Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
DAZI PER TUTTI, COSI’ ALLA FINE A PAGARE SONO I CONSUMATORI… CAZZI LORO SE NON GUADAGNANO I SUOI 13.000 EURO AL MESE
Matteo Salvini, lo sappiamo tutti, è il migliore amico di Donald Trump e ll Capitano della Lega Nord non perde l’occasione di cantare le lodi del Presidente USA .
Ora Donald Trump è in guerra con l’Unione Europea perchè la UE non facilita l’invasione, pardon, l’ingresso della carne bovina agli ormoni a stelle e strisce.
In fatto di carne noi europei siamo fatti così: mogli (meglio se più di una) e buoi dei paesi tuoi.
Stando a quanto riferisce oggi il Washington Post l’Amministrazione statunitense starebbe però studiando delle misure protezionistiche per punire gli esportatori europei, ivi compresi quelli italiani che vendono i loro prodotti negli States.
Si tratterebbe di dazi punitivi che colpirebbero specifici prodotti tra i quali anche alcuni di origine italiana (ad esempio la Vespa) con dazi fino al 100% del valore.
Il caso vuole che proprio ieri Salvini abbia incontrato alcuni dei risicoltori che hanno fondato il movimento di tutela del riso italiano il “Dazio è tratto” e che gli hanno regalato una felpa che ieri Salvini ha indossato durante la Gabbia Open, il programma condotto da Gianluigi Paragone su La 7.
Si tratta di un movimento apartitico e apolitico che chiede alcune misure per difendere la produzione di riso italiana tra le quali l’etichettatura obbligatoria con l’indicazione del luogo di produzione del riso e il ripristino dei dazi doganali per il riso importato dai Pma (Paesi Meno Avanzati).
Dazio è tratto non ha nulla a che vedere nè con Salvini nè con Trump ma è divertente osservare che mentre Salvini dichiara di voler difendere i prodotti nazionali (a tal proposito qualcuno dovrebbe chiedere a Salvini quanto è costata agli italiani la battaglia della Lega sulle quote latte) il suo grande amico Donald Trump ha intenzione di fare lo stesso con quelli statunitensi a discapito degli imprenditori del nostro Paese.
A quanto pare per Salvini i dazi di Trump non sono affatto un problema, il leader leghista ha infatti dichiarato di ammirare “i leader politici che fanno gli interessi dei loro cittadini. Non capisco perchè l’Italia sia governata da gente che faccia gli interessi degli altri e non degli italiani“.
Per Salvini gli americani fanno bene ed è colpa nostra che invece che eleggere leader come Putin o Trump eleggiamo quelli sbagliati:
Per il leader della Lega i dazi di Trump (o altri dazi) non penalizzeranno le imprese italiane perchè “se siamo in parità di condizioni il made in Italy non ha rivali nel mondo” il che significa probabilmente che nella visione di Salvini per giocare alla pari dobbiamo imporre dazi per il 100% del valore di qualche prodotto made in USA così ci rimetteranno anche i consumatori che vedranno salire alle stelle i prezzi. Geniale.
La cosa interessante, al di là di questi ipotetici dazi è che la guerra commerciale dell’amicoTrump all’Unione Europea (e il suo apparente sostegno a Putin che mira a destabilizzare l’Unione) potrebbe spingere gli europei a stringere rapporti commerciali più stretti con la Cina, paese i cui imprenditori notoriamente non godono dell’ammirazione e della stima dei leghisti.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
VOGLIONO TOGLIERE LE SANZIONI A PUTIN, MA NON DICONO NULLA SUL DIVIETO DI IMPORTAZIONE IMPOSTO DAI RUSSI, TACCIONO SULLA REPRESSIONE IN RUSSIA E IN VENEZUELA PERCHE’ SONO “AFFARI INTERNI”, MA LO STESSO NON VALE PER ERDOGAN?… E TACCIONO SUI DAZI AI PRODOTTI ITALIANI MINACCIATI DA TRUMP … EQUIDISTANTI? NO, SOLO SERVI DEI POTERI FORTI
Alessandro Di Battista non ha preso bene l’articolo della Stampa dove si fa riferimento alle
preoccupazioni statunitensi per il fatto che il M5S — come la Lega Nord — sia troppo vicino a Putin e che ci sia il rischio che i russi provino ad influenzare l’esito delle elezioni politiche italiane (ma anche di quelle francesi vista l’amicizia tra Marine Le Pen e il Presidente Russo).
Ma al di là dell’eventualità di un “intervento” russo nella politica italiana a dare fastidio agli americani è proprio l’essere — acriticamente — filoputiniani dei pentastellati.
Non occorre essere dei fini esperti di diplomazia per capire che questo atteggiamento finirà con il creare qualche problema al nostro Paese se i 5 Stelle andranno al governo, anche senza l’aiuto di Putin.
Scrive ad esempio Di Battista che quelle della Stampa (anche se in realtà sono considerazioni statunitensi che la Stampa riferisce) sono “tutte menzogne” e che i 5 Stelle hanno a cuore solo una cosa: il bene dell’Italia che nel caso della Russia passa per l’abolizione delle sanzioni (in seguito all’intervento russo in Ucraina) che per il deputato pentastellato “colpiscono soprattutto le nostre imprese”.
In questo senso il MoVimento non sarebbe nè filo-russo nè filo-americano ma filo-italiano, la solita balla che i 5 Stelle raccontano da anni.
In realtà a danneggiare le esportazioni italiane ed europee è la decisione della Russia di vietare l’importazione di prodotti europei.
Dire che è tutta colpa delle sanzioni imposte alla Russia racconta solo una parte della verità , quella in cui la Russia gioca la parte della vittima e non quella in cui gioca sullo stesso terreno.
I 5 Stelle però non chiedono a Putin di annullare l’ordine presidenziale che ha istituito il divieto d’importazione, c’è il rischio di farlo passare per uno “cattivo” ma questo la dice lunga sul modo con cui i pentastellati difendono gli interessi nazionali.
Anche la risposta di Manlio Di Stefano, Capogruppo alla commissione Affari esteri della Camera e da sempre l’uomo incaricato di gestire gli impegni internazionali del MoVimento (dai viaggi in Russia a quelli in Israele) si difende su Facebook dalle accuse di “connivenza” con una potenza straniera
Per qualche strana ragione ai 5 Stelle Putin sta simpatico e ci si possono fare affari mentre Erdogan — che in Turchia non agisce in maniera poi così difforme da quello che fa Putin a casa sua — non è degno di entrare nell’Unione Europea (almeno così è scritto nel “libro” a 5 Stelle).
Forse essere filo-italiani passa per l’essere anti turchi?
Oppure per l’elettorato pentastellato l’uomo forte di Mosca è più accettabile dell’uomo forte islamico di Ankara?
Non si capisce come mai inoltre i 5 Stelle, così attenti a difendere i prodotti italiani e le nostre esportazioni, non abbiano ancora battuto ciglio alla notizia che il Presidente USA Donald Trump sta studiando la possibilità di imporre dazi punitivi fino al 100% su alcuni prodotti di origine europea tra cui l’italiana Vespa (Piaggio), l’acqua Perrier (Nestle’, che produce anche la San Pellegrino) e il formaggio Roquefort in risposta al bando Ue sulla carne di manzo Usa di bovini trattati con gli ormoni.
Un tema sul quale i 5 Stelle dovrebbero essere naturalmente sensibili ma rispetto al quale — probabilmente per non interferire nelle decisioni di Trump (che pure gode della stima di Putin).
L’infatuazione del MoVimento per gli uomini forti (che evidentemente evocano il ricordo del Capo Politico del partito) passa anche per il Venezuela dove Manlio Di Stefano, Ornella Bertorotta e Vito Petrocelli si sono recati in pellegrinaggio ad inizio marzo proprio nei giorni in cui veniva celebrato l’anniversario della morte di Hugo Chavez l’uomo che si oppose alle richieste del FMI e che tutti i leader dei paesi oppressi dal debito pubblico sognano di essere prima o poi.
Alla ricerca di una spremuta d’umanità (cit.) i pentastellati hanno incontrato una delegazione di nostri connazionali ma le cose, come raccontava il Foglio, non sono andate poi così bene.
Alcuni esponenti della comunità italiana in Venezuela hanno criticato il fatto che i 5 Stelle non abbiano votato la mozione di condanna del regime venezuelano.
Loro si sono difesi spiegando che “non intervengono nelle questioni interne di un paese terzo” (che è appena più diplomatico di dire “bisogna dialogare con l’ISIS“) e che non è assolutamente vero che quello venezuelano è una dittatura.
Certo le persecuzioni di oppositori politici e critici del regime di Chavez prima e Maduro oggi sono all’ordine del giorno così come le violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di polizia ma per i 5 Stelle non si tratta di questioni preoccupanti, in fondo in Italia “grazie a Renzi” ci sono un sacco di giovani disoccupati e poi in Venezuela — disse l’onorevole Bertorotta che è capogruppo alla commissione Affari esteri del Senato — c’è un ottimo programma di insegnamento musicale nelle scuole.
Ma cosa ne possono capire loro della mancanza di medicinali, dei supermercati sempre chiusi dove la gente fa la fila per ore, della moneta locale che vale meno di zero, dell’inflazione galoppante (ma, ehi, stampano la loro moneta!) e della mancanza di denaro per poter pagare le ditte che stampano le banconote (ma ehi, hanno la sovranità monetaria).
In fondo per 5 Stelle come Di Maio la situazione è molto meglio oggi di quando in Venezuela comandava il dittatore Pinochet.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
DOPO DI MAIO, ARRIVA DI STEFANO CON “LE IENE SI SONO INCAPPONITE CONTRO DI NOI”… FORSE PENSAVA AI CAPPONI DI RENZO TRAMAGLINO?
I politici italiani, diciamolo subito, non ci hanno mai fatto mancare strafalcioni e ignoranze. Politici di ogni colore.
Silvio Berlusconi, per citarne solo uno, ne era un campione, quando disse – per fare solo un esempio – “Romolo e Remolo” ( raccontando una storia davanti ai leader del mondo abbastanza divertiti, va detto) fece immediatamente la storia, o quando pronunciò il discorso in inglese in Texas, davanti a un sorridente George W. Bush: è tuttora uno dei video più cliccati su youtube, e non gli ha fatto certo perdere elezioni.
Ma gli strafalcioni o le lacune berlusconiane avevano come un che di sorridente, assai di rado il Cavaliere dava l’impressione di voler dar lezioni, semmai cercava complicità , voleva affabulare, e se s’infilava nel ginepraio culturale o nelle insidie del latinorum era, solo e soltanto, per piacere.
Agghiacciante lo diventava, semmai, quando emanava editti bulgari, non quando faceva il colto per dar di gomito all’interlocutore.
Potremmo citare altri esempi, ripetiamolo, con ignoranze diverse, spesso molto meno divertenti, ma quasi mai fiere della propria ignoranza. Non sapere le cose era, fino a oggi, tutto sommato qualcosa da dissimulare. A volte, malamente.
Quello che sta accadendo in questa stagione italiana è, invece, un totale inedito.
Errori storici, culturali, linguistici, sintattici, economici, vengono ormai esibiti dai nuovi potenti col fiero cipiglio di chi, oltretutto, ritiene di dare una lezione all’interlocutore, o di aver scoperto una qualche pietra filosofale (l’interlocutore, naturalmente, la conosce e l’ha letta da anni, ma ciò non rattiene il nuovo politico).
I politici del Movimento cinque stelle, certo non i soli a brillare, mostrano come un’eccellenza, in questa gara.
L’altra sera, da questo punto di vista, si è assistito a uno spettacolo rivelatore ancorchè grottesco oltre ogni immaginazione. Durante il talk show Rai Cartabianca si stava parlando di “moneta fiscale”, l’ultima proposta europea dei grillini, quando Luigi Di Maio – uomo che aspira a fare il premier per quella che è la prima forza politica italiana attuale, stando a tutti i sondaggi – ha detto: “I certificati di credito fiscale non ce li siamo inventati noi, ma li hanno inventati economisti come Ortona, e il defunto psicologo come Gallini”.
Ferruccio de Bortoli ha avuto lì per lì la prontezza di riflessi di correggerlo garbatamente, “Gallino”: era chiaro (ma a quanti ascoltatori?) che a Di Maio era stato fornito un elaborato che si riferiva a una vecchia idea di Luciano Gallino, autorevole intellettuale torinese, sociologo del lavoro, naturalmente, non psicologo (non è chiaro del resto cosa ci sarebbe entrato uno psicologo in un dibattito sulla moneta unica).
Ma il momento più allarmante è stato forse quando Di Maio, dopo l’errore, ha ritenuto di ricordare, a Massimo Giannini, che “lo psicologo Gallini tra l’altro ha scritto proprio sul giornale di Giannini”.
Col tono di chi gli stava rimarcando: Giannini dovrebbe conoscerlo. Ora, Giannini naturalmente conosceva bene Luciano Gallino, mentre è più difficile che conosca lo “psicologo Gallini”.
Ma il punto è questo: Di Maio, dopo l’errore, s’è pure avventurato nella puntura di spillo in stile dalemiano. Non se lo può permettere.
E è questo il punto: quello che colpisce non è solo, qui, l’ignorare o l’errare: può capitare a tutti, davvero. Ma un ignorare che si sente ormai così forte da passare all’attacco.
Di Maio in quel momento si avventura a spiegare l’economia a Ferruccio De Bortoli e a Massimo Giannini.
E’ questa la tragedia contenuta nell’episodio, in sè minimo ma rivelatore. Pochi giorni prima aveva presentato alla stampa estera il “Libro a 5 stelle”, e quando un giornalista gli ha chiesto dove fosse reperibile il libro, per leggerlo con interesse, ha spiegato che ne sono state scritte, al momento, quindici pagine.
Sempre ieri, stavolta su Sky, per lamentare che quelli delle “Iene” sono accaniti contro il M5S (perchè hanno svelato la storia delle presunte irregolarità negli atti di raccolta firma per la candidatura Raggi, dopo il caso Palermo), un altro politico nuovo, Manlio Di Stefano – stavolta, l’aspirante futuro ministro degli Esteri – ha spiegato che alle Iene si sono “incapponiti contro di noi”: con due p, avete letto bene.
Non è parso si riferisse ai capponi di Renzo Tramaglino, ma a sgomberare il dubbio che fosse solo un lapsus, l’ha ripetuto due volte: “incapponiti”.
Sostiene Tom Nichols, che in America ha appena mandato in libreria un saggio intitolato “The Death of Expertise. The Campaign Against Established Knowledge and Why it Matters” (“La morte della competenza. La campagna contro la conoscenza stabilita, e perchè deve riguardarci”), e discusso dal New York Times come uno dei libri simbolo di questa epoca, che il trumpismo coincide anche con l’età della non conoscenza al potere, vissuta non più come tara da emendare, o al limite almeno nascondere, ma come orgoglio popolano da esibire.
Il non sapere le cose ci rende popolo, contro i saperi costituiti, che sono casta. Naturalmente, è un libro che non parla dell’Italia.
(da “La Stampa”)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
OBIETTIVO PROSEGUIRE NELLA PULIZIA ETNICA PER TOGLIERE DI MEZZO CHI RAGIONA CON LA PROPRIA TESTA
C’è del metodo nella follia grillesca.
L’apparente incomprensibilità della mossa di depennare la propria candidata sindaco di Genova, seppure scelta nel rispetto rigoroso delle regole interne al movimento e poi coperta da una pioggia di contumelie, serve indubbiamente a blandire i pretoriani più vicini al satrapo.
I thugs che mal sopportavano un barlume di giudizio indipendente in Marika Cassimatis (con cui — invece — a suo tempo avevo fatto personalmente a capocciate, proprio per quella che ai miei occhi appariva la sua ortodossia cinquestelle credere-obbedire-combattere).
La stessa motivazione dell’odio per Federico Pizzarotti, la cui scandalosa indipendenza di giudizio evidenziava per contrasto il servilismo degli yes-men/women in bivacco permanente attorno al sacrario della dea Kali a Sant’Ilario.
Dove si è celebrato questo indecente baccanale sanguinolento, con cui si è voluto fare a brandelli la dignità stessa di una persona, mettendone in discussione prima di tutto la dirittura morale (“mela marcia”) e poi arrivando al delirio di suggerirle il suicidio, non si sa quanto virtuale, a mezzo cicuta. Proprio quella persona con cui si era militato fianco a fianco per anni.
Quanto era noto anche ai più che condiscendenti colonnelli nazionali, sempre attenti a evitare che un soprassalto di verità ne metta a repentaglio la carriera (a partire dal Che Guevara de noantri Alessandro Di Battista, per arrivare all’aspirante dottor sottile fuori corso Luigi Di Maio).
Ma qui sta il metodo, se si analizza la vicenda con il minimo distacco: questa serie di provocazioni, questo sistematico calpestio di una persona contravvenendo i principi che ci si è dati (una votazione suppletiva su base nazionale per una decisione assolutamente locale) e lo stesso buon senso, vanno interpretati come una sorta di drappo rosso agitato davanti agli occhi della Cassimatis; di cui è sempre stato noto il carattere fumantino. Proprio per scatenarne la reazione, come è puntualmente avvenuto.
Tanto che adesso è molto probabile la cancellazione di una lista 5S nella votazione amministrativa genovese, in cui i sondaggi le assegnavano la pole position.
Dove starebbe il vantaggio?
Presto detto: proseguire nella pulizia etnica interna sbarazzandosi di tutti i residui rompiballe (e l’aspirante sindaca sgarrettata era rea di giudicare il gran capo con lo stesso metro su cui il Movimento misura il mondo esterno: aveva criticato la designazione del commercialista di Grillo nel board della Finanziaria Ligure), soprattutto cancellare ogni impegno che disturbi la concentrazione sulla scadenza del 2018.
Ossia la possibile conquista della maggioranza di governo nelle elezioni politiche.
Perchè è questo l’Eldorado inseguito dalla Ditta che controlla il movimento.
Un balsamo prezioso per il SuperEgo di Beppe Grillo, la cui personalità ha subito un’inquietante dilatazione dal tempo di quel ragazzo cinico/opportunista che fregava le battute ai colleghi comici del suo stesso quartiere, quanto un’opportunità incommensurabile di business per la Casaleggio Associati; potendo contare su una compagine governativa telecomandabile.
Neppure l’avventurismo berlusconiano era giunto a concepire un disegno di questo livello, al tempo stesso futuribile e delirante.
Una sorta di incubo orwelliano, in cui Grillo starà in scena installandosi nel Ministero dell’Amore, preposto alla conversione dei dissidenti con proclami assommati a interventi della psico-polizia, e Davide Casaleggio controllerà nell’ombra il Ministero della Verità .
Un futuro plausibile e un delirio inevitabile, se le alternative sono Matteo Renzi (non certo insidiato nel suo ritorno in campo dal fantasmino Andrea Orlando o dal trombone Michele Emiliano) e il trio Salvini-Meloni-Toti, eredi piromani del decrepito Berlusconi.
Pierfranco Pellizzetti
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
IN ITALIA SONO 25.000 LE AZIENDE AGRICOLE GUIDATE DA UN IMPRENDITORE STRANIERO… 320.000 I LAVORATORI STRANIERI NEI CAMPI CHE PERMETTONO AL SETTORE DI SOPRAVVIVERE
Non solo sfruttamento, anzi l’agricoltura è uno strumento per l’integrazione perchè, per dirla con Dino Scanavino, presidente nazionale della Cia-agricoltori italiani, i “numeri dimostrano come il Made in Italy cresca con il lavoro degli stranieri”.
I numeri, allora: in tutta Italia ci sono 25 mila aziende agricole guidate da un imprenditore straniero, 12 mila dei quali sono guidate da extracomunitari.
Imprese che creano ricchezza visto che versano complessivamente 11 miliardi di oneri fiscali e previdenziali.
Un’azienda su tre conta almeno un lavoratore straniero, in tutto sono 320 mila di cui 128 mila extracomunitari.
Numeri che secondo la Cia – che ha aperto a Bologna i lavori della sua conferenza economica – possono permettere di realizzare un ricambio generazionale che nei campi e’ praticamente fermo, sotto il 7 per cento.
Ancora Scanavino: “Con i titolari d’azienda italiani con un’età media superiore ai 60 anni c’è’ il rischio concreto di un dimezzamento degli addetti nel settore nei prossimi 10 anni”.
Maurizio Tropeano
(da “la Stampa”)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
QUALCUNO SI E’ DOVUTO RIMANGIARE I TITOLI SUL “BRANCO DI ALBANESI SELVAGGI E ASSASSINI”… MA CHI HA LA FACCIA COME IL CULO TROVERA’ UN’ALTRA OCCASIONE PER SEMINARE ODIO, TANTO MINNITI HA ALTRO DA FARE CHE PERSEGUIRE L’ISTIGAZIONE ALL’ODIO RAZZIALE
Che fine hanno fatto gli albanesi che secondo molti giornali avevano massacrato a calci, pugni e
sprangate il 20 enne di Alatri Emanuele Morganti?
L’arresto di Mario Castagnacci e Paolo Palmisani per l’omicidio di Emanuele ha fatto quasi del tutto scomparire la pista seguita da alcuni segugi della notizia che fin da subito avevano addossato la responsabilità materiale delle violenze ad un albanese o a un non meglio precisato gruppo di albanesi.
Martedì 28 marzo durante una conferenza stampa il Procuratore Capo di Frosinone Giuseppe De Falco ha spiegato che la sequenza di eventi che ha portato alla morte di Emanuele è nata «da un diverbio in discoteca non con un ragazzo albanese».
A dare il via alla rissa una lite banale per avere la precedenza al bancone tra Emanuele e “un albanese” che mentre la barista stava servendo Morganti e la sua ragazza Ketty Lisi si intromette per chiedere un drink. In realtà quell’albanese è un italiano: il suo nome è Memmo Paniccia.
È lui, spintonando Emanuele, a richiamare l’attenzione di un suo amico buttafuori che prima prende a pugni Morganti e poi assieme ad altri due colleghi lo trascina fuori dove ci sono Castagnacci e Palmisani e dove viene consumata l’ultima parte dell’insensata violenza alla quale avrebbe partecipato anche il padre dei due arrestati che secondo alcuni testimoni sarebbe intervenuto armato di un oggetto metallico (una chiave inglese o una chiave per svitare i bulloni delle auto) che però gli inquirenti dicono di non aver rinvenuto.
Il Corriere della Sera oggi riporta il raconto della barista del Mirò che ha visto l’inizio della rissa:
Emanuele mi aveva chiesto quattro shot di Tequila. A un tratto si avvicina al bar un ragazzo. Mi mostra 2 euro e mi chiede da bere. Dico che al massimo posso dargli una Lemonsoda. Vuole un cocktail. Dice di avere già speso cento euro
Per arrivare al bancone quel ragazzo — Domenico Paniccia — spintona Emanuele e così a partire da motivi futili e banali si arriva a quella che il Procuratore De Falco ha definito una vicenda “di una gravità spaventosa”.
I protagonisti di questa vicenda sono italiani: i due ragazzi ora in carcere che hanno aggredito Emanuele fuori dal Mirò e il ragazzo che ha dato il via alla rissa scatenando una lite perchè voleva un cocktail da due euro.
Gli albanesi invece sono i protagonisti delle cronache, perchè sotto sotto quando si parla di “violenza del branco” in molte redazioni è innegabile che si pensi ad un branco di albanesi.
Un popolo che per anni è stato dipinto dai giornali con tratti più simili a quelli delle bestie che a quelli degli esseri umani.
Per anni politici e giornalisti hanno soffiato sul fuoco della paura, dell’invasione degli albanesi che rubavano il lavoro agli italiani, che “erano tutti delinquenti”.
Più un decennio di propaganda contro un gruppo di persone che in moltissimi casi si è perfettamente integrato nel nostro Paese hanno lasciato il segno: se c’è una rissa, tanto più se c’è da difendere l’onore di una ragazza di mezzo sui giornali c’è sempre “un albanese”.
Ed è così che si arriva ad articoli come quelli di Grazia Longo pubblicato ieri dalla Stampa dove si parla di un “patto fra italiani ed albanesi per massacrare Emanuele”. Di quel patto nell’articolo non c’è traccia nè spiegazione mentre si continua invece a parlare del fatto che i due italiani arrestati “sono amici di un albanese che aveva spintonato Emanuele, “colpevole” di rubargli il posto nell’ordinazione di un drink“. Per evitare di cadere in contraddizione la giornalista cita solo una parte della frase del Procuratore De Falco che sulla Stampa dice: «si è trattato di una vicenda di una gravità spaventosa perchè per motivi banalissimi si è arrivati alla drammatica morte di un ragazzo innocente e perbene» mentre in conferenza stampa il Procuratore Capo di Frosinone aveva detto: «perchè per motivi banali, una lite di una bevanda, si è arrivati alla morte di un ragazzo innocente e perbene. Tutto nato da un diverbio in discoteca non con un ragazzo albanese».
La Stampa quindi sapeva che non c’era alcun albanese coinvolto ma ha preferito sorvolare sulla questione per poter continuare ad agitare lo spauracchio degli albanesi. Si parla ad esempio del “clan albanese della zona” che ce n’è sempre uno quindi inutile entrare nei dettagli ed essere troppo specifici mentre sulle eventuali amicizie dei due fermati con il mondo della criminalità organizzata italiana si può tranquillamente soprassedere, il Procuratore De Falco ha parlato del fatto che i due arrestati “sono riconducibili ad ambienti delinquenziali” e non è da escludere “che abbiano agito per affermare una propria capacità di controllo del territorio” non ha parlato di legami con la criminalità organizzata (che però non possono essere esclusi) e tanto meno di clan albanesi (si potrebbe ad esempio parlare di altre organizzazioni che controllano lo spaccio).
Però nelle cronache è più semplice dare la colpa ai “clan albanesi” che ai soliti noti a quei clan italiani — Spada e Di Silvio — che controllano i traffici criminali nella zona del litorale romano e nel frusinate.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
E QUESTO DOVREBBE FARE IL MINISTRO DEGLI ESTERI? FORSE DI PUTIN… POI ESALTA PURE IL CRIMINALE ASSAD
«Gli arresti a Mosca? E allora Guantanamo? Non tocca a me valutare la democrazia in un altro Paese» dice Manlio Di Stefano per levarsi dall’impaccio di una domanda che in tanti fanno ai 5 Stelle: cosa dite della retata di massa di Vladimir Putin?
Se c’è un partito in Italia che per somiglianza avrebbe motivo di simpatizzare con i giovani ribelli di Mosca è il M5S. Una piattaforma anticorruzione nata online, un leader, Aleksej Navalnyj, che è un blogger: cosa vi ricorda? Ma perchè allora il M5S, nel suo complesso, tace?
Nei piani di governo a 5 Stelle, Di Stefano è destinato a fare il ministro degli Esteri: perchè è il più competente e ha una passione, coltivata negli anni, che ora è diventata un lavoro che lo fa viaggiare, incontrare popoli, stringere relazioni.
E infatti è a lui che il M5S ha affidato il compito di delineare il programma di esteri che in questi giorni si vota sul blog di Beppe Grillo. Dieci punti che Di Stefano sta illustrando in diverse tappe da Nord a Sud.
Ci sono i capisaldi del pensiero grillino che punta a ridefinire il ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo, con accordi bilaterali inseriti all’interno di una strategia multilaterale più fluida che dalla Russia arriva fino alla Siria di Assad, e alle critiche all’Eurozona affianca l’idea di un’Alleanza mediterranea, senza rinunciare al riconoscimento della Palestina.
A Putin si torna sempre, senza timore per la durezza del pugno contro gli oppositori e l’aggressività fuori dai confini russi. «Perchè allora non ci occupiamo anche dell’Arabia Saudita a cui l’Italia vende le armi? – chiede Di Stefano -. Io mi devo solo preoccupare di non favorire un governo nel commettere crimini. Mentre il ministro Alfano contesta gli arresti di Mosca, abbiamo fatto accordi milionari con i sauditi». Mosca ha represso il diritto di manifestare contro la corruzione. Matteo Salvini, leader della Lega Nord, amico di Putin, ha detto chiaramente che hanno fatto bene ad arrestarli perchè le proteste non erano autorizzate.
E il M5S? «Arrestarli tutti così non è propriamente democratico, ma perchè non parliamo anche di Guantanamo? È ancora aperta e a Barack Obama hanno dato il Nobel per la Pace. Questa è ipocrisia: o condanniamo tutti i Paesi che ledono i diritti o non possiamo fare una selezione».
Nel giugno scorso Di Stefano era l’unico politico italiano presente al congresso di Russia Unita, il partito di Putin, un invito «accolto con grande entusiasmo» ebbe a dire durante la visita dove riaffermò uno dei punti cardini dei 5 Stelle: l’eliminazione delle sanzioni alla Russia: «Putin è un partner strategico nella lotta al terrorismo, non vederlo è cecità . Assieme ad Assad ha vinto la guerra in Siria».
Altro capitolo: Assad. Nel programma c’è scritto che vanno «ristabiliti i rapporti diplomatici con la Siria».
Con un dittatore che ha sterminato civili e bambini? «Anche Federica Mogherini, ministro degli Esteri Ue, si è svegliata e ha riaperto ad Assad. Cosa fai altrimenti? O lo butti giù come Gheddafi o ci parli».
Così per la Nato: «Va ridefinita la partecipazione italiana» dice il deputato che vuole organizzare una conferenza di pace sulla Libia a Roma e propone un’Alleanza del Mediterraneo tra i Paesi europei del Sud per fare blocco comune contro quelli a Nord in attesa di sapere se l’euro reggerà . «Fosse per me uscirei subito dall’euro, ma poichè nel M5S ognuno ha la sua posizione faremo un referendum.
Il futuro dell’Europa non sembra in cima ai suoi pensieri: «Io parlo di Italia non di Europa. E anche se non vedo l’Alleanza mediterranea come alternativa all’Ue è giusto chiedersi cosa esiste oltre l’Eurozona».
L’idea è quella di «fare accordi commerciali bilaterali con chi conviene, in un contesto multilaterale». Via dall’euro, Ue e la Nato più deboli, Alleanza mediterranea: ma così non si favorisce solo Putin come interlocutore privilegiato e i suoi sogni di un’Unione Euroasiatica? «Putin – risponde Di Stefano – è già un interlocutore”
Ilario Lombardo
(da “La Stampa”)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
HANNO SCOPERTO L’ACQUA CALDA: “STRATEGIA DI DESTABILIZZAZIONE”… OBIETTIVO CONDIZIONARE ELEZIONI NAZIONALI A FAVORE DEI POPULISTI PER INDEBOLIRE L’EUROPA
«Fate attenzione ai legami fra governo russo e M5S». È il messaggio circolato nei mesi scorsi
nell’amministrazione Usa, con lo scopo di mettere poi Roma al corrente di un fenomeno più vasto: l’esteso impegno di Mosca a sostenere forze politiche intenzionate a sfidare gli establishment nazionali.
Con lo scopo di indebolire nel lungo periodo tanto l’Unione Europea, quanto la Nato. Sono fonti governative americane a ricostruire per «La Stampa» quanto sta avvenendo, spiegando in particolare che sono preoccupate per l’influenza che la Russia sta cercando di avere sulle prossime elezioni italiane, nell’ambito di una strategia di interferenza che tocca tutta l’Europa, dopo quella adottata durante le presidenziali degli Stati Uniti. Finora il potenziale punto di contatto è stato individuato da Washington soprattutto nei rapporti che Mosca sta costruendo con il Movimento 5 Stelle, e con la Lega, che però ha prospettive elettorali inferiori.
All’origine di tali sviluppi ci sono le conseguenze dell’Election Day.
Quando l’intelligence americana è arrivata alla conclusione che il Cremlino aveva gestito le incursioni degli hacker nell’archivio digitale del Partito democratico, per rubare documenti con cui deragliare la candidatura presidenziale di Hillary Clinton, l’apparato governativo degli Usa si è attivato per comprendere meglio le dimensioni e lo scopo di questa strategia.
Quindi si è convinto che la Russia sta cercando di dividere e indebolire l’intero Occidente, favorendo le formazioni politiche che mettono in discussione le alleanze storiche e più recenti tra le due sponde dell’Atlantico.
Questa offensiva era già presente negli Stati baltici, che avendo fatto parte dell’Unione Sovietica sono abituati a simili tattiche di propaganda e manipolazione, e le riconoscono in fretta.
Discorso analogo per la Serbia e l’intera area della ex Jugoslavia. L’operazione però si è allargata anche al resto dell’Europa occidentale, che secondo gli analisti di Washington è meno pronta a capirla e difendersi. Perciò il governo Usa si è attivato, con missioni discrete che hanno riguardato anche l’Italia.
Gli obiettivi di Mosca sono tutti i Paesi dove nei prossimi mesi sono in programma le elezioni, che per la loro natura democratica consentono di infiltrare i sistemi politici e cercare di condizionarli.
Al primo posto ci sono le presidenziali francesi, dove gli effetti dell’offensiva russa sono già stati pubblicamente notati, con la visita di Marine Le Pen al Cremlino e le informazioni uscite per attaccare l’indipendente Macron.
Nel radar degli americani però ci sono anche le presidenziali del 2 aprile in Serbia, il voto di settembre in Germania, e quello che comunque dovrà avvenire in Italia entro la primavera del 2018.
Secondo quanto appurato da Washington, i metodi usati sono diversi.
Negli Stati Uniti gli attacchi sono avvenuti nel campo digitale, perchè è molto sviluppato e offriva grandi opportunità .
Lo stesso sta avvenendo già in Europa, come hanno dimostrato le denunce fatte da Macron. Più difficile è provare eventuali finanziamenti o aiuti diretti per le campagne elettorali e i partiti.
In Italia il sistema digitale è meno sviluppato di quello americano, e i nostri apparati contano anche sul naturale scetticismo degli elettori per depotenziare eventuali offensive.
Nel mondo di oggi, però, non serve molto: basta intercettare una mail o una lettera, per demolire un candidato o un partito.
Poi ci sono i rapporti personali diretti. Ha sorpreso, ad esempio, la visita di una delegazione italiana che qualche tempo fa è andata in Lituania, dialogando con la comunità di origine russa nel Paese.
Rilevanti sono anche gli incontri con le ambasciate, che sono leciti, ma possono andare oltre la cortesia diplomatica. M5S e Lega non hanno fatto mistero dei contatti avuti con Mosca, e ciò ha suscitato preoccupazione, anche se in scala diversa.
L’attenzione riservata dal governo americano a questi fenomeni è maturata prima dell’entrata in carica della nuova amministrazione Trump, e delle stesse presidenziali dell’8 novembre.
Finora se ne sono occupati funzionari di carriera non partisan, e la loro attività è completamente slegata dalle inchieste in corso all’Fbi e al Congresso sulle eventuali complicità tra gli hacker russi e la campagna del candidato repubblicano.
Si tratta in sostanza di valutazioni professionali, indipendenti dalle vicende politiche interne.
La transizione naturalmente complica le cose, perchè il governo deve affrontare altre priorità , e nei Paesi che sono potenziali obiettivi non sono ancora stati nominati i nuovi ambasciatori.
Le elezioni italiane però sono quelle più lontane nel calendario, a fine aprile il premier Gentiloni verrà alla Casa Bianca e a maggio ospiterà Trump al G7, e quindi ci sarà il tempo per discutere e chiarire queste preoccupazioni. Da qui lo scenario di una consultazione in crescendo fra Washington e Roma sul ruolo dei grillini come emissari del Cremlino nel Bel Paese.
Paolo Mastrolilli
(da “La Stampa”)
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Marzo 30th, 2017 Riccardo Fucile
L’OFFENSIVA PROTEZIONISTA CONTRO I PRODOTTI EUROPEI… ORA GLI OPERAI ITALIANI CHE RIMARRANNO DISOCCUPATI SANNO SOTTO LE FINESTRE DI CHI ANDARE A PROTESTARE
Un simbolo del “made in Italy” fin dagli anni della Dolce Vita, la Vespa della Piaggio, può diventare uno dei primi bersagli europei del protezionismo di Donald Trump.
Lo annuncia The Wall Street Journal che anticipa la prima vera offensiva commerciale in preparazione contro l’Europa da parte dell’amministrazione Trump. Ben due simboli del made in Italy fanno parte della lista di possibili bersagli elencati dal quotidiano: oltre alla Vespa anche l’acqua minerale San Pellegrino, di proprietà della Nestlè.
Poi ci sono la Perrier (anch’essa controllata da Nestlè), il Roquefort con altri formaggi francesi, il foie gras, altre moto leggere di fabbricazione europea come le svedesi Husqvarna e le austriache Ktm.
Il castigo allo studio sarebbe pesante: dazi punitivi fino al 100% del valore dichiarato di quei prodotti.
Di che farne raddoppiare il prezzo all’istante, per i consumatori americani, probabilmente distogliendone molti.
L’offensiva contro Vespa, San Pellegrino e altri prodotti europei segnerebbe una svolta per questa amministrazione, visto che finora Trump aveva rivolto le sue accuse contro il Messico o la Cina; e aveva congelato il Tpp che è il trattato con l’Asia-Pacifico.
Ma l’attacco all’Europa non nasce dal nulla.
Secondo la ricostruzione del Wall Street Journal è l’eredità di un antico contenzioso che risale ai tempi di George W. Bush, poi si era trascinato senza venire risolto durante l’amministrazione Obama.
La causa originaria: il divieto europeo che colpisce l’importazione di carne di manzo americana trattata agli ormoni.
Nel 2008 l’organizzazione del commercio mondiale (Wto) diede torto agli europei e ragione agli americani, dichiarando illegale quel divieto almeno nella sua formulazione e applicazione troppo estensiva.
Nel 2009 Washington e Bruxelles raggiunsero un compromesso che in teoria doveva porre fine alle ostilità : il divieto europeo sarebbe stato applicato in modo più selettivo e mirato, in modo da ammettere, negli scaffali dei supermercati Ue, carne di manzo proveniente da allevamenti che non somministrano ormoni.
L’accusa di Washington: quell’accordo non viene rispettato dagli europei. Tant’è che l’export di manzo made in Usa rimane minuscolo: l’Europa assorbe meno della metà di quanto comprano il Canada o il Messico, meno di un quarto di quel che compra il Giappone che pure è considerato protezionista.
Nel frattempo, nel 2015 il Congresso americano ha varato una nuova legge che rende più facile e spedito l’uso di dazi punitivi come strumento di rappresaglia nelle contese commerciali.
E ora potrebbe essere proprio Trump a usarla. La scelta dei prodotti da colpire è anche calibrata in base al valore delle importazioni. Il Wto autorizza gli Stati Uniti a imporre dazi punitivi su importazioni del valore di 100 milioni, quindi bisogna selezionare prodotti di nicchia. Come Vespa e San Pellegrino, per l’appunto, che sono “icone” per una clientela dai gusti cosmopoliti.
(da “La Repubblica”)
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