Febbraio 6th, 2017 Riccardo Fucile
SUI SOCIAL LA SOLITA POLEMICA: “500 EURO A CONTI MENTRE I TERREMOTATI SOFFRONO”… MA QUALCUNO LI LEGGE MAI I BILANCI?
La povera gente muore di fame e loro cosa fanno? Organizzano un “Festival della Canzone Italiana” che costa milioni di euro.
Questo è quanto si legge su diverse bacheche gentiste che — stanchi di contare i 35 euro spesi per tenere i migranti nei lussuosi hotel a 4 stelle — hanno deciso di tagliare gli sprechi e destinare invece i soldi spesi per la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto.
Sul banco degli imputati del tribunale del gentismo ci sono il Direttore Artistico del Festival (nonchè Direttore Artistico di Radio Rai) Carlo Conti e il suo cachet.
Come prima cosa balza agli occhi che il chachet di Carlo Conti per la conduzione dell’edizione 2017 del Festival è pari a 550 mila euro.
Maria De Filippi farà la co-conduttrice a titolo gratuito, come ha ribadito lo stesso Conti.
La presenza della De Filippi è la vera (e per certi versi incredibile) novità di quest’anno. Per le serate del Festival Mediaset rinuncia alla sua conduttrice di punta, una mossa che — visto quanto è amata la De Filippi — sicuramente favorirà la Rai in termini di raccolta pubblicitaria dagli inserzionisti.
Possiamo discutere se il compenso di Conti sia poco o tanto, ma per fare queste valutazioni bisogna anche tenere conto di quanto guadagna la Rai dal Festival e quante persone lavorano nell’indotto, albergatori e ristoratori a Sanremo ad esempio, ma anche tutti coloro che lavorano alla produzione del programma (tecnici, attrezzisti, truccatori, autori, autisti e così via) e alla composizione dei brani musicali.
Quanto costa il Festival di Sanremo?
La kermesse canora è senza dubbio un grande carrozzone all’interno di quell’immenso carrozzone che è il servizio pubblico radiotelevisivo ma innanzitutto bisogna ricordare che Conti viene pagato per fare un lavoro e il suo lavoro non è solo condurre il Festival ma anche quello di fare in modo che la Rai ci guadagni.
E negli ultimi due anni il Festival ha chiuso in attivo.
I costi dell’edizione 2016 Festival si aggirano attorno ai 16 milioni di euro (quest’anno dovrebbero essere 15,5) mentre con la raccolta pubblicitaria la Rai ha incassato intorno ai 21 milioni di euro ai quali vanno aggiunti gli incassi dei biglietti e altri ricavi che portano i guadagni netti a 24,6 milioni nel 2016 e 23,9 nel 2015.
Senza investire quei soldi (parte dei quali anche per il cachet di Conti) la Rai non avrebbe potuto portare gli utili intorno a otto milioni di euro.
E quest’anno Fabrizio Piscopo, Ad di Rai Pubblicità punta a 25,5 milioni di euro e soprattutto ad abbattere il 50% di share.
Ad incidere sui costi non è solo il cachet di Conti ma anche la convenzione con il Comune di Sanremo per l’utilizzo del Teatro Ariston che da sola “vale” cinque milioni di euro.
Convenzione che però è in scadenza e che andrebbe ridiscussa con il Comune che avrebbe intenzione di alzare la posta.
Insomma Sanremo costa, ma al tempo stesso è redditizio per la Rai.
E così mentre le truppe gentiste si mobilitano per l’ennesima manifestazione contro la Ka$ta radiotelevisiva la Rai continua a macinare profitti.
La stessa Rai che, ad esempio, fa campagna per la raccolta fondi per la ricerca di Telethon o per gli aiuti alle popolazioni colpite dal terremoto ad esempio con il progetto “Ricominciamo dalle scuole” per il quale stati stati raccolti un milione e mezzo di euro.
Ps. Per Salvini, Conti dovrebbe devolvere parte del compenso ai terremotati: ci faccia sapere quanto hanno versato lui e i parlamentari leghisti.
Ma con ricevute alla mano, è finito il tempo di prendere per il culo il prossimo.
(da agenzie)
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Febbraio 6th, 2017 Riccardo Fucile
RILEVAMENTO ODIERNO “OPINIONWAY”: AL PRIMO TURNO MACRON (23%) SORPASSA FILLON (20%) E ALITA SUL COLLO DELLA LE PEN (26%)… SE LA SUPERASSE GIA’ AL PRIMO TURNO PER LA LE PEN SAREBBE UN COLPO MORTALE
Ormai si profila un duello fra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron al ballottaggio per le presidenziali
di aprile-maggio: questo il risultato dell’ultimo sondaggio uscito oggi in Francia, dell’istituto OpinionWay.
Secondo lo studio, l’ex ministro dell’Economia che ha fondato pochi mesi fa il movimento “En marche”, oltre la destra e la sinistra – accreditato mesi fa di una percentuale intorno all’8% di consensi, continua la sua marcia inarrestabile e sfonda il 23% di voti, rottamando di fatto il discusso candidato di centrodestra Fillon, , travolto dallo scandalo dei presunti impieghi fittizi dei familiari, sceso al 20%, e giungendo ormai in vista di Marine Le Pen, ferma al 26%.
Il candidato socialista Benoit Hamon sarebbe fermo al 14% e quello della “France insoumise”, il radicale Jean-Luc Melenchon, all’11%.
Al secondo turno, poi, Macron batterebbe in modo ampio Marine Le Pen, con il 65% dei voti contro il 35%.
La leader del Fn sarebbe comunque battuta, anche dal Fillon “azzoppato” dallo scandalo, secondo il sondaggio, con il 61% di voti contro il 39%.
Il quadro politico sembra favorire Macron che sta puntando sull’orgoglio dei francesi stanchi delle divisioni ideologiche tra “vecchi sistemi” e politici vetusti ( sia Fillon che Le Pen), in nome di una Francia europea capace di ritornare a coniugare ” libertè, ègalitè, fraternitè”.
Se riuscisse a scavalcare la Le Pen al primo turno per il Front National sarebbe un colpo mortale.
In una conferenza stampa nel pomeriggio Fillon ha chiesto scusa ai francesi ed ha ammesso di avere utilizzato la moglie come collaboratrice ( «per 15 anni, per un importo medio netto di 3.677 euro, un salario perfettamente giustificata per una laureata in legge e lettere») oltre che di avere assunto i figli per 15 mesi come collaboratori parlamentari con un salario di 3.000 euro netti l’uno.
«Tutte le somme sono state dichiarate al fisco e i contratti sono legali», ha aggiunto Fillon, che peraltro è crollato nei sondaggi d’opinione per il ‘Penelopegate’ dopo essere stato inizialmente in testa. «Non sta al sistema mediatico giudicarmi, spetta ai Francesi decidere», ha aggiunto.
Durante la conferenza stampa c’è stato spazio anche per uno scambio molto duro fra una giornalista del sito Mediapart e Fillon. Alla domanda della cronista, «lei ha detto al telegiornale che sua moglie Penelope aveva lavorato gratis per lei fino al 1998», il candidato ha risposto attaccando il sito, che ha avuto problemi con il fisco: «io non ho mai avuto accertamenti fiscali».
Poi ha ammesso di essere stato «impreciso» perchè «per 5 giorni» ha «accusato un colpo allo stomaco»: «Mi sono fidato dei dati diffusi fino ad allora dal Canard Enchainè».
Quanto a Penelope Fillon, a proposito dello scandalo degli impieghi fittizi di cui è protagonista, ha dichiarato ai magistrati di non avere « mai ufficializzato la funzione di assistente parlamentare».
La moglie di Fillon ha tentato di dare una spiegazione plausibile circa i periodi in cui lavorava per lui all’Assemblèe Nationale. «Preparavo delle schede», a volte «mi capitava di fare le sue veci», in particolare, in occasione di eventi culturali, ha assicurato.
Penelope ha spiegato, ancora, che si occupava dell’agenda del marito e preparava la rassegna stampa.
Sull’incarico con Marc Joulard, il supplente che sostituì Fillon in parlamento dal 2002 al 2007, quando lui divenne premier, Penelope è stata piuttosto sibillina.
Joulard «aveva bisogno di me per rafforzare la sua autorità », ha detto.
Fillon riconobbe di aver chiesto a quest’ultimo di assumere la moglie in parlamento. Un modo per lui di «mantenere una presenza» nella sua circoscrizione elettorale. Secondo Le Monde, Pènelope incontrava Joulard una volta a settimana a Parigi, poi nel week-end per colloqui «molto informali» nel collegio elettorale di Sablè-sur-Sarthe.
(da “il Sole24Ore”)
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Febbraio 6th, 2017 Riccardo Fucile
“IN TRIBUNALE POTREMO COSI’ AVERE QUELLE INFORMAZIONI CHE IL M5S DOVREBBE DARE, INVECE DI NASCONDERE”
Il vice presidente della Camera alla trasmissione “L’Aria che tira” condotta da Myrta Merlino (La7) annuncia che il Movimento querelerà il nostro inviato Emiliano Fittipaldi dopo avere svelato per primo il caso delle polizze sottoscritte dall’ex capo della segreteria della sindaca di Roma Virginia Raggi.
La risposta del direttore dell’Espresso: «Non vediamo l’ora che arrivi la querela. I nuovi regolamenti dei 5 Stelle vietano agli iscritti di parlare, ma se proprio Di Maio ci vuole in Procura, lì potremo avere quelle informazioni che il Movimento dovrebbe dare anzichè nascondere, non foss’altro che per quella trasparenza che loro stessi invocano»
(da agenzie)
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Febbraio 6th, 2017 Riccardo Fucile
QUANDO GRILLO SCRIVEVA: “LA QUERELA SERVE AL POTERE, E’ UN’ARMA DA RICCHI, USATA PER INTIMIDIRE E TAPPARE LA BOCCA. DI SOLITO SI QUERELA LA VERITA’, MAI LA MENZOGNA”… COME SI CAMBIA, FREQUENTANDO LE STANZE DEL POTERE
Oggi il candidato premier dei Cinque Stelle Luigi Di Maio minaccia di presentare querela contro di
me. Mi accusa di “disonestà intellettuale” per lo scoop sulle polizze vita di Romeo, la cui beneficiaria era Virginia Raggi.
Dice che, oltre a dare la notizia, ho ipotizzato «voto di scambio». Vero. Ma non io. I magistrati.
Ho scritto, giovedì sera sull’Espresso, che «secondo ipotesi di scuola che circolano tra chi è vicino al dossier, ma che restano ancora tutta da verificare, gli investimenti in polizze potrebbero nascondere tentativi di infiltrare e condizionare le “comunarie” organizzate dal Movimento Cinque Stelle che individuarono il candidato sindaco di Roma».
E all’Aria che tira ho ribadito che quelle ipotesi investigative, su tutti i giornali il giorno dopo, ipotizzavano anche investimenti in conto terzi e voto di scambio.
Sospetti poi caduti 12 ore dopo la pubblicazione del mio pezzo, dopo che i pm romani hanno appunto verificato (analizzando i flussi sui conti di Romeo) che le ipotesi erano appunto infondate, o indimostrabili.
La storia della «polizza a sua insaputa» resta invece ancora un mistero glorioso e inspiegabile, che nemmeno di Maio riesce a chiarire.
Di Maio, per raccontare il clima nel quale lavorano i giornalisti d’inchiesta in questo paese, è solo l’ultimo arrivato.
Solo negli ultimi tre mesi sono stato minacciato di querela dall’amico di Renzi Marco Carrai («Fittipaldi fa contro di me una campagna subdola e denigratoria», novembre 2015).
Dal cardinale George Pell, che ha in passato chiuso gli occhi davanti ad abusi sessuali ed è stato pure promosso in Vaticano, e dall’ex vescovo di Messina («il libro di Fittipaldi? Opera del demonio. Querelo» gennaio 2016).
Passando per Raffaele Marra («Scarpellini e la casa Enasarco? Il livore di Fittipaldi gli impedisce un doveroso e sereno approfondimento dei fatti», così poco approfonditi che è stato arrestato 15 giorni dopo sulla base dei miei articoli, ottobre 2015, mentre Raggi, Di Maio mentre denunciavo le collusioni se lo tenevano stretto al loro fianco e al fratello Catello («i miei business a Malta? Da Fittipaldi ora voglio 100 mila euro, dicembre 2015), concludendo con Romeo («querelo “L’Espresso e Fittipaldi») e Di Maio.
Che è in compagnia anche del cardinale Tarcisio Bertone, Nicola Cosentino, Renata Polverini, Stefania Prestigiacomo e altri 200 galantuomini di cui è inutile elencare nomi.
Finora le cause le ho vinte tutte. Civili e penali.
L’Italia è al 77esimo posto della libertà di stampa non solo per giornalisti spesso proni al potere (confermo la pratica), ma anche per la barbara moda delle querele temerarie. I giornalisti hanno un ruolo delicatissimo, mettono in vetrina la vita e il destino (anche politico) delle persone, possono distruggere reputazioni, ed è giusto che chi sbaglia, paghi.
Ma le querele usate dal potere per chiudere la bocca a chi indaga sono aggressioni intollerabili. Che rischiano alla fine di sfiancare anche il più tenace dei cronisti.
Per chiudere, indovinate chi scriveva queste parole nel 2009?
«La querela serve al potere. La querela è un’arma da ricchi. Usata per intimidire. Per tappare la bocca. Per togliere i mezzi economici all’avversario. Spesso con la ricerca del pelo nell’uovo, come ad esempio un mancato virgolettato in una frase. La querela può essere penale o civile. Se va bene si infanga l’avversario e si porta a casa un piccolo tesoretto. Magari con la cessione del quinto dello stipendio di un povero diavolo…Di solito si querela la verità , mai la menzogna. Di solito chi querela sono i politici e i rappresentanti delle cosiddette istituzioni, mai i cittadini. Di solito la querela viene usata in mancanza di altre argomentazioni per finire sui giornali di regime e fare la figura dell’innocente. Schifani che non può essere processato ha querelato Travaglio, Ghedini minaccia di querela chiunque dia del puttaniere al suo cliente (in pratica mezzo mondo), Cicchitto querela l’Espresso…È il regime!».
Era Beppe Grillo.
Evidentemente dopo essere entrato nelle stanze del potere, lui e Di Maio hanno cambiato idea. Un vero peccato.
Emanuele Fittipaldi
(da “L’Espresso”)
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Febbraio 6th, 2017 Riccardo Fucile
A PAROLE VOGLIONO DIFENDERE LA FAMIGLIA NATURALE DAL NEMICO IMMAGINARIO GENDER, NEI FATTI SANNO SOLO ATTACCARE GLI OMOSESSUALI… COME MAI SULL’ETEROLOGA NON HANNO NULLA DA DIRE?
L’allarme sui pericoli della sessantasettesima edizione Festival di Sanremo lo aveva lanciato per primo a inizio gennaio il deputato siciliano ex PDL ora Lega Nord, Alessandro Pagano che aveva definito il Festival della canzone italiana di Sanremo al Festival come “il festival dell’utero in affitto”: «dando uno sguardo agli ospiti di Sanremo 2017, oltre a Mika, tra le guest star spiccano Ricky Martin e Tiziano Ferro, ovvero due testimonial della nazista pratica dell’utero in affitto» e sarcasticamente si rammaricava per l’assenza di Elton John e Nichi Vendola, la cui presenza sul palco dell’Ariston avrebbe senza dubbio completato la squadra della lobby LGBT.
Qualche giorno fa invece sono state le Sentinelle in Piedi ad annunciare una veglia di preghiera a Sanremo l’11 febbraio.
Niente di nuovo sotto il sole visto che lo scorso anno Matteo Salvini tuonava contro la presenza del baronetto britannico sul palco dell’Ariston lamentandosi che i soldi pubblici degli italiani venissero usati per fare propaganda a favore dell’utero in affitto (ma nulla dicendo sui soldi pubblici spesi per stipendiare le sue ex compagne fatte assumere negli enti pubblici dove la Lega è al governo).
Le Sentinelle in Piedi ripercorrono la storia dell’invasione della propaganda omosessualista al Festival, iniziata con l’arrivo nel 2015 di Conchita Wurst chiamata “senza alcun merito artistico” al Festival.
In realtà la Wurst, al secolo Thomas Neuwirth, l’anno precedente aveva vinto l’Eurovision Song Contest ed è un’acclamata popstar internazionale.
Ma naturalmente questo non è assolutamente menzionato nel comunicato stampa, così come la presenza l’anno scorso di Elton John e Nicole Kidman viene ricondotta al fatto che “entrambi scritturati a suon di migliaia di euro dei contribuenti unicamente perchè hanno deciso di commissionare, produrre e comprare dei bambini tramite l’abominevole pratica dell’utero in affitto che schiavizza le donne e rende i bambini merce. Fatti per cui andrebbero perseguiti dalla legge italiana che considera questa pratica illegale”.
Il che denota se non altro una curiosa concezione dei meccanismi di funzionamento della legge italiana dal momento che la gestazione per altri (o maternità surrogata) è sì un reato in Italia ma che sia il cantante britannico che l’attrice australiana non hanno avuto i loro figli in Italia.
Nel magico mondo delle Sentinelle in Piedi invece la legge italiana ha potere sovranazionale, curioso.
Inutile ricordare che “i migliaia di euro dei contribuenti” spesi per scritturare Elton John e Nicole Kidman sono stati un investimento ampiamente ripagato visto che da quando Carlo Conti è alla conduzione del Festival la manifestazione è in attivo (di circa 5-6 milioni di euro) e che altrettanto ci si attende anche quest’anno.
Ma il grande disegno della lobby LGBT continua quest’anno con la presenza di Ricky Martin, cantante che non solo ha due bambini ma che addirittura si vuole sposare con il suo fidanzato.
Purtroppo su questo punto le Sentinelle non possono nemmeno dire che questa pratica è illegale perchè da quest’anno anche in Italia si possono celebrare le unioni civili tra persone dello stesso sesso.
A tal proposito giova far notare come il richiamo alla legge sia assolutamente pretestuoso, perchè ad esempio quando fu approvata la legge sulle Unioni Civili le Sentinelle sostennero che una cosa sbagliata (ovvero la possibilità che due adulti potessero liberamente essere uniti in matrimonio) rimaneva tale nonostante la legge. Curioso: la legge va applicata solo quando piace a loro.
Eterologa sì e maternità surrogata no?
Anche Tiziano Ferro è finito nel mirino degli ossessivi difensori di uteri altrui proprio per aver dichiarato di volere un figlio.
Qui la situazione è davvero paradossale perchè il cantante italiano non ha nemmeno commesso l’orrendo crimine di cui è accusato.
Crimine che in California (e in altri stati) non è tale perchè la pratica della Gestazione per altri è legale e regolamentata.
Non si capisce perchè poi, stando al comunicato, Ricky Martin (che è fidanzato con un artista svedese di origine siriana) dovrebbe portare in Italia suo figlio.
Ed è altrettanto divertente che nella logica delle Sentinelle in Piedi a dover essere puniti per il loro ricorso alla Gestazione per altri siano solamente le coppie omosessuali e non quelle eterosessuali che non possono avere figli che rappresentano la maggior parte delle coppie che ricorrono alla pratica nota come “utero in affitto”. Non è strano che il “problema” siano solo le coppie omosessuali?
In Italia è attualmente consentito alle coppie eterosessuali di poter avere un figlio tramite la fecondazione eterologa.
Questo significa che alla donna può essere impiantato un embrione fecondato in vitro con un seme od un ovocita donato da un estraneo o un’estranea.
Nel nostro Paese è consentita anche la doppia fecondazione eterologa, ovvero anche alle coppie nelle quali entrambi i partner siano sterili.
La moglie porterà a termine la gravidanza di un figlio che nel migliore dei casi è “a metà ” di un donatore sconosciuto ma che potrebbe essere anche completamente altro rispetto al patrimonio genetico della coppia.
E non crediate che sia facile, meno problematica o meno costosa.
Perchè se possiamo immaginare abbastanza bene come avvenga la donazione di sperma e la relativa facilità della raccolta nel caso degli ovociti la situazione è decisamente diversa dal momento che le donne donatrici devono sottoporsi ad un intervento per la “raccolta” degli ovociti.
Non prima di aver preso una dose di gondotropina corionica per indurre la maturazione degli ovuli, mica crederete che ve ne aspirino uno alla volta vero? Riguardo ai costi non sono esorbitanti come per la Gpa in USA o in Canada, però nelle cliniche private si parla sempre di settemila euro per un intervento del genere. Ma stiamo parlando sempre di cifre importanti che ovviamente non tutti si possono permettere.
Eppure per l’eterologa in pochi hanno parlato di bambini comprati e resi orfani o del corpo delle donne sfruttato e mercificato.
Eppure chi nasce con la “doppia” eterologa è sostanzialmente un bambino orfano di entrambi i genitori biologici (oppure di uno solo).
Con la Gpa nel caso delle coppie eterosessuali può accadere che il figlio portato in grembo dalla madre surrogata sia figlio biologico di entrambi i genitori che poi lo cresceranno e se ne prenderanno cura.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 6th, 2017 Riccardo Fucile
LA RICETTA VETUSTA DEL RITORNO AL PASSATO PER “DIFENDERE DA SOLI I CONFINI”: ABBIAMO VISTO COME SONO CAPACI, TRA PARIGI E NIZZA
Nel discorso con cui la leader del Front National ha dato il via alla corsa verso l’Eliseo tre sono i
passaggi fondamentali: l’uscita dall’euro e il ritorno alla moneta nazionale per riacquistare la sovranità monetaria, un referendum sulla permanenza nell’Unione Europea “à la Brexit” e l’uscita della Francia dalla NATO.
Marine Le Pen vuole una Francia al di fuori del sistema della moneta unica, al di fuori del mercato unico europeo (perchè sarà quella la prima conseguenza dell’uscita dalla UE) e fuori dall’alleanza militare che ha unito i paesi dell’Occidente contro la minaccia sovietica durante la Guerra Fredda.
Un’idea quest’ultima che non è venuta in mente nemmeno ai sostenitori britannici della Brexit.
Per quanto riguarda l’uscita dalla NATO per la Francia si tratterebbe per la verità di un ritorno al passato perchè i francesi — pur essendo tra i dodici paesi fondatori dell’Alleanza Atlantica nel 1949 — uscirono in maniera unilaterale dalle strutture militari nel 1966 pur rimanendo all’interno solo degli organi politici dell’Alleanza ma al di fuori della struttura militare.
Era un periodo quello dove la Francia di De Gaulle voleva ritrovare la sua passata grandeur, il nazionalismo francese stava tornando ai suoi apici storici (nel 1960 la Francia aveva testato con successo la sua prima arma atomica) e il paese voleva affrancarsi dalla logica della contrapposizione tra i due blocchi Est-Ovest e soprattutto affermare la propria autonomia nell’Europa Occidentale che faceva parte della sfera d’influenza statunitense e De Gaulle — tra le altre cose — non voleva che le forze militari francesi fossero sottoposte agli ordini degli americani.
Di fatto però la Francia non è mai completamente uscita dalla NATO perchè ha continuato a far parte degli organismi politici (ad esempio l’assemblea parlamentare) dell’Alleanza Atlantica; ha solo smesso di partecipare alle attività militari dell’Alleanza e di contribuire militarmente alla struttura di difesa comune.
Questa situazione è cambiata nel 2009 quando l’allora Presidente francese Nicolas Sarkozy citando l’interesse della Francia e dell’Europa dopo 43 anni decise di far tornare il paese all’interno dell’organizzazione militare della NATO (già nel 1992 forze francesi parteciparono alla missione NATO in Kosovo).
Aumento delle spese militari per garantire l’indipendenza strategica
Nel suo discorso la Le Pen ha fatto leva sui sentimenti nazionalisti dell’elettorato
Le Pen e il Front National vogliono riportare il paese fuori dalla NATO anche se — così come per l’uscita dall’Euro — non è chiaro come e cosa significhi.
Sicuramente il primo obiettivo della candidata della destra populista è quello di riportare il comando delle forze militari francesi unicamente in mano francese, e lo fa nel nome della lotta al terrorismo islamico dell’ISIS che però è una minaccia che dovrebbe essere combattuta su scala globale.
Qualora la Le Pen dovesse essere eletta all’Eliseo allora la Francia uscirebbe di nuovo dalla struttura di comando militare integrata della NATAO ma probabilmente rimarrebbe all’interno dei suoi organismi di controllo politico continuando quindi ad avere una qualche voce in capitolo in merito alle decisioni politiche dell’Alleanza.
Un piede dentro e uno fuori, così come è sempre stato, e tutto sommato non dovremmo preoccuparci troppo della dipartita della Francia dalla NATO, ne abbiamo fatto a meno per quasi cinquant’anni senza che la cosa creasse troppi problemi al funzionamento della struttura militare.
Del resto così facendo i francesi rimarrebbero in ogni caso dentro l’ombrello di difesa dei paesi NATO.
L’uscita dalla NATO ha quindi un valore più che altro simbolico, un modo per la Le Pen di consentire alla Francia di rimpossessarsi del nazionalismo perduto.
Ed è interessante notare che la Le Pen giustifica l’uscita del paese spiegando che “la France ne soit pas entraà®nèe dans des guerres qui ne sont pas les siennes“, ovvero che la Francia non deve prendere parte a guerre che non sono sue, ma non è chiaro che fine faranno gli oltre 3.500 militari francesi dell’Operazione Barkhane e dispiegati nel territorio del Sahel (principalmente in Mali e in Ciad) per combattere le milizie jihadiste.
Il tutto mentre il Presidente Trump — cui la Le Pen si ispira ultimamente — ha recentemente espresso tutto il suo sostegno alla NATO chiedendo ai paesi membri di contribuire maggiormente alle spese militari (in passato Trump invece aveva definito l’Alleanza “obsoleta”).
Al momento il piano strategico di Marine Le Pen consiste unicamente nel ritiro dagli organismi militari della NATO e dal contemporaneo aumento delle spese militari in cinque anni fino al 3% del PIL (attualmente sono al 2,1% e la NATO prevede che i paesi membri spendano il 2% del PIL nel settore della difesa) ed una nuova corsa agli armamenti (ovviamente fabriquè en France) in modo da consentire il raggiungimento dell’indipendenza strategica francese.
La proposta della Le Pen nasconde quindi maggiori spese e maggior indebitamento pubblico come a dire che l’indipendenza costa cara.
Alla luce delle decisioni prese nel 2013 dal Livre blanc sur la dèfense et la sècuritè nationale che tagliarono drasticamente le dimensioni del budget militare per il quinquennio 2014-2018 (compreso il progetto di costruzione di una nuova portaerei nucleare) e che prevedeva una profonda riforma delle forze armate è da vedere come e dove Marine Le Pen troverà i soldi per farlo dopo l’uscita della Francia dall’Euro e dall’Unione Europea.
Il suo obiettivo è quello di poter — una volta fuori dalla UE — aumentare a piacimento il debito pubblico per finanziare i sogni di gloria francesi.
A pagare saranno i cittadini francesi.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 6th, 2017 Riccardo Fucile
DA APPLE A FACEBOOK E MICROSOFT, UN CENTINAIO DI COMPAGNIE HANNO FIRMATO IL RICORSO ALLA CORTE D’APPELLO DELLA CALIFORNIA…”GLI IMMIGRATI O I LORO FIGLI HANNO FONDATO PIU’ DI 200 AZIENDE DELLA LISTA DI FORTUNE”
Le grandi compagnie della Silicon Valley hanno deciso di unirsi contro il blocco dell’immigrazione per i cittadini di sette Paesi musulmani.
Da Facebook a Microsoft, da Apple a Google, i giganti della new economy hanno presentato ieri una azione legale per opporsi al bando di Trump contro Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Yemen e Siria.
La memoria che definisce “illegale” l’ordine esecutivo è stata presentata alla corte d’Appello locale della California ed è firmata in tutto da 97 aziende della Silicon Valley, dove circa il 37 per cento degli addetti nelle aziende sono stranieri.
Il decreto presidenziale, già bloccato da un giudice federale dello stato di Washington diventato bersaglio degli strali del presidente, stabilisce che i cittadini delle sette nazioni nel mirino non potranno entrare negli Stati Uniti per 90 giorni, in attesa che il nuovo governo decida quali informazioni sulla persona sia necessario raccogliere prima di consentirne l’ingresso negli Usa.
L’azione intrapresa dalle 97 aziende è un sostegno formale all’azione legale avviata dallo Stato di Washington.
Cinquantatrè pagine nelle quali vengono descritte le conseguenze che il decreto anti-immigrati di Trump può produrre.
Un impatto devastante, secondo i sostenitori dell’appello, sul business degli Stati Uniti d’America.
La preoccupazione delle compagnie, per le quali lavorano moltissimi immigrati con la Carta Verde, è che con il bando di Trump “numerosi detentori di visto di lavoro che lavorano con impegno negli Stati Uniti, contribuendo – scrivono – al successo del nostro Paese” possano avere difficoltà .
Nel documento presentato alla corte d’Appello si legge che “l’ordine esecutivo di Trump è discriminatorio in base alla nazione di origine e alla religione” e che può essere molto dannoso per gli Stati Uniti e le compagnie che cercano nel mondo i migliori talenti da assumere.
Notando che “gli immigrati o i loro figli hanno fondato più di 200 delle aziende della lista dei 500 di Fortune”, il documento afferma che l’ordine di Trump “rappresenta un allontanamento significativo dai principi di equità e prevedibilità che hanno governato il sistema di immigrazione degli Stati Uniti per più di cinquant’anni.
“L’ordine esecutivo controverso “causa anche un danno significativo sul business americano, l’innovazione e lo sviluppo”.
Nella lista ci sono, per citarne alcuni, giganti dei computer e del web come Apple, Microsoft, Intel, Netgear, Dropbox, Google e Mozilla, nella lista figurano social che insieme raccolgono miliardi di utenti: Facebook, Twitter, Linkedin, Foursquare, Reddit, Pinterest, Snap e Meetup.
Le piattaforme di crowfounding Kickstarter e Indiegogo. Lo sterminato mercato online ebay e il suo sistema di pagamento Paypal.
E poi ancora: il portale per cercare alloggi in tutto il mondo Airbnb, l’aggregatore di notizie Flipboard, l’azienda di fotocamere indossabili Gopro, la società di servizi finanziari Square, la Wikimedia Foundation che ha tra i suoi prodotti di punta l’enciclopedia Wikipedia, il servizio musicale in streaming Spotify e quello in video Netflix, la società specializzata in videogiochi Zynga, fino al più antico marchio di jeans del mondo: quelli creati nel 1853 dall’imprenditore e immigrato tedesco Levi Strauss.
Che non è l’unico “straniero” illustre che figura nella lista delle aziende firmatarie. Basti ricordare, solo per fare un esempio, che il padre di Steve Jobs (Apple) era siriano e Sergey Brin (Google) è russo.
Ma a parte i nomi di punta, tutta la storia della Silicon Valley (e non solo) è costellata dall’apporto, piccolo o grande, di immigrati provenienti da tutto il mondo.
All’interno di questo panorama colpisce l’assenza di Amazon e Tesla nell’elenco dei 97 firmatari. Jeff Bezos (nato a Cuba ed emigrato a 15 anni negli Usa), boss del colosso dell’eCommerce e proprietario del Washington Post, in una email inviata ai suoi dipendenti qualche giorno fa, ha condannato fortemente il Muslim ban, mettendo a disposizione dei dipendenti colpiti dal decreto “tutte le risorse di Amazon”.
Ma è l’assenza di Tesla, in realtà , a fare più rumore, perchè proprio il Ceo, Elon Musk (sudafricano naturalizzato statunitense), fa parte del comitato consultivo nominato da Trump. Lo stesso comitato da cui, nei giorni scorsi, si è dimesso Travis Kalanick, Ceo di Uber, dopo l’ondata di polemiche e proteste che aveva investito la sua società a seguito del decreto anti immigrati.
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 6th, 2017 Riccardo Fucile
L’EX CONS. REG DI FORZA ITALIA CAPUTO , CONDANNATO IN VIA DEFINITIVA PER TENTATO ABUSO D’UFFICIO A UN ANNO E CINQUE MESI, DICHIARATO DECADUTO DALLA CARICA DI CONSIGLIERE, RAPPRESENTA DEGNAMENTE IL PARTITO DI SALVINI
Condannato in via definitiva, decaduto da deputato regionale e quindi scelto dalla Lega come
commissario della provincia di Palermo.
Alle prossime amministrative, Matteo Salvini prova a raccogliere qualche voto anche al Sud. E per questo motivo, in questi giorni, Noi con Salvini — la costola meridionale della Lega Nord — sta cercando di riorganizzare i suoi quadri.
Pochi giorni fa il leader del Carroccio ha fatto il nome del deputato Angelo Attaguile come possibile candidato governatore della Sicilia alle regionali dell’autunno prossimo.
Democristiano di lungo corso, Attaguile era approdato alla Camera nel 2013, “nascosto” nella lista Pdl in Campania, ma in quota Mpa dell’amico Raffaele Lombardo.
Sbarcato a Montecitorio, aveva subito aperto una linea di credito con la Lega: era infatti il ventesimo deputato che ha garantito al Carroccio di mantenere un gruppo autonomo alla Camera.
Quando Salvini ha deciso di allargare la sua base elettorale, ecco quindi che proprio Attaguile è stato scelto come leader di Noi con Salvini, una versione agrodolce del Sole delle Alpi.
In vista delle comunali di maggio, dunque, la corrente sicula del Carroccio si è dotata di un nuovo commissario che dovrà coordinare la presentazione delle liste nelle 32 città della provincia di Palermo chiamate alle urne.
Incarico per il quale è stato scelto Salvino Caputo, per quattro legislature deputato regionale di Forza Italia prima e del Pdl poi.
Caputo è stato per anni un berlusconiano doc, talmente fedele che ancora oggi sulla sua pagina facebook svetta la bandiera di Forza Italia come immagine di copertina. Nel giorno del suo passaggio ufficiale tra i leghisti di Trinacria, insomma, Caputo non ha ancora trovato il tempo di aggiornare i suoi profili social con i nuovi simboli.
Poco importa, visto che il deputato Alessandro Pagano è entusiasta del nuovo acquisto: “Tutto il movimento — dice — si stringerà attorno a Caputo con grande impegno, al fine di portare avanti il nostro progetto insieme a Matteo Salvini in tutto il territorio siciliano. Nella provincia di Palermo sarà il nostro punto di riferimento a livello organizzativo nei comuni che hanno imminenti scadenze elettorali”.
Più rilevante, invece, è il fatto che il neo commissario di Noi con Salvini è stato praticamente il primo politico siciliano colpito dalla legge Severino.
Nel giugno del 2013 Caputo era infatti decaduto da parlamentare regionale.
Il motivo? Una condanna definitiva a un anno e cinque mesi per tentato abuso d’ufficio.
Da sindaco di Monreale, infatti, l’ex berlusconiano aveva tentato di cancellare alcune multe che i vigili urbani avevano contestato all’allora arcivescovo Salvatore Cassisa e ad alcuni suoi ex assessori.
Inutile il ricorso in tribunale con il quale Caputo aveva cercato di rimanere all’Assemblea regionale siciliana contestando l’illegittima retroattività della norma. “Il principio di fondo è quello per cui si vuole che venga allontanato dall’esercizio di determinate funzioni pubbliche un soggetto riconosciuto ‘indegno’ in relazione a certi fatti accertati con sentenza passata in giudicato”, aveva scritto il tribunale civile di Palermo, obbligando il politico a separarsi dal suo scranno da onorevole.
Adesso, però, Caputo torna in pista come salviniano.
Prima, però, dovrà forse aggiornare i colori dei suoi canali social.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 6th, 2017 Riccardo Fucile
PRIMA DI PARLARE DI “CIVILTA'” DA DIFENDERE, SI RIPASSI LA STORIA… GLI ORRORI DEL COLONIALISMO
Trovo questa immagine in un archivio. Non posso credere a quello che dice la didascalia: “Congo belga 1904, un padre osserva i piedi e le mani del figlio di cinque anni, tagliati perchè non aveva raccolto abbastanza gomma“.
E’ una foto che non si riesce nemmeno a guardare. Sembra impossibile, viene da sperare che sia falsa. Ma ce ne sono altre, tante, di mutilazioni inflitte in Congo dagli europei.
Allora forse è giusto riportarla (da www.rarehistoricalphotos.com) perchè non si può dimenticare.
Non si devono tacere i disagi che l’immigrazione oggi ci porta. E bisogna affrontarli. Ma questa immagine — come le altre sul Congo di inizio ‘900 — ci costringe a essere obiettivi: ci sono stati decine di milioni di schiavi deportati dai mercanti (europei, anche italiani) e uno sfruttamento selvaggio delle colonie africane compiuto dagli europei (anche da noi italiani).
Abbiamo compiuto dei genocidi. Abbiamo cancellato intere generazioni.
Abbiamo preso alla gente dell’Africa infinitamente più di quanto ci sia chiesto oggi di dare: ricchezze, ma soprattutto vite (solo in Congo ci sono stati 10 milioni di morti).
Non si può ignorare tutto questo quando parliamo di immigrazione: la miseria dell’Africa dipende anche da noi.
Più di mille parole vale questa foto.
Dopo, se ci resta qualcosa da dire, discutiamo.
Ferruccio Sansa
(da “il Fatto Quotidiano”)
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