Agosto 11th, 2017 Riccardo Fucile
190.000 EURO DICHIARATI, 10.000 DOLLARI A TESTA DENUNCIATI DAI CLANDESTINI CINGALESI: CHE ALTRE ENTRATE PER I COSTOSI RIFORNIMENTI IN ALTO MARE E PER GLI ATTIVISTI CHE SI SPOSTANO IN AEREO ? … O DIMOSTRARE CHI LI FINANZIA VALE SOLO PER LE ONG?
La nave di Defend Europe è partita da Gibuti un mese fa, ha attraversato il canale di Suez dove ha avuto i primi problemi circa i documenti di chi era a bordo.
Doveva virare a ovest su Catania, ma è salita a nord a Famagosta (Cipro) dove si è scoperto che aveva a bordo una ventina di cingalesi (cinque hanno chiesto asilo politico) che hanno dichiarato di aver pagato 10.000 dollari a testa per arrivare in Europa.
Il comandante è stato arrestato e poi di fatto espulso come indesiderato: non gli è stato contestato il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina semplicemente perchè il reato nella Cipro di area turca non esiste.
Da qui un primo rifornimento di carburante che, a detta del comandante, “non ho mai pagato così caro”, evidentemente qualche fornitore lo ha preso per il collo, stante la situazione legale precaria.
Da Cipro un”altra settimana di navigazione e un approdo mancato sia a Catania che a Zarzis (Tunisia) perchè gli è stato negato l’attracco.
Poi un tentativo di attracco a Sfax e un altro rifiuto dell’autorità portuale, quindi rifornimento ad alto costo in mare di carburante e viveri.
Considerato il noleggio di una nave di quelle dimensioni, il mese di navigazione, gli imprevisti, come è finanziata la missione?
Le entrate certe sono 190.000 euro raccolti con un finanziamento via internet (di cui non si conoscono i nomi dei finanziatori) e, secondo i cingalesi, i 10.000 euro a testa versati dai clandestini (ovviamente non esiste ricevuta, ma nessuna autorità italiana ha pensato di interrogarli).
Al costo della missione vanno aggiunte le spese di trasferimento dei presunti attivisti che avrebbero dovuto salire a bordo della C-Star a Catania (dove hanno alloggiato per dieci giorni) e il loro trasferimento in aereo in altro Stato per poi operare un trasbordo.
Va da sè che solo degli ingenui possono pensare che con 190.000 euro si possa far fronte alle spese di cui sopra.
Ne deriva quindi una necessità : se il codice Minniti prevede che per navigare nella zona Sar sotto il controllo della Marina italiana le Ong devono dimostrare come vengono finanziate, come mai la stessa regola non vale per la C-Star di Defende Europe?
Come mai Minniti non ha dato disposizione di produrre i conti di entrate e uscite, con relativi nomi e cognomi dei finanziatori?
Come mai Di Maio, così pronto a chiedere le giustificative alle Ong, non fa altrettanto con una mission che viola le norme internazionali a lui così pertinianamente care?
Che rapporti ha Defende Europe con i servizi italiani e stranieri, visto che i media hanno parlato di informative (fasulle) passate ai servizi e alla magistratura italiana?
Visti i precedenti di mercenari contractors di molti loro responsabili (nonchè una condanna in Svezia per truffa dell’armatore della C-Star) da chi sono foraggiati?
Su, Minniti, non sia timido, dimostri che la legge è uguale per tutti.
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Agosto 11th, 2017 Riccardo Fucile
IN PRATICA SI E’ RIMANGIATO IL TESTO: “IL CODICE NON E’ LEGALMENTE VINCOLANTE E PREVALGONO LE LEGGI INTERNAZIONALI”… E SALTANO ANCHE IL DIVIETO DI TRASBORDO E LA POLIZIA ARMATA A BORDO
SOS Mediterranee ha sottoscritto il Codice di Condotta per le operazioni di salvataggio dei migranti in mare. La firma è avvenuta venerdì mattina al Viminale. Sos Mediterranee ha sottolineato di aver acconsentito alla firma solo dopo che il Viminale ha specificato alcuni punti.
Tra questi – spiega la ong in un comunicato – il fatto che «il Codice di Condotta non è legalmente vincolante e prevalgono le regolamentazioni e le leggi nazionali ed internazionali».
Inoltre Sos Mediterranee ha ribadito di non impegnarsi con la firma a ricevere uomini armati a bordo della sua nave, fatto salvo in caso di mandato rilasciato nell’ambito del diritto nazionale o internazionale e di non accettare limitazione ai trasbordi dei sopravvissuti ad altre navi, quando coordinati dal MRCC di Roma.
In precedenza avevano sottoscritto il documento – che fissa 13 regole – Save the Children, Moas, Proactiva Open Arms e Sea Eye.
A oggi restano attestati sul fronte del «no» Medici senza frontiere, Jugend Rettet e Seawatch, contrarie sostanzialmente alla presenza a a bordo di polizia armata e al divieto di trasbordo dei migranti su altre imbarcazioni.
«Rimaniamo fermi sulla nostra posizione», ha fatto sapere Loris De Filippi il presidente di Medici Senza Frontiere, ong che ha una nave in partnership con Sos Mediterranee, Aquarius.
«Stiamo discutendo il da farsi. Al momento Aquarius si trova in acque internazionali dove continua le sue attività di pattugliamento e soccorso. Quello che oggi più ci preoccupa sono le minacce da parte delle autorità libiche che vieterebbero alle navi delle Ong l’ingresso in un’area di mare molto estesa. I recenti sviluppi nel Mediterraneo mostrano che il Codice di Condotta è parte di un disegno più ampio che intende sigillare la costa libica e intrappolare migranti e rifugiati in Libia, gettando via la chiave. Per questi motivi MSF rimane nella propria convinzione di non poter firmare il Codice».
(da “Il Corriere della Sera”)
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Agosto 11th, 2017 Riccardo Fucile
PARLA IL MANTENUTO DA 20 ANNI DAI CONTRIBUENTI ITALIANI E CHE, L’UNICA VOLTA CHE ERA SENZA SCORTA, E’ SCAPPATO A GAMBE LEVATE
Dopo 24 ore di meditazione, tipica di chi non sa cosa rispondere, oggi Matteo Salvini risponde con l’ennesima gaffe a Roberto Saviano che ieri lo aveva sputtanato ricordandogli che le scorte non le decide il governo, ma l’organismo di polizia preposto al servizio, sulla base di proprie valutazioni.
E nell’occasione aveva rimarcato tre bufale (tra le tante) che il leader della Lega aveva veicolato ai gonzi che leggono le sue sortite quotidiane.
Oggi Salvini replica:
Il signor SAVIANO è preoccupatissimo per la possibilità , auspicata da me e da milioni di italiani, che gli venga tolta la SCORTA, di cui inutilmente gode da tempo
Coda di paglia? La paura che fa Saviano alla camorra è pari a quella che fanno le minacce di Kim a Donald Trump: zero.
Ciaone Saviano, fatti una vita! A spese tue.
Certo che pagare 300.000 euro l’anno il consulente alla comunicazione ( salvo licenziare i giornalisti della Padania) per partorire una risposta autolesionista del genere è davvero uno spreco.
1) Non sa cosa dire sull’errore che ha fatto: un governo non ha la facoltà di togliere o concedere la scorta a nessuno, come invece aveva dichiarato. Non conosce nemmeno le regole.
2) Saviano non fa paura e ha bisogno della scorta? A parte che non lo decide Salvini, la cui opinione vale meno di zero, per quale motivo l’eroe sovranista non rinuncia alla sua di scorta che costa agli italiani centinaia di migliaia di euro, considerati gli uomini che vengono impiegati a sua tutela ogni volta che si sposta in Italia?
O forse se la fa sotto come a Bologna quando è scappato a gambe levate di fronte a quattro ragazzotti?
3) La chiosa finale è il massimo: Saviano dovrebbe “farsi una vita a spese sue”.
Si dà il caso che Saviano faccia lo scrittore e abbia un mestiere per il quale paga anche i rischi delle sue denunce contro la camorra.
Non è figlio di un dirigente benestante con seconda casa a Recco che non ha mai lavorato in vita sua, non ha mai avuto “un mestiere”, ha bazzicato i centri sociali da “comunista padano” ed è stato 13 anni fuori corso all’università .
Saviano non vive alle spalle dei contribuenti, qualcun altro sì.
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Agosto 11th, 2017 Riccardo Fucile
GLI STUDIOSI SPIEGANO COME L’IMPERO ROMANO FOSSE UNA SOCIETA’ METICCIA… E RICEVONO INSULTI E MINACCE DALLA DESTRA XENOFOBA
Il cartone animato è del 2014, ma le polemiche sono di questi giorni, a dimostrazione del clima sempre più virulento che si respira sui social network ad opera di chi cerca di far prevalere i pregiudizi sulle verità scientifiche, con gli studiosi e gli esperti insultati e minacciati per i loro tentativi di ristabilire il primato della scienza.
Sul banco degli imputati degli odiatori da tastiera sono finiti stavolta non i vaccini, ma un documentario educativo realizzato tre anni fa dal canale Bbc Teach sulla storia della Gran Bretagna.
Nell’episodio dedicato alla Britannia romana, il protagonista è un centurione di stanza sul Vallo di Adriano. Ciò che non può andare giù a cospirazionisti ed estremisti di destra è che il “civilizzatore” sotto le insegne Spqr abbia la pelle scura, sia sposato a una donna bianca, e che abbia per giunta due figli, ovviamente mulatti.
A dar fuoco alle polveri è stato Paul Joseph Watson, attivista della alt-right britannica e gestore del sito cospirazionista Infowars, che in un tweet ha sparato a zero contro il servizio pubblico radiotelevisivo britannico: “Grazie a Dio la Bbc dipinge una Britannia romana etnicamente variegata”, ha scritto. “Tanto, a chi importa l’accuratezza storica, no?”.
I soliti 140 caratteri buttati lì per raccogliere retweet e commenti indignati. Ma qualcuno ha deciso di non fargliela passare liscia.
“Davvero, hai qualche tipo di trauma cerebrale o fai finta per compiacere i tuoi follower boccaloni?”, ha twittato in risposta il divulgatore Mike Stuchbery.
All’inizio aggressivo, Stuchbery ha fatto seguire una serie di tweet assai documentati per dimostrare a Watson e ai suoi seguaci che la Britannia era effettivamente, così come tutto l’impero, piena di africani, molti dei quali in posizioni preminenti di potere.
I documenti scritti e gli scavi, spiega Stuchbery, dimostrano che la Britannia romana ospitava una grande varietà di etnie, poichè i romani avevano imparato a far arrivare nei territori conquistati legioni da parti diverse dell’impero.
Ciò era vero particolarmente a Londinum, l’attuale Londra, capitale della provincia. Ma anche nella zona corrispondente alla moderna York ci sono prove di personaggi di spicco nordafricani.
Lezione imparata? È vano sperarlo: alle prove di Stuchbery, Watson ha risposto con un video su YouTube in cui, di fatto, afferma di aver dimostrato di avere ragione.
Ma il peggio doveva ancora arrivare: con un certo ritardo, Mary Beard, professoressa di studi classici a Cambridge, una sorta di istituzione in Gran Bretagna quando si parla di Roma antica, si accorge della polemica e si azzarda a definire il documentario Bbc “abbastanza accurato”.
La professoressa Beard si spinge a ravvisare nella figura del centurione africano un personaggio realmente esistito, il governatore Quinto Lollio Urbico, romano berbero che comandò sulla Britannia tra il 139 e il 142 e il cui mausoleo è ancora visitabile a Tiddis, in Algeria.
Apriti cielo: su Twitter cominciano a pioverle addosso insulti.
I più moderati la accusano di elitarismo e di vivere nella solita torre d’avorio degli intellettuali. Gli altri mettono in mezzo la sua età , la sua forma fisica, la sua femminilità .
Uno scenario davvero desolante.
Su cui l’epitaffio migliore è probabilmente quello di J.K. Rowling, l’autrice di “Harry Potter”. La quale, imitando in un tweet lo stile dei titoli da social network, ha scritto: “Una storica ha dato la sua dotta opinione sulla diversità etnica nella Britannia romana. Quello che è successo dopo, non vi stupirà “.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 11th, 2017 Riccardo Fucile
LA TRAGICOMMEDIA QUOTIDIANA DEI TRASPORTI ROMANI, TRA BUS ROTTI, LINEE SOSPESE, CONCORDATO PREVENTIVO E 45 MILIONI DOVUTI A ROMA TPL
“Al momento nessuna vettura è stata localizzata dal sistema”; “Si sono verificate cancellazioni di corse per indisponibilità vetture causa guasto”; “la linea non è attiva”: è una tragicommedia quotidiana quella che l’account @InfoAtac su Twitter è costretto a raccontare in ogni giorno di ordinario disservizio nei trasporti di Roma.
Un dramma ben evidenziato da quanto racconta oggi Il Messaggero: al deposito della Magliana 160 bus su 250 programmati in uscita erano guasti.
E questo genera attese infinite alle fermate e dieci — 10! — linee sospese ogni giorno.
L’ATAC muore di orario estivo, visto che la riduzione delle corse programmata nei mesi più caldi va a sommarsi con la distruzione completa del parco mezzi.
Il Messaggero scrive che quello che è successo ieri a Magliana è successo martedì a Grottarossa, dove un video mostra decine di conducenti che invece di sedersi a “girare la ciambella” (come chiamano in gergo il volante), si sono dovuti accontentare di due chiacchiere e un caffè alla macchinetta automatica in attesa di essere chiamati magari a coprire qualche altro buco del servizio.
«La maggior parte dei guasti spiega Renzo Coppini, segretario regionale del Sul Ct — è dovuta al cattivo funzionamento degli impianti dell’aria condizionata. Sono talmente vecchi, come i motori, che è quasi impossibile ripararli. I fornitori non mandano più ricambi e si cannibalizzano i bus fermi per recuperare pezzi. La situazione è talmente critica che a settembre, con la riapertura di uffici e scuole, si rischia il collasso totale. Con Fast e Utl chiediamo un incontro urgente con Roma Capitale per capire come intende intervenire».
Nel settembre 2016 l’assessore ai Trasporti Linda Meleo annunciava un «piano straordinario per la manutenzione dei bus», con la richiesta ai dirigenti di «fornire report settimana per settimana». Dopo un anno, nuovo corso per il Cda e punto e a capo.
Il tutto accade mentre per il video in cui scende dal bus per picchiare un automobilista un autista ATAC viene difeso dai sindacati e Virginia Raggi aumenta le poltrone del consiglio di amministrazione di ATAC, rinunciando alla governance con amministratore unico che almeno faceva risparmiare qualcosa dal punto di vista della gestione.
Ma il consiglio di amministrazione tornerà a riunirsi solo dopo il 20 agosto e ancora non si conosce la strategia che l’azienda seguirà per rimettere in sesto i conti dopo l’addio di Bruno Rota in polemica con il MoVimento 5 Stelle romano. Che ovviamente quando si tratta di affrontare le brutte notizie perde regolarmente la voce e rimane in un silenzio di tomba.
Intanto nel pomeriggio, il ramo di un albero è caduto sulle rotaie del tram in via del Parco del Celio. Tranciati i cavi. Solo tanta paura per i passeggeri della linea 3. Forti invece i disagi, con la chiusura della tratta e della strada per permettere la messa in sicurezza della carreggiata e poi il ripristino della linea. Sul posto sono intervenuti le forze dell’ordine, i Vigili del fuoco e i tecnici dell’Atac.
Ieri intanto è arrivata l’ennesima mazzata per i conti dell’azienda.
II tribunale civile ha riconosciuto alla Roma Tpl la seconda rata del contenzioso avviato nel 2010. Conto complessivo da 45 milioni. L’azienda che gestisce le linee periferiche li pretende entro due settimane, pena l’avvio della procedura di pignoramento. E i fornitori per i ricambi che servono a tenere in piedi la malandata flotta bus capitolina ora pretendono pagamenti in contanti e non più a 90 giorni. Questo perchè la prospettiva del concordato spaventa chi deve ricevere i danari.
Intanto arrivano in Campidoglio le 33.040 firme raccolte dai Radicali (mille portate dal Pd) a lanciare il referendum per la messa a gara del servizio tpl dal dicembre 2019, quando cioè scadrà il contratto di servizio Atac-Comune. Riccardo Magi, segretario dei Radicali, ha chiesto che oggi ci sia Raggi a prendere in mano il plico, ma difficilmente la sindaca rientrerà dalle vacanze.
Anche perchè qualsiasi ipotesi di privatizzazione è vista come il fumo negli occhi dai sindacati di ATAC. E il MoVimento 5 Stelle ha una base elettorale di portata non indifferente tra gli autisti e i macchinisti dell’azienda dei trasporti comunale. Proprio questo ragionamento ha portato ai contrasti e alla defenestrazione di Bruno Rota, in questi mesi unico a tentare di dare una svolta all’azienda.
Anzi, ha fatto molto per venire incontro alle istanze dei dipendenti. Ad esempio annullando nel 2016 l’accordo sulle condizioni lavorative e la diminuzione del monte ore di lavoro.
L’azienda ha cancellato gli accordi firmati nel 2015 che prevedevano la scomparsa dei benefit e l’aumento del monte ore da 736 a 950, oltre all’introduzione del badge e del timbro all’uscita e alla comparsa del parametro della produttività nel salario.
Vale la pena di ricordare le parole di Rota al Corriere proprio sul problema della timbratura dei cartellini, dell’orario di lavoro e delle regole da rispettare.
Rettighieri denunciò un’ingerenza dell’assessora Linda Meleo su un lavoratore sottoposto a provvedimento disciplinare. Il sanzionato era Federico Chiovelli, rimosso — e poi reintegrato — dal vertice della ferrovia Roma-Viterbo, attivista del MoVimento e cugino di un’assessora M5S, Paola Chiovelli, assessora alle politiche sociali del municipio XV.
Vale la pena di ricordare che l’assessora Meleo, in nome della trasparenza quannocepare, non ha mai chiarito come mai si sia interessata alla questione del provvedimento disciplinare nei confronti di Chiovelli.
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 11th, 2017 Riccardo Fucile
“DANNI DI IMMAGINE ALLA CITTA’, PENSATE A QUANTO ACCADUTO ALLE COMUNITA’ DI AUSCHWIRZ E GUANTANAMO”
La presenza del Centro di identificazione e esplusione a Bari reca un danno di immagine al Comune “in conseguenza dei trattamenti inumani e degradanti praticati in danno dei detenuti” nel Cie.
Per questo la prima sezione civile del Tribunale di Bari ha condannato la Presidenza del Consiglio e il ministero dell’Interno a versare un risarcimento di 30mila euro.
La sentenza, firmata dal giudice monocratico Concetta Potito, è stata pronunciata su ricorso degli avvocati Luigi Paccione e Alessio Carlucci, che hanno agito ‘in sostituzione’ del Comune e della Provincia di Bari.
“Il Cie di Bari – scrive il giudice nelle motivazioni – viste le risultanze probatorie, non risulta di certo idoneo all’assistenza dello straniero e alla piena tutela della sua dignità in quanto essere umano. Il risarcimento è ritenuto necessario per via dell’ingente danno arrecato alla comunità territoriale tutta, da sempre storicamente dimostratasi aperta all’ospitalità , per via delle scelte gestionali dell’Amministrazione statale. Quest’ultima – secondo il giudice – è rimasta inerte dinanzi alle numerose segnalazioni circa le condizioni in cui versavano gli immigrati del Cie, nonchè dinanzi a richieste di verifica delle condizioni igienico-sanitarie del Centro”.
La sentenza rimarca che “il danno all’immagine si giustifica alla luce di quella che è una normale identificazione, storicamente provata, tra luoghi ove si perpetrano violazioni dei diritti della persona e il territorio che li ospita”.
Il giudice indica alcuni esempi: “Si pensi ad Auschwitz, luogo che richiama alla mente di tutti immediatamente il campo di concentramento simbolo dell’Olocausto – osserva il magistrato – e non di certo la cittadina polacca sita nelle vicinanze. Ma si pensi anche a Guantanamo, ad Alcatraz: istintivamente il pensiero corre subito e soltanto ai noti luoghi di prigionia di massima sicurezza, e non certo alla base navale nell’isola di Cuba all’interno della quale il primo è ubicato, nè tantomeno all’isola nella baia di San Francisco ove era sito il carcere”.
Anche in Italia si trovano esempi, come Lampedusa, il cui nome – afferma il giudice citando una precedente ordinanza del 3-9 gennaio 2014, “ormai evoca immediatamente più ‘la parte’, vale a dire il campo profughi che vi è ospitato (insieme con i periodici e per lo più drammatici approdi di migranti dal mare e con i fatti anche luttuosi o ‘scandalosi’ che vi sono accaduti e vi accadono) che il ‘tutto’, e cioè l’isola protesa nel Mediterraneo”.
Nel loro ricorso gli avvocati Paccioni e Carlucci avevano anche chiesto al giudice di ordinare la chiusura del Cie di Bari.
Su questo però il magistrato ha ritenuto “inutile” pronunciarsi, essendo il Cie già chiuso.
Inoltre, i due legali avevano chiesto un risarcimento del danno “per la violazione dei diritti umani all’interno del Cie”.
Anche su questo, il giudice non si è pronunciato perchè ha ritenuto che la richiesta avrebbe dovuto essere avanzata dalle persone ristrette nel Cie.
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2017 Riccardo Fucile
CHI DIFENDE IL TERRITORIO E’ NOTORIAMENTE PIU’ PERICOLOSO DEI MAFIOSI
Ora che il pallottoliere dei morti ammazzati nel foggiano si fa imbarazzante ecco che Palazzo & Media di riferimento si preoccupano della vicenda. “Una guerra dimenticata” è il titolo del commento firmato da Antonio Polito sul Corriere; e uno dovrebbe domandare sia sul “dimenticata” sia sul “guerra”.
Guerra di mafia. Allora, se c’è una guerra dovrebbe esserci un esercito.
Che invece non c’è. O almeno non c’è nel nord della Puglia.
L’esercito tra poche settimane lo vedremo in tenuta anti-sommossa nel Salento a difendere il gasdotto trans-Adriatico dai comitati No Tap, i quali com’è noto sono più pericolosi della criminalità organizzata.
Domenica avremo modo di toccare con mano la violenza dei No Tap perchè animeranno una manifestazione rivoluzionaria e armata, che partirà nel pomeriggio da Melendugno. Lunedì nessuno ne parlerà se non per dare risalto all’arretratezza e alla violenza di costoro: del resto con tutte le paginate di pubblicità che i signori della Tap stanno comprando sui giornali…
I militari, dicevamo.
E’ un po’ quel che accade in Val di Susa dove l’Esercito italiano da tempo presidia il cantiere dell’Alta Velocità dalle incursioni di quei mafiosi-camorristi-ndranghetisti-narcotrafficanti dei No Tav.
Ora, sfiga (per l’Italia mainstream) vuole che le tesi dei No Tav stiano diventando anche le tesi dei francesi. Porcaccia miseria.
Vedremo se il tempo sarà galantuomo anche coi vari comitati dissidenti sparsi nel Bel Paese a difesa di interessi collettivi.
Per ora, l’Esercito userà le sue armi contro quei pericolosi guerriglieri e la stampa finanziata dal sistema bancario ci racconterà quanto sono aggressivi e violenti questi viddani salentini. Altro che la mafia del foggiano…
Ps. Sarebbe interessante capire anche perchè i cantieri di queste opere debbano essere presidiati dall’esercito e non da guardie private visto che l’interesse aziendale è per ora quello più evidente.
Gianluigi Paragone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 11th, 2017 Riccardo Fucile
E CHIEDONO ANCHE CHIARIMENTI SUL CURRICULUM E SUL CASO INARCASSA
A Roma, se non devi aspettare un autobus, non ti annoi mai.
Oggi l’edizione locale di Repubblica ci racconta che due elette del MoVimento 5 Stelle, ovvero Francesca Benevento e Luisa Petruzzi, vogliono ricorrere al Tribunale Amministrativo Regionale contro la nomina di Margherita Gatta ad assessora ai lavori pubblici.
Francesca Benevento, consigliera al XII Municipio, l’abbiamo conosciuta e apprezzata per la clamorosa scoperta del complotto di Big Pharma sui vaccini che ha fatto ridere per qualche tempo l’Internet.
Luisa Petruzzi invece è stata eletta al XV. Entrambe miravano all’assessorato ai lavori pubblici e tutte e due sono state scartate per la Gatta, che in effetti ha già dimostrato di essere entrata nel mood della #trasparenzaquannocepare della Giunta Raggi.
L’accesso agli atti è dunque solo il primo atto del copione.
Assieme a un’attivista, Paola Giannone, le due grilline chiedono alla sindaca il curriculum di Gatta, quello in cui l’assessora ha dichiarato di essere stata dirigente di Inarcassa (salvo essere smentita dai datori di lavoro).
«La selezione è fasulla – attacca Francesca Benevento – e quel cv pieno di pasticciature è sparito dal sito del Comune».
Sulla pagina della giunta Raggi, il profilo di Gatta è l’unico senza rèsumè: “contenuto in allestimento”.
La consigliera Benevento allora rincara la dose: «Vediamo cosa risponderanno. Com’è stata scelta Gatta? Con la call o no? Aveva i requisiti?».
Le consigliere Benevento e Petruzzi, entrambe architette, avevano a loro volta partecipato al bando: «Ci hanno eliminate con la scusa che un’eletta non può diventare assessora. Una regola ad personam. Siamo vere grilline. Non facciamo politica per lo stipendio. Ci cacceranno? Vogliamo la verità ».
Anche perchè Benevento e Giannone, coordinatrici del tavolo Lavori pubblici del M5S, conoscono bene Margherita Gatta:
Dal board della base grillina la neoassessora è stata espulsa a gennaio: 19 voti contro, solo 2 a favore. Lo racconta Giuseppe Morano, attivista e coordinatore di Roma Partecipata: «Gatta era sempre contro, anche sul programma che abbiamo scritto e che la sindaca, prima di tagliare i ponti con noi, ha recepito. I dissidi sono continuati in chat. La base? Si riunirà a ottobre».
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 11th, 2017 Riccardo Fucile
IL 40% DELLE ACQUE “FORTEMENTE INQUINATE”… MAGLIA NERA PER LAZIO E IL SUD
Anno dopo anno cambia poco nei mari italiani, che in alcuni punti restano “malati cronici”, come li definisce Legambiente.
Oggi sono stati diffusi i risultati della campagna di Goletta Verde, l’imbarcazione dell’associazione ambientalista che raccoglie e analizza campioni delle acque del nostro mare.
Su 260 campioni di acqua analizzati in tutta Italia, in più di un terzo, cioè nel 40 per cento, sono state riscontrate cariche batteriche elevate.
Molte tra le nostre regioni hanno problemi nella depurazione delle acque, tanto che l’Italia è agli ultimi posti per la presenza di impianti per filtrare gli scarichi a mare. I litorali di Lazio, Calabria, Campania e Sicilia, inoltre, dopo 5 anni di segnalazioni non hanno migliorato la loro situazione.
Altre problema su cui Goletta Verde pone l’accento sono i rifiuti in mare, per il 96 per cento costituito da plastiche e perciò destinato a rimanere a lungo anche in forma di microresidui. Il viaggio di Goletta Verde ha coperto 7.412 chilometri di costa, alla fine del quale sono stati presentati alle Capitanerie di Porto 11 esposti e segnalati 38 punti critici, per chiedere approfondimenti e interventi sugli scarichi inquinanti che ancora oggi si riversano in mare
Preoccupa poi che le situazioni più critiche perdurino in alcune località , a riprova che nonostante le campagne e le denunce nulla viene fatto: “Si tratta di punti – sottolinea Legambiente – che sono risultati inquinati mediamente negli ultimi 5 anni e che si concentrano soprattutto nel Lazio (8), in Calabria (7), in Campania e Sicilia (5)”.
I parametri indagati dalla Goletta sono microbiologici (enterococchi intestinali, Escherichia coli) e i tecnici hanno considerato come inquinati i risultati che superano i valori limite previsti dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia (Dlgs 116/2008 e decreto attuativo del 30 marzo 2010) e fortemente inquinati quelli che superano di più del doppio tali valori. Dei 105 campioni di acqua risultati con cariche batteriche elevate, ben 86 (ovvero l’82 per cento) registrano un giudizio di “fortemente inquinato”.
L’87 per cento dei punti inquinati e fortemente inquinati sono stati prelevati alle foci di fiumi, torrenti, canali, fiumare, fossi o nei pressi di scarichi che si confermano i nemici numero uno del nostro mare.
Mentre il 13 per cento sono stati prelevati presso spiagge affollate di turisti. La situazione migliore anche quest’anno in Sardegna, che si distingue con sole 5 situazioni critiche rilevate in corrispondenza di foci di fiumi, fossi e canali.
A seguire anche la Puglia registra un buon risultato, confermando la performance dello scorso anno. In alto Adriatico, complice anche la forte siccità che ha colpito queste regioni, riducendo molto le portate di fiumi, fossi e canali che si riversano in mare, le situazioni migliori si riscontrano in Emilia Romagna e Veneto.
Legambiente denuncia infine che spesso le autorità preposte segnalano i divieti di balneazione, ma in proposito pochi conoscono regole e rischi.
“I cittadini – spiega Serena Carpentieri, responsabile campagne di Legambiente – continuano a navigare in un mare di disinformazione. Così come in buona parte d’Italia, stenta ancora a decollare un sistema davvero integrato tra i vari enti preposti per fornire informazioni chiare. I tecnici di Goletta Verde hanno avvistato solo 16 di questi cartelli informativi, presenti solo nel 9 per cento dei punti. Per quel che riguarda invece i cartelli di divieto di balneazione, dei 91 punti vietati alla balneazione dalle autorità competenti, solo 23 presentano un cartello di divieto di balneazione. Nel 10 per cento dei casi dove i cartelli di divieto sono assenti, troviamo una presenza media o alta di persone che, ignare, fanno il bagno”.
(da “La Repubblica”)
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