Agosto 21st, 2017 Riccardo Fucile
FATICA AD ESPRIMERE UNA DIVERSITA’ CULTURALE E POLITICA
A «guardarlo» il solito Meeting. Fiumi di gente nei corridoi della Fiera, volontari ad ogni angolo, un programma ricchissimo di ospiti prestigiosi, tantissimi giovani, un «passo» da grande kermesse politico-culturale, la più grande dopo il tramonto delle Feste dell’Unità .
Eppure, sotto la pelle immutabile, non scorre più il sangue «ribelle» che in tanti anni ha reso unica la kermesse di Cl, con un peso che l’aveva resa ambitissima dai politici, che qui venivano a prendersi “legittimazione” e voti.
Quello della 38a edizione è un Meeting «normalizzato», che fatica ad esprimere una diversità culturale, ecclesiale, politica.
Come dimostra il programma e la lista degli ospiti, ecumenica come mai.
A parte i grillini (non invitati), c’è il presidente del Consiglio «renziano» ma anche Enrico Letta. C’è il ministro «liberale» Carlo Calenda ma anche la ministra ex Cgil Valeria Fedeli. Il più unitario dei leghisti, Roberto Maroni e il più «leghista» dei forzisti, Giovanni Toti.
Certo in questo ecumenismo pesa il «fine corsa» che, per motivi diversi, ha accomunato i due cavalli di razza sui quali per 15 anni aveva tenacemente (e invano) scommesso Cl: Roberto Formigoni e il cardinale Scola.
I ciellini «adottarono» Berlusconi, nella speranza che prima o poi il Cavaliere designasse come proprio erede proprio Formigoni, che però è finito azzoppato dalle vicende giudiziarie.
E quanto al cardinale Scola, a dispetto del comunicato della Cei che ne annunciava l’ascesa papale, ora non è più neppure arcivescovo di Milano.
Naturalmente non è soltanto questione di «cavalli di razza». Dalla prima edizione del Meeting (1980) e poi per almeno 25 anni, Cl è stata «Chiesa nella Chiesa», esprimendo una linea e una militanza di massa opposti a quella dei cattolici democratici.
E quindi, prima ancora dei «valori non negoziabili» cari al cardinal Ruini, l’anticomunismo culturale e politico degli Anni Ottanta, quando i detestati democristiani di sinistra – De Mita in primis – guardavano al Pci.
E immutabile nel tempo la fedeltà -venerazione per Giulio Andreotti, anche in anni nei quali tutti gli avevano chiuso la porta.
Anche da questo punto di vista il programma di questa edizione è spiazzante.
Un appuntamento quotidiano è affidato a Luciano Violante, che – come è noto – da presidente della Commissione Antimafia fu – quantomeno – uno dei principali «accusatori» di Andreotti.
E i premier? Vanno tutti bene: nelle ultime edizioni sono stati chiamati Monti, Letta, Renzi e Gentiloni.
(da “La Stampa”)
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Agosto 21st, 2017 Riccardo Fucile
SI RISCHIA UNA TANGENTOPOLI BIS
Nella storia della Repubblica mai si è visto niente del genere. 
Eppure, alle prossime Politiche potrà davvero accadere che la Guardia di Finanza faccia irruzione, clamorosamente, in campagna elettorale.
E su ordine della magistratura verifichi chi paga le spese di certi candidati, con che soldi, provenienti da dove, per quali finalità .
Non era accaduto in passato ma forse accadrà tra pochi mesi, in quanto saranno pienamente operative un paio di nuove leggi volte a reprimere il malcostume della politica, con tanto di sanzioni penali prima inesistenti.
La severità di queste leggi rischia di trovare terreno fertile nel sistema di voto che, se la normativa non cambierà , pare fatto apposta per calamitare le attenzioni delle Procure.
Si basa infatti sulla libera competizione a colpi di preferenze, tanto avvincente e democratica quanto economicamente costosa. Un esercito di candidati tenterà di farsi largo senza badare a spese.
Falò delle vanità
Alle ultime elezioni, la campagna dei singoli candidati costò complessivamente 3milioni 800mila euro. Così perlomeno ha calcolato Openpolis sulla base delle autocertificazioni rese dagli eletti.
Una cifra davvero modesta che si spiega con i “listini” del famigerato «Porcellum», dove bastava essere inseriti per avere la garanzia del seggio.
Guarda caso, il 41 per cento degli eletti nel 2013 ha dichiarato di non aver investito nemmeno un cent.
Ma stavolta, grazie alle correzioni della Corte costituzionale, di ogni lista alla Camera saranno “nominati” al massimo 100 (i cosiddetti “capilista bloccati”), laddove gli altri dovranno battersi all’ultimo sangue.
Al Senato tutti i 315 scranni saranno assegnati con il metodo della preferenza unica, su circoscrizioni a base regionale, cioè gigantesche.
I costi della campagna balzeranno alle stelle perchè solo chi già gode di vasta notorietà potrà limitare le spese della propaganda.
Perfino nell’era del web, per vincere nei corpo a corpo è ancora indispensabile mettere in piedi comitati locali, squadre di galoppini, allestire call center, affiggere manifesti, distribuire “santini”.
Dunque pagare, pagare, pagare.
Chi si intende della scivolosa materia stima che, per giocarsela al Senato, un candidato berlusconiano dovrà spendere non meno di 7-800 mila euro.
La cifra scende (non di molto) per il Pd, dove esiste ancora una rete organizzativa che premia i personaggi legati al territorio.
Dentro Lega e M5S si annuncia una guerra tra “poveri”, dove gli spiccioli per la benzina potranno fare la differenza. Globalmente, centinaia di milioni verranno arsi nel falò delle vanità .
Tetti e tentazioni
In teoria nessuno potrebbe superare i “tetti” che variano a seconda delle circoscrizioni: si va dai 55 mila euro in Molise ai 150 mila della Lombardia.
Ma questi limiti sono aggirabili; per esempio, spendendo e spandendo prima che la campagna elettorale abbia ufficialmente inizio.
Oppure tenendo parzialmente nascoste le entrate e le uscite. In questo caso chi viene eletto rischia la decadenza; se poi si scopre che ha preso più di 5mila euro senza denunciarli, può farsi da 6 mesi a 4 anni in carcere per finanziamento illecito.
Idem chi passa i denari: non per nulla Tangentopoli trascinò a fondo la Prima Repubblica in cui vigeva, guarda caso, il regime delle preferenze. Che non sono certo il male assoluto ma, segnalava tempo fa Raffaele Cantone, scatenano la corsa ai finanziamenti per “aiutare” i candidati.
E qui, sempre secondo il presidente dell’Anticorruzione, «può inserirsi la consorteria criminale». Lobby, mafie e malavita organizzata sono lì per dare una mano, cosicchè il tasso di illegalità rischia di crescere proprio nel momento in cui si dispiegherà con più forza il rigore della legge.
Pistole puntate
Il reato di «scambio elettorale politico-mafioso», ad esempio, quattro anni fa ancora non esisteva. O meglio: era previsto, ma solo nel 2014 è stato tipizzato e rinverdito (articolo 416 ter del codice penale).
I voti delle cosche, promessi in cambio di «altre utilità », potranno diventare oggetto di segnalazioni e di esposti che la magistratura avrà l’obbligo di prendere in esame senza nemmeno aspettare il giorno delle elezioni.
Se ci fossero sospetti sulla provenienza dei finanziamenti, la legge offre nuovi agganci per intervenire in tempo reale. Lo stesso vale per l’altra tipologia di reato che promette scintille: il «traffico di influenze illecite», introdotto dalla legge Severino sul finire della scorsa legislatura (articolo 346 bis del codice penale).
Nel mirino finirà il sottobosco che promette, illude, millanta. Il clientelismo avrà un confine. Ma pure i rapporti con imprese e categorie dovranno ispirarsi ai canoni di trasparenza, perchè la materia è scivolosa, i margini di interpretazione incerti, la discrezionalità parecchio vasta.
La guerra delle preferenze si combatterà in una terra di mezzo da cui si terranno prudentemente alla larga, per paradosso, le persone più timorate e perciò meno propense a sporcarsi le mani. Mentre si tufferanno i veri ricchi.
Oppure chi ama il brivido e non teme la sinistra profezia dell’ex radicale Giuseppe Calderisi: «Dopo le elezioni apriranno un nuovo corridoio per collegare direttamente la Camera con Regina Coeli».
(da “La Stampa”)
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Agosto 21st, 2017 Riccardo Fucile
POLEMICA ANCHE SUL CASO SIDOLI
La faida animalista è appena cominciata e la spaccatura provocata dal partito del 5% di Michela Brambilla comincia a far sentire i suoi effetti.
Un attacco frontale all’ex ministra di Silvio Berlusconi arriva dai Verdi, ai quali Brambilla ha “sottratto” di recente Rinaldo Sidoli, già delegato nazionale alla difesa dei diritti degli animali.
I Verdi contro Brambilla.
L’accusa per la deputata forzista è di aver sostenuto in Parlamento, in linea con il suo partito, provvedimenti contrari alla tutela dell’ambiente ambiente: “Dal 2008 a oggi Brambilla ha votato per il ritorno del nucleare – tuona Angelo Bonelli, co-portavoce nazionale dei Verdi – nonchè per l’aumento dei limiti del benzopirene, sostanza cancerogena che ha provocato la mattanza nel 2010 di migliaia di pecore. Per non parlare della sua proposta da ministro del turismo di realizzare campi da golf nelle aree protette, sollevando le ire di Wwf e Legambiente. O del suo sì allo spezzettamento del Parco dello Stelvio contro il parere delle maggiori associazioni ambientaliste”.
Per Bonelli si tratta di “contraddizioni troppo evidenti, Brambilla e Berlusconi sono campioni di incoerenza, prima hanno votato le peggiori nefandezze in campo ambientale e ora prendono in giro gli elettori. È impensabile disgiungere l’animalismo dall’ambientalismo, bisogna ragionare in termini di tutela dell’intero ecosistema”.
E ricorda un ultimo fatto, precedente alla “conversione animalista” del Cavaliere: “Silvio Berlusconi, oggi socio fondatore del partito animalista, nel 2002 presentava il disegno di legge 2297 chiamato “ammazza fringuelli” e il numero 1798, che consentiva la caccia nei parchi”.
Brambilla si difende.
La presidente del Movimento animalista ribatte ai Verdi punto per punto: “Ritorno al nucleare? Mai votato. Lo spezzettamento del parco dello Stelvio sta in un comma della legge di stabilità del governo Letta. L’innalzamento dei limiti per lo sversamento del benzopirene era nel decreto Competitività di Renzi. Quanto ai campi da golf, qualsiasi eventuale iniziativa nelle aree protette, secondo la proposta di governo che non è mai andata in aula e quindi mai votata, sarebbe stata soggetta alla totale condivisione dell’ente parco”.
L’addio ai Verdi di Sidoli.
Quanto al caso Sidoli, il dirigente dei Verdi con delega agli animali passato con Brambilla, sembra che il dissidio interno fosse in atto già da alcuni mesi. Motivo dello scontro la legge sullo Ius soli.
“Da tempo gli avevamo fatto presente che le sue posizioni xenofobe, contro immigrati e Ius soli, erano incompatibili con la nostra visione ecologista della società e del mondo” afferma ancora Bonelli, che aggiunge: “È contradditorio fare una battaglia in difesa degli animali e poi non occuparsi delle persone che muoiono in mare. A questo punto è un bene che sia uscito e abbia fatto la sua scelta”.
L’ex verde però reagisce e racconta la sua versione dei fatti: “È dal 2013 che insistevo sulla necessità che i Verdi si occupassero con più impegno degli animali. Per questo, quando Michela Brambilla mi ha cercato, io ho accettato di aderire al suo movimento, che giudico veramente trasversale”.
Del marchio berlusconiano impresso al partito degli animali, non sembra preoccuparsene: “Berlusconi per me è sempre stato un avversario, ma qualunque politico si può ravvedere. Anche la foto con l’agnellino in braccio è stata sì un’operazione mediatica, ma ha convinto molte persone a non mangiare carne di agnello a Pasqua”.
Quanto alle accuse di xenofobia, Sidoli le respinge al mittente: “Le ritengo infamanti – risponde ancora il neodirigente del Movimento animalista, originario della Bolivia e adottato da una famiglia italiana quando aveva 5 anni – sono per l’accoglienza ai profughi, ma non penso che a farsene carico debba essere solo l’Italia.
(da “La Repubblica”)
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Agosto 21st, 2017 Riccardo Fucile
IL TEMPIO DELLA DEMOCRAZIA DIRETTA PUO’ ESSERE MANIPOLATO DA CHI GESTISCE IL DATABASE SENZA CHE NESSUNO SE NE ACCORGA
Il “sistema operativo” Rousseau è il tempio della democrazia diretta, la piattaforma presa tanto
sul serio da fior di giornalisti e autorevoli testate.
Nessuno spiega tuttavia un dato tecnico indiscutibile e per nulla secondario: i dati relativi alle consultazioni (in altre parole, il numero di voti per questa o quella opzione) possono essere manipolati arbitrariamente dall’amministratore del database senza che nessuno si accorga di nulla.
Questo non significa che le votazioni siano state modificate: però era ed è possibile farlo.
Questa è l’anomalia primaria che si continua a sottovalutare, il vero vulnus democratico al cui confronto le recenti violazione di dati sono una piccola cosa.
Le falle di sicurezza possono indicare approssimazione e dilettantismo ma rischiano di nascondere, dietro il fascino malandrino dell’hacking, la vera questione: nessuno può sapere se i dati definitivi delle consultazioni online corrispondano al risultato reale sancito dai votanti.
Si deve andare sulla fiducia. Se gli amministratori del sistema ritengono con mirabile onestà di non modificare i risultati, bene (è quello che è successo a Genova, quando al voto ha vinto la Cassimatis invece del candidato “preferito” da Grillo).
Se viceversa volessero manipolarli potrebbero farlo e nessuno lo saprebbe tranne loro stessi.
È un po’ come dire: votiamo alle elezioni spedendo il voto in busta chiusa direttamente a casa di Renzi. Ci penserà lui a scrutinarle e a fornire alla fine della conta i risultati definitivi e inappellabili. Lo dice lui e ci fidiamo.
Alle elezioni politiche a validare i risultati ci sono presidenti di seggio e scrutatori che si prendono responsabilità personali e rischiano conseguenze penali, rappresentanti di lista di tutti i partiti che assistono allo scrutinio e firmano i verbali, carabinieri e poliziotti pronti a intervenire in caso di disordini, magistrati della corte d’appello che verificano i documenti e proclamano gli eletti.
Nella piattaforma Rousseau c’è semplicemente un server — il cui codice sorgente non è noto alla faccia della trasparenza — che gestisce dati privati inaccessibili al pubblico, non verificabili (nè manipolabili) da nessuno se non all’amministratore del database o del sistema.
Si produce un gran danno quando si conferisce una patente di serietà a una cialtronata.
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 21st, 2017 Riccardo Fucile
CON IL SEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE: “BASTA CRIMINALIZZARE LE ONG”
«Sono molte le mancanze dell’Unione Europea nella gestione dei flussi migratori. E, di fatto, ha abbandonato l’Italia». Così Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana, dopo l’incontro con il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres al Palazzo di Vetro di New York.
Incontro di cui Rocca si è detto «molto soddisfatto: il segretario ha espresso la sua totale solidarietà e la grande ammirazione per il nostro operato».
Due i temi di cui si è discusso: le priorità umanitarie sulle sponde del Mediterraneo e il processo di criminalizzazione delle organizzazioni umanitarie che si occupano di salvare i migranti in mare. Un’operazione, quest’ultima, allo stesso tempo culturale e politica «che preoccupa molto entrambi» ha affermato Rocca.
«A Guterres ho voluto esprimere tutta la preoccupazione della Croce Rossa Italiana per quello che sta accadendo nel bacino Mediterraneo» ha spiegato Rocca subito dopo l’incontro «la guardia costiera libica si è appropriata di 70 miglia marittime, dove sono comprese anche acque internazionali.
In pratica le navi delle Ong e la guardia costiera italiana non possono più intervenire: il risultato è la crescita del numero dei morti e l’aumento del costo dei viaggi. Per non parlare delle migliaia di persone che vengono così riportate in una zona di guerra contro ogni regola del diritto internazionale».
«L’appropriazione di 70 miglia di acque da parte della guardia costiera libica non rispetta la Convenzione di Ginevra sui rifugiati» ha dichiarato il presidente Rocca all’Espresso «per questo si fa sempre più urgente un accesso umanitario in Libia, dove c’è molto da fare. È assolutamente necessario lavorare sull’altra sponda del Mediterraneo: la questione migranti non può comportare una sospensione dei diritti umani».
«Guterres si sta spendendo molto per l’accesso nei centri di detenzione dove i migranti vengono rinchiusi e per garantire il rispetto per i diritti fondamentali» conclude Rocca «non sarà semplice e per questo ci aspettiamo una mobilitazione delle Nazioni Unite e della comunità internazionale».
(da agenzie)
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