con chi ottiene il finanziamento, generando così ulteriori posti e attività  di ricerca; (3) tali somme aiutano i giovani a ottenere ulteriori fondi in seguito (per ottenere un ERC è indispensabile poter dimostrare di aver già  diretto progetti di ricerca, per esempio); (4) i progetti “con limite di anzianità ” incentivano l’assunzione di giovani da parte dei dipartimenti che vogliano ottenere fondi; (5) i fondi vengono banditi ogni anno, permettendo una pianificazione dell’attività  progettuale tesa a massimizzare i risultati.
Fondi assegnati a dipartimenti virtuosi.  
I dipartimenti che riescano a dimostrare di aver raggiunto gli obiettivi di ricerca dovrebbero aver diritto a fondi aggiuntivi, oltre che a fondi strutturali e di base.
I criteri per la loro distribuzione devono essere stabiliti con anni di anticipo, non ex post. Tali criteri possono essere, ad esempio, il numero e il valore dei grant ricevuti; il numero di brevetti ottenuti; le pubblicazioni in riviste internazionali con seri referaggi anonimi; le citazioni ottenute, calcolate in conformità  alle pratiche internazionali nelle diverse aree di ricerca.
2. Mancanza di trasparenza nell’attribuzione dei fondi: un’agenzia per la ricerca e la mobilità  dei ricercatori
Creare un’agenzia per la ricerca, che gestisca l’assegnazione di fondi in base a giudizi espressi da commissioni a forte carattere internazionale.
Per evitare l’autoreferenzialità  accademica, i dipartimenti “virtuosi” dovrebbero ottenere più fondi aggiuntivi. I fondi di ricerca non andrebbero quindi assegnati tutti direttamente alle università  o ai gruppi di ricerca, ma andrebbero in misura cospicua assegnati a progetto, con selezione effettuata da una commissione che comprenda molti membri internazionali.
Il compito di selezionare i progetti meritevoli di finanziamento dovrebbe essere assegnato a un’Agenzia per la ricerca (sul modello della NSF americana, della DFG tedesca, della NWO olandese, e dell’ERC europea) o a un ente accreditato presso la Presidenza del Consiglio, che abbia come scopo l’organizzazione dei bandi per i progetti e quindi la gestione dei fondi per la ricerca stanziati da tutti i ministeri competenti.
Ottenendo questi fondi, un ricercatore potrà  dimostrare di essere competitivo, e il suo dipartimento potrà  ottenere fondi aggiuntivi
È essenziale per la competitività  dei ricercatori a livello internazionale, che i fondi loro assegnati siano realmente gestiti da loro.
Vanno evitate a ogni costo situazioni in cui i più anziani strutturati di fatto controllino le risorse in questione. I criteri per la valutazione di un ricercatore o di un gruppo di ricerca variano notevolmente a seconda della disciplina e dell’area.
Ma è importante che si stabiliscano, dietro consultazione di ricercatori e studiosi dell’area, criteri di valutazione che rispecchino quelli accettati dalla comunità  internazionale.
Incentivare la mobilità  dei ricercatori.
La scarsa mobilità  di alcuni membri di una comunità  scientifica può portare all’atrofizzazione del gruppo di ricerca a cui essi appartengono. Per incentivare la circolazione delle idee e rompere il meccanismo del “mettersi in coda per anni aspettando un lavoro nel proprio gruppo” proponiamo, seguendo il modello di diversi Paesi europei, che lo scatto di carriera più basso non possa essere effettuato nell’università  di provenienza: l’entrata nel mondo della ricerca come ricercatore o professore associato deve avvenire in una sede diversa dalla propria alma mater.
Favorire l’entrata di ricercatori provenienti dall’estero e combattere la fuga dei cervelli. Per evitare la fuga dei cervelli e attrarre invece ricercatori eccellenti dall’estero, l’Italia potrebbe proporre a tutti i ricercatori che concorrono per un bando ERC basato in Italia il finanziamento del progetto, qualora questo abbia ottenuto il giudizio “eccellente ma non finanziabile per mancanza di fondi” (A2).
Questa manovra, che corrisponderebbe a una cinquantina di milioni di euro all’anno, sarebbe un incentivo per ricercatori brillanti, italiani e stranieri, a sviluppare il proprio progetto in Italia: creerebbe un flusso entrante di cervelli e sosterrebbe i più brillanti ricercatori del paese.
3. Mancanza di trasparenza nelle assunzioni, incertezza dei regolamenti: un numero ricorrente e rilevante di assunzioni per anno e apertura dei concorsi
Chiari percorsi di carriera.
Allo scopo di attrarre ricercatori dall’estero e non far scappare molti dei migliori ricercatori italiani, è necessario presentare loro un piano chiaro per lo sviluppo della propria carriera.
È cruciale a questo fine che un numero ricorrente e ingente di assunzioni di prima fascia venga effettuato ogni anno. Inoltre, le modalità  secondo cui possano avvenire gli avanzamenti di carriera devono essere chiare e stabili nel tempo. Le manovre straordinarie di assunzione una tantum sono viceversa dannose: aumentano l’incertezza della posizione dei ricercatori precari e non permettono una seria pianificazione del lavoro di ricerca.
Apertura nei concorsi e commissioni aperte.
Il principio fondamentale della trasparenza nelle assunzioni accademiche è che chiunque faccia domanda per un posto, che preveda tempo per la ricerca, debba accettare di essere valutato dalla comunità  internazionale che fa ricerca nel suo campo, nel rispetto dei suoi standard. I bandi vanno pubblicizzati il più possibile, su piattaforme internazionali e almeno in inglese.
Con le ovvie eccezioni, è necessario che i bandi siano presentati nella lingua internazionale della disciplina. Alcuni sistemi accademici lasciano ai dipartimenti o alle facoltà  ampia libertà  di scegliere chi assumere.
Dubitiamo che una modalità  selettiva interna ai dipartimenti e alle facoltà , o al massimo di scambio tra le università  italiane, possa contribuire al progresso scientifico della Nazione, a causa dei summenzionati problemi di trasparenza. Sarebbe auspicabile che le commissioni fossero, al contrario, molto ampie e che, per evitare la trappola del favoritismo voluto o involontario, comprendessero il maggior numero possibile di membri internazionali.

Scritto da:
Giulio Biroli (Consolidator 2011)
Institute of Theoretical Physics, Commissariat à  l’Energie Atomique, France
Roberta D’Alessandro (Consolidator 2015)
Leiden University Centre for Linguistics, University of Leiden, The Netherlands
Francesco Berto (Consolidator 2015)
Institute for Logic, Language and Computation, University of Amsterdam, The Netherlands
Firmato da:
Nicola Aceto (Starting 2015)
Faculty of Medicine, University of Basel and University Hospital Basel, Switzerland
Luca Caricchi (Starting 2015)
Department of Earth Sciences, University of Geneva, Switzerland
Vincenzo Cerullo (Consolidator 2015)
Center for Drug Research, University of Helsinki, Finland
Gianluca Crippa (Starting 2015)
Department Mathematik und Informatik, Università¤t Basel, Switzerland
Caterina Doglioni (Starting 2015
Lund University, Fysikum Division of Particle Physics, Swede
Raffaella Giacomini (Consolidator 2015)
Department of Economics, University College London, United Kingdom
Nicola Mai (Consolidator 2015)
Department of Criminology and Sociology, Kingston University London, United Kingdom
Valentina Mazzucato (Consolidator 2015
Faculty of Arts and Social Sciences, Maastricht University, the Netherlands
Paolo Melchiorre (Consolidator 2015)
Institut Català  d’Investigacià³ Quà­mica, Spain
Valeria Nicolosi (Consolidator 2015
School of Chemistry, Trinity College Dublin, Ireland
Cristina Toninelli (Starting 2015)
Universitè Paris Diderot-Paris 7, UFR de Mathèmatiques, France
Rinaldo Trotta (Starting 2015)
Institute of Semiconductor and Solid State Physics, Johannes Kepler University, Austria

(da “La Repubblica“)

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